Alcune torri di uso colonico in territorio di Crotone

Crotone, località Torre Tonda.

In territorio di Crotone esistevano numerose torri di uso colonico. Esse sorgevano per lo più tra la foce dell’Esaro, le colline ed il mare, sulla pianura a sinistra del fiume e lungo la valle Lamposa; la quale già nella metà del Seicento, al tempo del Nola Molise, così è descritta: “piena di bellissime vigne, vaghi giardini, forte torri, acque fresche, et e molto dilettevole, che non si può vedere più amena Valle di questa … Scendendo alla parte della marina vi è una bellissima pianura detta lo palazzo, dove anco sono bellissime vigne, et giardini con ogni sorte d’alberi di citrangole, lemoncelle, cedri, dattoli, et quanto si può desiderare, con torre, et acque sorgenti bellissime, che per la vista del mare sono luochi esquisitissimi”.[i]

La località, con terreni buoni e facilmente irrigabili, era divisa in piccoli poderi, chiusi con fossi e siepi, coltivati a vigneto, ad orto ed alberi da frutto. Quasi sempre accanto alla torre vi erano anche una casella, il pozzo con sena e pila, l’orto, il palmento per la vendemmia, la stalla per gli animali, il vaglio, ecc. Parte di queste torri fu costruita tra la fine del Cinquecento ed i primi anni del Seicento, e parte dopo la crisi seicentesca, nella prima metà del Settecento. È sul finire del Cinquecento che, per cautelare la vita ed il raccolto dalle razzie turchesche e dai banditi, i feudatari e gli aristocratici cominciarono ad edificare alcune torri nei loro vasti possedimenti e nei loro giardini. Fu tuttavia negli ultimi anni del Seicento e nei primi decenni del Settecento, che aumentarono nella pianura vicino alla foce del fiume Esaro, e lungo la valle Lamposa, le chiusure con giardino, torre, vigne, ortalizii, alberi fruttiferi, caselle, pozzi, ecc.

La superficie a “giardino” che, durante il Cinquecento e nei primi decenni del Seicento, si era allargata erodendo il bosco ed i ristagni, nella seconda metà del Seicento a causa dello spopolamento e delle cattive annate, si era ristretta, e molti giardini si erano inselvatichiti o erano divenuti terre aratorie e a pascolo. Molte casette di campagna e torri erano state abbandonate e si presentavano “dirute” e scoperchiate, mentre le vigne ed i frutteti non più coltivati, si erano ridotti a luoghi “nemorosi” e “terre vacue”.

Sul finire del Seicento, con la rinascita del commercio e l’assenza delle epidemie, le terre a giardino nuovamente cominciano ad espandersi sulle terre aratorie ed a pascolo, nelle località Campitella, Fiorino, “nelli Cudi”, a Maccuditi, a Pignera, vicino al vallone e al ponte di Esaro, e alla valle Lampusa. La fase espansiva si prolungherà anche durante i primi decenni del Settecento, quando alcuni dei numerosi “vignali”, ridotti da più tempo a terra aratoria, divengono vigne a Gazzaniti, Lampusa, Li Cudi, Palazzo, Gesù Maria, Campitella e Rotonda. La riconversione interessa soprattutto l’area compresa tra i vignali Mortilletto e Maccuditi, le località Lampusa e Vallone di Esari.

Sulla proprietà burgensatica molto frazionata, si estendono le “chiusure vitate et alborate”, con caselle, torri, magazzini, orti, stalle, magazzini, ecc. Proprietari delle chiuse e dei giardini con torre ed altri edifici, sono gli aristocratici crotonesi Pipino, Syllano, Pelusio, Barricellis, Aragona, Presterà, Ormazza, Suriano, Lucifero, Berlingieri, Montalcini, ecc. A questi si aggiungeranno, o subentreranno, durante il Settecento, alcuni ecclesiastici e mercanti di grano: Messina, Vennere, Maccarrone, Milioti, Montefusco, Suppa, Asturello, Manfredi, Antico, ecc.

All’espansione del vigneto, del frutteto e dell’orto, con la costruzione di numerose nuove torri, caselle, stalle ed altri edifici, seguirà il biennio 1743-1744, ricordato per la grande piovosità, per il freddo e per il terremoto. La grande siccità che precede e segna le annate precedenti, come quella famosa del 1750, causata dalla mancanza di piogge primaverili, che hanno “inaridite tutte le vigne con danno notabile delle ulive e di tutta la campagna”, ed il successivo periodo caratterizzato da raccolti scarsi e dalla grave carestia che, dal 1759 si prolungherà fino al 1764, determineranno da una parte il declino e l’abbandono di molti giardini e vigne, dall’altra l’accumulazione delle terre e dei giardini, ed il sorgere ed il consolidarsi di strutture agricole più consistenti ed articolate rappresentate dai casini, appartenenti ai grandi proprietari delle terre e dei capitali.

Crotone, panorama dell’area industriale a nord della città un tempo caratterizzata dalle vigne.

Evoluzione e decadenza di un giardino

Per avere un’idea della composizione e della consistenza di un giardino settecentesco, riportiamo la descrizione del giardino detto il “Palazzotto”. Il giardino fu portato in dote nel 1741 da Rosa Berlingieri, che andò sposa al barone Dionisio Lucifero: “consistente detto giardino in sette pezze di vigne con alberi fruttiferi nelle strade, terre vacue ed altre per ortalitii, ripiena tutta d’alberi fruttiferi, con sena macinante, pozzo, pila e canalette di fabbrica per uso dell’orto e tutti l’ordegni necessarii per lo medesimo con parmento di fabrica, tine, fiscoli, barili ed altri ordegni per vendemmiare le vigne con botti per conservare il vino et altresì con torre consistente in due camere con intempiate, coverture, pavimenti, finestre, porte a serrature con ponte allevatore, bassi di detta torre con scala di pietra, stalla, cucina separata da detta torre, cortile di legname, muro nel giardino d’agrumi, pilastri di fabrica per le pergole, cavalcature per la siena e tutte l’ordegni convenienti e necessari per  mantenere la sena governar, et adacquar l’orto, l’alberi et le vigne et vendemiarla”.

Alcuni anni dopo, a causa delle cattive annate e per il malgoverno del barone Lucifero, lo stesso giardino si presentava completamente distrutto: “tolse l’orto, dismesse la sena con vendersi le cavalcature et l’ordegni, vendè le botti et l’ordegni tutti, che v’erano per vendemmiare et governare le vigne, lasciò a descrittione del fato la torre, spogliandola anche delle tavole, dell’intempiature et diede in affitto non solo le vigne ma le terre vacue et quelle dell’orto ad uso di semina, tanto che vi fece seccare tutti gl’alberi fruttiferi e che vi erano perchè col tal affitto levò loro l’inaffiamento dell’acqua nell’està e vi permise il fuoco coll’incendio delle restoppie necessario per l’uso della semina, oltre delle deteriorationi procurate nonche commesse nelle vigne et nell’alberi fruttiferi che si ritrovavano nelle loro strade, non curando, che si tagliassero o che fussero malgovernate, tanto che fra pochi anni le terre dell’orto, et vacue si viddero tutte spogliate d’alberi et nelle vigne migliara di viti mancanti con gran quantità di alberi fruttiferi et quelli romaste si vedevano malgovernate. Così nelle fabriche che vi ha caggionato sommo discapito e danno, osservandosi la stalla caduta, la cucinella distrutta, le mura del giardinello parte caduto, et parte malpatite, le canalette pozzo e pila molto discapitate et patite, così per la mancanza dell’acqua che per l’uso dell’arato; la torre con la scala et ponte perchè non guidati e custoditi molto patiti e discapitati a segno di non potersi abitare”.[ii]

La cura e la custodia del giardino era affidata ad ortolani, giardinieri e vignieri quasi sempre forestieri. I catasti di Crotone riportano i loro nomi. Nel catasto onciario del 1743, troviamo Zetera Tomaso, Scandale Gaetano, Scoleri Domenico, Siniscalco Domenico, Polizzella Antonino, Greco Giuseppe, Jannice Bonaventura, Jannice Cesare, Jorio Isidoro, Abbate Antonio, Bruno Vito, Calabria Isidoro, Cavaretta Marco, Cavaretta Antonio, Ciordo Francesco, Cirico Gioacchino, Codispoti Leonardo, Condariere Giosafat, Cosentino Gaetano e Di Pace Francesco.

Il catasto di Crotone del 1793 riporta i nomi di numerosi “vigneri” forestieri: Vincenzo Costa vignero di Stricagnolo, Saverio Sgrò vignere di Massa, Serafino vignere che stata con Scipione di Vennera, Martono vignere di Carlo Ventura, Franco Tropea vignere in Giambiglione, Antonio Macrì vignere di Domenico Messina, Alessandro e Geronimo Puntoriero, Francesco Mugolino, Filippo Purito, Saverio Scida e Sebastiano Minenti.

A volte l’orto ed il giardino erano concessi in affitto con numerosi patti e condizioni. Di solito la durata dell’affitto era di tre anni, ad iniziare dal 15 agosto. Il pagamento era secondo “l’uso nell’affitti dell’orti e giardini”, in tre rate annuali uguali: il primo terzo avveniva il giorno di Natale, il secondo a Pasqua ed il terzo al quindici di agosto. Riportiamo ad esempio parte del contratto stipulato il sei novembre 1772 in Crotone, tra i coloni Domenico Friyo e Pasquale Scurace con il primicerio della cattedrale Diego Zurlo, proprietario del giardino della Potighella.

