La foresta dell’Isola di Crotone

Le aree boschive della foresta dell’Isola di Crotone, ancora riportate nella cartografia alla fine dell’Ottocento, a “Bosco Rosito”, “S. Pietro”, “Acqua fredda” “Bosco Braccio”, “Vermica”, “Forgiano”, “S. Barbara”, “Bosco Fratte”, “Anastasi”, “Bosco Suverito”, e “Ritani”, evidenziate in verde su un particolare del F. 243-IV “Isola di Capo Rizzuto”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Durante il Medioevo la foresta fu elemento fondamentale per la vita e l’economia umana. Oltre a dare legna per il riscaldamento e la cottura, essa fornì i materiali per la costruzione degli edifici e per gli arnesi da lavoro, il nutrimento per il bestiame ed un sicuro rifugio in caso di pericolo. Tutto di essa era utilizzato, dalla cenere per concimare il suolo, alle radici, alle foglie ed ai fiori per la cura delle malattie. Anche gli uomini vi trovavano gran parte del loro fabbisogno alimentare: dai frutti, alle bacche, ai funghi, ai legumi selvatici, alla selvaggina, ai pesci, al miele, ecc.

Allora, caccia, pesca e raccolta, conservavano un posto di primaria importanza, sia per l’alimentazione che per l’attività economica. Per tali ragioni le foreste fin dall’antichità furono protette. Esse, dapprima, fecero parte del pubblico patrimonio poi, nella gran parte, passarono in potere dei “baroni”, i quali cominciarono subito ad usurpare i diritti delle popolazioni. Da alcuni capitoli e costituzioni concesse da feudatari ed abati commendatari, possiamo tracciare il rapporto ancora esistente tra le tenute boschive e i cittadini alle soglie dell’età moderna.

Il conte Andrea Carrafa, volendo punire i cittadini di Santa Severina per la loro ribellione, interruppe per circa undici anni i diritti civici. Solo nel 1525 riconobbe nuovamente loro il diritto di “tagliare, pernottare, pascere, glandare, spicare et acquare seu beverare loro bestiame”, gratuitamente, in alcune sue tenute. Il conte, ripristinando l’“antiquo solito”, riconobbe gli antichi diritti, con la condizione che non fossero tagliati gli alberi da frutto. Sempre il Carrafa permise di poter pascolare e raccogliere i frutti caduti da “querce, cariglie, suberi ed altri alberi fruttiferi” e, dal primo dicembre, essendo le ghiande mature, di poterle fare cadere con canne, pertiche, bastoni o in altro modo, e poi raccoglierle e farne l’uso che se ne voleva.

Lo stesso feudatario però limitava la possibilità di tagliar legna in ogni tempo dell’anno per fare “tigilli per case, furche et tracandoli per pagliari, aratri et altre massaritie per l’agricoltura, trabi et altri ordigni necessari”, restringendolo solamente al taglio di alberi per la costruzione di case e per fabbricare aratri. Per gli altri usi doveva essere utilizzato solo il legno degli alberi non fruttiferi delle selve e dei boschi pubblici.

Per riaffermare i loro diritti civici, nel passato, i cittadini avevano chiesto che fossero aperte le foreste e le difese realizzate ex novo. La richiesta pur accolta, non ebbe seguito, anzi furono create altre difese. Il conte limitò la richiesta di aprire tutte le foreste e difese, fatte dai privati negli ultimi trenta anni, a quelle che non avevano una legittima concessione. I cittadini potevano comunque raccogliere nelle difese “le glande delle quercie, et cariglie sive illici et ruberi … et peragini et altri frutti selvatici, et herba da mangiare”, purché non introducessero alcun animale.[i]

A Castellorum Maris, l’attuale Le Castella, altro feudo del Carrafa, vi erano i boschi di Rosito e Soverito, e la difesa, o foresta, di San Fantino. La vigilanza era affidata ad un baiulo, il quale puniva con la pena di 15 carlini chiunque avesse tagliato alberi fruttiferi e querce. Faceva eccezione il taglio per costruire “stiilis” per uso di masseria, e “tiilis seu tigillis” per fare tuguri e coperture di case. Nella foresta del Soverito però, non si poteva tagliare alcun albero per nessuna ragione. Pene colpivano coloro che avvelenavano le acque delle fonti e dei fiumi per catturare i pesci, o che sporcavano le acque pubbliche, conducendovi porci e altri animali. Era inoltre fatto divieto dar fuoco alle stoppie prima del 15 agosto e, per evitare incendi, anche dopo senza il debito permesso. Nel vallone di “Volandrino” non si potevano abbeverare gli animali e così anche nel luogo detto “La Chianta Grande”, perché riservato al lavaggio dei panni dei cittadini. In caso di necessità o di siccità, questo divieto cadeva, eccetto che per i mercanti con i loro animali.[ii]

I vassalli del casale di Caria ottennero dall’abate commendatario di S. Maria di Altilia, Tiberio Barracco, di poter pascolare in metà della sua tenuta boschiva, purché ciò non impedisse gli animali del commendatario e quelli dell’abbazia. Sempre nella stessa metà di bosco essi potevano soddisfare il bisogno di “stigli de massaria, frasche per loro bovi”, eccetto però le querce e gli ogliastri, il cui taglio era punito esigendo il pagamento di un ducato per ogni pianta tagliata.[iii]

