Il Casino con taverna di Ponticelli presso Crotone

bacino del ponticelli

Crotone, alto bacino del “Ponticelli” (Archivio ARSAC).

Giacinto D’Aragona D’Ayerbe, “Discendente di Sangue Reggio e come tale gode tutte le prerogative e privilegi, e ciò come Secondi Geniti della Casa de Prencipi di Cassano” e degli “antichi conti di Simari, marchesi della Grutteria”, figlio ed erede di Gio. Battista, si unì con la giovane aristocratica crotonese Agnese Berlingieri, sorella di Carlo, arcivescovo di Santa Severina, che gli portò una ricca dote. Giacinto continuò ad abitare nelle case paterne. Case che all’inizio del Settecento furono trasformate in palazzo. Situato in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, esso confinava con le case di Domenico Capicchiano e, vie pubbliche mediante, con le case o palazzo dotale di Antonio Suriano, poi di Giuseppe Riccio, e le mura della città.[i]

Giacinto possedette le “vigne, giardino e territorii detti Li Ponticelli”,[ii] nonchè le gabelle di Olivella e di Scurò. All’inizio del Settecento “Li Ponticelli” era già gravato di ducati 21 annui per un capitale di ducati trecento, che Giacinto d’Aragona aveva preso in prestito nel 1699 dal Pio Monte degli Operai Pii detto anche “L’Anime del Purgatorio” di Crotone;[iii] debito che il monte vanterà anche vent’anni dopo.

La località di “Li Ponticelli” era situata nei pressi di Crepacore, collina sulla quale in età medievale sorgeva un importante castello, a controllo della principale via che da Crotone si dirigeva verso la vallata ed il fiume Neto. Ancora in età moderna in questa località essa si divaricava: una via per Crepacuore, risaliva la vallata a destra del fiume verso Carpentiere e Corazzo; l’altra proseguiva per Margarita e Bucchi, attraversando il fiume alla Scafa di Neto.[iv] Giacinto costruì un casino e per maggiore comodità del casino ed utilità per la taverna, che in esso si trovava, fece attraversare le sue proprietà da una nuova strada che, iniziando dalla strada pubblica di Crepacore, raccordava più a monte questa via, congiungendola con quella che per Margherita e Bucchi andava al Neto.[v]

Crotone, basso bacino del “Ponticelli” visto dal ponte della SS. Ionica (Archivio ARSAC).

Grano, formaggio, miele e vino

È in questi primi decenni del Settecento che prendono vigore, oltre ai tradizionali prodotti tipici del grano e del formaggio, anche quelli del miele, del vino e della frutta. Sulle terre aratorie ed a pascolo, che circondano il casino, si espande il giardino mediterraneo con numerosi alveari, vigne, alberi da frutto, olivi ed ortaggi, che mutano e danno una struttura diversificata, a seconda della funzione produttiva, all’informe e piatto paesaggio costituito dal predominio delle terre rase ed aratorie. Il segno di questo generale risveglio delle campagne è segnalato dai nuovi prodotti che sono estratti dal porto di Crotone, dove vengono imbarcati oltre al grano, caso, sapone, legname, pelli di volpe, di martore e di gatto, anche vino e frutta.[vi]

Da Giacinto “Li Ponticelli” passò in proprietà di Gregorio d’Aragona, figlio di Giacinto e di Agnese Berlingieri, il quale sposò Maddalena Lucifero, figlia del marchese di Apriglianello Fabrizio. Morta la moglie (27 giugno 1734), Gregorio, molto probabilmente per sfuggire alla giustizia ed ai creditori, si fece sacerdote secolare e andò temporaneamente a vivere a Napoli, lasciando al figlio Alfonso l’amministrazione dei beni e dei debiti. In tale stato lo troviamo nel 1740 quando, assieme al figlio Alfonso, contrae alcuni debiti con il decano della cattedrale Filippo Suriano, e col fratello di costui Berardino. Gli Aragona dopo avere preso in prestito il 7 maggio 1740 mille ducati al 5%, aumentano due mesi dopo il loro debito con i Suriano, ottenendo altri 400 ducati sempre al 5%. A garanzia del prestito essi ipotecano sempre di più le entrate del territorio o gabella detta Li Ponticelli, che è descritta composta da “terre rase ed aratorie con giardino con vigne, torre casino, cupellera, ed altro diviso da detta gabella, ed alla medesima attaccato”, situata nel distretto della città di Crotone, e confinante con le terre di Crepacore da una parte, e dall’altra, con le terre di Margarita e la Bruca sacrata.[vii]

