Tra isole, scogli e secche nel mare di Crotone

La costa crotonese presso Isola di Capo Rizzuto (KR).

Omero narra che la nave di Ulisse nel suo ritorno verso Itaca, dopo varie peripezie partì dall’isola di Trinacria ma colpita da un fulmine naufragò. Solo Ulisse riuscì a salvarsi. Aggrappato ad un albero fu trascinato dalla corrente attraverso lo Stretto e sfuggì al gorgo di Cariddi e dopo nove giorni fu spinto naufrago nell’isola di Ogigia (l’ombelico del mare), situata nel più remoto occidente, dove fu accolto dalla ninfa Calipso (colei che nasconde), figlia di Atlante e di Pleione.

La ninfa viveva in un antro attorniato da un folto bosco sacro, dove svettavano pioppi, olmi e cipressi e nidificavano il gufo, lo sparviere e la cornacchia. Vicino cresceva la vite e quattro sorgenti perenni mantenevano sempre verdi i prati con erbe e fiori. Secondo la narrazione Ulisse rimase nell’isola alcuni anni poi, rifiutando l’immortalità, costruì con gli alberi una zattera e prese il mare per Itaca.

Odisseo e Calypso. Paris, Louvre Museum (da ancientrome.ru).

Le isole appaiono e scompaiono

Molto si è discusso sulla localizzazione e sull’esistenza di isole nel promontorio crotonese. Lo Pseudo Scilace, Plinio il Vecchio e Diodoro siculo sono i soli che narrano dell’esistenza di isole nel mare di Crotone. Polibio, Strabone e Procopio non fanno alcun cenno alla loro esistenza. Edrisi sembra far riferimento ad una isola davanti a Capo Rizzuto.

Nella cartografia del periodo medioevale e moderno, a volte le isole sono situate davanti a Capo Colonna, altre volte a Le Castella. Il portolano medievale “Compasso da navegare”, pur essendo molto dettagliato, non fa riferimento ad alcuna isola, ma solo a delle secche. Secche ed isole si riscontrano anche in alcuni portolani del Quattrocento. Il Nola Molise non le vede, né le vedranno i vari viaggiatori ed i navigatori che percorreranno le marine di questi luoghi.

Odisseo e Calypso (da Wikipedia).

 

Le fonti antiche

Nel “periplo” del Mediterraneo noto come Pseudo Scilace (338-330 a.C.) sono luoghi marittimi Crotone, il tempio di Giunone Lacinia e l’isola di Calipso: “Post Rhegium urbes hac: Locri, Caulonia, Croton, Lacinium fanum, et Calypsus insula, in qua Ulysses habitabat apud Calypso; et fluvius Crathis, et Sybaris et Thuria urbs.”[i]

Lo storico greco Polibio (200 circa-120 circa a.C.) non accenna alla presenza di isole nel mare di Crotone. Egli affermava che la città era diventata ricca e prospera solo per la sua posizione geografica. Infatti gli abitanti, pur utilizzando rade per ancorare solo in estate ed avendo pochi luoghi favorevoli per l’approdo, avevano accumulato una grande ricchezza. Essi erano diventati ricchi sfruttando la posizione naturale del luogo, che tuttavia non era paragonabile a quella del porto e della città di Taranto.[ii]

Il geografo greco Strabone (60 a.C.-20d.C.) afferma: “vi sono isole che si sono sollevate dal mare, cosa che avviene anche oggi in molti luoghi: le isole che si trovano in alto mare è più probabile che siano emerse dal fondo, mentre è più ragionevole supporre quelle che stanno al largo dei promontori e sono separate da brevi tratti di mare dal continente si siano distaccate da esso”. Descrivendo la costa situa Crotone, a 150 stadi dal Lacinio, e poi viene il fiume Esaro, un porto ed un altro fiume, il Neto.[iii] Anche Strabone non segnala alcuna isola.

Diodoro siculo, storico vissuto tra l’80 ed il 20 a.C., narrando la rotta seguita nel 415 a.C dalla flotta ateniese verso Siracusa, scrive che l’armata greca da Corcira passò il golfo del mar Ionio, quindi superò il promontorio di Iapigia e costeggiando i lidi dei Tarantini, dei Metapontini e degli Eraclei approdò a quelli dei Turi. Salpò poi alla volta di Crotone e quindi si diresse verso Capo Colonna e “Laciniae Junonis fanum praetervecti, promontorium, Dioscuriadis nomine insignitum, transeunt. Pasthaec Scyllectio, quod vocant, et Locris a tergo relictis, prope Rhegium ancoras jaciunt”.[iv]

Nella “Naturalis Historia”[v] di Plinio il Vecchio (23 d.C.-79 d.C.) si legge: “promontorium Lacinium, cuius ante oram insula X a terra Dioscoron, altera Calypsus, quam Ogygiam appellasse Homerus existimatur, praeterea Tyris, Eranusa, Meloessa”. Tali informazioni egli avrebbe ricavato dall’ “Orbis picta” di Agrippa.