“Domenico Friyo, e Pasquale Scurace ambe due di questa Città di Cotrone; Cost(itu)ti in solidum pers(onalmen)te presso gl’atti della Reg(i)a Ud(ienz)a di questa Provincia, ed in pre(se)nza di me sott(oscritt)o pub(li)co e Regio Notaro att.io della med(e)ma deputato vig(o)re banni, li q(ua)li spontaneamente non per forza con giuramento ed alla pena d’oncie 25 d’oro per cad(aun)o d’essi loro contravenienti Fisco Reg(io). S’obbligano ins(olidu)m realm(en)te e pers(onalmen)te pagare, e con effetto consegnare entro questa sud.a Città al M(ol)to R(evere)ndo Prim(imice)rio Sig(no)r D. Diego Zurlo Nobile Patrizio della med(e)ma p(rese)nte Docati Cento quattordeci in moneta usuale cor.te in questo Regno fra lo spazio di tre anni continui a Docati trentotto l’anno, e questi pagarli terziatamente secondo l’uso nell’affitti dell’orti, e giardini di questa sud(ett)a Città, con fare il primo pagamento del primo terzo delli primi annui docati trentotto del primo anno nel giorno del Santo Natale del Sig(no)re venti cinque del mese di Decembre di questo sperante anno Mille Settecento Settanta Due; il secondo terzo nel giorno della S(an)ta Pasca di Resurrezzione dell’entrante anno mille settecento settanta tre, e l’ultimo terzo poi nel giorno quindeci del mese d’agosto di detto entrante anno 1773, e così dapoi continuare a pagare terziatamente per gl’altri due anni susseguenti. In pace. Non ostante quals(ias)a liquida eccezione o lig(itti)ma prevenzione; alle quali essi cost(itu)ti Ins(olidu)m rinunciano. E detti docati centoquattordeci pagabili come sop(r)a sono per l’affitto del Giardino detto La Potighella fondo proprio della casa di d(ett)o Sig.r Zurlo, affittato dal med(e)mo Sig.r Primicerio a detti cost(itu)ti Ins(solidu)m per lo spazio di anni tre continui, già principiati dalla metà del pross(i)mo pass(a)to mese d’agosto, et continuo finiendi alla metà d’agosto del Anno Mille Settecento Settanta Cinque; e colla potestà a med(e)mi cost(itu)ti ins(olidu)m d’associare, e subaffittare. Colli infratt.i patti e condizioni.

Tutti gl’alberi, che circondano la vigna, come siano d’olive, ed altri il frutto de’ quali andar debba in beneficio di d(ett)o Sig.r Primi(ce)rio Zurlo; con che siano tenuti d(ett)i cost(itu)ti Ins(olidu)m di ben custodire il frutto degl’alberi sud(et)ti = che il giardinetto di dentro il vaglio della Torre pure sia, e vadi a beneficio di d(ett)o Sig.r Zurlo, ed in di lui arbitrio il frutto produrrà il med(e)mo Giardinetto = All’incontro resta a favore di detti cost(itu)ti Ins(olidu)m che va compreso nell’affitto, il quarto inferiore, ed il basso, cioè magazeno di d.a torre, come pure la stalla; ma però il quarto superiore, ed altri magazini restano per uso di d(ett)o Sig.r D. Diego.

Siano tenuti ed obligati detti cost(itu)ti ins(olidu)m di lasciare nell’ultimo anno dell’affitto pred(ett)o in d(ett)o Giardino docati sette di foglia piantata, e frutta, che trovarono l’istessi cost(itu)ti ins(olidu)m in tempo che entrarono nell’afitto l’anno 1770; così apprezzati, e pure concordemente convenuto tra esse Parti. quia sic.

Restano convenuti, ed oblig(a)ti d(ett)i cost(itu)ti ins(olidu)m nel tempo che usciranno dall’affitto di d.o Giardino non possono lasciare altro di foglia, e frutta, oltre li sud(ett)i docati sette che restar debbano per dote del med(em)o Giardino, che docati venti tre, e non più, quia sic.

Di più, che tutti gl’acconci della sena di tre carlini a basso siano tenuti, ed obligati farli de proprio, il dippiù però sia tenuto, ed obligato farlo d(ett)o Sig.r Primicerio D. Diego, il quale deve anche fare tre catusi l’anno e li fossi nel circuito di d(ett)o Giardino, quia sic de pacto.

E finalmente siano tenuti come con q(ues)to s’obligano d(ett)i cost(itu)ti ins(olidu)m fare ogn’anno coll’intelligenza di d(ett)o Sig.r Prim.rio Zurlo due giornate di alberi, ed in mancanza di questi, devono fare dette due giornate in elevare il fosso del giardino pred(ett)o, quia sic …”[iii]

Le numerose divisioni ed aggregazioni delle proprietà, il mutamento toponomastico, le finte vendite e donazioni, la esiguità edilizia, la scomparsa per decadenza o per inglobamento in altre strutture abitative, rendono spesso difficile tracciare la storia di alcune torri.

003 Crotone, l’area industriale a nord della città. Particolare del Foglio 238-III N.E. “Gabella Grande” della Carta 1:25000 dell’IGM.

Torre ad Acquabona

I coniugi Laura Cano e Camillo Pipino ed Aurania Foresta, vedova di Pelio Pipino e madre di Camillo, possiedono un giardino con torre e altri edifici detto “delli capuccini e l’acqua vona”. La proprietà che è ipotecata viene nel 1647 affrancata da Fabio Pipino, altro figlio di Aurania,[iv] e rimane ai Pipino per tutto il Seicento,[v] colla denominazione di “Valle del Ponte e Piano dell’Acquabona”.[vi] Nel 1744 Sigismonda Pipino, moglie di Mirtillo Barricellis, come erede del fratello Francesco Pipino, possiede “un comprensorio di terre detto, “Il Giesù”, consistente in due vignali di terre rase con giardino, terre per uso d’orto, vigne, torre magazeni, vaglio murato, giardinello serrato di fabrica, pozzo con siena, pila, ed altre commodità all’intorno detto comprensorio di terre serrato di fossi”. Il comprensorio di terre confina con il Pozzo universale detto “L’acquabona”, la chiesa della SS.ma Annunciata, il Ponte d’Esari e, via mediante, con la vigna detta di Giesù e Maria.[vii]

Crotone, il quartiere Acquabona.

Torre a Bonnace (Isola)

Nel 1759 Nicola Marzano, come erede dello zio paterno ed arciprete della chiesa di San Martino di Rocca di Neto, Leonardo Marzano, possiede la cappellania di San Giuseppe, di iuspatronato della famiglia Marzano, fondata in detta chiesa di San Martino. Pertanto, egli possiede una vigna appartenente a detta cappellania. Tale vigna con torre e terre libere, è situata in territorio di Isola nel luogo detto “Bonnace”.[viii]

“Fosso Bonnacci” in un particolare del Foglio N° 577 “Isola di Capo Rizzuto” della carta d’Italia 1:50.000 dell’IGM.

Torre di Corazzo

Antonio e Giuseppe Ursini di Crotone, nel luglio 1761 dimoravano “nella torre di Corazzo, territorio di Scandale, in occasione d’una picciola villegiatura e luogo appunto indove li sud.ti Sig.ri Ursini steva nella scugna della loro grossa massaria fatta in quell’anno”.[ix]

“Corazzo” e “Cas.o di Corazzello” in un particolare del Foglio N° 571 “Crotone” della carta d’Italia 1:50.000 dell’IGM.

Torre a Gazzaniti

Il 13 giugno 1715 il parroco Natale La Piccola vende a Salvatore Messina una vigna e due vignali presso il ponte d’Esaro “con più e diversi alberi fruttiferi, viti, casella, vaglio di fabrica, pozzo, chiusura e fosse seu conserva da metter biade confinante con le vigne e giardino dello stesso Messina”.[x] Salvatore Messina, forse prestanome del chierico Domenico Suriano di Domenico, la migliora con nuove viti ed alberi da frutto e vi inizia la costruzione di una torre, che nel 1721 è quasi completata.[xi]

Infatti, in quell’anno il Messina possiede “una vigna con un vignale con torre, alberi fruttiferi, consistente in otto pezze di vigne al n.o di dodeci mila viti incirca, con chiusura e cinque fossi per uso di grano nel luogo detto Gazzaniti confinante con le vigne paterne d’esso Messina d’una parte, e dall’altra il Ponte dell’acqua detto Ponte d’Esari e vallonnello dall’altra parte”. Anna Suriano, moglie di Bernardino Suriano, nel 1721 compera per ducati 1033 da Salvatore Messina, la vigna detta di Labruto consistente in “vigna, vignale, giardino, fossi, chiusura, e torre”.[xii]

