Gli Ospitalieri, i Templari ed i casali di S. Martino e di S. Giovanni in territorio di Genicocastro, poi Belcastro

Belcastro teste localita Cappella

Teste coronate di spoglio poste all’ingresso del casino in località La Cappella di Belcastro.

Secondo la tradizione cavalleresca, l’ordine degli Ospitalieri si sarebbe formato precedentemente alla prima crociata (1099) in Gerusalemme, presso la chiesa di San Giovanni Battista. La fondazione di quello dei Templari sarebbe avvenuta successivamente, presso il tempio di Salomone.

 

Antiche presenze

La presenza nel Crotonese degli ordini costituiti in Terra santa, risulta molto antica, come testimoniano atti dei primi anni del secolo XII.[i]

Alcuni documenti della fine del secolo, accennano invece, genericamente, alla particolare posizione di privilegio che godevano gli Ospitalieri ed i Templari, riferendo i contrasti con le autorità ecclesiastiche calabresi.

In relazione all’accumulazione che la chiesa andava realizzando attraverso la stipula di legati testamentari, infatti, i due ordini avevano la possibilità di attrarre i lasciti e le donazioni, in misura certamente maggiore rispetto ad altri, potendo assicurare le sepolture e la celebrazione delle messe, in un ambito sacro di assoluta preminenza, garantito dal proprio radicamento presso i luoghi santi posti ultramare.

Tutto ciò non poteva che generare frizioni nei rapporti tra i due ordini ed il clero secolare calabrese, come registrano alcune testimonianze.

Il 10 agosto 1191 Celestino III, ordinava agli arcivescovi, ai vescovi e a tutti gli “ecclesiarum praelatis” della Puglia, della Calabria e della Sicilia, di non impedire con scomuniche ed interdizioni, la libera sepoltura nelle chiese dei Templari.[ii] Già dieci anni prima, invece, Alessandro III aveva scritto agli arcivescovi, ai vescovi ed ai “praelatis” della Puglia e della Calabria, disponendo che si astenessero dall’esigere la quarta parte delle elemosine lasciate ai “fratribus Militiae Templi[iii] e subito dopo, si era rivolto a tutti gli ecclesiastici di Sicilia e Calabria, affinchè permettessero ai “Fratribus Hospitalis Jerosolymitani S. Johannis”, di “quaestuare” una volta all’anno nelle loro diocesi.[iv]

 

Due casali scomparsi

Particolarmente rilevante fu la presenza degli Ospitalieri e dei Templari nella Valle del Tacina, area strategica di collegamento tra le contee di Crotone e Catanzaro, che poteva giovarsi degl’importanti sbocchi portuali di Tacina e Le Castella.

Il possesso di “Sancti Nicolai qui dicitur de Hospitali”, posto “in tenimento Musurace (sic) in loco qui dicitur Fulco” o “Fella”, si rileva in un atto dell’aprile 1218[v] mentre, relativamente agli anni 1228-1229, troviamo i “magistri et provisores inperialium castrorum”, “frater Burrellus tenplarius” e “frater Rogerius hospitalarius”, impegnati a condurre un’inchiesta presso gli abitanti di alcune terre del Severinate, tesa ad accertare se l’abbazia cistercense di S.to Angelo de Frigillo, fosse tenuta a concorrere al riparo e al servizio dell’ “inperialis castri Sancte Severine”.[vi]

Tra le chiese e gl’insediamenti che i due ordini ebbero in quest’area durante il Medioevo, una particolare rilevanza ebbero due casali posti in territorio di Genicocastro (dal 1331, Belcastro): quello di San Martino appartenente agli Ospitalieri e quello di San Giovanni dei Templari.

La presenza dei due casali è documentata per la prima volta, nella “Cedula subventionis in Iustitiaratu Vallis Grati et Terre Iordane” del 1276 dove, oltre alla città di Genicocastro, compaiono i suoi due casali: quello di “S.tus Ioannes de Genicastro”, tassato per unc. 11 tar. 13 gr. 16, e quello di “S.tus Martinus de eadem Terra”, che fu tassato per unc. 6 tar. 7 gr. 4.[vii]

L’esistenza dei due casali è confermata in altri atti della cancelleria angioina dello stesso periodo, quando “S. Giovanni di Genitocastro” e “S. Martino di Genitocastro”, risultano nell’elenco delle terre appartenenti al giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana[viii] mentre, in un altro elenco superstite, relativo alle “Responsales de receptione quaternorum”, risultano riportati come “Sanctus Iohannes de Terricoristro” (sic) e  “Sanctus Martinus de eadem terra”.[ix]

Tale presenza, comunque, può essere ricondotta già agli inizi del Duecento, al tempo del dominio di Riccardo Fallucca, come evidenzia un atto del marzo 1276 che, in relazione al servizio feudale dovuto al re, elenca ancora tra i feudatari del giustizierato di Valle Crati e Terra Giordana, “Riccardus de Cacurio (sic), dom. Genitocastri et casalium”.[x]

 

San Martino

Alcune testimonianze medievali ci permettono di evidenziare che il territorio del casale di San Martino, si estendeva tra quelli di Genicocastro e di Mesoraca.

Gli antichi possedimenti degli Ospitalieri in quest’area, emergono seguendo le vicende di alcuni feudi ed in particolare, delle terre dette di Santa Eugenia che, in seguito, continueremo a trovare nei documenti dei secoli successivi, tra quelle appartenenti al patrimonio gerosolimitano.

L’esistenza di una chiesa intitolata a Santa Eugenia durante il periodo normanno-svevo, si desume da due documenti, evidentemente falsi, riguardanti la concessione da parte di Federico II all’abbazia di S.to Angelo de Frigillo, del “tenimentum” o “locum” detto “Sancte Eugenie”, posto “in territorio” o “tenimento Policastri” (sic, ma Belcastro).