La ricchezza rappresentata dalla foresta è ancora segnalata sul finire del Seicento dal Fiore, che così descrive la cittadina di Isola: “con una selva al fianco, che la fa ricca, non pur di legna per l’uso del fuoco; ma di cacciagioni, di fiere selvaggie, e di qualunque sorte d’uccellame”.[iv] Ciò che rimaneva al tempo del Fiore, non era altro che una piccola parte della vasta selva che, anticamente, ricopriva gran parte del territorio di Cutro, di Isola e di Crotone, e che, protetta fin dall’antichità, per la sua natura condizionò la vita degli abitanti del luogo, e di coloro che con le loro mandrie vi svernavano, dando vita al consolidarsi di usi e costumi che, mentre permettevano nel tempo lo sfruttamento e l’uso dei beni forestali, ne salvaguardavano l’integrità come un bene comune.

Nelle foreste i nobili dimostravano il loro domino esercitando la caccia (Arazzo di Bayeux).

Il “Bosco” dell’Isola di Crotone

Ancor oggi a ricordo rimangono il toponimo “Bosco” ed in località Sant’Anna, una piccola reliquia. Il Nola Molise rifacendosi a Tito Livio, così descrive il bosco sacro, che si estendeva presso il tempio di Hera Lacinia: “vi era un bosco folto d’alberi … nel cui mezzo erano pascoli fecondissimi, dove senza pastore pascevano ogni sorte d’animali dedicati alla Dea, e separati di ogni spetie la sua grege uscivano a pascere, e la sera se ne ritornavano nel medesimo bosco, dove giacevano; questi animali da insidie de fiere, o inganno di mal’huomini non furo danneggiati giammai …”.[v]

Di natura sua demaniale e come tale, quindi, ricadente nell’amministrazione regia, la difesa, o foresta di Isola, compare già in un atto del 14 maggio 1252, riguardante un possedimento dell’abbazia di San Giovanni in Fiore detto di “Fontanae Muratae”, esistente “apud insulam Cotroni” e “positus in defensa regia”.[vi] Anche attraverso i primi documenti dopo la conquista angioina, si desume che, già in precedenza, durante la dominazione normanno-sveva, quest’ultima era stata soggetta alla tutela da parte di funzionari regi detti “forestarii”, che avevano il compito di sorvegliare le foreste demaniali.[vii]

Nel giugno 1269 un ordine di Carlo I d’Angiò al milite Drivone de Regibayo, vicegerente del mastro giustiziere del Regno di Sicilia, gli ordina che, di persona, o attraverso un suo procuratore, prenda possesso dei beni della corona e cioè, del castello di Crotone e della difesa, o foresta, di “Insule Cutroni”, casale della città,[viii] che deve custodire fino a nuovo ordine.[ix] Questa concessione è ben presto limitata e contrastata da un mandato che lo stesso re, fa in favore di Pietro Ruffo, conte di Catanzaro.[x] Pochi anni dopo nel 1274/1275, il re nomina un nuovo custode della difesa: Petro de Baccellis,[xi] ma siamo anche a conoscenza di alcuni abusi commessi contro i cittadini di Isola; Carlo I d’Angiò, infatti, accoglie favorevolmente le loro richieste, affinché siano ripristinati i diritti che vantano da tempo immemorabile sul bosco, diritti disconosciuti, come per il passato, dal conte di Catanzaro Petro Ruffo.[xii]

In documenti del 1278 e del 1279, la difesa, o foresta, dell’Isola di Crotone, assieme a quella di Alichia, è ricordata tra le foreste regie della Calabria,[xiii] destinate all’allevamento delle regie razze,[xiv] dove era severamente proibito cacciare nei mesi primaverili. I contravventori erano puniti con pene severe: i baroni e i militi a 23 oncie d’oro, i borghesi a 16 oncie, i villani a 8 e, se insolvibili, ad un anno di carcere.[xv]

In seguito, troviamo che, analogamente al palazzo e la difesa di Alichia, la custodia della “turris et insule de tenimento Cutroni”, fu affidata dal re al milite Andrea de Pratis, essendo stato rimosso il milite Ioanne de Genua (1292),[xvi] mentre l’anno dopo, rimosso il detto Andrea, i detti beni furono affidati al milite Iohanne de Coronato.[xvii] Ancora pochi anni e Isola sarà concessa in feudo.

Già nel 1317 re Roberto era dovuto intervenire contro i coniugi e signori di Isola, Gerardo Nomicisio e Caterina Merceria, che si rifiutavano di pagare le decime.[xviii] La detta Caterina risulta “domina castri Insule” ancora in atti del 1341[xix] e del 1344, quando, ormai morto il Nomicisio, [xx] si risposò con Alessandro Maleno, che così divenne signore del “Castel della Torre, e l’Isola nelle pertinentie di Cutrone”, come riporta il Campanile.[xxi]

Le aree boschive lungo la costa di Isola, in un particolare della tavola N.° 29 (1789) della carta di G. A. Rizzi Zannoni.