Bernardino Suriano il primo aprile 1721 ne prende corporale possesso, “rompendo rami d’alberi, e viti sbarbicando erba … salendo e scendendo la scala, chiudendo et aprendo la porta e fenestra di detta torre”.[xiii] Il giardino comprato da Anna Suriano confina con quello di Salvatore Messina, giardino quest’ultimo che, alla morte di Salvatore Messina, è ereditato dai figli (Luca, Teresa, Aloysia, Giuseppe, Bettuzza o Elisabetta, Carlo, Francesco e Giovan Domenico) i quali, nel 1732, possiedono “una continenza di vigne e terre vacue, torre e pozzo per uso di sena, alborato con alberi e viti fruttiferi”, che confina: con il giardino della Signora Anna Suriano vallone mediante, con la gabella detta la Rotonda stritto mediante, e con le vigne del clerico Gregorio Arrighi.[xiv]

In seguito, tutta l’area fu unificata dai Suriano i quali, unendo le due vigne ed il terreno che le separa, formano un unico giardino. Tra i beni lasciati nel 1770 in eredità da Anna Suriano ai figli Raffaele e Gabriele Suriano troviamo: “una vigna nel luogo detto Gazzaniti con torre, pozzo e pila, che prima serviva per uso di orto, casetta di campagna e giardinetto serrato di mura, confine la gabella detta li Cudi. L’istessa che pervenne a detta D.a Anna dall’eredità del q.m D. Annibale Suriano fu di lei padre”, ed “una vigna confine la Paganella, e la strada publica del Ponte anche con torre di fabrica, l’istessa che detta q.m Anna comprò dal q.m Salvatore Messina”. “In mezo alle sud.e due vigne vi è un pezzo di terra di capacità salmate tre, che il sud.o D. Rafaele comprò dall’eredi del q.m Salvatore Messina, per docati quattro cento e col consenso di detta q.m Anna l’aggregò a dette due vigne, et vi piantò duecento alberi di oliva, e quattro migliara di viti, oltre li diversi altri miglioramenti di viti, ed alberi, con suo proprio danaro piantati in dette due vigne, in modo tale che inoggi fa un solo comprensorio, e vien chiamato il Giardino del Ponte, e siccome prima di dette due vigne valevano circa docati duemila e duecento, oggi colli miglioramenti da esso signor Rafaele fattivi, e col sud.o pezzo di terra all’istesse aggregato, e migliorato, come sopra ascendono al valore di circa docati cinquemila”.[xv]

La località “Ponte” in un particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Torre a Lampusa (1)

Nel febbraio1688 il reverendo Carlo Venturi ed il fratello Ignatio Venturi possiedono un giardino con vigne e torre in località della “l’Ampusa”.[xvi]

Torre a Lampusa (2)

Aurelia La Nocita, vedova di Francesco Asturello, ed il figlio, il sacerdote Felice Asturello, possiedono “una continenza di vigne fruttiferi, con alberi fruttiferi, pozzo, e torre” in località Lampusa, confinante con le vigne furono del q.m Gio. Battista Barricellis, le vigne dette la Torre tonda stritto mediante colle vigne dette Fiorino, le vigne furono del primicerio Carlo Presterà ed altri confini. “Perchè era tutta rovinata e disfatta con una miserabile casella e terre libere”, Felice Asturello la migliorò, impiantandovi le viti, gli alberi fruttiferi ed edificandovi una torre.

Nel maggio 1733 Aurelia La Nocita e Felice Asturello concedono la terza parte della proprietà a Pietro Asturello, altro figlio della Nocita e fratello di Felice. In seguito, Felice Asturello migliora e aumenta a sue spese la torre, costruendovi accanto due camere nuove dette “la torre nuova”.

Nel luglio 1751 avviene la separazione definitiva della proprietà.[xvii] Nel 1770 Pietro, Dionisio e Caterina Asturello possiedono tra i vari beni, in quanto eredi della madre Aurelia La Nocita e del canonico Felice Asturello, “una vigna nel luogo detto Lampuso, confine con quella del q.m Domenico Tiriolo, D. Giuseppe Smerz, D. Fabrizio Suriano ed altri confini, consistente detta vigna in salme seu di terra quindicimila settecento trenta nove viti, diversi alberi fruttiferi con torre di fabrica”. Nel settembre di quell’anno avviene la separazione dei beni ed a Pietro Asturello rimane la vigna.[xviii]

Torre a Lampusa (3)

Nell’agosto 1743 Ignazio Rodriguez lascia al nipote Onofrio Suppa “un comprensorio di vigne con chiusura di capacità circa tumolate dodeci consistentino in pezze di vite numero sette, alberi fruttiferi, pozzo, torre ed altro”. Il comprensorio è situato in località Lampusa e confina da un lato stretto mediante alla continenza di vigne e giardino del marchese Francesco Cesare Berlingieri detto della Rotonda e dall’altro lato con una chiusa con vigne di Tommaso e fratelli Capocchiano. Il Rodriguez aveva acquistato il vigneto parte da Matteo Piroci e parte da Giuseppe Rizzuto. Aveva unito le due partii e piantato numerose viti.[xix]

Nel 1747 Onofrio Suppa vende a Carmine Montefusco “una vigna seu chiusa con vigne, casetta di campagna ed altro sita e posta in loco detto Lampusa confine un’altra chiusa del signor tesoriero D. Tomaso Capochiano ed un’altra chiusa con vigna, torre, pozzo ed altro che si possedea da detto Onofrio (Suppa) ed ora giorni sono parimenti venduta a detto Carmine (Montefusco)”.[xx] Nel ottobre 1772 la “vigna di pezze undeci di viti, e diversi alberi fruttiferi, con torre di fabrica ed altro”, situata in località Lampuso e confinante stritto mediante, con la vigna degli eredi di Domenico Federico, è ancora di proprietà di Carmine Montefusco.[xxi] Nel 1793 Michele Montefusco possiede una vigna acquistata dal qm. Onofrio Suppa.[xxii]

Torre a Lampusa (4)

I coniugi Laura Cano e Camillo Pipino e Aurania, vedova di Pelio Pipino, possiedono una “continenza vinearum cum jardino et turri posita in loco d.o Lampusa juxta vineas delli venturi”.[xxiii]

Nel maggio1745 il marchese di Pirrotta, Francesco Cesare Berlingieri, vende per ducati 1200 al reverendo canonico Felice Cavalieri, “una continenza di vigne con giardino, dico con giardino d’alberi fruttiferi, terre vacue ed ortalizie, siena, pozzo, pila acquidotti seu canalette, torre, chiusura et altro al medemo attinente”, sita nel luogo detto Esaro e confinante con il giardino dell’eredi del fu Bernardo Venturi, d’una parte e dall’altra confine la gabella Piterà dello stesso marchese Berlingieri e via pubblica e dall’altra confine la Marina. La continenza era stata venduta al Berlingieri nel 1725 da Pietro Alimena, marchese di S. Martino, fratello uterino di Violante Suriano, moglie del marchese Berlingieri. Il Berlingieri dopo l’acquisto l’aveva migliorata, aumentando le piante da frutto e le viti.[xxiv]

Felice Cavalieri che aveva comprato il giardino con la torre e altro per ducati 1200, era il cognato e prestanome di Benedetto Milioti che, nel 1750, fa valere il suo diritto di proprietà sul “giardino seu podere con vigna, alberi fruttiferi, terre vacue ed ortalitie, sena, pozzo, pila con aquidotti seu canalette, torre, chiusura ed il suo vignale”, che confina con la marina in loco detto Esaro, e con il giardino e vigne dell’eredi di Bernardo Venturi e con la gabella detta Piterà.[xxv]

Il “Vall.e Lampos” in un particolare della tavola 29 (1789) della Carta di G. A. Rizzi Zannone).

Torre in località Li Cudi, torre di Giuliano

Nel 1629 Julio Cesare Petrolillo possiede una “continentiam vinearum” confinante con il vignale di Bunello, le terre di S. Chiara, “cum turri et aliis aedificiis” in località Li Cudi, proprietà che era stata del q.m Silvestro Misciascio.[xxvi]

Il vigneto confinava con le terre del monastero di Santa Chiara e con le terre dei Farandi. La proprietà passò poi ai Giuliano e quindi ai Suriano. Nel 1673 per ordine della gran corte della vicaria, venivano messe all’asta la metà delle terre e delle vigne dette “la torre di Giuliano”. Esse venivano acquistate da Antonio Suriano.[xxvii] A fine Seicento Popa o Ippolita Suriano possiede “il Piano della torre che fu delli Giuliani”, confinante con S. Giorgio grande e S. Giorgio piccolo.[xxviii] La “Volta della torre di Giuliano” passò poi a Dezio Suriano e quindi, alla figlia ed erede Violante Suriano, alla quale fu assegnata in conto delle sue doti. Infatti, nel 1719 Violante Suriano porta in dote a Francesco Cesare Berlingieri, la gabella detta la torre di Giuliano, che confina da una parte, con la gabella San Giorgio della mensa vescovile di Crotone e, dall’altra parte, con la gabella Vezza e la gabella Gargano, vallone mediante.[xxix] Nel 1743 la gabella di tomolate 85 detta “la torre di Giuliano”, o “volta della torre”, appartiene sempre al Berlingieri e risulta confinante con Li Cudi, Gargana e S. Giorgio.[xxx]