Alfonso d’Aragona, nato il 15 febbraio 1717, figlio di Gregorio e Maddalena Lucifero, sposò Cassandra Milelli, figlia di Nicola e Margarita Modio. Ebbe quattro figli: Giacomo, Carlo, Maria Giuseppa e Francesca. Tra i suoi beni, oltre al palazzo di abitazione in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, con i due mulini centimoli situati nei bassi, aveva una casa, che dava in locazione, ed il casino nella marina presso il molo. Possedeva anche vasti fondi rustici: S. Francesco, chiusura detta di Pelusio, Li Ponticelli e Pironte, e diversi capi di bestiame (una mula, dieci bovi aratorii, tre mazzoni e sei giovenche).

Alfonso, oltre a nutrire una folta famiglia composta dalla moglie e dai figli, dal fratello Federico, dalla zia Isabella, da quattro servi e due nutrici, doveva anche far fronte a numerosi debiti, vecchi e nuovi; la maggior parte dei quali gravavano le entrate del territorio di Li Ponticelli. Solo per vitalizi, celebrazioni di messe, dote spirituale della zia Marianna,[viii] patrimonio sacro del padre, e prestiti da enti ecclesiastici, se ne andavano quasi 150 ducati ogni anno. A questi erano da aggiungere i debiti contratti con i Suriano e con altri nobili e mercanti della città.

Così è descritto nel catasto onciario del 1743 il territorio “Li Ponticelli”: “di tt.a 260 confinante Crepacore, più entro d(ett)o territorio una chiusura e stabile d(ett)i parimente li ponticelli con casino, viti , giardino, alberi, più alcuni bassi che loca in detto casino per uso d’osteria seu taverna”.

Gestore dell’osteria era il “posatiero” quarantenne Giuseppe Rocca, sposato con la trentenne Antonia Giardino, il quale abitava nel casino dove aveva in affitto “la posata seu allogiamento”.[ix]

Frattanto i debiti aumentavano e la proprietà veniva meno. Nel 1750 Gregorio d’Aragona era costretto a vendere, per atto del notaio Leonardo La Piccola, a Raffaele e Filippo Suriano, due suoi territori di terre rase ed aratorie situati presso “Li Ponticelli”: uno chiamato “Asturello” con “alberi di soveri, quercie e pera selvaggi”, e l’altro “il Pezzo delle Liquirizie seu Pozzo dell’Ariate”, per ducati 1700.[x] Il 24 marzo 1756 Alfonso e la moglie Cassandra Milelli, per far fronte alle difficoltà finanziarie, dovettero prendere in prestito trecento ducati al tasso annuo del 5% dall’aristocratico crotonese Raffaele Suriano, impegnando le entrate dei beni dotali (il territorio di Pironte ed il giardino di Maccuditi).[xi]

“C. Ponticelli” e “I Ponticelli”. Particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Siccità e malattie

Poco dopo, il primo luglio 1756 il sacerdote secolare Gregorio D’Aragona, padre di Alfonso, era costretto a cedere una salmata e mezzo del territorio il “Pezzo delle Liquirizie”, che confinava con il podere de “li Ponticelli”, per il valore di cento ducati, a beneficio del Pio Monte dei Morti del Purgatorio di Crotone, per pagare un debito “di maggior somma che l’andava dovendo”. Tuttavia queste vendite non erano sufficienti a “supplire ad alcuni suoi pesi”. I debiti aumentano anche per il ripetersi di annate aride e sterili come quella del 1759, quando “per l’annata accaduta molto scarsa e quasi sterile nel raccolto, non ave potuto altrimenti sodisfare”. Così il 14 agosto di quello stesso anno, doveva vendere a Raffaele Suriano altre tre salmate dello stesso territorio per ducati duecento.[xii]

La situazione economica degli Aragona precipita anche per la lunga infermità che colpisce Gregorio,[xiii] e che lo porterà a morire nell’estate dell’anno seguente.[xiv] Traggono profitto dalle difficoltà finanziarie degli Aragona i Suriano che, oltre a rastrellare i terreni ceduti dagli Aragona al Monte dei Morti, ne divengono i maggiori creditori, ed un po’ alla volta erodono la tenuta di Ponticelli.