Nel primo di questi, datato settembre 1224, Pietro de Logotheta camerario imperiale di Calabria e Terra Giordana, in esecuzione del mandato imperiale e per il libero pascolo dei suoi armenti, assegnava all’abbazia di S.to Angelo de Frigillo, il “tenimentum Sancte Eugenie in territorio Policastri (sic) comitatus Catanzarii”, già adibito allo stesso uso al tempo di re Guglielmo II dai conti di Catanzaro, oltre a quello “apud Cutrum et Sanctum Iohannem de Monacho” in territorio di Santa Severina.[xi]

Nel secondo documento, di poco successivo (giugno 1225), Federico II imperatore e re di Sicilia, su richiesta dell’abbate e del convento, confermava il possesso dell’abbazia “in tenimento Policastri (sic) locum qui dicitur Sancte Eugenie” e degli altri possedimenti, già assegnati su mandato imperiale per il libero pascolo dei suoi armenti, da Pietro de Logotheta camerario di Calabria e di Terra Giordana e dal chierico Nicola e Pietro Scanga baiuli di Cosenza.[xii]

Sempre a riguardo di quest’area, sappiamo che in periodo svevo, Alessandro di Policastro giustiziere di Valle Crati e Terra Giordana, possedeva un feudo posto “in Genitocastro” che dopo la sua morte, pervenne ad Ade o Adam de Elmis che ebbe in moglie Tomasa nipote del detto Alessandro.

Dopo la morte dei due coniugi senza eredi, il possesso di questo feudo entrò nella disputa tra il feudatario di Genicocastro Adenulfo d’Aquino e gli Stefanizzi di Santa Severina, che erano riusciti ad ottenerlo come ricompensa per il loro importante contributo alla causa angioina.

Le prime notizie a riguardo, si rinvengono in un mandato dato in Orte il 28 aprile 1240, attraverso cui si ordinava a Tholomeo de Castellione giustiziere di Valle Crati, di revocare alla curia imperiale il feudo posto “in Genitocastro”, che “Thomasius For. mur. nepos” del quondam Alessandro di Policastro, deteneva illecitamente.

In considerazione del fatto che da parte del detto giustiziere, l’ordine non aveva trovato seguito, attraverso un nuovo mandato, questo era stato rinnovato al suo successore G. de Montefusculo, il  7 maggio dell’anno successivo.[xiii]

Relativamente al periodo di transizione tra la dominazione sveva e quella angioina, lo Scandone che ricostruì la genealogia e le vicende riguardanti S. Tommaso e la famiglia de Aquino, riferisce in merito alle vicende di questo feudo (o suffeudo) ed ai feudatari che lo detennero.

Attraverso le sue ricerche condotte sui registri della cancelleria angioina prima della loro distruzione ad opera dell’esercito tedesco durante il secondo conflitto mondiale, l’autore evidenzia che prima del 1269, la città di Genicocastro apparteneva al demanio imperiale e che in tale frangente, Adam de Elmia aveva posseduto un suffeudo posto nel territorio della città che ricaduto alla corte, era stato successivamente concesso a Riccardo Stefanisio.

Il 5 settembre 1290 la corte aveva accolto il reclamo del detto dominus Riccardo che asseriva di essere stato spogliato di questo suffeudo sito in Genicocastro da parte del milite Adenulfo d’Aquino.[xiv]

Gettano qualche luce sull’identità di questo possesso e sui soggetti che se lo contesero, due atti dei registri angioini ricostruiti.

Il primo, riguardante un provvedimento del 1283, attraverso cui si disponeva affinche il milite Ade de Helmis, non fosse molestato “per religiosum priorem Hospitalis Sancti Ioannis Ierosolimitani in Sancta Eufemia”, relativamente al possesso dei “vassallorum quos habet in casali Sancti Martini ex parte uxoris sue, quia iam olim pacifice possessi sunt per patrem dicte eius uxoris[xv] ed il secondo, relativo ad un privilegio concesso nel 1293 da Carlo II a Riccardo Stephanici di Santa Severina.

In questa occasione, il re, essendo riconoscente nei confronti del quondam miles Riccardus Stephanici e di suo fratello l’arcivescovo di Santa Severina Rogerio, concedeva a Riccardellum Stephanici, figlio di detto Riccardo, tutti i beni posti nel giustizierato di Valle Crati e Terra Iordana che erano appartenuti alla “quondam Thomasie Forisimiri, uxoris quondam Adde de Ulmis militis”. Beni redditizi per la somma di quaranta once d’oro e soggetti al servizio di due militi, devoluti alla regia curia a seguito della morte di detta Tomasia senza figli leggittimi e già oggetto di donazione al detto quondam Riccardo, ossia al detto suo figlio, da parte di Roberto “comitem Atrebatensem”.[xvi]

Come riporta il Fiore, ancora alla fine del Trecento, gli Stefanizzi possedevano in territorio di Belcastro, presso i confini di Mesoraca, il feudo di Clima che, attraverso il matrimonio con Dianora de Stefanitiis, era giunto a Giovanni Mazza di Taverna.

Il 10 giugno 1391, Enrico San Severino conte di Belcastro, concedeva a Giovanni Mazza il feudo di Clima, “nominato de Stefanitis posto nel territorio della città di Belcastro con altre tenute di terra in quel di Mesuraca e di S. Severina”. “Di lui ancora si fa ricordo nel registro di re Ladislao sign. ann. 1400, fol. 9 a tergo, come anche del quondam Carlo Mazza de Taberna forse figliolo di Gio, e di Dianora de Stefanitijs signora del feudo di Clima in quel di Belcastro e dell’altro di Sellitano in quel di Gerentia e di Caccuri.”.[xvii]

 

Possessi contesi

Le vicende che risultano da queste testimonianze e che trovarono tale assestamento alla fine del Duecento, s’inquadrano nel periodo che vide gli Ospitalieri di San Giovanni Gerosolimitano “abbandonare la Palestina e trasferire la loro sede nell’isola di Cipro”.[xviii]

A quel tempo, i casali “de feudo novo” risultano ancora menzionati il 19 giugno 1293, in occasione della concessione a Thomasio de Aquino, della “Baroniam Genitocastri cum casalibus de feudo novo pro an. val. unc. 90.”.[xix]

Precedentemente, invece, in occasione del distacco di alcune terre dal giustizierato di Valle Crati e Terra Giordana a quello di Calabria (13.02.1280), troviamo elencate: “… Genico castrum, Mausurica (sic) cum casalibus ipsarum terrarum, ...”.[xx]

Le trasformazioni avvenute in questo periodo riguardanti i due casali, non ci sono note attraverso maggiori particolari. Alcuni documenti riconducibili alle loro vicende, evidenziano però che queste furono certamente sostanziali.