Nel giugno 1756 la vedova Violante Suriano lo vendette per ducati 2150 al decano Gio. Domenico Zurlo. Nel marzo 1759 su richiesta di Pietro Zurlo, e su ordine della regia corte di Crotone, delegata dalla gran corte della vicaria, i mastri falegnami crotonesi Giuseppe Monaco e Giuseppe Antonio Nero andarono ad apprezzare e stimare “la legname della torre del Sig. D. Isidoro Ventura, luogo detto Le Cude”. Essi stimarono che il legname presente nella torre aveva il valore di ducati 50 ed era stato posto dallo Zurlo. Il mese successivo i mastri ritrattarono quanto avevano poco tempo prima affermato.[xxxi]

Nel 1767 i fratelli e nipoti ed eredi del decano Gio. Domenico Zurlo, vendono per ducati 2150 a Tomaso e Carlo Sculco, “il territorio seu fondo burgensatico di terre rase ed aratorie, con torre diruta, denominata la Volta della torre di Giuliano”. Il fondo dell’estensione di circa trenta salmate è situato vicino al “vallone delle Cude”, alle terre dette “San Giorgio” della mensa vescovile, e alle terre dette “Gargana”.[xxxii] In seguito, la Volta della torre di Giuliano di tomolate 90, risulta di proprietà della congregazione dei Sette Dolori detta dei Nobili, mentre con la soppressione della congregazione a causa del terremoto del 1783, i beni furono gestiti dalla Cassa Sacra. In questo periodo così è descritta: “La volta della torre di Giuliano confina da oriente vallone mediante colla gabella Gargana e dagli altri lati col territorio S. Giorgio”.[xxxiii]

“S. Giorgio” e le località vicine in un particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Torre a Maccuditi (1)

Morto Scipione Berlingieri parte dell’eredità andò al figlio Anselmo, parte alla moglie Bernardina Susanna e alle figlie Adriana, Vittoria e Ippolita. Quest’ultimi beni furono amministrati dal dicembre 1591 all’agosto 1594 da Mutio Susanna, fratello di Bernardina. Tra le proprietà amministrate dal Susanna, oltre alle gabelle di Maccodite e L’Esca,[xxxiv] vi era anche il “giardino, costa et chiusa et torre de Maccodite”. Il giardino era affittato nel 1593 per ducati 70 e le sue vigne davano 14 salme di mosto. Morta Bernardina nel novembre 1593, il fratello e amministratore Mutio ne approfitta e si fa vendere il “giardino, costa et chiusa et torre” per il prezzo di 1000 ducati, obbligandosi con le orfane a versare a loro l’otto per cento del capitale ogni anno, finché non riuscirà ad estinguere il debito. Cessata l’amministrazione alla fine del 1594 i ducati mille non sono ancora stati pagati.[xxxv]

Crotone, rudere presso la collina detta Batteria dove si trovano le vasche dell’acquedotto industriale.

Torre a Maccuditi (2)

Nel settembre 1661 la vedova Antonina Ormazza vende per ducati 500 ad Ottaviano Cesare Berlingieri “un suo giardino, con due pezze di vigne con uno vignale di terre vacue, quale fu del qm. Fran.co Pelutio, con torre, puzzo, et una casa terrana discoperta, con scala di pietra a ponte tutta disfatta, posto detto giardino loco Maccuditi juxta L’Olivella di Mutio Lucifero et il vignale di Gio. Tomaso Rigitano”.[xxxvi]

Morto nel 1684 Ottaviano Cesare Berlingieri, il giardino passò ai suoi figli.[xxxvii] Nell’agosto 1708 Pietro Suriano, sposato con Maria del Castillo, sorella di Antonio, lascia ai figli il clerico Francesco Antonio e Giuseppe, “un giardino con sua torre e vigne e con sena”, confinante con il giardino del tesoriero Duarte Francesco,[xxxviii] con il giardino di Antonio Pelusio via mediante, e con un vignale di salmate due.[xxxix] Nel marzo 1722 avviene la divisione dell’eredità tra i due fratelli. A Francesco Antonio Suriano spetta il “giardino con vigne, terre vacue, torre et ortalitii”, che confina con il giardino del cantore Duarte.[xl]

Crotone, rudere presso la collina detta Batteria dove si trovano le vasche dell’acquedotto industriale.

Torre a Maccuditi (3)

Nel 1718 Gio. Battista Barricellis lascia in eredità alle figlie Francesca ed Anna i suoi beni. Avvenuta la divisione, a Francesca sposata con Giuseppe Suriano, spetta “il giardino, loco detto Maccuditi, con vigne, torre, et altre fabriche, copelli, alberi fruttiferi, frutti pendenti, botti, tine, che si trovano in essa eredità per servizio di dette vigne, e giardino”. Il giardino confina con il giardino del signor Ferdinando Peluso, le vigne di Cataldo Raimondo e le vigne del fu Gio. Geronimo La Nocita. Il tutto è valutato per ducati 1280.[xli]

Nell’aprile 1731 la vedova Francesca Barricellis dona i suoi beni al figlio Fabritio Suriano. Tra essi vi è il “giardino cone vigne alberi fruttiferi, terreno vacuo, torre fabbriche, pozzo ed altro”, situato a Maccuditi e confinante con le vigne di Cataldo Rajmondo, la vigna detta la Torre Tonda di Presterà e la vigna del fu Ferdinando Pelusio.[xlii] Il giardino in un atto dell’agosto del 1752, risulta “quasi totalmente distrutto per la siccità in tanti anni occorsa in modo che il frutto non uguaglia la spesa che annualmente si fa per la di lui cultura”. Esso confina con le vigne del fu Cataldo Raimondo e quella del fu Ferdinando Pelusio.[xliii] Nel 1755 l’arcidiacono Suriano ed il nipote Fabritio Suriano, figlio ed erede di Francesca Barricellis, possiedono in comune una vigna con torre e scala di cantoni a Maccuditi, valutata ducati 1000.[xliv]

Crotone, rudere presso la collina detta Batteria dove si trovano le vasche dell’acquedotto industriale.

Torre a Palazzo

L’arcidiacono della cattedrale di Crotone Gerolimo Suriano possedeva una vigna nel luogo detto “Al Palazzo” con viti, alberi e torre. La vigna, stimata del valore di 500 ducati, fu ceduta nel 1670 a Ciccio Suriano. Morto Ciccio Suriano, quattro anni dopo la vigna ritornò all’arcidiacono.[xlv] In seguito pervenne a Decio Suriano e quindi a Violante Suriano, figlia ed erede di Detio, che la portò in dote assieme ad altri beni, al marchese Francesco Cesare Berlingieri. Il giardino dotale di Violante Suriano era posto nel luogo detto “Il Palazzotto”, e confinava con il giardino di Pietro Barricellis, quello di Francesco gallucci e quello della congregazione dell’Immacolata Concezione.[xlvi]

Nel 1741 il marchese Francesco Cesare Berlingieri e la moglie Violante Suriano consegnano a Dionisio Lucifero, come dote della figlia Rosa Berlingieri, un giardino con fabbriche riparate, torre abitata, orto ben governato e sena macinante. Alla fine di agosto di quell’anno, su richiesta del marchese Lucifero e del barone Lucifero, i mastri muratori Geronimo Asturi e Bonomo Messina andarono ad apprezzare le fabbriche del giardino, e stabilirono che il loro valore era di ducati 848 e grana 90.[xlvii]

Il valore di tutto il giardino era valutato di circa 2000 ducati, somma che in caso di morte di Rosa Berlingieri, il barone Lucifero si impegnò a consegnare come restituzione di dote in denaro contante. Morta nello stesso anno 1741 Rosa Berlingieri, lasciando due figlie, il giardino rimane temporaneamente al barone Lucifero. Infatti, nel catasto onciario del 1743, Dionisio Lucifero risulta proprietario di una chiusura di vigne, con terre ortalizie e giardino, torre, fabriche utili e altro nel luogo detto Maccuditi, confinante con la vigna di Pietro Barricellis. La torre del giardino risulta abitata dal “fatigatore di campagna” Bruno Incorno e dalla sua famiglia.[xlviii]

In seguito, morte anche le due figlie di Rosa Berlingieri, il barone Dionisio Lucifero deve restituire la dote, ma il marchese Berlingieri, padre della defunta sposa, protesta in quanto il giardino non si trova nelle stesse condizioni di quando era stato consegnato. Verso la fine di novembre 1744 il capomastro fabbricatore Francesco Ferra di Rogliano assieme al mastro Santo di Piro di Rogliano su richiesta di Dionisio Suriano, si recano ad apprezzare le fabbriche del giardino dotale. Essi trovarono “le fabbriche molto discapitate … la pila della sena per esser senz’acqua per due o tre anni continui si ritrovava rotta e fracassata in molte parti, il pozzo anche rovinato, le canalette rovinate dall’arato insolito in quella terra d’orto, la stalla cadente … la torre anche molto patita per non essere da qualche tempo abitata, o reparata, et detta torre lesionata ancora dal terremoto, che si è inteso et patito replicatamente in questo anno, non ostante che per sua magiore sicurezza, et fortezza vi fossero state poste le catene di ferro da muro a muro”. Essendo stata trascurata la manutenzione il giardino è valutato per soli ducati 592, molto meno del valore che aveva nel 1741, quando era stato consegnato come dote al Lucifero.[xlix]

Sempre su richiesta del barone Lucifero, il 16 aprile 1746 i massari e pubblici apprezzatori Bonaventura Messina e Leonardo Falbo andarono ad apprezzare “i soli alberi, viti e terre, senza alcune delle moltissime fabriche utili e necessarie che in detto giardino si attrovano come sono il pozzo e pila seu cepia dell’acqua per detto orto, il parmento e casino per uso di vendemia, la stalla per uso di cavalcature, che servir devono a detto orto, vagli per chiusura delli giardinetti”. I massari trovarono il giardino “assai deteriorato del suo primiero stato con moltissimi alberi e viti mancanti, l’orto distrutto ed affatto abbolito e senza sena seu igegno di tirar l’acqua”, apprezzandolo per ducati 1344.[l]

Il giardino ritornò al marchese Francesco Cesare Berlingieri e nel 1748, fu venduto da Violante Suriano, seconda moglie e vedova del marchese Berlingieri, a Gregorio Montalcino. Nel 1756 Gregorio Montalcino possiede tra i suoi beni “un giardino con vigne, alberi fruttiferi, orto, siena, terre vacue, torre di fabrica e fossiato circumcirca”. Il giardino chiamato “Il Palazzotto”, confina da un lato, con la vigna di Antonio e fratelli Gallucci e dall’altro lato, con la vigna di Pietro Barricellis.[li]

Crotone, rudere presso la collina detta Batteria dove si trovano le vasche dell’acquedotto industriale.