Procopio di Cesarea alla metà del sesto secolo, narra che la flotta dei Goti diretta in Grecia “non le capitò di incontrare alcuna isola abitata sul proprio percorso dallo stretto di Cariddi fino a Cercyra”, attuale Corfù. Egli inoltre aggiunge: “anch’io molte volte, navigando in quel tratto di mare, mi son chiesto con stupore dove mai si trovasse l’isola di Calipso, perché in quelle acque non ho veduto nessuna isola”.[vi]

“Calypsus vel Ogygia” in una mappa seicentesca (da ilcirotano.it).

Portolani

Il geografo arabo Edrisi alla metà del dodicesimo secolo, così descrive la costa dal fiume Tacina a Capo Alice: “Da Tacina al fiume Simeri, che offre ancoraggio sicuro, dodici miglia. Da questo fiume all’isola di Isola che è piccola isola vicina al continente , sei miglia, Dall’isola di Isola al porto L’orecchino di Maria, nel quale cresce la scilla di mare, sei miglia. Da questo a Le Colonne che sono avanzi di antica costruzione, sei miglia. Dalla città Le Colonne a quella di Cotrone , che altri chiamano Cotrona, città primitiva antichissima, primitiva e bella, dieci miglia. Ha mura difendevoli e porto ampio dove si getta l’ancora al sicuro. Dalla città di Cotrone al fiume di Santa Severina, fiume piccolo dodici miglia. Da questo a Capo Alice, ventiquattro miglia.”[vii]

Il portolano della fine del Dodicesimo secolo “Liber de existencia riveriarum et forma maris nostri Mediterranei” segnala un’isola a nord dell’abitato di Tacina: “A Littuna usque ad Crotonim mil. xxx. ab Ariensibus a Miscello Achefetoniam dictam. Inde ad Tacina .Iv., habens in aquilone insulam, et ab africo volvitur sinus Squillacis habens a capite Tacine ad aliud caput ubi est Squillace Scylaceum ab Athenensibus dictum, ml xIx. In fundo vero sinus est villa que dicitur Cathentana.”[viii]

Anni dopo, il portolano medievale noto come “Compasso da navegare”, la cui compilazione risale al gennaio 1296 (codice Hamilton 396), indica una secca al largo del porto di Crotone e così descrive la marina dal golfo di Squillace a Punta Alice:

“Del golfo de squillaci al capo de Castelle Ix mil(lara) per greco ver lo levante. Del capo de Castelle al capo de le Colomne x mil(lara) entre greco e tramo(n)tana. Del capo de le Colonne a Cotrone x mil(lara) p (er) tramontana. Cotrone è bo(m) porto p(er) tucti ve(n)ti, ma non è bono p(er) greco. L’intrata enno porto: venite da mecco di, va propo del castello de Cotrone iij prodesi e va entro <entro> che sie entre lo castello de Cotrone, (et) en quello loco sorgi, che sopre lo castello de Cotrone à Ia secca de xij palmi, (et) è lontano del castello vj prodesi, (et) è en mare al castello p(er) greco. E se volete entrare da tramontana, va iij prodesi appresso de la terra. De Cotrone a la lena de Lechia xxv mil(lara) p(er) lo greco ver la tramontana. De lo capo de Lechia a Rossano xI mil(lara) p(er) maest(r)o. De Strongolino, ch’è sopre la Lechia, va fora en mare ij mil(lara), che tucto è secco. En lo capo de la Lechia podete sorgere se venite co(n) fortuna de sirocco e d’ostria. E questa lena de Lechia è l’intrata del golfo de Taranto.”[ix]

La Calabria in un particolare della c.d. Carta Pisana della fine del sec. XIII conservata alla Bibliothèque Nationale de France di Parigi (foto da gallica.bnf.fr).