In tale frangente, infatti, gli Ospitalieri di San Giovanni Gerosolimitano avevano già preso con la forza il monastero di Santa Eufemia, impossessandosi delle proprietà dei Benedettini.[xxi] Una sorte che toccherà anche ai beni dei Templari che dal 1307, si ritroveranno ad essere inquisiti in relazione alle accuse di eresia mosse contro di loro dal re di Francia Filippo il Bello. Accuse che determineranno papa Clemente V a sopprimere l’ordine confiscandone i beni, passati poi a quello Gerosolimitano.

In questo quadro incerto, compare la notizia contenuta in un atto del 15 marzo 1303, il quale registra tra le “possessiones et bona monasterii S. Mariae de Latina de Agira” in Calabria, dove l’abbazia possedeva il priorato di S.to Pietro di Niffi, quello relativo alla “ecclesiam S. Eugenie in territorio dicti loci de Girocloclastro (sic) cum omnibus iuribus et pertinentiis suis”.[xxii]

A questo punto, gli appetiti sollevati attorno ai beni dell’ordine soppresso, determinarono alcuni interventi da parte del papa. Interventi che sottolinenano la particolare consistenza di questi beni nel territorio dell’arcidiocesi di Santa Severina.

L’11 agosto 1308 Clemente V, comunicando la soppressione dell’ “Ordinem Militiae Templi”, scriveva all’arcivescovo di Cosenza, all’arcivescovo di Rossano ed a quello di Reggio, nonché ai loro suffraganei, dando mandato “ut omnia eiusdem Ordinis bona in custodiam recipiant[xxiii] mentre, il giorno successivo, ordinava agli arcivescovi di Napoli e di Brindisi, al vescovo di Avellino e ad altri ecclesiastici, di condurre un’inchiesta circa “de Fratribus Ordinis Militiae Templi”. Questo secondo documento, oltre ad essere indirizzato agli arcivescovi di Cosenza e di Reggio, fu inviato anche all’arcivescovo di Santa Severina.[xxiv]

Quasi due anni dopo, il 4 aprile 1310, il papa scriveva agli arcivescovi di Cosenza e di Reggio ed ai loro suffraganei, nonchè all’ “archiepiscopo S. Severinae et suffraganeis eius”, comunicando che aveva prorogato la convocazione del Concilio di Vienna perché il processo “contra Ordinem Militiae Templi” non era stato ancora completato.[xxv]

A compimento di ciò, il 2 maggio dell’anno dopo, il papa poteva finalmente comunicare ad alcuni presuli calabresi “quod bona Ordinis Militiae Templi, approbante generali concilio Viennensi, Hospitali S. Iohannis Ierosolymitani assignantur”.[xxvi]

A testimonianza di questo passaggio, in occasione del pagamento della decima alla Santa Sede dell’anno 1310, “In Episcopatu Gennicastrensi”, compaiono il “Presbiter Senatura capellanus ecclesie S. Iohannis Ierosolimitani pro reintegratione dictarum decimarum solvit tar. II” ed il “Presbiter Nicolaus capellanus eiusdem ecclesie tar. II.” mentre, in occasione del pagamento della decima dell’anno 1326, “In Civitate et Dyocesi Ginicastrensi”, compare solo il “Presbiter Sanctorum de S. Martino” che pagò “gr. decem”.[xxvii]

Successivamente i due casali non compaiono più ed è quindi da ritenere che entrambi spopolarono in questa fase, per effetto dei mutamenti evidenziati.

Testimonia in questo senso anche un intervento di re Roberto del 1332, quando il sovrano prescrisse a Tommaso de Aquino conte di Belcastro, “che distinguesse bene i confini di essa città da quelli delle terre di Tacina e di Mesuraca, le quali si appartenevano a Giovanni Ruffo di Calabria, conte di Catanzaro.”.[xxviii]

Una “Platea” che riporta i confini di Mesoraca, fatta redigere dal conte di Catanzaro e riferibile al tempo in cui la città di Genicocastro mutò il suo nome in Belcastro, tramandataci in una trascrizione seicentesca del notaro Gio : Francesco Biondi di Mesoraca, conservata presso l’Archivio di Stato di Catanzaro, non menziona né fa riferimento alcuno alla presenza del casale di San Martino. Dettaglia invece, con dovizia di particolari, i luoghi in cui esisteva ancora l’antica chiesa di Santa Eugenia. Questa si trovava presso il confine “qua dividitur tenimentum Mesoracae a tenimento Genicastri seu Belcastro”, dove troviamo menzionata anche la “… Culturam qu(a)e dicitur E(…)mi Theusararii fors mur (sic) ”:

“(…) ex parte orientis, descendunt per flumen Tacinae versus meridiem, ad inferiorem partem Culture, que dicitur de Condoleone, et ascendunt per ipsam Culturam ex parte meridiei, versus occidentem ad vallonem, qui dicitur Molloranio et abinde vadunt ad crucem S.te Eugenie, deinde vadunt ad ecclesiam S. Eugenie et feritur ad vallonem qui dicitur de Brocuso et p(er) ipsum vallonem vadunt ad Culturam qu(a)e dicitur E(…)mi Theusararii fors mur (sic) ()”.[xxix]