Morto Gregorio D’Aragona, all’erede Alfonso rimasero, oltre al palazzo, ben arredato e fornito di una colta e ricca biblioteca, anche numerosi fondi rustici e debiti. Tra le proprietà di maggior pregio risaltava ancora il podere “Li Ponticelli consistente in terre vacue, vigne, alberi fruttiferi, copelliera di presente esistente in copelle seu case di ape numero duecento ed uno casino con diversi membri ed edifici con chiesa rurale[xv] ed altre commodità”.[xvi] Alfonso cercò di affittare tutti i beni ereditati all’aristocratico crotonese Rafaele Suriano, affinchè utilizzasse i proventi per pagare i creditori; ma il Suriano rifiutò in quanto “li debiti cartolari oltre l’istrumentari che lasciò d(ett)o D. Gregorio avanzavano la somma di docati mille, e le rendite de beni ereditari erano in picciole somme et volendono li creditori sud(et)ti essere soddisfatti non stimò d(ett)o D. Rafaele di assumersi il sud(et)to peso”.

Per tale motivo Alfonso cercò di tacitare alcuni creditori ma ben presto rimase senza denaro e, perseguitato perché insolvente, decise di vendere alcune terre situate in località Ponticelli. Con tale vendita da una parte liberò i beni dotali dall’ipoteca contratta nel 1756, dall’altra ottenne un po’ di denaro per far fronte agli impegni più urgenti. L’acquirente, Rafaele Suriano, sfruttò l’occasione per allargare le sue già ampie proprietà in località Ponticelli, ponendo le premesse per un più ampio possesso della tenuta.

Il 28 febbraio 1761 passarono in mano del Suriano le due terre de “il pozzo delle Liquirizie” e “la Destra della Torre” per un totale di 13 salmate ed un terzo per il prezzo di ducati settecento; dei quali il Suriano se ne trattenne ducati 374, cioè trecento per togliere l’ipoteca sui beni dotali di Cassandra Milelli, e ducati 74 per gli interessi sul capitale non pagati. Rimasero ad Alfonso 326 ducati, troppo pochi per tacitare i numerosi creditori e tenere alto il decoro della casata.[xvii] Per tale motivo il 5 febbraio 1762 Alfonso Aragona e la moglie Cassandra Milelli, prendevano in prestito 200 ducati al tasso annuo del 6% da Filippo Marzano, ipotecando le entrate di tutti loro beni ed in special modo il giardino di Maccuditi. Per il persistere di annate sterili e per la lunga carestia, non riuscendo nemmeno a far fronte al pagamento del censo annuo, due anni dopo, l’undici febbraio 1764, i coniugi Aragona erano costretti a vendere il giardino di Maccuditi a Domenico Rodriques.[xviii]

Stretto dalle difficoltà, Alfonso cercò di dilazionare nel tempo il pagamento dei debiti e di accordarsi con i creditori. Il 30 giugno 1763 raggiungeva un accordo con le monache del monastero di Santa Chiara, per il pagamento di alcuni debiti contratti dal padre Gregorio. Essi riguardavano un prestito di ducati 120 concesso dalla clarissa Angela Suriano, “di proprio particolar danaro di d(ett)a religiosa, e previa licenza della Sig.ra Abbadessa”, ed altri ducati 60 che Gregorio doveva alla sorella e monaca di Santa Chiara Marianna “per attrasso di livello e vitalizio”. Le due religiose erano da tempo morte ma la badessa e le monache, in qualità di eredi, esigevano il pagamento. Alfonso non avendo denaro contante si impegnò a pagare il debito al monastero in 12 anni alla ragione di ducati 15 l’anno, a partire dall’otto settembre 1765.[xix]

Da Alfonso Aragona e Cassandra Milelli nacquero Giacomo, Carlo, Maria Giuseppa (nata il 21 marzo 1749), Francesca o Checchina e Agnese. L’undici dicembre 1772, per atto del notaio Antonio Asturi di Crotone, Alfonso donava al primogenito Giacomo “un stabile seu giardino denominato Li Ponticelli, chiuso di fosso, con dentro terreno, cupelliera con cupelli di miele al numero di ottantasei, vigne, alberi fruttiferi, caselle di fabrica ed al di fuori d’esso giardino situatovi un casino di fabrica consistente in più stanze superiori loro abbassamenti attaccate alli quali vi sono altre fabbriche per uso di magazzini, officine e chiesa con campana di pronzo, loggia scoperta e vaglio in mezzo, essendovi parimente attaccata a detto casino una porzione di terreno ad uso d’orto con entrovi pochi alberi sendovi esistenti in detti casella e magazzini alcuni legnami amovibili di casse di cupelli vacui, tine, tinelle, botti e saretture colla sua rotola”.