Disboscamento, messa a coltura e popolamento

L’assalto alla foresta iniziato attorno al Mille, proseguiva ancora nei primi decenni del Trecento, quando, sempre per contrastare le usurpazioni attuate dai Ruffo, circa la difesa “detta dell’Isola presso Crotone” – questa volta è il conte Giovanni – troviamo un altro provvedimento di re Roberto a favore di Gerardo Nomicisio (1335/1336).[xxii] Protagonisti sono i feudatari, gli abati e i vescovi, che popolano le loro tenute e, incendiati i boschi, li fanno dissodare e mettere a coltura. L’aumento della popolazione faciliterà la nascita e lo sviluppo dei villaggi rurali di S. Giovanni di Massa Nova e di San Pietro di Tripani che, posti al limite della grande foresta, cominceranno ad eroderla.

Isola che, alla fine dell’Undicesimo secolo, era ancora un “locus desertus”, mentre la sua chiesa vescovile di Santa Maria risultava “diruta, lacerata et deserta”, in poco tempo diventa così una città. I vescovi isolani ottengono dai regnanti normanni, prima dal duca Ruggero e poi dal re Ruggero II, vasti privilegi: sia a favore della chiesa, che per coloro che andranno a popolarne i possessi. Essa potrà accogliere, ospitare e trattenere, franchi e liberi, ed al riparo della giustizia, coloro che vi si rifugeranno. Il potere vescovile si estende sugli uomini e sulle cose: “herbagium, glandagium, forestagium, cursus aquarum, nemoribus, cerquis, olivetis, virgultis, arboribus, domitis et indomitis, incisiones arborum atque lignorum tam siccatum quam viridum, cuiuscumque generes sint … venationes facere tam animalium terrestrum quam volatilium per totum tenimentum …”, ecc.

Attorno all’episcopato si forma il “Borgo” abitato da chierici, domestici, pastori, coloni, vaccari, porcari, ecc., che con la loro attività modificano il paesaggio. Dove prima era tutto bosco sorgono ora case, vigne, orti, mulini, oliveti, canneti, prati, siepi, terre a semina ed a pascolo.[xxiii] Questa tendenza all’aumento continuo del colto sull’incolto, si arresterà e si invertirà tra la seconda metà del Trecento ed i primi decenni del Quattrocento.

A quel tempo la “Civitas Insule” apparteneva in feudo ai Ruffo di Montalto, come rileviamo attraverso un elenco relativo al pagamento dell’adoha dovuta dal conte Antonio Ruffo nel 1378,[xxiv] mentre, attraverso lo stesso elenco, risulta che la città di Crotone era infeudata ad Antonello Ruffo conte di Catanzaro.[xxv] Con la concessione di re Ladislao a Nicolò Ruffo, figlio di Antonello, del Marchesato di Crotone (1390),[xxvi] Isola, in quanto casale di Crotone, seguì le sue vicende, come si rileva attraverso l’atto di papa Martino V (1417-1431) del luglio 1426, dove, tra i possessi confermati al marchese di Crotone risulta quello di “turisinsula”.[xxvii] In questo frangente, le proprietà della chiesa isolana sono incolte e devastate, mentre la città, in potere del marchese, è stata abbandonata dai cittadini, ed il territorio è popolato solo dai pastori che abitano nei boschi.[xxviii]

Località Sant’Anna di Cutro (KR).

In territorio di Crotone

Isola, o Torre di Isola, in quanto casale di Crotone e parte, fin dal periodo normanno, del territorio crotonese, rimarrà in potere dei marchesi di quella città.[xxix] Durante il periodo in cui Isola fu in dominio dei marchesi di Crotone, ampie aree pianeggianti del feudo boschivo di Antiopoli sono disboscate e date da coltivare ai cittadini di Isola, previo il pagamento di un terraggio in grano e orzo al feudatario. I Crotonesi potranno tagliare legna “allo bosco de lisula” e “passcere herbagio et glandagio” senza alcun pagamento e così, altrettanto, faranno gli abitanti di Isola nel territorio di Crotone. Tale reciproco diritto sarà ribadito solennemente, anche dopo la sconfitta del Centelles, quando verrà concessa la demanialità alla città di Crotone, nelle costituzioni concesse da re Alfonso alla università e uomini di Crotone all’atto della resa, l’otto dicembre 1444.[xxx]

L’esistenza sul bosco di diversi diritti, sia da parte delle popolazioni di Crotone e di Isola, che del demanio regio e del feudatario di Isola (quando il territorio di questo casale sarà staccato dal territorio crotonese), porterà a secolari vertenze. I cittadini di Crotone, presto, cominceranno a lamentarsi per le limitazioni che dovevano subire da parte di Enrico d’Aragona, il quale aveva sposato una figlia del Centelles ed era divenuto signore di Isola. Di tali soprusi ne abbiamo un richiamo nel 1483, al tempo che il territorio della Torre dell’Isola era stato definitivamente separato dal territorio crotonese, per essere dato in feudo a Giovanni Pou, allora i Crotonesi avevano dovuto espressamente richiedere al re Ferdinando, il riconoscimento di poter “usare colli loro animali, e non forestieri, li Boschi della Torre dell’Isola, ed in quelli taglare legnami secondo è stato solito e consueto franchi di fida e d’ogni pagamento, come usavano in tempo del Sig. Re Alfonso padre della M. V. ed in tempo di quella, finché detta Torre venne in potere dell’Ill.re Co. Errico”.[xxxi]

Confiscata al Pou per la sua partecipazione alla “Congiura dei Baroni” contro re Ferdinando, la foresta fu amministrata dal commissario Domenico Lettere, il quale certificò che le sue entrate annue provenienti dall’affitto per pascolo di buoi, vacche e porci, erano stimate mediamente in circa 200 ducati.[xxxii]

Località Sant’Anna di Cutro (KR).