 

Reticenze sospette

Evidentemente però, la situazione rimaneva contrastata e controversa, se ancora nella seconda metà del secolo, il papa, nell’ambito di una inchiesta condotta in tutto il Mezzogiorno, doveva intervenire anche nei confronti dell’arcivescovo di Santa Severina, per cercare di appurare la reale consistenza dei beni posseduti dai Gerosolimitani nella sua diocesi ed in quelle dei suoi suffraganei.[xxx]

In merito a ciò, gl’inventari cinquecenteschi superstiti delle scritture che si trovavano presso l’Archivio Arcivescovile di Santa Severina, conservano memoria di una “L(icte)rae Gregorii Papae Undecimi super redditibus religionis S. Joannis Hierosolimitani”, come segnala l’inventario delle “scritture appartenenti alla Chiesa, e Mensa Arciv.le di S. Sev.na che stanno in Archivio separati da l’altre sotto chiave segnata con questi segni R. R. fatto da me D. Gasparo Caivani Archid.o all’ultimo di settembre 1594”.[xxxi] Tale documento non è più conservato a Santa Severina, ma si rinviene ancora presso l’Archivio Segreto Vaticano.

Da questa fonte apprendiamo che il 16 luglio 1373, in Santa Severina, alla presenza di Roberto Guarano “analis (sic) judex”, del presbitero Lucha Bruno e dell’arcidiacono Rogerio, tutti della città di Santa Severina, il regio pubblico notaro Nicolao Bruno anch’egli di Santa Severina, scrisse un “p(u)p(li)cum istr(ument)um” mediante il quale “Guill(elm)us dei et ap(osto)licae sedis gr(ati)a sante sev(er)ine Archiep(iscop)us”, rispose alle disposizioni ricevute dal papa Gregorio XI, attraverso la lettera data in Avignone l’undici febbraio 1373 e riportata integralmente nel detto instrumento.

Attraverso questa lettera, il papa, impegnato nella “reformationem status totius religionis hospitalis santi Ioh(anni)s Ierosol(im)itani”, ordinava all’arcivescovo ed ai suoi “fr(atr)es suffraganei seu v(est)ris vicariis sive officialibus earum”, d’indagare e di relazionare entro il termine di un mese, circa “de n(omin)ibus preceptoriarum seu domorum prefati hospitalis” esistenti nelle loro città e nelle loro diocesi, di riferire i nomi, cognomi ed età dei “preceptorum seu rectorum”, dei “sacerdotum et aliorum constitutorum in sacris ordinibus” e dei “militum fratrum ip(s)ius hospitalis”. Il pontefice, inoltre, chiedeva di conoscere anche ogni singola situazione, circa “de fructibus redditibus et proventibus annuis ip(s)arum preceptoriarum seu domorum” ed i relativi oneri, disponendo che fosse anche fornita una stima del denaro che si sarebbe potuto ricavare annualmente, da un ipotetico affitto dei beni.

L’arcivescovo volendo ottemperare diligentemente alla richiesta papale, fece citare numerosi testi che furono esaminati, chiedendo loro se “in Civitate sante sev(er)ine vel eius tenim.to”, esistessero “bonis hospitalis santi Ioh(ann)is Ierosolimitani” e detti testi deposero concordemente, che “nihil esse de bonis predicti in predicta Civitate et eius tenim.to”. Similmente, l’arcivescovo “per manus vicarii sui”, fece indagare circa l’esistenza dei detti beni in tutta la sua diocesi e niente fu trovato.[xxxii]

Il documento non riferisce nulla relativamente ai beni dei Gerosolimitani posti nel territorio dell’arcidiocesi, né tra gli atti di tale inchiesta, conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano, si rinvengono quelli prodotti dai vescovi suffraganei dell’arcivescovo di Santa Severina.[xxxiii]

 

Vecchi padroni, nuovi padroni

Le vicissitudini del regno, passato durante la seconda metà del Duecento, attraverso un lungo periodo di lotte sanguinosissime che trovarono nel Crotonese e nel Catanzarese teatri di primo piano, determinarono mutazioni importanti, sia nel territorio che era stato quello della città di  Genicocastro, sia nelle terre vicine, dove la ricomposizione fu definita tenendo conto dei nuovi rapporti di forza voluti ed instaurati dal nuovo potere angioino.

Quest’ultimo, cercando di radicarsi in uno scenario ancora precario, dopo le sollevazioni seguite alla discesa in Italia di Corradino, cercò subito di eliminare tutti i “proditores”, privilegiando gli uomini fedeli alla sua causa. Tra questi, i Gerosolimitani che ebbero nella valle del Tacina un ruolo importante, come dimostra, soprattutto in questa fase, l’affermazione dei Ruffo e degli Aquino.

Privati della popolazione e ricomposti secondo la nuova geografia del potere, i territori un tempo appartenuti ai casali di San Martino e di San Giovanni, continuarono a vivere le loro vicende nell’ambito della gestione che ne fece la potente abbazia di Santa Eufemia, ormai saldamente in mano all’ordine di San Giovanni Gerosolimitano. Quest’ultimo, in seguito e fino alle soglie dell’età moderna, gestirà la rendita di tali beni, beneficiando i propri confratelli attraverso l’istituto della commenda, dando l’avvio ad una frattura ormai insanabile, tra i territori e le popolazioni che li avevano abitati. Una frattura che si approfondirà in molte aree con l’andare del tempo.