Alcuni portolani del quattrocento offrono altre testimonianze.[x] Il portolano noto come Parma- Magliabecchi segnala una secca al largo di Capo delle Colonne e sul Capo una chiesa bianca ed a due miglia una torre: “Da cavo desquilati (da greco) al cavo delle colonne 20 miglia quarta di greco ver tramontana e fa honore al cavo, che ve una secha. / Da cavo delle collonne al cavo delle leque 100 miglia per grecho (e a riparo a greco e a tramontana sotto la chiesa e arai fondo dotto passi. / La cognoscenza del cavo e un cavo piano con una chiesa su biancha e da greco a due miglia certe torre). / Da cavo delle collonne a chottrone 30 miglia per maestro. / (Da chotrone a taranto 70 miglia per tramontana).

Il portolano Rizo indica un ancoraggio a Tacina, due piccole isole al largo di Le Castelle, molti scogli sia a levante che a ponente del porto della città, città che è quasi isolata ed ha cattivo porto e scogli. Sopra Capo Bianco vi è una secca chiamata “rizeto”e presso il porto di Crotone ci sono le secche dette Santa Maria.

“Da scilazi ale chastelle greco e garbin mia 15. / Da schilazi ala fossa de chrapina mia 15. / Da chrapina ale chastelle mia 15. / Chastele e cita e soura le castelle a mio uno sono do ixolete et intorno vi sono molto aspreo e simelmente alo statio dela cita chusi da levante chome da ponente la cita e quasi ixolada et a mal statio, et aspreo e dale chastele a chavo biancho per ostro quarta de grego ver levante mia 10. / Soura chavo biancho per ostro mia 2 in mar e una secha che a nome lo rizeto. / Da chavo biancho al cavo dele cholone grego e garbin e sono mia 16. / Al chavo dele cholone e statio per tramontana mia 5. / Volzando lo cavo intorno fina al maistro ala cita de cotron mia 7. / Dal chavo dele cholone al chavo de lequi quarta de grego ver la tramontana mia 120. / Dale cholone ale merlere q. de gre. ver lo levante mia 185. / Dal chavo dele colone a taranto o. e tra. e tocha del ma. mia 20. / Cotron e citade e quaxi porto e bon fondi choverto dal sir. fin al maistro et a una tore che e a marina e quivi dasse lo prodexi e le anchore de fuora e a un scoieto molto picholo al chastello de chotron sono molte seche e vasse dentro per chanal con navilij pizoli ed e bon statio per ogni vento chiamase le seche de sancta maria. / La cognoscenza de chotron e chusi fata de ver maistro e montagne alte infra terra e soto la mazor montagna de tra. si lieva una montagna forchada quaxi fata chomo un rocho che vie dita san Nicolo de lena e da chotron a quella montagna mia 25.

Entro grego e tramontana honora la dita lena mia 2 quando tu anderai et e fondi pian e pizolo e dixesi lena de licha, l altra lena entro grego e tramontana mia 12 honora la dita ponta mio uno da quella ponta de ver maistro e un sorzador quasi scampador dal ostro fin al maistro ala volta de ponente. / Da chotron ala lena de lenza maistro e tramontana mia 12.”

La Calabria nel particolare di in una carta anonima (1480) conservata alla Bibliothèque Nationale de France di Parigi . In primo piano: “schilazi”, “castelle”, “cao delle collone”, “cotroni” e “lene” (foto da gallica.bnf.fr).

Notizie simili ci fornisce anche il turco Piri Reis (1521). “Il summenzionato Qutōrōnde [Crotone] si trova sulla linea costiera volta a grecale. È una rocca di fronte alla quale vi sono dei bassifondi: li chiamano Ṣāmārya. I piccoli navigli vi ormeggiano in ogni direzione. Se invece davanti alla summenzionata rocca approdano (delle) galere attraccano gettando (un’)ancora verso grecale e ancora (un’)altra in (direzione di) libeccio, verso l’interno, legando la gomena alle gettate del molo: l’imbarcazione viene assicurata da tre lati. Di fronte al summenzionato borgo ci è un’isoletta; su quell’isoletta, che chiamano Ṣān Niqōla, vi è una chiesa. Ora certe galere, disposto l’ancoraggio verso libeccio, attraccano assicurando (un’)amarra a quella chiesa e legando (un’)altra gomena al molo.

Nel lato di scirocco della summenzionata isola con sopra la chiesa vi è una secca. È da quell’isola si deve prendere necessariamente l’abbrivio verso il mare aperto; e se, venendo dal mare vuoi riconoscere i segni (scil. che individuano) il predetto borgo, (eccoli): dal lato di maestrale del suddetto borgo, a una distanza di 25 miglia, si scorge un’alta montagna; sotto quel monte, a tramontana, si scorge un altro monte. Il monte di cui sopra viene chiamato Ṣān Niqōla. Il suddetto borgo si riconosce da qui due monti.