In potere dei Ricca

Sempre in questi anni, da un documento estratto dall’Archivio della Regia Camera, veniamo a conoscenza che i cittadini di Isola perdevano ogni diritto civico sul vasto tenimento forestale di Antiopoli di mille tomolate, composto dai cinque territori: “Le Rose”, “Pititto”, “Saporito”, “Manna” e “Meolo”,[xxxiii] in quanto nell’ottobre 1495, re Ferrante II, detto Ferrandino, lo staccava dal feudo di Torre dell’Isola, e lo vendeva al capitano degli Aragonesi Troilo Ricca per 2000 ducati, non come terreno feudale ma burgensatico.[xxxiv]  Pagamento poi effettuato dal Ricca attraverso uno “escambio” con la regia corte.[xxxv]

Tra gli ultimi decenni del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, la grande foresta cominciò nuovamente a restringersi in maniera vistosa, soprattutto a causa della poderosa opera di taglio attuata per decenni, per rifornire di legna le calcare che, giorno e notte, cuocevano per fare la calce, dapprima, durante il regno aragonese, per la costruzione dei nuovi rivellini e castello di crotone,[xxxvi] e poi, nei primi decenni del viceregno per le nuove fortificazioni di Crotone, di Isola e di Le Castella.

Sempre nei primi decenni del viceregno anche il feudatario di Isola, Gio. Antonio Ricca, approfittando del buon andamento del commercio granario, cominciò ad estendere i suoi terreni a semina. Quest’ultimo fatto porterà alle proteste dei Crotonesi e ad un accordo sottoscritto il 30 gennaio 1530, tra il barone e l’università di Crotone. Mentre il barone riconosceva ai Crotonesi il diritto di pascolo “in virtù delle loro ragioni ed antico possesso”,[xxxvii] il feudatario otteneva la possibilità di disboscare e poter seminare, però solo in certi luoghi stabiliti.[xxxviii] L’opera di erosione dell’area boschiva e la chiusura e messa a coltura di alcune sue parti, furono proseguite dal successivo barone di Isola, Cesare Ricca, figlio di Gio. Antonio, suscitando ulteriori proteste da parte dell’università di Crotone che, nel 1563, costrinse il feudatario ad una transazione ed ad una nuova regolamentazione dei diritti sui boschi.[xxxix] Da una lite con il vescovo di Crotone riguardante il territorio di “Buggiafaro”, sappiamo che il barone di Isola si era “fatta camera e defesa Meolo et altro terreno”, impedendo il pascolo ai cittadini.

Tra i beni feudali del barone di Isola vi era “il Bosco” dell’estensione di circa mille moggi, che confinava con i territori di “Buggiafaro”, “le Puzzelle”, “Sacchetta”, “Santo Andrea”, “Massa Nova”, “San Pietro di Tripani”, e “Ventarola”. Su questo vasto territorio boschivo il barone aveva il diritto di fidare gli animali forestieri e di legnare; mentre i cittadini di Isola, di Crotone e di Papanice, vi potevano esercitare i diritti civici di “lignare e pascolare”.

L’avanzare del colto sull’incolto è testimoniato dall’elenco dei beni feudali passati alla morte del barone di Isola Cesare Ricca al figlio Antonio nel 1580. Il barone, infatti, oltre al diritto di esigere la fida e le pene delle pecore e degli animali diffidati su una parte del Bosco, possedeva i due giardini della “Mortilla” e del “Paradiso” e la “gabella delli Pileri”, che erano membri del “Bosco”. Mentre i giardini, sorvegliati dai guardiani, erano coltivati con gelsi, frutti e vigne, la gabella era seminata a grano.[xl]

Frattanto con il passaggio del feudo dai Ricca ai Catalano, riprendevano le liti con l’università di Crotone.[xli] Il barone cominciò a contrastare il diritto di pascolo dei Crotonesi sul “Bosco”,[xlii] pretendendo che questi, per poterlo esercitare, dovessero prima dimostrare di non avere erba sufficiente sul loro territorio. Egli, inoltre, fidò le pecore dei pastori silani senza chiedere prima il consenso degli amministratori crotonesi. Questi ultimi, richiamandosi all’uso e alle vecchie convenzioni, poiché era limitato il pascolo ai loro cittadini, cominciarono a carcerare le pecore, esigendo per il rilascio, pene pecuniarie dai padroni delle mandrie, i quali a loro volta, minacciarono di rivalersi sull’affitto che pagavano al barone.[xliii]

Località Sant’Anna di Cutro (KR).

Dopo la crisi Seicentesca

Alla fine del Cinquecento e durante il Seicento, il disboscamento subì un rallentamento, a causa della crisi demografica ed economica. Alcuni giardini scomparvero[xliv] e si spopolarono, mentre furono abbandonati i due villaggi rurali di San Pietro di Tripani e di Massanova, in parte già rovinati dalle incursioni turchesche.