Secondo la stima dei terreni e dei fabbricati eseguita dai massari e dai mastri il valore di “Li ponticelli” era di ducati 2129 grana 59 e cavalli 8. Di questi circa un terzo (32%) era costituito dal valore dei terreni, un altro terzo dalle viti, dagli alberi (30%) e dai “cupelli” (4%), ed il rimanente dai fabbricati (34%).

Particolare importanza conservava ancora la produzione di vino, evidenziata oltre che dall’esistenza di numerose “pezze” (“del Cancello”, “del Nigrello”, “della Malvasia di Candia”, “sotto la Copelliera”, “dietro la casella pastina”, “avanti detta casella pastina”, “la pastina del canneto”, “del canneto”, “di sopra”) anche dalla presenza di diversi “fiscoli, tine, tinelle, botte e timpagne”. Continuava, anche se in forma ridotta rispetto al passato, la produzione di miele segnalata dagli ottantasei “cupelli”. Vi erano poi i magazzini, le officine, la stalla colla “pagliarola”, il cellaro, il forno, la taverna, il magazzino dei “pecorari”, e la chiesa dedicata a San Giovanni Battista. Il tutto però era gravato da 550 ducati, dei quali ducati 200 al 6% erano dovuti al monastero di Santa Chiara, per dote spirituale della figlia Maria Elisabetta, e ducati 200 al 5% dovuti al semplice beneficio di S. Maria di Costantinopoli. Il podere è descritto confinante con il feudo di Crepacore di Cesare Oliverio, e Li Ponticelli di Rafaele Suriano.[xx]

Crotone, idrografia del fosso Ponticelli e dei valloni immediatamente a nord della città. Particolare della Foglio 238 “Cotrone” della Carta Idrografica d’Italia 1:100.000 dell’IGM (1887, 1889).

Verso la rovina

Continua l’indebitamento. Contribuisce la dote spirituale della figlia Agnese che nel 1769 entra nel monastero di Santa Chiara di Crotone.[xxi] Nel 1771 è la volta dell’altra figlia, Maria Giuseppa d’Aragona d’Ayerbis, che si unisce col signor Gio. Battista Brescia, nobile di Stilo. Per il suo matrimonio le furono promesse in dote ducati 1200, da conseguirsi però dopo la morte del padre Alfonso e della madre Cassandra Milelli. Per mantenere tale promessa furono ipotecati soprattutto il palazzo di Crotone e lo stabile posto a Li Ponticelli. Dalla coppia nacque il 4 giugno 1778, Elisabetta Brescia d’Aragona, che sposò nel 1791 Mirtillo Grimaldi (nato il 16 marzo 1770), figlio di Diego e di Lucrezia Berlingieri.

Tra le doti promesse dalla madre Maria Giuseppa d’Aragona alla figlia Elisabetta vi furono 500 ducati da prelevarsi sui suoi 1200 ducati dotali. Elisabetta Brescia, in seguito, denunciò il nonno materno Alfonso d’Aragona, in quanto tentava di eludere le promesse dotali e non solo aveva lasciato andare in abbandono il fondo di Li Ponticelli, tanto che si era “deteriorato a segno, che quasi più nulla può dar di frutto”, ma anche l’aveva ceduto e cercava anche di vendere l’altro bene dotale costituito dal palazzo in Crotone.[xxii] La situazione economica degli Aragona peggiorerà col passare del tempo.[xxiii]

Crotone, fotopiano delle località Crepacuore e Ponticelli.

Dagli Aragona ai Grimaldi ai Barracco

Il 17 luglio 1791 per atto del notaio Michele Vatrella di Crotone, Giacomo d’Aragona cedeva a Diego Grimaldi, padre di Mirtillo, il fondo di “Li Ponticelli” con tutti i pesi che lo gravavano.[xxiv] Dal catasto onciario di Crotone del 1793 risulta che i Suriano si erano impossessati di gran parte dei terreni di Ponticelli, mentre il giardino e ciò che restava del casino rimaneva ai Grimaldi. Infatti, troviamo che Diego Grimaldi possiede “una chiusa detta li Ponticelli, che ha comprato dal S.r D. Giacomo Aragona”, mentre gli Eredi di Bernardino Suriano sono proprietari del “territorio detto Li Ponticelli per la loro porzione in tumoli 200”, “più quattro salmate di terra comprò da D. Alfonso d’Aragona, unita alla salma una e mezza del fu Monte del Purgatorio nella gabella delli Ponticelli”.[xxv]

Mirtillo Grimaldi, figlio di Diego, manterrà la vigna di Ponticelli fino al 1832,[xxvi] anno in cui essa risulta proprietà del barone Luigi Barracco,[xxvii] il quale si impossesserà un po’ alla volta di tutta l’area, che entrerà a far parte del suo latifondo.[xxviii] Nel 1930 i territori di Ponticelli e Passo Vecchio di ettari 400, coltivati a cereali ed a pascolo, erano di proprietà di Roberto Barracco e vi sorgeva un gruppo di case coloniche abitate.