 

La “grancia” di Belcastro

Il risultato di questo processo nell’ambito dei territori oggetto di questa ricerca, emerge nella documentazione attorno alla metà del Cinquecento, quando s’evidenzia la presenza della “grancia” di Santa Eufemia in territorio di Belcastro. Relativamente agli anni 1565-1569, troviamo infatti Luca Antonio Piterà di Catanzaro, “possessore di certi territorij seu escadentie et grancia del feudo di Crimia (sic) in territorio di Belcastro.”.[xxxiv]

Tale dipendenza, costituita da terre seminative e da censi infissi su vigne ed altri appezzamenti siti in vari territori, che testimoniava e lasciava ancora intravedere tracce di quella che era stata la struttura fondiaria dei luoghi quando questi erano ancora abitati, è menzionata nelle sue componenti che ricadevano nel feudo di Clima, anche in seguito.

Nel 1610, la magnifica Camilla Piterà, figlia del detto Luc’Antonio e moglie di Giulio Ferraro, possedeva il “feudo di Crima in territorio di Belcastro, tassata in ducati 8.2.4 con molte gabelle nominate l’arangi, ruoturo, pavungelio, landala, livolo d’Ayello et brocuso quali gabelle sono scadentie di detto feudo”.[xxxv]

Negli anni 1615-1617, Gioseppe Ferraro di Catanzaro, risultava “possessore del feudo nominato Crima sito in Belcastro, con altri membri feudali chiamati le gabelle di Brocuso, Untaro, l’Arangi et altri.”.[xxxvi]

 

Struttura della grancia

Agli inizi del Seicento, alcuni possedimenti della “Religione di Malta” posti in territorio di Belcastro, sono richiamati in un documento che descrive quelli vicini del monastero di S.to Pietro di Niffi.

Nel 1625, quest’ultimo possedeva due distinti terreni posti nelle vicinanze del fiume Tacina, presso il confine tra i territori di Belcastro e Mesoraca, dove passava la via pubblica che faceva da confine tra le terre di “S.ta Genia” o “S.ta Jenia”, dell’ordine di Malta e quelle delle “Manche nom.te di S.ta Jenia”, appartenenti alla Mensa Vescovile di Catanzaro.

Il primo chiamato “Lufrerio”, era localizzato “in Lufrerio sito, e posto nel territ.o di Belcastro” che, verso nord, confinava “colle terre di S.ta Genia hoggi possedute dalla Religione di Malta; e dall’altro lato verso levante per dritto al fiume di Tacina confina colle terre dette li Cugnuoli dentro il territ.o di Mesoraca, e confina colle terre nom.te di Condoleo della Corte di Mesoraca, e fra d.i Cugnuoli, Condoleo e d.a Cabella di S. Pietro si divide il territorio di Belcastro, e di Mesoraca”.

Il secondo, invece, detto “Cabella” o “Cabelluzza della Fico”, posto nelle sue vicinanze, risulta così descritto: “confina dalla parte di sop.a verso Maestrale colle terre delli heredi di Gio : Batt.a Carpanzano della d.a Città di Belcastro, e le terre nom.te di S.ta Jenia della Religione di Malta confina colla via pubblica, e per d.a via confina colle Manche nom.te di S.ta Jenia dalla Mensa Vescovale di Catanzaro”.[xxxvii]

Relativamente a questo periodo, troviamo una prima descrizione completa dei possedimenti del baliaggio di Santa Eufemia in territorio di Belcastro, nel “Notamento, et Plathea de le robbe stabili, e censi” detenute/i dall’ “Ill.mo, e R.mo Sig.re Baglio Cagnolo, e sua Balial Corte”, fatta nell’anno 1614.[xxxviii]

Questo documento evidenzia che a quel tempo, il baliaggio di Santa Eufemia, membro della S. R. Gerosolimitana, possedeva la “grancia di Belcastro”, costituita da beni stabili e censi infissi su stabili, posti nei territori di Belcastro, Andali e Mesoraca.

Apprendiamo, innanzi tutto, che quest’ultima possedeva dentro “lo Territorio” della città di Belcastro, un “Territorio” nominato “li freri”, costituito da 35 salmate di terra “netta” e 15 salmate di terra “boscusa”.

Questo territorio confinava con le terre del mag.co Gio : Thomaso de Diano, con quelle degli eredi del  quondam mag.co Cesare Caputo, con le terre appartenute al quondam Salvatore Gargano e con le terre della “Baronia de Tacina”, nominate “li pantanella”.

A quel tempo però, i compilatori di questa platea si limitarono solo a segnalare l’esistenza di questo vasto territorio tra i beni posseduti dal baliaggio di Santa Eufemia, ma non furono in grado di annotare nel documento, l’importo della sua rendita. Essi, infatti, non trovarono il relativo affitto né nella “Plathea vechia” né nel “libro de Camera”, gli strumenti che utilizzarono durante il loro lavoro.

Tale indeterminatezza caratterizzava anche la situazione degli altri possedimenti posti nelle vicinanze, lasciando spazio alle frodi.

Qui il baliaggio possedeva altre cinque “partite” più piccole della precedente, ogn’una costuitita da poche salmate di terra, tutte poste entro i confini del feudo di Clima di Luc’Antonio Piterà, il cui possessore, “in grave danno di detto Baliaggio, et Ecc.sia Hyerosolimitana”, percepiva la sterzatura durante le annate a semina. Oltre al feudo di Clima ed alle terre di altri particolari, nella confinazione di questi appezzamenti sono richiamati: il luogo “dove se dice la fontana”, “la via, che và alla Colla de Santa ynia” e le terre di S.to Petro de Niffi.

L’indebita riscossione della sterzatura in pregiudizio “del’Ecc.a, e de detto Baliaggio”, avveniva anche riguardo i restanti possedimenti gerosolimitani che ricadevano in altri feudi. Era così per il “territorio dove se dice lo calvaccature (sic)” di 7 salmate che si trovava dentro il feudo di Magliacane, per un altro pezzo di terra “loco detto lo schinetto de lo Muto” di salmate 4, confinante con “le terre delo canturato”, che si trovava dentro il feudo di Botricello e per un altro pezzo di terra “nominato pettochino”, anch’esso confinante con “le terre del Canturato”, che era dentro il feudo della corte della città di Belcastro.