I dissodamenti ripresero con forza alla fine del Seicento e nei primi decenni del Settecento. Disboscamenti massicci interessarono tutto l’altopiano. I vicini territori di “Carbonara” e di “Forgiano” che, all’inizio del Settecento, erano ancora in gran parte coperti da boschi, pochi anni dopo risultano “tutta terra culta”. Si espande la coltivazione dell’ulivo, della vite e degli alberi da frutto. Sono costruiti numerosi casini con chiesa, magazzini, stalla ed altre comodità.[xlv] Allora ampie aree boschive furono chiuse al pascolo, alberate e recintate, come risulta da una protesta di alcuni cittadini: “Il corso maggiore detto il Bosco del barone che per esser di smesurata estensione e grandezza a comparazione di tutti l’altri corsi si ritrova diviso d’antico tempo in cinque porzioni che si chiamano volgarmente terzi con diffrenti nomi cioè il Terzo di Vermica, il Terzo di Finocchiara, il Terzo delle Differenze, il Terzo della Ventarola ed il Terzo delle Manche di Monacharia nel qual corso o terzi i cittadini di Isola e Crotone godono il jusso di far pascolare i loro animali in tutto il tempo dell’anno fuorché pecore”. “Nelli due terzi detti della Ventarola e Manche molte porzioni di terre sono chiuse con fossi e vi vien proibito il pascolo ai cittadini. Nel Terzo della Ventarola ci sono molte vigne e giardini di più e diversi particolari di Isola serrati con fossi ben profondi, in modo che non possono farci entrare anzi vien espressamente proibito con pena pecuniaria di poterci pascolare gli animali, quali porzioni di terre per uso di vigne e giardini si trovano a volte concesse ad annuo canone perpetuo (cosicche da detta mensa vescovile di Cotrone che dalla Camera Principale di d.a città d’Isola alli quali attualmente ne corrispondono detti particolari censuari l’annuo canone) e finalmente nel sud.o terzo delle manche di monacharia si ritrova un grande oliveto di circa ottanta tomolate di terre tutto circondato con chiusure di fossi ben profondi che d’alcuni anni in qua si ritrovano piantati e presentemente si possiede d.a camera baronale d’Isola per le quali piante e chiusura di fossi vien proibito ad ogni uno di potervi far pascolare li di loro animali.”[xlvi]

La perdita della natura di “corso” da parte di molti terreni, con l’esclusione della possibilità di pascolo da parte dei cittadini, alimentò le liti che videro impegnati oltre agli abitanti di Crotone, anche quelli di Papanice,[xlvii] dopo che questa terra era riuscita a comprare dal re la demanialità, conservando tuttavia dei privilegi di cui aveva goduto come casale di Crotone. La vertenza si protrasse insoluta nella Regia Camera e nel Regio Sacro Consilio, e riguardava il solo diritto di pascolo senza possibilità “di figgere palo”, né di far tuguri e siepi per i custodi o i loro animali. Ai soli abitanti di Isola era infatti riservato il diritto di semina e di far legna per uso di fuoco.[xlviii]

I cittadini di Isola, infatti, avevano oltre al diritto di pascolo nelle terre rimaste non seminate, senza limitazione di tempo, in tutta l’estensione del Bosco, anche il diritto di “spietrare, allegnare, abbeverare e piantar palo”, senza dover nulla al feudatario. Quest’ultimo, nel passato, per incrementare le entrate e ripopolare il feudo, aveva favorito la trasformazione di parte del Bosco in coltivabile, anche se, nello stesso tempo, aveva precluso agli Isolani il diritto di cacciare in parte del territorio, riducendola a camera riservata al Barone. Per far ciò aveva dato agli abitanti la possibilità di disboscarne alcune parti stabilite. Mentre alcuni terreni erano stati trasformati in vigne e giardini, sempre col permesso del feudatario, al quale era dovuto un annuo canone perpetuo, altri, ed erano la maggior parte, da boscosi erano stati resi seminabili. Gli “occupatori” che a loro spese, li avevano disboscati, avevano così acquisito il diritto non solo di seminarci (lo jus di cesina permetteva a loro di bruciare parte del bosco per ricavare terreno da coltivare) quando volevano e ciò che volevano, ma nessun altro poteva seminarvi senza il loro permesso.

Essi, infatti, occupandoli e disboscandoli avevano acquisito anche il diritto di concederli ad altri, vendendoli, donandoli o cedendoli, con la condizione però che sempre fosse pagato al feudatario il terratico di quella biada che era stata seminata, secondo l’apprezzo da farsi dagli apprezzatori eletti a tal fine, che il feudatario avrebbe ogni anno mandato nel mese di maggio. Il feudatario non poteva obbligare gli “occupatori” a seminare, né imporre alcun genere di semina, ma qualora questo tipo di terreno fosse rimasto non seminato per dieci anni, qualsiasi altro cittadino di Isola avrebbe potuto occuparlo senza il consenso né del primo occupatore, né di colui al quale il terreno era stato ceduto, né del feudatario. Quest’ultimo oltre ad esigere annualmente i terratici dai territori seminati, poteva affittare quelli rimasti vuoti o non seminati, per il pascolo delle pecore.[xlix] Sempre il barone di Isola aveva proseguito la sua azione di privatizzazione trasformando il territorio, o gabella di San Pietro, in camera chiusa, e la concedeva con fitto triennale ad uso di semina, facendo carcerare gli animali, sia degli Isolani che dei forestieri, trovati pascolanti.[l]

Il toponimo “Bosco” persiste all’attualità nelle località “Bosco Braco”, “Bosco Fratte”, e “Bosco Soverito”. Particolare del F. N° 577 “Isola di Capo Rizzuto” della Carta d’Italia 1:50.000 dell’IGM.