Note

[i] ASCZ, Busta 611, anno 1712, f. 1; Busta 612, anno 1715, f. 191.

[ii] All’inizio del Seicento le “terre delli Ponticelli” erano particolarmente adatte ad uso di “Massaria”. Le troviamo seminate a grano dai fratelli Giulio e Sibio Caligiuro. I fratelli durante l’annata 1637/1638 si obbligarono alla semina in primavera col milite spagnolo Gio. Bernardo Casanova. Prima però della mietitura essi morirono, lasciando solo le loro massarie; una nei Piani di Bucco con due paia di buoi, e l’altra nelle terre di Ponticelli con un paio di buoi. Gli eredi, la madre vedova e la sorella, si trovano in gravi difficoltà. Non avendo né grano né denaro, non possono mietere il grano anche perché “bisognava la persona di homo et non di donne”. Intervenne allora il creditore Casanova, il quale offrì il suo aiuto. Egli comprò grano, vino, olio e caso e raccolse la massaria con l’aiuto di buoi e di uomini. Per sdebitarsi, gli eredi Caligiurio, non avendo altro, cedono al Casanova la massaria, in modo da poter soddisfare il suo credito e le spese fatte; dandogli la possibilità di subaffittarla, pagando però il terraggio, e di vendere il grano, i buoi ed altro, in modo da poter soddisfare il suo credito e le spese sostenute per la raccolta. ASCZ, Busta 119, anno 1638, ff. 20-21.

[iii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, ff. 121v, 161.

[iv] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 52v.

[v] ASCZ, Busta 861, anno 1761, f. 56.

[vi] Dai libri del visecreto e del credenziero del regio fondaco e dogana di Crotone per l’anno 1718, si ricavano le seguenti estrazioni: “a cinque luglio Domenico Giardino vino carra due; a tre settembre Domenico Trovato frutti some tre; a dieci (giugno) Ciccio Polia vino carra due; a dodeci settembre Alessandro Trovato frutta some quattro”. ASCZ, Busta 661, anno 1721, ff. 256v-257.

[vii] ASCZ, Busta 854, anno 1740, ff. 92-93.

[viii] Vittoria Aragona, figlia di Giacinto, entra nel monastero di Santa Chiara di Crotone e, dopo un anno di noviziato, nel 1724 dà la professione e prende il nome di Marianna. ASCZ, Busta 614, anno 1724, ff. 48-51.

[ix] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, ff. 133; 249-251.

[x] ASCZ, Busta 861, anno 1761, f. 56.

[xi] ASCZ, Busta 861, anno 1761, f. 44v.

[xii] ASCZ, Busta 860, anno 1759, ff. 298v-299.

[xiii] Pochi mesi prima di morire Gregorio d’Aragona aveva concesso al “giardiniero” e custode di Ponticelli, i frutti degli alberi fruttiferi per il prezzo di ducati 12, che costui doveva scontarseli dal salario della custodia, alla ragione di carlini trenta il mese a partire dal primo giugno 1760. ASCZ, Busta 860, anno 1760, ff. 240-241.

[xiv] Per far fronte alla lunga infermità di Gregorio Aragona, si dovettero vendere tomoli 100 di grano a ragione di carlini otto il tomolo per un totale di docati 80, “che si spesero per assistenza di medici ed altre persone e medicamenti serviti nell’ultima lunga infermità di d.o Gregorio”. ASCZ, Busta 860, anno 1760, f. 240.

[xv] Così è descritta la chiesa: “nella sud(ett)a chiesa rurale e nell’altare di essa sei candelieri e frasche di carta con loro base, croce, carta di gloria, In principio e lavabo di legno indorato, un quadro di conto con pittura di dietro e cornice coll’effigie di S. Giov(anni) Batt(ist)a. Più una boffetta ed un genuflessorio di legname d’abeto; un campanello, un ferro di portiere sopra la porta grande ed una campana di bronzo sopra la medema”. ASCZ, Busta 860, anno 1760, ff. 240-241.