A circa 7/8 miglia dal lato di scirocco del summenzionato borgo vi è un promontorio, chiamato Qāvo Qolōn. Su quel promontorio si ergono due colonne di marmo. Quelle colonne sono un buon punto di riferimento. Per questo dicono «qāvo qolōn», che sta a significare «promontorio del(la) colonna». In direzione di maestrale, nel lato (prospiciente) il borgo di Qutōronde, vi è un’insenatura, all’interno della quale, Deo (favente), vi è una sorgente. (Dal)la sorgente (sgorga) acqua di ottima sapore.

Quindi miglia a nord (sic) del summenzionato Qāvo Qolōn vi è un borgo, che chiamano Quadīn. Si trova all’interno, (sulla cima di) un monte. È città mercantile, praticando la gran parte (degli abitanti) l’arte del velluto.

Da Qāvo Qolōn a Qāvo Biyānqō, che significa «capo bianco», (corrono) 16 miglia. Fra di essi vi è un promontorio che chiamano qāvo Fīgō, ovvero «capo di fico». Sul lato di libeccio di quel capo vi è un’insenatura, che chiamano «cala di fico». Su quella medesima costa, Deo (favente), vi è una sorgente. (Dal)la sorgente sgorga acqua di ottimo sapore. Entrambi gli specchi d’acqua sono luoghi d’ancoraggio.”

Piri Reis (1521). La costa crotonese, la città di Crotone, la chiesa di Santa Maria del Mare, Castellace, Capo delle Colonne e la città di Catanzaro (Walters Art Museum, Baltimore).

“Il suddetto Qāvo Biyānqō è un piccolo promontorio bianco. Davanti a quel promontorio vi è una secca che chiamano şāyqā di Qāvo Biyānqō e che si estende fino a tre miglia di distanza. Fra quella secca e la Rumelia transita la flotta. Oltre a ciò, in una (sorta di) penisola, vi è un promontorio, che chiamano Qāvo Tūrvātō. Il lato di libeccio del summenzionato promontorio è un buon punto d’approdo: tale punto lo chiamano Pōrtō Tūrvātō. Oltre a ciò, in una (sorta di) penisola, vi è ancora un promontorio; all’interno del suindicato promontorio vi è un borgo, che chiamano Qaṣtālō. Ai due lati del suddetto borgo vi sono due insenature. Queste insenature sono un buon punto d’attracco per piccole imbarcazioni. A un miglio di fronte vi sono due piccole isole e la rocca è transitabile dalle imbarcazioni (benchè) il lato dei due isolotti sia disseminato di scogli.”[xi]

Piri Reis (1521). La costa crotonese, Capo delle Colonne, Le Castella (Walters Art Museum, Baltimore).

Altre testimonianze

Il Nola Molise alla metà del Seicento, trattando di capo delle Colonne, così si esprime: “Al frontespicio di detto capo da diede miglia in circa distante apparivano due isolette l’una chiamata Diescoro, et l’altra Calipso, da Homero Ogigia nominata, le quali hoggi non pareno … Nel mare vi si pigliano coralli rossi, et bianchi, ci sono ancora pesci d’ogni sorte, che se ne pescano di ogni tempo, perche havendo scogli grandi, che lo cingono à torno, il pescatore può pescare coverto dal vento in quella parte, dove più l’aggrada”.[xii]

Ancora alla fine del Settecento nel “Dizionario” del Giustiniani troviamo: “Calipso una delle piccole isole del Regno di Napoli forse un tempo abitata … oggi non è altro che un abbandonato scoglio nel golfo di Cotrone”. Henry Swinburne nel suo Viaggio in Calabria (1777-1778) partì prima dell’alba da un insenatura di Capo Rizzuto e si spinse con la barca remando al largo verso un’isola indicata su tutte le carte come quella di Calipso. “Il tempo trascorso dal tempo di Ulisse la aveva di molto cambiata, altrimenti gli abitanti vi sarebbero morti di fame. Questa isola oggi può appena nutrire un montone. Alcuni cespugli di lentischi sono oggi i soli resti di quei superbi alberi che il re di Itaca fece abbattere per costruire le sue zattere. Gli Scoliasti hanno indicato l’isola di Calipso al Capo Rizzuto, perché esso si trova precisamente ad est di Corfù, essendovi Ulisse spinto da un vento di ovest.”