Nell’Ottocento

Durante il Decennio francese dopo le leggi sull’eversione della feudalità, sorsero liti tra il comune di Crotone e l’ex feudatario di Isola. In particolare, l’università di Crotone, richiamandosi alla promiscuità di territori che aveva col suo vecchio casale, chiese che il Bosco fosse dichiarato demanio comunale, e lo stesso valesse per la gabella di San Pietro, luogo aggregato al Bosco, staccato illegalmente dall’ex feudatario di Isola, che lo voleva tenere a difesa da ottobre a fine aprile di ogni anno. La questione, tuttavia, fu demandata dalla commissione feudale, al commissario generale della provincia per la ripartizione dei demani e ai giudici ordinari.[li]

Il regio commissario per la ripartizione dei demani, Angelo Masci, nella causa tra il comune di Isola e l’ex feudatario Signor Alfonso Barracco, ed altri interessati per la ripartizione delle terre demaniali site in quel luogo, tra l’altro “considerando che è aperta in tutti i tempi dell’anno la tenuta ex feudale detta Bosco co’ vari suoi membri chiamati S. Barbara, Vermica, Finocchiara, Acquafredda e Gabella di S. Pietro”, e recependo quanto richiesto dal decurionato di Isola, emanò un bando riguardante la terra ex feudale del Bosco e le altre terre ecclesiastiche di “Bugiafaro”, “Anastasi” e “Domine Maria”. Prendendo atto che queste terre erano occupate da coloni perpetui, le escludeva dalla ripartizione, facendole divenire terre nobili, cioè si dava la possibilità ai coloni di consolidare la semina con il pascolo, e di piantare, chiudere e migliorare le terre, senza altro obbligo che di corrispondere all’ex feudatario e alla chiesa, la decima parte dei prodotti della coltura principale, esclusi i legumi.

Ma pur mantenendo le colonie (nel 1863 sul fondo Bosco erano censiti 287 coloni su 2388 tomolate di terra, un quinto delle quali però non coltivabili, mentre la terra rimanente, la migliore, di circa 137 tomolate, era coltivata direttamente dal Barracco), era data ai proprietari la possibilità di sfrattare i morosi. La possibilità di ricattare i coloni, quasi sempre “vassalli” indebitati, sarà utilizzata dai Barracco per ottenere il consenso della popolazione.[lii]

Note

[i] Costituzioni della città e stato di Santaseverina, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, a cura di G. B. Scalise, 1999, pp. 285 sgg.

[ii] AVC, Reintegra delli territori e robbe del vescovato dell’Isola di carte trentanove autentica nell’anno 1520, ff. 5, 8.

[iii] ASCZ, Platea dei redditi di S. M. di Altilia, 1582, ff. 3 sgg. In Miscellanea monastero S. Maria di Altilia, 529, 659, B. 8.

[iv] Fiore G. Della Calabria Illustrata., I, p. 223.

[v] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1646, pp. 67-68.

[vi] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 143-145.

[vii] Toubert P., Dalla terra ai castelli, Einaudi 1995, p. 320.

[viii] Tale appartenenza è documentata anche durante la precedente dominazione sveva, da alcuni atti della prima metà del Duecento, riguardanti “Insula”, ovvero “insula Cotroni”. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 39-41, 44-45, 123-130, 143-145.

[ix] “Drivoni de Regibayo, mil., conceditur foresta seu defensa insule Cutroni.” Reg. Ang. IV, (1266-1270), p. 159. “Scriptum est Drivoni de Regibayo, Regni Sicilie Mag. Iustitiarii Vicem gerenti, quatenus per se vel per procuratorem suum recipiat castrum Cutroni, cum armis ceterisque guarnimentis suis et defensam seu forestam insule Cutroni, ipsaque custodiat usque ad dom. Regis beneplacitum. Datum Neapoli, penultimo iunii XIII ind.” Ibidem, p. 165.

[x] Reg. Ang. VII (1269-1272) p. 157.

[xi] Reg. Ang. XII (1273-1276), p. 136.

[xii] Maone P., Isola Capo Rizzuto, Rubbettino, 1981, p. 87.

[xiii] Dito O., La storia calabrese, Cosenza Rist. 1979, p. 117.

[xiv] “Scriptum est custodibus defensarum et forestarum curie in Terra Bari, Terre Ydronti et per totam Calabriam fidelibus etc. … defensarum et forestarum Insule Cutroni et Iohe de Plano Sancti Martini pro necessariis araciarum nostrarum Calabrie … Datum ut supra (apud Bellumvidere, XVII° februarii VII° indictionis.” Reg. Ang. XLIII (1270-1293), pp. 162-163.