Torre di Maccuditi (4)

Le terre di Maccoditi furono di Gio. Tomaso Bombino, poi di Mutio Scavello e quindi di Domenico de Laurentis.[lii] Michelangelo ed il fratello Domenico de Laurentis, possedevano un vignale detto Maccoditi nel luogo detto il Palazzotto, confinante con la gabella detta la Garruba del signor Gallucci e il vignale di Scimenez, “pervenuto due parti a Domenico per provisione di doti una da … e l’altra dalla signora Maria Scavello, zia della medesima, la prima in virtù di capitoli matrimoniali e la seconda di donazione, e a detto Michelangelo detta terza porzione pervenutali per vendita fattali dalla signora Berardina Scavello anche zia di sua moglie”. Questo vignale era stato venduto nel 1597 da Gio. Geronimo Bombino a Tito Scavello.[liii]

Pietro Paolo de Laurentis possiede “un podere seu giardino con più e diversi alberi frutiferi, vigne, torre, pozzo e pila di fabrica per uso orto, terre ortalizie e terre vacue, chiusura con fossi ed altre commodità”. Il giardino confina con la gabella Santa Chiarella delle Vigne del monastero di Santa Chiara, la gabella la Cersa del Seminario ed il giardino con terre ortalizie di Gerolamo e Dionisio Venturi. Il 14 gennaio 1750 lo dona al decano Filippo Suriano.[liv]

Torre presso Manca di Cane

Da una platea antica dell’abbazia di Santa Maria di Altilia, risalente al 1582, si rileva che nella gabella Manca di Cane, situata in territorio di Crotone, erano avvenute alcune occupazioni di terreni appartenenti all’abbazia. In una di queste era stata costruita anche una torre: “Seguendo un’altra possessione di Gio. Teseo Scigliano dove se vede ocularmente esserci fatto aggregatione di terreno di d.a abbadia et edificatovi una torre dentro detto terreno secondo appare per la casa vecchia che era termine alla fabrica nova che è più ad alto quali terreni aggregati si vede ocularmente che sono di d.a abbadia”.[lv]

Nel 1648 morì Livia Milello. Tra i beni lasciati in eredità vi era “una continentia di vigne con torre e pozzo”, sita e posta in territorio di Crotone in località “l’ampusa”. Nel 1657 il tesoriere Gio. Jacopo Sillano possiede un giardino con torre e vigne in località “l’ampusa”.[lvi] Nel giugno 1667 gli eredi, il tesoriere Gio. Giacomo Syllano e la sorella Dianora Syllano, si dividono i beni ereditari. La vigna confinante con le vigne del reverendo Gio. Domenico Ventura e la gabella detta Manca di Cane dell’abbazia di Santa Maria d’Altilia, stimata del valore di ducati 600, è scelta ed assegnata ad Dianora Syllano, “una con il frutto, con conditione però che essa paghi il vigniero”.[lvii] Tomaso Domenico Sculco possiede una vigna con torre e casella confine Manca di Cane.[lviii]

“C. de Cani” e le località vicine in un particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Torre di Manfredi (1)

Nel Febbraio1736 Antonio Micilotto compra per ducati 310 dai fratelli Filippo, Carlo e Marco Manfredi, figli ed eredi del capitano Mutio, una vigna in località Lampusa, “consistente in torre di fabrica, gisterna, parmento murato ed altre commodità di pezze sei di viti fruttiferi, alberi fruttiferi, terreno libero e chiusura”. La vigna confina da una parte, con la vigna di Gregorio Gerace e dall’altra, con quella dei Puglisi e dall’altra parte ancora, con la vigna di Ignatio Costantino. In passato la vigna era stata di proprietà di Restilla Voce e successivamente, fu di Aurelio e Francesco Roggiero e quindi, del canonico Carlo Cesare Scarnera, zio dei fratelli Manfredi.[lix] Sempre nello stesso anno associa Silvestro di Fazio. Nel 1751 avviene la divisione della vigna, mentre rimane in comune l’uso della “torre, casetta con parmenti, tina, tinello, scifo e cisterna”.[lx]

Torre di Manfredi (2)

Il 14 novembre 1741 il sacerdote regolare Filippo Manfredi dona al notaio Pelio Tirioli, essendo con questi molto obbligato, “il giardino detto di Manfredi consistente, in torre, giardinello murato, terre libere ad uso di semina, terre per uso d’orto, puzzo, pila e tre pezze di vigne”, confinante con le terre e giardino del signor Aragona, la manca di detto signor Filippo (Manfredi), la vigna del signor Carlo Manfredi e dalla parte di sotto le terre dette Le Cerze. Il giardino così descritto gli era pervenuto in eredità dal padre il q.m capitano Mutio Manfredi. Dopo alcuni giorni, il 28 novembre dello stesso anno, il notaio lo ridona al Manfredi, con la sola condizione che per dieci anni, gli dovesse consegnare una salma di uva ogni primo d’ottobre ad iniziare dal primo ottobre 1742.[lxi]

Nel 1744 i fratelli Filippo e Giovanni Manfredi possiedono “un giardino con terre ortalizie, terre vacue, vigne, torre di fabrica ed altro”, confinante da una parte, con le vigne e giardino di Gregorio d’Aragona e, via mediante, le terre dette l’Olivelluccia.[lxii] Nel 1759 il canonico Filippo Manfredi possiede “un giardino consistente in terre rase per uso d’orto, terre per uso di semina, tre stagliate di vigne con pozzo, pila, torre e giardino murato ed una gabella detta la manca di Manfreda attaccata all’istesso giardino”. Il tutto confina con i beni che erano degli Aragona, ed ora sono di Marzio Messina, la destra di Berlingieri e la gabella Maccoditi. Nel 1770 il giardino e la gabella appartengono a Rosa ed Isabella Manfredi nipoti ed eredi di Filippo Manfredi.[lxiii]

Crotone, il torrente Papaniciaro (anticamente detto Lampos) s’immette nel fiume Esaro presso la sua foce.

Torre dei Mangioni

Così si esprime il Nola Molise: “detto monte si chiama Maccoditi … è più d’un miglio, e mezzo distante … dalla città … è proprio quello ch’oggi è detto la Torre dei Mangioni gentil’huomini di detta città”.[lxiv]

Crotone, localizzazione della località Maccoditi. Particolare del Foglio N° 571 “Crotone” della carta d’Italia 1:50.000 dell’IGM.

Torre in località Mortilletto

Verso la fine del Cinquecento Ippolita Berlingieri, sorella di Adriana, sposata con Colantonio Perrone, vende a Horatio Labruto due terre poste nel luogo detto Mortelletto confinanti tra loro, e cioè: “una continentia con clausura di fossi et sepi arborata di vigne con torre e puzzo dentro”, confinante con “il vignale delli Marzani” e la via pubblica, e un’altra confinante con questa. Il Labruto che era già indebitato con la Berlingieri, si impegna a versarle ogni anno un censo di ducati 45 su un capitale di ducati 500 al 9 per cento di cui è debitore. Le terre alla fine del Cinquecento cominciano a rovinarsi, così liberatosi di parte del debito, il Labruto le rivende nell’aprile dell’anno 1600 “per ritrovarsi assai deteriorate”, ad Horatio Vitale di Cosenza per il prezzo di ducati 350.[lxv]

Il Vitale conserva questa proprietà “con casa colonica fornita di terra, vigne ed altri alberi con li vignali con prati contigui et uniti con detta torre” fino al 1611, anno della sua morte.[lxvi] Eredita la figlia Maria Vitale, sposata con Francesco Jannutio, che nello stesso anno vende i terreni a Livia Lucifero che poi li porta in dote ad Ottavio Piterà. Morti il Piterà e la vedova Livia, succedono nel possesso i figli Lucantonio, Isabella, sposata con Ottavio de Nobile di Catanzaro, e Livia. Ottavio de Nobile dopo un po’, diventa proprietario delle due terre che nel frattempo da “giardino” erano scadute a “terre aratorie” e avevano preso il nome di “territorio nuncupato la torre delle Pitirà”.[lxvii] Morto Ottavio de Nobile nel 1697 succedono i figli.[lxviii]