Il francese Giovanni Richard abate di Saint-Non, tra l’estate e l’autunno del 1778, proseguendo il suo viaggio assieme ai suoi pittori, da Crotone si recò a Capo Colonna quindi “continuammo il nostro cammino e ci dirigemmo verso Isola, passando per il monte della Sibilla … L’aria era perfettamente limpida ed il mare totalmente calmo. Scrutammo ovunque in quel mare con il gran desiderio di scoprire l’isola famosa di Calipso, che le antiche carte situano a poca distanza dal promontorio. É essa uscita interamente dalla immaginazione di Omero o il mare se l’è ripresa … quello che è certo è che noi non vedemmo alcuna isola …”.

Louis-Jean Desprez, La toré de la Cape Colonne, 56p, 1778. Stoccolma Kunglig Akademien för de fria Kosterna, P49:1, pp. 204-205 (da Lammers P., Il viaggio nel Sud dell’Abbé de Saint-Non, Electa Napoli, Napoli 1995, p. 236, fig. 223a).

Le secche

La penisola crotonese presenta ancora oggi evidenti fenomeni di scivolamento dello strato arenoso sullo strato argilloso, che unito a condizioni di bradisismo, di fragilità e di erosione, determinano il distacco di agglomerati rocciosi, che vanno a formare lungo la costa un continuum di scogli e scogliere.

In tempi recenti esisteva un grande scoglio sul quale era situata la chiesa di Santa Maria del Mare davanti al molo della città di Crotone. Il fenomeno è più evidente nei promontori di Capo Colonna, Civiti, Capo Rizzuto e Le Castella, dove all’azione di franamento della panchina si unisce quello dell’erosione delle correnti e del moto ondoso del mare. L’evoluzione storica del fenomeno è evidenziata dall’analisi dei ruderi del tempio di Hera Lacinia, della villa di età romana a Capo Civiti, del castello dei Caraffa a Le Castella e dell’abitato di Tacina.

L’arretramento del bordo esterno e l’erosione dei capi dall’epoca classica ai giorni nostri, hanno dimezzato nel primo caso il castrum romano ed intaccato l’area su cui sorgeva il tempio, tanto che la colonna del tempio che distava dal mare oltre un centinaio di metri, oggi è a strapiombo; nel secondo ha fatto collassare in mare gran parte della villa romana; nel terzo ha distrutto parte del castello e della scogliera su cui era stato edificato. Per quanto riguarda la terra di Tacina, abitato scomparso nel XVI secolo, la costa in questa località ha subito nei secoli un profondo mutamento. Il capo di Tacina citato dal “Liber” ed in precedenza dall’Edrisi: “Tacina è città piccola, ma popolata, posta su di una punta di terra che sporge in mare”[xiii] non esiste più.

L’erosione della costa da Capo Colonna al Tacina è stata continua ed evidente nei secoli. Metà della torre regia di Iacopio, in località Campolongo, iniziata a costruire all’inizio del Seicento e rimasta incompiuta, è precipitata in mare. Lo stesso destino è toccato alla torre regia di Manna, costruita nella seconda metà del Cinquecento presso Capo Civiti.

L’abitato di Le Castella ha dovuto nei secoli proteggersi dal mare. Tra i Capitoli chiesti al re nel 1491 dall’università delle Castella si legge: “… dicta università e vexata continuamente dal mare, che per le grandissime tempestate rumpe le mura et case per la qual cosa bisogna de continuo stare parati ali ripari et fabbriche per la rujna et danni che loro fa …”.[xiv]

Lo stesso destino subiranno anche i baluardi e parte della nuova cinta urbana cinquecentesca edificati da Andrea Caraffa. In tempi più recenti, per proteggerla dal mare, si è dovuto trasferire la chiesa parrocchiale, che anticamente era situata nel luogo detto “lo castello vecchio”. Infatti nel 1771, la chiesa arcipretale è nell’imminente pericolo di rovinare, “situata sopra uno scoglio, che viene continuamente battuta dal mare, con un pontone, o sia pilastro a mano sinistra dalla porta che minaccia imminente rovina, giachè oltre di trovarsi il pedamento del tutto lesionato, perché sta situata sopra un picciolo scoglio il quale comparisce fragolo, o sia aperto in guisa tale nel solo rimirarsi fa conoscere non solo il pericolo imminente della rovina ma anche quello de cittadini. Per tal causa le mura della chiesa sono lesionate ed aperte”.