Oltre a queste terre poste in territorio di Belcastro, il baliaggio possedeva anche “una t(er)ra” di 15 salmate posta in territorio di Mesoraca, “loco detto cunduleo”. Queste terre sempre appartenenti alla “grancia di Belcastro”, confinavano con le terre del vescovato di Catanzaro, con le terre della corte di Mesoraca e con le terre di Sant’Antonio, ed erano solitamente tenute in parte (salme 6) dal marchese di Mesoraca ma, all’attualità, rientravano nell’affitto della detta grancia.

 

I censi di Andali e Belcastro

Accanto alle terre seminative poste nella valle del Tacina, al baliaggio di Santa Eufemia apparteneva anche un territorio montano detto il “terr.o di santo Gioanne”, posto “dove sedice andali, alla Montagna”, dentro cui si trovavano “molte terre donate a Censo, e castagne”, le cui rendite però “sele godeno, et usufruttano li Cappellani, che servono l’Ecc.a di santo Gio(ann)e” mentre, dentro questo territorio, la “Balial Corte” percepiva solo una salma di grano l’anno, relativamente ad un pezzo di terra “dissutile con certe castagne, e dui pedi di celsi”. Percepiva però, due altri censi infissi su altrettanti castagneti posti “ad Andali” e confinanti con queste “t(er)re dell’Ecc.a”.[xxxix]

Andali castagneti

Castagneti in località Colle d’Andali in comune di Cerva (CZ).

Oltre ai dodici censi in denaro “spettantino, e concernentino alla predetta grancia di Belcastro” che riguardavano altrettanti appezzamenti posti ad Andali, il luogo dove, alla fine del secolo, il vescovo di Belcastro Giovanni Emblaviti ricorderà l’esistenza remota del casale di San Giovanni, nella platea risultano annotati di seguito, altri censi enfiteutici spettanti al baliaggio, relativi a numerosi appezzamenti posti in luoghi diversi.

A cominciare da quelli relativi ad una possessione, un oliveto e cinque vigne, poste in “loco detto santo Gio(ann)e” o “de santo Gioanne”, dove passava la via pubblica e dove si trovavano tre chiese: “l’Ecc.a di santo Gio(ann)e, e deli cimini”, “l’Ecc.a delo salvatore” e la chiesa o “Cappella de santo Andrea”. Qui il baliaggio esigeva anche altri tre censi infissi su seminativi ed altre coltivazioni. Due sopra certa terra e sopra “una t(er)ra, e celsi” poste “in loco detto santo Gio(ann)e”, il terzo sopra un pezzo di terra “in loco detto sant’Andrea” confinante con “lo Vallone di Valluneo”.

Il baliaggio esigeva il censo anche sopra una possessione “in loco detto lo ringo”, oltre a quelli infissi sopra un vignale e quattro vigne poste “in loco detto le prache” ovvero “dele prache” o “alle prache”, dove passava la via pubblica, e sopra otto possedimenti olivetati posti in questo stesso luogo. Qui si trovavano anche una vigna ed un pezzo di terra i cui detentori pagavano il censo alla “Ecc.a di santo Gio(ann)e”.

Il baliaggio esigeva ancora quattro censi infissi sopra altrettanti possedimenti olivetati “in loco detto santa leni”, dove passava la via publica e presso “lo Vallone de Valloneo”.

Qui la “Balial Corte” esigeva sette censi sopra diversi possedimenti costituiti da terre, vigne, un oliveto ed un castagneto, posti nel luogo detto “Valloneo”, presso “lo Vallone delo Valluneo” e la via pubblica, oltre a due censi infissi sopra la “poss.ne, e Molinello in loco detto Valluneo” de “li Mag.ci Rodi, e Gio : Vinc.o Castellani” e sopra “li celsi, e molinello de Valluneo” di Antonino Carpansano.

Il baliaggio esigeva il censo anche sopra quattro vigne “in loco detto la perdilice” o “perdice” ed   altri otto li esigeva “di quella banda Valloneo”, dove passava la via pubblica, infissi su alcune vigne, vignali, terre e “celsi”.

Belcastro Ballonia

Belcastro. Via che dal Vallone Ballonia sale alla chiesa dell’Annunziata.

I censi di Mesoraca

In relazione all’originaria struttura abbaziale dei due antichi insediamenti medievali, altri censi si trovavano infissi su beni posti “dentro lo territorio de Misuraca”. Alcuni di questi risultano annotati come dovuti “all’Ecc.a de santo Gioanne” altri, invece, alla “Balial Corte”.

I primi, erano rappresentati da un censo infisso su alcune terre poste “di quella banda lo potamo”, detenute da mastro Prosperello Barretta e da Fran.co e Gio : Paulo de Capua, e da due censi dovuti dal feudatario di Mesoraca, uno “per lo Terr.o di brucuso” e l’altro per certe terre che questi aveva ottenuto dagli eredi di Ger.mo Crapuzzano e per le quali pagava quando le deteneva.

Un altro censo dovuto “all’Ecc.a de s.to Gio(ann)e”, gravava anche “uno terr.o” detenuto dal sig.re Lanzo Morello e dalla sig.ra Isabella Morella, nominato “la difesa, e terreni di mezza” posto in luogo detto “Vittoriano”, che confinava con “la difesa dela forestella”, “le timpe delo caruso”, “lo Vallone de Vittoriano”, la via pubblica ed altri fini.

La “Balial Corte”, invece, esigeva in territorio di Mesoraca, un censo sopra certe terre confinanti con “lo bosco della Corte, detto dela Sig.ra Duchessa, e lo fiume de birgari”, ed un secondo censo sopra altre terre poste “in loco detto in broccuso”, che confinavano con “le terre de santo Petro de Niffi, “lo tenimento dela Zuca” (sic, ma Ruca) ed altri fini.