Alla fine del Seicento e nei primi anni del Settecento, “il fu giardino d’Ottavio Piterà hoggi terra aratoria detta la torre piterà”, è posseduta dalla famiglia De Nobili di Catanzaro.[lxix] Angela De Nobili la porta in dote a Vincenzo Volcano. Alla morte di Angela De Nobili, in virtù di decreto del Sacro Regio Consilio, nel 1724 ne entra in possesso il figlio Lodovico Volcano, patrizio napoletano e di Tropea. Nel marzo 1729 il territorio, o podere, “di tt.a 20 circa detto la torre di Piterà una con la torre disfatta, pozzo et pila anche disfatti e confinante da due parti la strada pubblica e dall’altra parte il vignale di spataro e dalla parte di sopra le terre dette li bombini”, è venduto da Ludovico Volcano a Francesco Cesare Berlingieri. La vendita è motivata dal fatto che, per la lontananza del proprietario, non potendoli governare, “sono assai minorati li poderi e le terre e il pozzo e pila rotti e diruti”. La terra, infatti, che alcuni anni prima era stata stimata del valore di ducati 400 (al tempo della dote di Angela e Nobili), ora è stimata per soli 375 ducati.[lxx]

Nel 1743 Cesare Berlingieri possiede la torre di Piterà di tt.a 28 confine la vigna di Franco de Vennere.[lxxi] Essendo morto nel 1749 il marchese Francesco Cesare Berlingieri, ereditarono i figli Carlo, Annibale e Pompilio e, ritrovandosi in difficoltà, vendettero con patto di ricompra alcune gabelle, tra le quali quella detta la torre di Piterà, con suo vignale, con “torre deroccata”, pozzo e pila dentro un pezzo di orto, confine le terre li Bombini e via pubblica, di tt.a 30, per ducati 100 alla ragione di ducati 20 la tomolata. Le gabelle furono vendute il 26.8.1749 a Filippo e Raffaele Suriano. Nel 1753 avviene la ricompra.[lxxii]

Crotone, localizzazione della località Mortilletto. Particolare del Foglio N° 571 “Crotone” della carta d’Italia 1:50.000 dell’IGM.

Torre in località Pignera

Nel 1689 Diego Barricellis lascia in eredità ai figli il “giardino della Pignera con torre, vaglio e magazzini e vi sono dieci migliaia di vigne e quattrocento pedi d’albori”.[lxxiii] Alla fine del Seicento il tutto passa in proprietà al capitano Domenico Barricellis.[lxxiv] La vigna ed il giardino detta anche la torre di Barricellis sita nella Pignera, passò poi ad Aloisio Barricellis[lxxv] che, nel luglio 1705, li dona al fratello Mirtillo.

All’atto di donazione il giardino con torre, vigne ed alberi fruttiferi risulta confinante con la gabella di Domenico Barricellis. Pochi anni dopo, nel 1717, il “comprensorio con alberi, viti pozzo, torre, magazzini, vaglio di fabbrica, portone”, situato in località La Pignera, confinante per tre lati con le terre dette La Pignera e dall’altro lato con il giardino degli eredi di Annibale Suriano, Vallone del Ponte mediante, è venduto per 750 ducati a Domenico Junta o Giunta.[lxxvi] Il terreno confinava per tre lati con le terre dette della Pignera e dall’altra, il giardino dell’eredi del qm. Annibale Suriano ed il vallone del Ponte. Domenico Giunti, morto nel 1737, lascia in eredità ai figli “un giardino seu podere con chiusura di capacità circa tumulate venti con terre vacue, terre ortalizie, vigne pezze numero tre, alberi fruttiferi, pozzo con torre di fabriche, con sena di d.o pozzo, consistente d.a torre in due camere superiori, e due mezani e tre bassamenti con vaglio murato e giardinello piccolo a detta torre attaccato”, sito e posto nelle terre dette la Pignera ed il vallone detto del Ponte.[lxxvii]

In seguito, la proprietà passò ai fratelli Giuseppe e Pietro Giunti, figli ed eredi di Domenico, che possiedono un “giardino con vigne, terre vacue, torre, pozzo e pila di fabrica per uso di orto ed altre commodità”, nel luogo detto la Pignera, confinante alle terre volgarmente dette la Pignera ed il torrente o vallone del Ponte. Nel 1745 il giardino fu venduto dai due fratelli al notaio Felice Antico ed ai suoi fratelli Leonardo e Michele Antico per ducati ottocento.[lxxviii] Così nel novembre 1752 è descritto il giardino dei fratelli Felice, Leonardo e Michele Antico: “un giardino con vigne, alberi fruttiferi, terreno vacuo, torre di fabrica ed altre commodità sito nel luogo detto di sopra la Pignera da questa parte del fiume Esaro e che confina da una parte con detto fiume, dalla parte laterale colla gabella chiamata la Pignera, via publica ed altri confini”.[lxxix]

Crotone, rudere in località Pignera.

Torre di Pompilio Berlingieri

Lucretia Ormazza, figlia di Gio. Pietro, vedova di Jo. Hieronimo Berlingieri, vende metà delle sue proprietà al figlio Jo. Andrea Berlingerio. Tra queste c’è una vigna vicina alle vigne degli eredi di Gio. Thomaso Montalcino, “con torre, pozzo, case e giardino dentro arborato”, nel luogo detto Infaraci confinante con il Piano del Conte.[lxxx] La proprietà passò poi a Pompilio Berlingieri, figlio di Ottaviano Cesare e di Luccia Suriano, e con la denominazione di vignale detto “la torre di Pompilio”, risultava gravemente danneggiata e parte precipitata nel vicino vallone confinante con “li filograna”.[lxxxi]

Con la denominazione di “chiusa di Pompilio” il tutto passò in proprietà al marchese Fabritio Lucifero,[lxxxii] che nel 1731 lo lasciò agli eredi. La chiusa confinante con le gabelle L’Olivella, la Rotonda ed il Piano del Conte, di tomolate 22, nel 1743 appartiene a Dionisio Lucifero.[lxxxiii] Nel 1793 la chiusa di Pompilio è del barone Francesco Antonio Lucifero, figlio ed erede di Dionisio.[lxxxiv]

La località “Berlingieri” in un particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Torre a Botteghelle (1)

Petro Antonio Pagano all’inizio del Seicento, possiede un “viridarius cum diversis arboribus arboratus cum vineis et puteis, turri et domibus terraneis positus loco Potighelle”, circondato parte da mura e parte da fossati.[lxxxv] La proprietà passò a Francesco Pagano e quindi a Domenico Labrutis,[lxxxvi] il quale alla fine del Seicento, risulta proprietario di “un giardino loco d.o lo ponte d’Isari con sua torre e vignali uno de’ quali si ritrova sementato di tt.a cinque d’orzo e l’altro dentro detto giardino sementato di lino e fave in comune col giardiniero”.[lxxxvii] La proprietà passa poi a Teresa Fota[lxxxviii] (vedi la torre a Gazzaniti).

Crotone, in primo piano la località Botteghelle.

Casino o torre di Racchio

Il sacerdote secolare Annibale Pipino, come erede del padre Dionisio, possiede “un territorio di terre rase ed aratorie, con un diruto casino seu torre, chiamato volgarmente Racchio, sito e posto in territorio di Crotone e confinante con le terre dette Maddamma Paola e Alfieri. Il tutto è ceduto nel 1761 a Giuseppe Micilotto.[lxxxix]

“Alfiere” e le località vicine in un particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Torre di Sculco poi di Barricellis

La torre compare alla metà del Seicento con la denominazione di Torre di Sculco o degli Schulchi.[xc] dal nome della famiglia a cui apparteneva, che designa anche il terreno in cui è situata: “gabella detta la torre del duca di Santa Severina”.[xci] Gio. Andrea Sculco, duca di Santa Severina ne è ancora in possesso nel 1674.[xcii] Pochi anni dopo la torre ed il terreno diventano proprietà di Diego Barricellis, che aveva sposato Petrucza Sculco,[xciii] e alla famiglia Barricellis rimane per molti anni. Alla morte di Diego passa al figlio Alessandro[xciv] e quindi a Mirtillo.[xcv]

Nell’elenco dei beni lasciati in eredità da Diego Barricellis così è descritta: “Gabella della Torre … vi è la torre che sta nella testa delle gabelle con dui magazzini e due vagli murati”.[xcvi] La gabella della Torre confinava con Destra di Cipolla e Manca di S. Stefano, presso Gio. Buglione o Giomiglione.[xcvii] Alla morte di Mirtillo Barricellis la torre di Cipolla passò in eredità alla figlia Francesca Barricellis. Il 25 settembre 1746 Valerio Grimaldi, marito, amministratore e procuratore di Francesca Barricellis, a nome della moglie ne prese corporale possesso “salendo et scendendo la scala, camminando ed scendendo la scala camminando e sedendo per detto vaglio”.[xcviii]

“Cipolla” e “Giamiglione” in un particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Torre dei Tiriolo

I fratelli Aurelio, Nicola e Pietro Tiriolo comprano per 850 ducati da Cesare e Gregorio Presterà, “le vigne e terre vacue che compongono e fanno la chiusa”, appartenenti al primicerio il fu Carlo Presterà. I fratelli insieme a spese comuni la rinnovano “con più piante di viti, et alberi”, costruendovi una torre. La chiusa con casella e torre, che confina con Fiorino, il vignale Zinfano e Torre Tonda, nel settembre 1720 è divisa tra i tre fratelli.[xcix]

Crotone, località Torretonda.