[xv] Reg. Ang. XXXI (1306-1307), p. 71.

[xvi] “Andree de Pratis, militis, exequtoria concessionis custodie turris et insule de tenimento Cutroni nec non palatii et defense Alichie, amoto Ioanne de Genua, milite.” Reg. Ang. XXXVIII (1291-1292), p. 55.

[xvii] “Pro Iohanne de Coronato milite. Scriptum est Iohanni de Coronato, militi, fideli suo etc. De fide, industria et legalitate tua confisi, custodiam turris et insule nostrarum sitarum in territorio Cutroni, nec non palacii et defense Alichie tibi usque ad nostrum beneplacitum, amoto inde Andrea de Pratis, milite fideli nostro, seu quovis alio inibi per nostram curiam ordinato, duximus committendam fidelitati tue presentium tenore mandamus quatenus custodiam dictarum turris et insule, ac palacii et defense sic usque ad nostrum beneplacitum ad honorem et fidelitatem nostram diligenter et fideliter exercere procures, quod possis exinde merito commendari. Datum Nicie, anno Domini etc., die VIII° ianuarii VI.e indictionis.” Reg. Ang. XLIV prima parte (1269-1293), p. 139.

[xviii] Maone P., Isola Capo Rizzuto, Rubbettino, 1981, p. 90.

[xix] 19 giugno 1341. “«Catherina de Melzeria, domina castri Insule et Crapelle», in Calabria ed in Capitanata, «plurimum paupertate gravatur»; onde il Re la dispensa per due anni dal pagamento delò tributo feudale.” Caggese R., Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Volume I, 1922, p. 241 nota n. 2.

[xx] “Catherina Moreria Domina Turris et Insule in partibus Cutroni anno 1344”. Maone P., Isola Capo Rizzuto, Rubbettino, 1981, p. 92, nota n. 31.

[xxi] “Alessandro oltre d’haver posseduto per parte di Catarina Marceria il Castel della Torre, e l’Isola nelle pertinentie di Cutrone, Comprò da Simone Monitio un Feudo presso Lampusa.” Campanile F., L’armi Ovvero Insegne Dè Nobili, 1610, p. 280.

[xxii] Maone P., Isola Capo Rizzuto, Rubbettino, 1981, p. 92.

[xxiii] AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della città dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 412 sgg.

[xxiv] “Civitas Insule milites duos uncias viginti unam.” Biblioteca comunale di Bitonto, Fondo Rogadeo, Ms. A 23 p. 92 (secondo ASNA, ex Reg. ang. 373, f. 84v).

[xxv] “Pro Civitate Cutroni milites tres uncias triginta unam cum dimidia.” Biblioteca comunale di Bitonto, Fondo Rogadeo, Ms. A 23 p. 93 (secondo ASNA, ex Reg. ang. 373, f. 85).

[xxvi] Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini dell’archivio di stato di Napoli, Napoli 1877, p. 99.

[xxvii] ASV, Reg. Vat. Vol. 355, ff. 287-288.

[xxviii] Nel gennaio 1422 la città di Isola è “civibus destituta non nisi a pastoribus habitant in nemoribus et dominio dilecti filii nobilis viri Nicolai axierchias Cotroni situata”. ASV, Reg. Vat. 221, f. 34. Alla metà del secolo, posta in regio demanio dopo la sconfitta del Centelles, Isola risulta tassata solo per 73 fuochi: “Turris insule f(ochi) LXXIII”. Biblioteca Civica Berio di Genova, Liber Focorum Regni Neapolis, IX, 3, 20, f. 86.

[xxix] “Capitoli graciose concessi per per la sacra Regia ma.ta alla universita et homini dela Citate de Cotroni. In primis che la dicta Cita de Cotroni et soy casali unacum Crepacore et la turre delisola quali so membri dela dita Cita siano tenuti sempre imperpetuum in demanio et che de nullo tempo siano concessi in baronia ne in Capitania et Castellania et quando fussi lo contrario loro sia licito auc(torita)te propria etiam armata manu piglareli et reducereli in demanio etiam et disfareli § placet Regie magestati.” Capitoli concessi alla città di “Cutroni” dati “in castris n(ost)ris felicibus prope Civitatem n(ost)ram Cutroni”, l’otto dicembre 1444 VIII indizione. ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 214.

[xxx] “Item che possano fare loro massarie per tucti li tenimenti de cotroni et delli casali et passcere loro bestiame inli dicti tenimenti et talliare ligna allo bosco de lisula et passcere herbagio et glandagio franchi senza alguno pagamento § Placet Regie Ma.ti quod uti possint d(ic)tis herbagio et glandagio prout habitatores Insule utuntur in territoriis dicte Civitatis Cutroni.” Capitoli concessi alla città di “Cutroni” dati “in castris n(ost)ris felicibus prope Civitatem n(ost)ram Cutroni” l’otto dicembre 1444 VIII indizione (ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 214v). Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi al vescovo e all’università e uomini della città di Cotrone durante il sec. XV, Napoli 1923.

[xxxi] AVC, Nota de fatti a pro della u.nità della città di Cotrone contro l’u.nità della città dell’Isola, 1743, f. 12v.