Il baliaggio esigeva altri sei censi sopra altrettante vigne e possessioni poste “in loco detto Vittoriano”, presso la via pubblica, mentre un altro censo gravava certe terre poste dentro la “Valle di leone”.

 

Un contratto d’affitto

Un atto della seconda metà del Seicento, evidenzia che le terre della “Grancia di Belcastro”, assieme ad altre appartenenti al baliaggio di Santa Eufemia poste nel Crotonese e nel Catanzarese, erano affittate in un’unica partita, secondo l’uso corrente, per il periodo di un triennio.

Nel 1668 il cavaliere gerosolimitano fra’ Vincenzo Rospigliosi o Rospoglisi, baiulo di Santa Eufemia, affittava al cavaliere gerosolimitano fra’ Francesco Suriano della città di Crotone, unitamente ad Antonio, Annibale, Diego, Domenico e Giacinto “de’ Suriani” e Felice Barracco, i beni del baliaggio di Santa Eufemia comprendenti, tra l’altro, le “grancijs Crot.s Bellicastri Cruculli et aliorum locorum” per tre anni continui, iniziando dal primo di maggio del 1668 e finendo all’ultimo di aprile del 1671, ricevendo la somma di 4.700 ducati all’anno per un totale di 14.100 ducati nel triennio.[xl]

 

La chiesa di San Giovanni

Alla metà del Seicento, la chiesa di San Giovanni di Belcastro si trovava ancora in essere, come evidenzia la relazione vescovile del 1665 che menziona la “Ecclesiam sub titulo S.ti Joannis Hierosolimitani” tra quelle in cui si celebrava.[xli]

Successivamente però, probabilmente a seguito dell’epidemia del 1672 che aveva privato la città di quasi un terzo dei suoi abitanti e soprattutto, dei danni causati dal terremoto del 1689, l’edificio fu abbandonato ed andò in rovina per difetto dei necessari restauri al tetto, come riferisce la relazione del vescovo di Belcastro Giovanni Emblaviti del 1692, mentre l’onere relativo alla celebrazione delle messe fu traslato in cattedrale. In questa relazione, lo stesso vescovo evidenziava ancora, che questa chiesa “sub Invocatione sancti Joannis Baptistae nuncupata delli Tempieri”, continuava comunque a godere di una cospicua rendita che però, percepivano i “Commendatoribus Religionis Hierosolimitanae” del baliaggio di Santa Eufemia del Golfo posto in diocesi di Nicastro.[xlii]

Nella sua relazione vescovile dell’anno 1707, il presule si dilunga circa le vicende remote di questa chiesa, riferendo che, in “antiquis temporibus”, vicino il casale di Andali, sarebbe esistita una città con lo stesso nome poi distrutta dai Saraceni. Egli, inoltre, riferisce che: “In hac Civitate aderat Ecclesia S. Joannis Bap(tis)tae sub cuius titulo exiguntur proventus sive facultates Templariorum predictae.”.[xliii]

Tale testimonianza è accompagnata da alcuni accenni generici contenuti nelle altre relazioni vescovili di questo periodo, dove la presenza della chiesa è sempre indicata “Extra Menia Civitatis Bellicastri[xliv] ovvero “extra muros Bellicastri[xlv] e “prope Civitatem[xlvi], come attesta ancora un documento della seconda metà del Settecento che evidenzia la localizzazione della “Cappellaniam S. Ioannis prope et extra muros Civ. Bellicastri”.[xlvii]

 

La pingue commenda

Il particolare interesse del vescovo Giovanni Emblaviti per le antiche vicende della chiesa di San Giovanni, può essere compreso seguendo le vicende che lui stesso ci narra, attraverso le relazioni vescovili relative ai quasi trentacinque anni del suo lungo presulato (1688-1722) caratterizzato da molte ombre.[xlviii]

Un interesse teso alla riscoperta di antiche tradizioni che in questo solco, darà l’avvio in Belcastro al culto popolare di San Tommaso d’Aquino, attraverso l’accoglimento da parte del presule, di una falsa credenza inventata dal Barrio e ripresa da altri scrittori, che lo porterà a fornire anche una dettagliata descrizione del prodigioso apparire in cielo di una stella fissa, posta al centro di una grande croce propria dei cavalieri gerosolimitani, ma di lunghezza maggiore, sopra il castello della città, dove si credeva fosse avvenuta la nascita del santo.[xlix]

Stella S. Tommaso

La stella di S. Tommaso con la croce gerosolimitana riportata nella relazione del vescovo Giovanni Emblaviti.

Impegnato ad impinguare le scarse risorse della sua mensa e cercando di entrare in possesso di qualche altra rendita che gli consentisse di sopportare meglio la permanenza in una diocesi piccola e povera, alla fine del Seicento, l’Emblaviti aveva avanzato richiesta alla Sacra Congregazione dei Vescovi, affinchè la rendita relativa alla “Commenda nuncupata li Freri, quae disponitur a Magno Magistro Religionis Hierosolimitanae”, fosse impiegata per retribuire un cappellano annuale di sua nomina che, secondo il suo progetto, in qualità di “magister”, avrebbe dovuto occuparsi d’insegnare ai fanciulli del seminario di Belcastro.

Per quanto riguarda ciò, anche avendo ottenuto l’approvazione della detta congregazione, il vescovo non trovò la collaborazione del “commendator sive Balivus” di Santa Eufemia. Questi, infatti, dovendo procedere alla nomina del nuovo cappellano per la morte del suo predecessore, continuò a comportarsi come nel passato, beneficiando a vita in qualità di “Esoterum ad honorem”, un chierico che se ne rimaneva nella città di Catanzaro, senza risiedere a Belcastro.