Torre dei Gallucci

Nel 1761 i fratelli: il Reverendo sacerdote secolare Carlo Gallucci, Antonio e Nicola Gallucci, come eredi del padre Francesco e dello zio Giuseppe, possiedono “un podere seu chiusa con vigne, alberi fruttiferi, terre vacue, torre di fabrica ed altro”, confinante con il territorio detto la Garrubba e la chiusa di Lorenzo Stricagnolo. Essi a causa dell’annata sterile, impegnano i loro beni per ottenere un prestito da Fabrizio Suriano.[c]

“Galluccio” in un particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Torre a Botteghelle (2)

Anna Barricellis, vedova di Antonio del Castillo, ed i figli Alfonso, Muzio, Pietro, Girolamo e Felice, dichiarano che il 24 gennaio 1756, hanno venduto “un giardino seu podere chiamato La Botteghella, consistente in terre vacue, orto, vigne, alberi fruttiferi, torre di fabrica, pozzo e pila anche di fabrica per uso di detto orto e circondato di fossi e siepe sito e posto in questo territorio di Cotrone di la il fiume Esaro”. Il podere confinava da una parte, con la gabella chiamata anch’essa la Botteghella, dall’altra col giardino dell’eredi di Domenico Aniello Farina, strada ampia mediante. Il podere pervenuto dall’eredità del padre Antonio è venduto al decano Gio. Domenico Zurlo per ducati 1250.[ci] Nel 1772 il giardino detto La Potighella è di proprietà ancora degli Zurlo.[cii]

“la Putighella” in un particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Torre di Maccuditi (5)

Il 7 ottobre 1715 Lucrezia, seu Checa, Montalcino, moglie di Francesco Antonio Pelusio, dona al nipote il chierico Francesco Aragona, “un giardino arbustato, e con vigne assieme in quello habitatione con terre vacue, pozzo” e torre.[ciii] Il 26 dicembre 1763 su richiesta di Alfonso d’Aragona e di Domenico Rodriguez, i mastri muratori Gerolamo Asturi ed Antonio Bertuccia, ed i mastri falegnami Dionisio Sacco e Giuseppe Antonio Negro, apprezzano “la torre, casetta di campagna ed altre fabriche che si trovano nel giardino e podere di esso D. Alfonso (d’Aragona) sito nel distretto e tenimento di questa città, luogo detto Maccuditi, confine il giardino e podere de Sig. Manfredi ed altri fini.” Il tutto è stimato del valore di ducati 684 e grana 85; cioè dai mastri muratori ducati 568 e grana 35, e dai mastri falegnami ducati 116 e grana 50.[civ] Nel febbraio 1764 il giardino di Maccuditi fu venduto da Alfonso d’Aragona a Domenico Rodriguez.[cv]

Crotone, veduta dal colle di Maccoditi.

Torre a Lampusa (5)

Il marchese Francesco Cesare Berlingieri, come erede di Vittoria Valente, possiede “una vigna nel luogo detto Lampusa, detta la Vigna di Valente, vitata, alberata con più e diverse viti et alberi fruttiferi, terre vacue e torre, consistente detta vigna in pezze due di migliara e duecento di viti e di dette terre vacue tumulate otto in circa”. La vigna confina da una parte, con la vigna degli eredi di Gaetano Ferraro e dall’altra parte, con quella degli eredi di Giuseppe Fallacca. Il marchese nell’agosto 1739 la vende per ducati 350 a Felice Maccarrone.[cvi]

Note

[i] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 59.

[ii] ASCZ, Busta 667, anno 1748, ff. 48-49.

[iii] ASCZ, Busta 1665, anno 1772, ff. 2v-3.

[iv] ASCZ, Busta 229, anno 1657, f. 26.

[v] “Le terre di Giesù e Piani dell’acquabona di Francesco Pipino.” AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 82v.

[vi] “luogo detto la Valle del ponte e Piano dell’Acquabona qual luogo prima era nominato li capuccini vecchi”. ASCZ, Busta 660, anno 1719, f. 180v.

[vii] ASCZ, Busta 666, anno 1744, ff. 45-46.

[viii] ASCZ, Busta 1126, anno 1759, ff. 69-70.

[ix] ASCZ, Busta 1411, anno 1761, ff. 28-29.

[x] ASCZ, Busta 659, anno 1715, f. 43.

[xi] Nel febbraio 1721, prima dell’acquisto della vigna da parte di Anna Suriano, il religioso Domenico Suriano fu di Domenico testimonia che “il giardino, e vigne comprò il S.r Salvatore Messina dal Rev. Paroco D. Natale La Piccola, confine il ponte d’Esari e le vigne e giardino di d.o Salvatore è proprio et effettivamente di d.o S.r Salvatore Messina, e di quello ne puole a suo modo disponere e sebene sotto nome di d.o S.r D. Domenico (Suriano) si fossero fatte in d.a vigna e giardino avanzi con piante di vigne, alberi e fabriche nella torre, che trovasi principiata in detta vigna, nulla però tutta la spesa fatta per detti avanzi, e miglioramenti si sono fatti con propri danari di detto Salvatore (Massina)”. ASCZ, Busta 661, anno 1721, ff. 37-38.

[xii] ASCZ, Busta 661, anno 1721, ff. 70-71.

[xiii] ASCZ, Busta 661, anno 1721, f. 84.

[xiv] ASCZ, Busta 664, anno 1732, ff. 90-92.

[xv] ASCZ, Busta 1343, anno 1770, ff. 76-81.

[xvi] ASCZ, Busta 335, anno 1688, f. 5.

[xvii] ASCZ, Busta 664, anno 1733, f. 75; Busta 855, anno 1751, ff. 2-6.

[xviii] ASCZ, Busta 917, anno 1770, ff. 53-54.

[xix] ASCZ, Busta 1063, anno 1743, ff. 36-38.

[xx] ASCZ, Busta 859, anno 1757, ff. 491-492.

[xxi] ASCZ, Busta 917, anno 1772, ff. 89v-90.

[xxii] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793.

[xxiii] ASCZ, Busta 229, anno 1657, f. 26.

[xxiv] ASCZ, 1063, anno 1745, ff. 16-17.

[xxv] ASCZ, Busta 1063, anno 1750, ff. 19-20.

[xxvi] ASCZ, Busta 118, anno 1629, f. 99.

[xxvii] ASCZ, Busta 333, anno 1673, f. 22.

[xxviii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 67.

[xxix] ASCZ, Busta 612, anno 1719, ff. 50-51.

[xxx] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955.

[xxxi] ASCZ, Busta 1126, anno 1759, ff. 108-109.

[xxxii] ASCZ, Busta 1129, anno 1767, ff. 55-56.

[xxxiii] AVC, Spogli di Cassa Sacra, Cotrone 1790. Tomaso Sculco possiede “la quarta porzione della gabella detta la torre di Giuliano in comune colla soppressa congregazione della Madonna de’ Sette dolori e Monte di Prestanza”. AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793.

[xxxiv] ASCZ, Busta 49, anno 1594, ff. 222-236.

[xxxv] ASCZ, Busta 49, anno 1594, f. 223v.

[xxxvi] ASCZ, Busta 229, anno 1661, f. 45.

[xxxvii] ASCZ, Busta 335, anno 1685, ff. 49-51.

[xxxviii] “Giardino a Maccuditi e gabella la Connicella oggi l’uno e l’altra giardino e vigna con terreno vacante e torre del tesoriero D. Francesco e D. Pietro Duarte fratelli”. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 162.

[xxxix] ASCZ, Busta 497, anno 1708, f. 50v.

[xl] ASCZ, Busta 661, anno 1722, ff. 35v-37.

[xli] ASCZ, Busta 660, anno 1720, ff. 152-164.

[xlii] ASCZ, Busta 614, anno 1731, ff. 14-19.

[xliii] ASCZ, Busta 913, anno 1752, ff. 132-134.

[xliv] ASCZ, Busta 858, anno 1755, f. 6.

[xlv] ASCZ, Busta 337, anno 1694, ff. nn.

[xlvi] ASCZ, Busta 667, anno 1748, ff. 48-49.