Gli abitati di Cutro e di Roccabernarda sono stati sovente rovinati dal terremoto. Non abbiamo notizia sui terremoti, che hanno interessato la località, in tempi antecedenti al Seicento. Tra i fenomeni tellurici successivi sono da ricordare quelli del 1638, del 1744 e del 1832. Essi hanno colpito specialmente i paesi della vallata del Tacina. Nelle note di Tomaso Aceti (1687-1749) al Barrio, relative a Cutro, si legge: “In hoc agro extat lacus ebulliens dum proximum mare effervescit”.[xv]

Nella descrizione dei fenomeni avvenuti in territorio di Cutro durante il terremoto del 5 febbraio 1783 si trova che: “… Imperochè poche ore prima che avvenisse il rovinoso tremoto de’ 5 febbraio (1783), veduto il mare retrocedere dal loro lido, fuggirono tutti dalle case, temendo che rimettendosi con furia gli avesse soverchiati, cosa che non avvenne …”. Mentre in territorio della vicina Roccabernarda: “Nelle campagne si fecero molte fenditure; e presso a Pentoni nel punto della scossa de’ 5 aprile comparvero de’ fuochi volanti sulla superficie della terra”. “Nelle Castella poi, paese alla riva del Jonio presso alla famosa Torre di Annibale, si vede mezzo diroccato il castello, e il resto delle abitazioni notabilmente lesionato”.[xvi]

Tra i fenomeni descritti durante il terremoto dell’otto marzo 1832 che distrusse particolarmente Cutro ed i paesi vicini: “Il mare si alzò nella imboccatura del fiume Targine fin ad allagare buona porzione di maremma dello Steccato e Migliacane. Si sono spezzate eziandio delle rocce, da cui staccate masse sono cadute ai piedi loro ed alle falde”. In località Steccato, “nella terra si aprirono delle profonde voragini da cui fuoriuscì acqua bollente e sabbia, mentre nei giorni seguenti si sentiva un forte odore di gas idrosolforico”.[xvii]

Alcuni studiosi affacciano l’ipotesi che nell’antichità questi fenomeni hanno dato origine alle isole narrate da Plinio e che poi gli stessi fenomeni, le abbiano col tempo ridimensionate e trasformate in secche. Essi fondano questa convinzione sul fatto che la cartografia storica evidenzia un significativo e continuo arretramento della linea di costa. Le carte dell’Istituto Geografico della Marina indicano una secca davanti a Capo Colonna; la secca di 2 m si estende dal Capo per circa 200 m verso Est. Due secche davanti a Punta di Le Castella con fondali di 3,5 e 4,5 m. Tre secche ad est- nord-est di Capo Rizzuto: una stretta e lunga a 3 m di profondità e quasi attaccata alla terra; una più a Nord in forma di martello con profondità media 10 m; tra le due un’altra secca più vasta, profonda agli orli 8 m., nel centro appena 4 m. a livello delle acque basse.[xviii] Secche e scogli sono stati in passato causa di molti naufragi avvenuti sul mare di Crotone.

Scogli a Capo Colonna presso Crotone.

 

Naufragi sulle secche

17 giugno 1594. – Il vascello Santo Antonio del “patrone posticzo” Nicolò Greco di Trapani, carica olio, formaggio e ricotte a Gallipoli per portarle a Napoli per conto di Francesco Antonio Ferigno, Fabio Casarato e Jacono Scarcello. Durante la notte con “vento forzato di greco e tramontana” e per paura di vascelli nemici, il vascello è “ammarato in terra et nci era maretta et sicchi si rivoltò la volta di mare”. La barca si arena “traverso al Capo di Neto” vicino alla torre di Strongiolo.[xix]

31 maggio 1670. – La nave Santa Anna del capitano genovese Ambrosio Vallarino carica grano a Campo Marino per portarlo a Genova o Livorno. In tempo di notte “per casi fortuiti” naufraga nella marina sotto la città di Strongoli.[xx]

Gennaio 1716. – La tartana Sant’Anna del patrone francese Bartolomeo Augier di S. Orpè, con i marinai Giacomo Digno, Michele di Audio, Onorato Solimano, Pietro Frido, Onorato Clemente, tutti di Santo Orpè ed Andrea Gatto di Taglia di Genova, arriva al porto di Crotone. A causa di una burrasca finisce sulle “secchi di terra vicino al molo circa cento passi” ed “in detta tartana vi sono palmi sei e mezo d’acqua entrati in detta tartana dalli bucchi nella carina”.[xxi]