[xvi] Nel casino vi sono i seguenti mobili: “Nella saletta seu prima camera. Una boffetta vecchia di legname di noce, una giarra per acqua, una cassa grande di pioppo, due baulli di letto di campagna vacui, due quadri vecchi di S. Giuseppe, e S. Michele Arcangelo e quattro piccioli quatretti di paesaggi. Nella seconda camera. Un specchio piccolo con cornice nera con boffettino di pioppo con dentro cinque posate di stagno in dieci pezzi cinque cortelli o siano passapartù ed un cocchierrone di stagno, un’altra boffetta ordinaria rotonda piccola, un parasole vecchio, una scopetta vecchia, un ferro piccolo, sette quadretti di santi con cornici indorate e nere. In un altro stanziolino seu piccolo camerino. Una cassa di pioppo, una ciaccolatiera di rame, un molinello …”. ASCZ, Busta 860, anno 1760, ff. 240-241.

[xvii] ASCZ, Busta 861, anno 1761, ff. 43-46.

[xviii] ASCZ, Busta 862, anno 1764, ff. 81-82.

[xix] ASCZ, Busta 862, anno 1763, ff. 144v -146.

[xx] ASCZ, Busta 917, anno 1772, ff. 114-118.

[xxi] Agnese Aragona nel 1762 entrò nel monastero di Santa Chiara con l’intenzione di monacarsi (ASCZ, Busta 862, anno 1763, ff. 155-156). Sul finire del Settecento vi erano nel monastero di Santa Chiara le clarisse Maria Anna (1771) e Maria Elisabetta Aragona (1769). AVC, s.c.

[xxii] Il 26 febbraio 1796 Elisabetta Brescia ricorre contro l’avo nella Gran Corte di Napoli. Carte Piterà.

[xxiii] Nel 1815 Francesca Aragona si rivolgeva al papa Pio VII: “Francesca Aragona della città di Cotrone in Calabria divotissima oratrice della Santità Vostra umilmente espone essere fin da molti anni in possesso della metà di un Beneficio sotto il titolo della Natività del Signore di annua rendita di soli Ducati quaranta moneta di regno, a cui è annesso il peso fisso della celebrazione di numero cinquanta messe annue. Ma siccome la detta oratrice orfana trovasi ridotta in istato di grande miseria, avendo sofferto moltissimo nelle passate emergenze, è stata perciò impossibilitata a far soddisfare alla celebrazione delle dette messe per lo spazio di anni undici, per cui è in attrasso di numero cinquecento cinquanta a tutto lo scorso anno 1814. Ricorre per tanto supplichevole alla Santità Vostra, acciò voglia benignamente dignarsi accordarle l’assoluzione, e condonazione delle sudette messe inadempite in vista della di Lei vera, e reale impotenza, per così porre in salvo la propria coscienza …”. Carte Piterà.

[xxiv] Nel 1790 D. Giacomo d’Aragona doveva ogni 18 maggio al monastero di S. Chiara, per capitale di ducati 200 infissi sul fondo Li Ponticelli, annui ducati 12. L’annualità in seguito fu ribassata a ducati 10 che doveva pagare Diego Grimaldi, il quale nel 1791 l’aveva comprato. AVC, D. Aragona Reg. Ammin. Cotrone. Lista di Carico, 1790, f. 14.

[xxv] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, ff. 33, 50.

[xxvi] AVC, Platee del Monastero di S. Chiara, Cotrone 1820-1831.

[xxvii] “D. Martillo Grimaldi, e per esso il B.ne Barracca per cap.le di d.ti 200 dote sp.le di suor M.a Elisabetta Aragona sop.a la vigna di Ponticelli che comprò da D. Giacomo Aragona. Istr. di n.r Gerardo demeo de 18 maggio 1769 paga an. d.ti 10.” AVC, Platea del monastero di S. Chiara, 1832, f. 15.

[xxviii] Alla metà dell’Ottocento due strade collegavano la città di Crotone con il Neto: una passava per “Crotone – Botteghelle – Cerza – Vignali dell’Angona – Margherita – Cantorato – Bucchi – Neto (1868). L’altra per “Chiusa Grimaldi – Crepacuore – Brasimatello – Martorani – Carpentieri – Schiavone – Corazzello – Mulini di Neto” (1868).


Creato il 9 Marzo 2015. Ultima modifica: 27 Ottobre 2022.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

*