[xxxii] “Lo tenimento nominato lo bosco dell’Isola non è stato arrendato per non ci havere havuto gliandre ver che ci so stati affittati certi bovi et bacche et porci alli herbagi, che ne so pervenuti ducati cento ventuno tari tre et grana cinque et cossi si extima potere valere per anno computati, quando ci so gliandre et quando non secondo la informatione di Messer Dominico L.re D. 200, Dominico Lettere, Regio Percettore e Commissario in Provincia di Calabria, anno 1488. AVC, Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, f. 474.

[xxxiii] ASCZ, Busta 1063, anno 1749, ff. 1-10. AVC, Catasto di Isola 1768, 1800.

[xxxiv] Maone P., Isola Capo Rizzuto, Rubbettino, 1981, pp. 113-115.

[xxxv] “Troylo Ricca, consignatione per se et soi heredi de ducati 400 sopra la gabella della carne et vino della città di Napoli, in exambio dela torre de Insula, la bagliva, lo scannaggio di Cotrone, et territorio d’Antropoli” (1497). “Troilo de Ricca de Napoli ducati 400 annui in perpetuum in escambio della torre dell’Isola, scannaggio, et bagliva di Cutrone et territorio d’Antropuli” (1503). ASN, Regia Camera della Sommaria, Segreteria, Inventario.

[xxxvi] ASN, Quaterno de la fabrica deli rebellini et fossi dela regia cita de Cotrone, 1485, Dip. Som. Fasc. 196, f.lo 1, ff. 1 -38.

[xxxvii] AVC, Nota de fatti a pro della u.nità della città di Cotrone contro l’u.nità della città dell’Isola, 1743, f. 4v.

[xxxviii] AVC, Nota de fatti a pro della u.nità della città di Cotrone contro l’u.nità della città dell’Isola, 1743, f. 13.

[xxxix] AVC, Copia authentica instrumenti transationis inter Univ.tem Crotonis et Baronem Insulanum de nemoribus Civitatis Insulae in anno 1563, in Inventario et Nota delle scritture pertinentino al Sacro Vescovato della Città dell’Isola et al suo Capitolo.

[xl] Maone P., Isola Capo Rizzuto, Rubbettino, 1981, p. 125. Valente G., Isola di Capo Rizzuto, Frama Sud 1982, p. 215. “Magnifico don francesco Antonio Ricca, patrone della città dell’Isola, tra l’altre intrate feudali possede il bosco deli Cuturi et in territorio dela Mortella” (1584-1585). ASN, Regia Camera della Sommaria, Segreteria, Inventario.

[xli] Allora il Bosco “confinava collo bucefalo, via mediante, che si va a Cotrone, con il territorio delli puzzelli, con il territorio di Sacchetta, mediante il vallone, e va a conferire al territorio di S. Andrea”. AVC, Nota de fatti a pro della u.nità della città di Cotrone contro l’u.nità della città dell’Isola, 1743, f. 4.

[xlii] “Cesaro Ricca, barone della città del Isola di Calabria per la fida nel bosco feudale dove ci tiene communità l’università di Cutrone” (1584-1585). ASN, Regia Camera della Sommaria, Segreteria, Inventario.

[xliii] ASCZ, Busta 229, anno 1657, ff. 47-48.

[xliv] Nel 1636 del giardino di Paradiso era rimasto solo “lo terreno per non vi essere giardino”. Valente G., Isola di Capo Rizzuto, Frama Sud 1982, p. 226.

[xlv] G. L. Soda nel 1710 compra per ducati 6000 da F. Lucifero la gabella di Carbonara. Nel 1724 la gabella vale ducati 10.000 “a causa che era buona parte boscosa ed adesso è tutta terra culta”. ASCZ, Busta 662, anno 1724, ff. 113-114.

[xlvi] ASCZ, Busta 854, anno 1746, ff. 30-31.

[xlvii] “Casale di Papanigi Fora, (sic) per la communità del pasculare e lignare nel bosco dell’Isola di Cotrone” (1581-1583). “Università di Papanici, per la promiscuità nel pascere nel bosco del barone dell’Isola” (1588-1589). ASN, Regia Camera della Sommaria, Segreteria.

[xlviii] AVC, Memoria fatta per la causa tra l’università d’Isola e quella di Cotrone, s.d., 139.

[xlix] AVC, Memoria fatta per la causa tra l’università d’Isola e quella di Cotrone, s.d., 139. Notaio G. Reale 28.1.1801 in Valente G., Isola di Capo Rizzuto, Frama Sud 1982, p. 35.

[l] Per ogni animale carcerato il baglivo di Isola esigeva 2 carlini dai paesani, mentre i forestieri oltre ai due carlini, dovevano pagare 15 carlini di “marco seu ferro”. A questi erano da aggiungere i diritti di pernottamento, pascolo e fosso. ASCZ, Busta 666, anno 1740, ff. 158-161.

[li] Vaccaro A., Kroton, I, pp. 503-504.

[lii] Nel 1838 il Barracco intimava ai coloni di Crotone, Isola e Le Castella, di pagare gli arretrati. Petrusewicz M. Latifondo, 1989, pp. 118, 190.


Creato il 2 Marzo 2015. Ultima modifica: 7 Febbraio 2023.

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