3 gennaio 1732. – La tartana “San Giovanni Battista” del patrone napoletano Antonio Sposino, abitante in Malta, che trasporta tabacco, legname, olive, grano, orzo, ecc., la sera del 2 gennaio “diede fondo a Capo Rizzuto”. Per la gran forza del vento di scirocco e levante che faceva tempesta è abbandonata dall’equipaggio. La tartana a causa della tempesta, lasciato l’ormeggio, va ad arenarsi sulle secche nel mare tra Capo Ricciuto e Le Castella.[xxii]

Aprile 1734. – La tartana “La Madonna del Lauro e L’Anime del Purgatorio” del patrone Giacomo di Lauro del Piano di Sorrento, con i marinai Gabriele di Martino, Giacchino di Trapani e Cristofaro Rosso del Piano di Sorrento e Domenico Crace ed Angelo Domenico de Lilla di Trani, naufraga per il maltempo sulle secche della marina di Crotone presso il Convento degli Osservanti.[xxiii]

Tartana (da cherini.eu).

Naufragi sugli scogli

In un diploma del 1131 si legge che Goffredo Loritello, figlio del conte Rao, dimorava in “castrum Asylorum, … propter navem genuensium Alexandra profectam, quae prope portum illisa scopulis perfracta fuerat”.[xxiv]

27 febbraio 1667. – Domenico Chiara della città di Messina, patrone della barca Santa Maria di Portosalvo, con cinque marinai salpa da Messina con un carico di lino e cordame. Dopo aver fatto scalo a Le Castella all’alba del 27 febbraio salpa per Rossano, ma sorpreso dal maltempo ripara a Capo di Mezzo. Alla sera, vedendo che il tempo migliorava, riprende il viaggio ma fatto “mezo miglio a dritto” è sorpreso da una tempesta e imbarca acqua. Per il pericolo di affondare “dettimo negli scogli”. I marinai si salvarono ma la barca andò a fondo con la mercanzia.[xxv]

14 novembre 1669. – La tartana “Santa Maria di Porto Salvo e L’anime del Purgatorio” del patrone Domenico Talamo di Positano, partita da Roccella per Gallipoli per imbarcare olio, a causa di una tempesta con vento di greco e tramontana, finisce sugli scogli di Capo Rizzuto. Infatti la tempesta “trasportò detta tartana nelli scogli di detto capo et ivi si sfece”.[xxvi]

9 dicembre 1669. – La barca di A. Giandola a causa di una burrasca finisce sugli scogli di Capo Rizzuto.[xxvii]

1695. – La feluca La Madonna di Porto Salvo del patrone Giovanni Bova di Messina, noleggiata nella marina di Strongoli a Gioseppe Morisco, assieme a quella di Paulo Cafioti noleggiata a Domenico Rogano, caricano manna per portarla a Livorno. Sorprese da una tempesta, la feluca condotta da Gioseppe Morisco si salvò “adietro detto Capo et la feluca di patron Paulo diede alli scogli del Capo et si fece mille pezzi”.[xxviii]

Settembre 1696. – Una tempesta fa schiantare l’ammiraglia pontificia “Sant’Alessandro” sugli scogli di Capo delle Colonne.[xxix]

23 aprile 1744. – La tartana “La Madonna della Grazia e L’Anime del Purgatorio” del patrone Marco Cappiello, con i timonieri Antonio Capiello, Andrea Miniero e Antonio Iaccarino, tutti del Piano di Sorrento, noleggiata in Napoli dal mercante Marco Torre, si reca a Brindisi e Gallipoli ed imbarca olio per condurlo a Livorno, Genova e Marsiglia. La mattina del 2 aprile “verso le due ore di detta mattina, prima di spuntare il sole, assieme con due altre navi veneziane ed un pinco carico d’oglio del patrone Agostino Paturzo, “che detto pinco, ed una di dette due navi ivi si scassarno, perché eravi aria di borasca, nebbia e maltempo, non vedendosi troppo buono andò la detta tartana in detto Capo delle Colonne all’arena”. Dopo molti sforzi i marinai riuscirono a tirare la tartana nell’ acqua ma a causa “dal battere che fece in detta arena e scogli” la tartana fa acqua.[xxx]