[xlvii] “Nella torre fabriche di calce canne ottantatre/ Nella scala fabrica di calce canne undici/ Nel giardinello sedile e colonne delle pergole fabriche di calce canne venti sei/ Nella canalata fabrica di calce canne venti una/ Nella lamia della torre fabrica di calce canne cinque/ Sono canne di fabrica di calce 146/ Quali canne cento quaranta sei di fabrica di calce considerate insieme altro di magiore, altro di minor valore, procedendo con tutta l’equità, l’apprezziamo alla ragione di carlini venti quattro la canna in summa di docati trecento cinquanta e grana quaranta.Nella stalla fabrica di creta canne diece otto/ Nel giardinello fabrica di creta canne ottanta quattro/ Sono canne 102. Quali cento e due canne di fabrica di creta, l’abbiamo apprezzato nel valore di carlini quindeci la canna in summa di Ducati cento cinquanta tre/ Sono 503:40/ Il pozzo, pila, colonne di fabrica per la sena e parmenti con le ruote, travi, e catogi con libano della sena macinente non abbiamo stimato apprezzarle a canne, perchè molto importato il di loro valore, ma avendole misurate e ben considerate nello stato presente, l’abbiamo stimati, ed apprezzati tutta insieme per la summa di ducati duecento cinquanta/ Per li venti uno scalini di cantoni della scala della torre stabilimo il prezzo la rag.ne di grana cinquanta l’uno, in ducati diece e grana cinquanta/ Per porta e fenestre della torre, in tutto ducati trenta/ Per copertura, intempiata e trava di detta torre in tutto  ducati venti tre/ Per pavimento, mattonata di d.a torre, porta del magaz.no e portone grande docati ventiquattro/ Per covertura della stalla docati otto/ Sono in tutto 848:90”. ASCZ, Busta 1063, anno 1744, ff. 91-92.

[xlviii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 32.

[xlix] ASCZ, Busta 666, anno 1744, ff. 113v-114.

[l] ASCZ, Busta 854, anno 1746, ff. 33-34.

[li] ASCZ, Busta 914, anno 1756, ff. 181v-182.

[lii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 114v.

[liii] ASCZ, Busta 611, anno 1713, f. 77.

[liv] ASCZ, Busta 855, anno 1751, ff. 118v-119.

[lv] ASCZ, Miscellanea. Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), Copia di Platea antica (1582), f. 18v,

[lvi] ASCZ, Busta 229, anno 1657, f. 26.

[lvii] ASCZ, Busta 253, anno 1667, f. 16.

[lviii] ASCZ, Busta 613, anno 1722, f. 102.

[lix] ASCZ, Busta 665, anno 1736, ff. 9-10.

[lx] ASCZ, Busta 1063, anno 1751, ff. 6-7.

[lxi] ASCZ, Busta 981, anno 1741, ff. 5-9.

[lxii] ASCZ, Busta 1063, anno 1750, f. 24.

[lxiii] ASCZ, Busta 917, anno 1770, ff. 57-58.

[lxiv] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 53.

[lxv] ASCZ, Busta 334, anno 1678, ff. 198-202.

[lxvi] Cozzetto F., Massari e salariati a Crotone all’inizio del XVII secolo, in Calabria nobilissima n.72-74, 1979-80, p. 106.

[lxvii] ASCZ, Busta 334, anno 1678, ff. 198-202.

[lxviii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, 118v.

[lxix] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 133. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 60.

[lxx] ASCZ, Busta 663, anno 1729, ff. 55-58.

[lxxi] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955.

[lxxii] ASCZ, Busta 853, anno 1753, ff. 115-116.

[lxxiii] ASCZ, Busta 336, anno 1689, f. 59.

[lxxiv] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 68v.

[lxxv] ASCZ, Busta 496, anno 1704, ff. 9-12; Busta 497, anno 1705, f. 45.

[lxxvi] ASCZ, Busta 659, anno 1717, ff. 32-33.

[lxxvii] ASCZ, Busta 1063, anno 1743, ff. 32-36.

[lxxviii] ASCZ, Busta 860, anno 1759, f. 52.

[lxxix] ASCZ, Busta 913, anno 1752, ff. 173-175.

[lxxx] ASCZ, Busta 118, anno 1614, ff. 167-168.

[lxxxi] ASCZ, Busta 334, anno 1673, f. 3.

[lxxxii] ASCZ, Busta 613, anno 1722, f. 132v.

[lxxxiii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955.

[lxxxiv] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793.

[lxxxv] ASCZ, Busta 49, anno 1612, f. 19.

[lxxxvi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 138v.

[lxxxvii] ASCZ, Busta 496, anno 1702, ff. 56-59.

[lxxxviii] ASCZ, Busta 497, anno 1701, f. 79.

[lxxxix] ASCZ, Busta 1342, anno 1761, ff. 1v-2.

[xc] ASCZ, Busta 229, anno 1651, f. 44; Busta 496, anno 1704, ff. 9-12.

[xci] ASCZ, Busta 313, anno 1668, f. 121.

[xcii] ASCZ, Busta 253, anno 1674, f. 50.

[xciii] “Terre dette la torre di Sculco poi la torre di Barricellis Diego e al presente possedute da Alessandro Barricellis.” AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 121.

[xciv] ASCZ, Busta 614, anno 1730, f. 15. Diego Barricellis lasciò in eredità ai figli 5 vignali nel territorio della “torre di Sculchi”. ASCZ, Busta 496. Anno 1704, ff. 9-12.

[xcv] Nel 1720 la manca di Pallone, o S. Stefano, confinava con Cipolla e destra della Torre di Mirtillo Barricellis. ASCZ, Busta 660, anno 1720, f. 96v.

[xcvi] ASCZ, Busta 336, anno 1689, ff. 60-67.

[xcvii] ASCZ, Busta 313, anno 1668, f. 121.

[xcviii] ASCZ, Busta 667, anno 1746, f. 153.

[xcix] ASCZ, Busta 660, anno 1720, ff. 269-270.

[c] ASCZ, Busta 861, anno 1761, ff. 196-197.

[ci] ASCZ, Busta 914, anno 1756, ff. 111-113.

[cii] ASCZ, Busta 1665, anno 1772, ff. 2v-3.

[ciii] ASCZ, Busta 659, anno 1715, ff. 64-67.

[civ] “Opere di fabrica in esso Giardino esist.no estim.te da d.o d’Asturi e Bertuccia = In p.mis il casino, seu torre di d.o luogo di circuitu pal. 105, alta pal. 30, e di grossezza pal. 2 1/3, che fanno can. 54 374 di fabrica estimate a carlini venti due la canna 120: 45 / Più per le quinte di detta torre, eposti delle tine che sono altre canne 2 ½ di fabrica estimate allo stesso prezzo 5:50/ Più per le mattonate di d.a torre, calce, rizza e mastria estimate, tegole n. 1500 estimate a duc. 6 il migliaio in unum 9/ Più per ciminea di d.a torre, cantoni, mattoni, calce e mastria estimato 8/ Più per altri cantoni in d.a torre pal. 145 estimati 11:26/ Più per la scala di d.a torre, cantoni e fabrica estimate 13/ Più per la stalla di creta a canto di d.a torre, di circuito pal. 96, alta pal. 13, grossa pal.2 che sono canne 21 di fabrica estimate a duc. 1:20 la canna 25:20/ Per le quinte di detta stalla altyre canne 2 estimate all’istessa rag.ne 2:40/ Tegole di d.a stalla n. 1000 estimate 6/ Più per il vaglio a canto di d.a torre e stalla can. 9 ¾ di fabrica estimate 21:30/ Più per il pozzo della vigna profondo pal. 34, largo pal. 7 ½ grosso pal. 1 ½ estimato 24/ Più per il pozzo del giardino seu siena profondo pal. 32, di circuito pal. 48 grosso palmi 2 che sono canne 24 estimate 48/ Più per la lamia di d.o pozzo altre can. 2 di fabrica estimate 4/ Più per la pila grande di circuito pal. 104, alto pal. 11 grosso pal. 3, che sono can. 25 ¾ di fabrica estimate 51:50/ Più per la pila piccola altra can. 1 di fabrica estimata 2/ Più per pilastri di d.a sena can. 2 ½ di fabrica estimate 5/ Più per il masso di d.a pila grande estimato 10/ Più per la canaletta lunga pal. 160, alta pal. 3, grossa pal. 2 che sono can. 7 ½ di fabrica estimate 13:60/ Più per la casetta del giardino di circuito pal. 112, alta pal. 13 grossa pal. 2, che sono can. 22 ¾ di fabrica estimate 50:05/ Più per le quinte di detta casetta 3:30/ Più per le tegole dell’istessa n. 1548 estimate 9:50/ Per cantoni di d.a casetta pal. 120 estimati 6/ Muro di chiusura lungo pal. 168 alto pal. 8 grosso pal. 2, che fanno can. 21 estimate37:80/ Più per zirannaco di pietra secca al termine del giardino di Manfreda, pietra can. 4 estimate 8/ Più altri zirannachi, pietra altre can. 22 estimate 39:60/ Più altre can. 3 pietra nel portone estimate 6/ Più altri pilastri altre can. 10 pietra estimate 20/ 568:35. Opere di Legname in d.o Giardino estimate da d.o di Sacco e Negro= Per travi e legname della Torre in unum estimato 52:50/ Tine e tinelle estimate 15/ Un fiscolo estimato 12/ Legname della casetta estimato 16/ Travi e siena estimate 8/ Legname della stalla estimato 4/ Più tre botte grosse estimate 9/ 116:50 (Totale) 684:85 = Cotrone li 26 Xbre 1763.” ASCZ, Busta 862, anno 1764, ff. 51-52.

[cv] ASCZ, Busta 862, anno 1764, f. 82.

[cvi] ASCZ, Busta 911, anno 1739, ff. 15-16.


Creato il 9 Marzo 2015. Ultima modifica: 30 Novembre 2022.

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