2 febbraio 1751. – La nave “La SS.ma Concezione e S.Aniello” con 16 marinai di equipaggio, tra i quali i timonieri Andrea Masturso, Antonino Balsamo e Aniello Gargiulo, i patroni e capitani Vincenzo e Gasparo Romano del Piano di Sorrento, ed i marinai Domenico Esposito, Francesco Maresca e Paulo Auriemma, carica fave, ceci e lenticchie a Taranto, forniti dal negoziante di Taranto Giangiacomo Filippo Pagliano, per conto del mercante napoletano Gennaro Antonio Brancaccio. Sorpresa da un “fortunale di scirocco e levante, con forza di vele, e colla proda a greco, e borasche di acqua, e vento e neglie e mare grossissimo”, cerca di ripararsi nel porto di Le Castella. Non potendovi entrare a causa della forza del vento e del mare, “diede fondo sotto delle secche” ma rotte le ancore, la nave “andò traversa dentro li scogli di terra, dove per il gran mare battendola sopra detti scogli si fece tutta pezzi a pezzi”.[xxxi]

24 ottobre 1758. – La tartana del patrone Martino Cafiero del q.m Bartolomeo del Piano di Sorrento imbarca grano in Ancona per Genova. Giunta vicino a Crotone “diede ad un scoglio sotto l’acque tra il Capo delle Colonne e questa città di Cotrone, fece la rottura nella carena, per la quale rottura fece quantità d’acqua, che fu costretto portarsi in questo porto”.[xxxii]

11 dicembre 1760. – La feluca “S. Maria di Portosalvo” del patrone Giuseppe Jannolo di Fiumara di Muro, con undici marinai di equipaggio, diretta da Messina per Gallipoli con un carico di fichi, per ripararsi da una tempesta dà fondo al porticello di Capo Rizzuto. A causa del fortunale e del mare tempestoso, rotte le funi delle ancore, la feluca finisce “entro le scoglie di detto capo, e detta filuca subito si aprì da sotto incominciando a far dell’acqua … detta filuca rimase tutta scassata e fracassata”.[xxxiii]

Note

[i] S. 13, d.

[ii] Storie, framm. lib. X, 3-4-5-6.

[iii] Geografia, VI, 56.

[iv] XIII, 3.

[v] III, 10.

[vi] Bell. Got. VIII, 22, 19.

[vii] Amari M. e Schiaparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero” compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, pp. 132-133.

[viii] Gautier Dalché P., Carte marine et portulan au XIIe siècle, Rome 1995, p. 157.

[ix] Debanne A., Lo Compasso de navegare, 2011, p. 49.

[x] Kretschmer K, Die italienischen Portolane des Mittelalters, Berlin 1901, pp. 309, 491-492.

[xi] Delio Vania Proverbio, La Costa del Crotonese nel KITĀB-I BAḤRĪYE di PĪRĪ RE’ĪS, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, vol. 69 (2002), pp. 105-108.

[xii] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, pp. 65- 66.

[xiii] Amari M. e Schiaparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero” compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p. 132.

[xiv] Trinchera F., Codice Aragonese, III, pp. 48 50.

[xv] Barrius G., De antiquitate et situ Calabriae, Roma 1737, p. 298.

[xvi] Vivenzio G., Istoria e teoria de’ tremuoti, Napoli 1783, p. 327.

[xvii] Camposano L., Il terremoto dell’8 marzo 1832, Garraffa 1998, p. 52.

[xviii] De Grazia P., Sull’esistenza di alcune isole nel Mar Jonio presso Crotone, Napoli 1930, p. 333.

[xix] ASCZ, Busta 49, anno 1594, ff. 118-121.

[xx] ASCZ, Busta 253, anno 1670, f. 51.

[xxi] ASCZ, Busta 659, anno 1716, ff. 6-7.

[xxii] ASCZ, Busta 664, anno 1732, ff. 68v-69.

[xxiii] ASCZ, Busta 664, anno 1734, ff. 70-71.

[xxiv] Trinchera F., Syllabus Graecarum Membranarum, 1865, pp. 146-148 n. CXI.

[xxv] Valente G., Isola, p. 25.

[xxvi] Notaio G. S. Bonello, 16.11.1669, ff. 33-37.

[xxvii] Notaio G. S. Bonello, 11.12.1669, f. 46.

[xxviii] ASCZ, Busta 470, anno 1697, f. 85.

[xxix] ASV, Princ. 126, f. 456.

[xxx] ASCZ, Busta 912, anno 1744, ff. 19-20.

[xxxi] ASCZ, Busta 1069, anno 1751, ff. 3-4.

[xxxii] ASCZ, Busta 1267, anno 1758, ff. 82v-83.

[xxxiii] ASCZ, Busta 1372, anno 1760, ff. 280-283.


Creato il 12 Marzo 2015. Ultima modifica: 7 Aprile 2024.

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