In questo modo, sottolineava l’Emblaviti, i frutti della cappellania erano stati dilapidati con grave suo danno. Da una parte, perché doveva essere retribuito un altro cappellano che celebrasse per soddisfare l’onere delle messe traslato in cattedrale, dall’altra perché il beneficiato assente, giovandosi del potere della Regia Udienza, amministrava fraudolentemente i beni appartenenti al beneficio, favorendo alcuni suoi concittadini.[l]

Secondo le affermazioni del vescovo, era possibile riscontrare “in Platea” che la cappellania originariamente eretta con un reddito di sessanta ducati o di centocinquanta “aureorum” all’anno sopra alcuni beni stabili[li] e che sarebbe ascesa addirittura a quattrocento ducati al tempo in cui la detenevano i Templari[lii], all’attualità si era ridotta a dieci ducati.[liii]

Le vicende successive evidenziano che pur a seguito dei suoi numerosi sforzi, le richieste del vescovo Emblaviti rimasero inascoltate e non gli portarono i frutti sperati, mentre le cose continuarono a seguire un corso già segnato dal tempo. Ce ne informa il suo successore Michele Gentile (1722-1729 ?) che, nella sua relazione vescovile del 1727, riferisce l’esistenza nella cattedrale di Belcastro, della “Cappella Sancti Joannis Baptistae”, costruita senza dote dalla famiglia “de Raymundis” dove, “in simplici sepulchro” che si era costruito quando ancora viveva, “tumulatus fuit meus Antecessor”.[liv]

I tentativi dei vescovi, comunque, proseguiranno.

Il 7 agosto 1739, “don Ignatio Astorini Fra’ Cappellano della Sacra et Inclita militare Religione Gerosolimitana”, avendo avuto notizia che la curia vescovile di Belcastro, nelle persone del vicario generale e canonico D. Ridolfo Veraldi, di D. Angelo Gualtieri promotore fiscale della detta curia e del cancelliere D. Gio. Baptista Scheri, avevano fatto affiggere contro la sua persona, i cedoloni di scomunica “nelli luoghi di quella Diocesi” e gli avevano fatto notificare le monizioni presso la sua abitazione “nella Terra di Andali”, “dove stanno situati tutti gli effetti della mia Commenda sotto il titolo di S. Giovanni Gerosolimitano”, rivendicava, come aveva fatto anche in precedenza, di essere “immune et libero di qualunque aliena jurisdizione”, adducendo l’eccezione della sua “esentione in virtù delle Bolle Pontificie e Privilegi Apostolici con li quali vengo dichiarato nullius Diocesis”.[lv]

 

L’antico cabreo

Attraverso il corposo carteggio della fine del Settecento, conservato presso l’Archivio di Stato di Catanzaro tra gli atti del notaro Luigi Larussa di Catanzaro[lvi] e relativo alla compilazione di un cabreo o platea dei beni appartenenti alle due commende dell’ordine Gerosolimitano, costituite qualche anno prima e denominate, rispettivamente, Prima e Seconda di Belcastro, apprendiamo che agli inizi del secolo (1705-1706), l’ordine aveva già provveduto alla compilazione di un cabreo dei beni del baliaggio di Santa Eufemia.

Alla fine del Settecento “in S. Eufemia” ovvero “nella Terra di S. Eufemia e propriamente nell’Archivio di detto Baliaggio”, si trovava un “Cabreo Originale”, ovvero la “Copia Originale del Cabreo di detto Baliaggio di S. Eufemia, formato nell’anno 1705”, “ed estratta dall’Archivario e Ca[ncelliere] del Gran Priorato di Capua Notar Farace”. Cabreo fatto per mano del fu notaro Fabrizio Veltri “della terra del laco”, in vigore delle provvisioni spedite dal Sacro Regio Consiglio il 3 settembre 1705 “ad istanza della b.m. dell’Ill.mo Sig.r Balì Fr. D. Stefano de’ Conti Sanvitale” al tempo priore del baliaggio di Santa Eufemia.

Sempre alla fine del secolo però, l’originale di questo cabreo antico non esisteva più nell’archivio del Gran Priorato di Capua sito “in S. Giovanni a Mare di questa Città”.

A quel tempo, infatti, con una sua lettera indirizzata “All’Ecc.mo e Venerando Gran Priore di Capua Fra D. Domenico Protonobilissimo”, D. Ignazio Cerra di Catanzaro, a nome del suo principale Fr. D. Francesco Maria Paternò Castello, commendatore della Commenda Prima di Belcastro, evidenziava che “bisognandoli l’ultimo Carico del Baliaggio di S. Eufemia dell’anno 1705, e 1706”, aveva richiesto al “Mag.co Seg.rio e Canc.re” del Venerabile Gran Priorato di Capua di potere estrarre alcune copie, ma detto cancelliere aveva risposto che “al p(rese)nte esso Cabreo non esiste nell’Arch.o Priorale”. In relazione a ciò, il detto procuratore aveva chiesto al gran priore di Capua che ordinasse al suo cancelliere di fare una fede che attestasse tale mancanza. Il 29 novembre 1794 dietro l’ordine ricevuto dal gran priore, il cancelliere Cola Farace attestava che al presente,  nell’archivio di Capua non esisteva detto cabreo.

Pur in presenza di probabili frodi che traspaiono dalle vicende evidenziate, questo antico documento, più volte richiamato negli atti del citato carteggio, ci fornisce comunque alcune informazioni più circostanziate riscontrabili con altre successive, circa i beni che a quel tempo, il baliaggio di Santa Eufemia possedeva in territorio di Belcastro.

Sappiamo così che agli inizi del Settecento, esso possedeva le gabelle “S: Jania”, “Cugnoli”, “Cavalcatore” e “S: Giovannello” (Appendice n. 1.) che verso la fine del secolo saranno assegnate alla Commenda Prima di Belcastro assieme ad alcuni vignali che successivamente, saranno riconosciuti invece appartenenti al beneficio di San Giovanni.

 

Il beneficio di San Giovanni agli inizi del Settecento

Dalla stessa fonte apprendiamo che nel 1705/1706 il beneficio di San Giovanni dipendente dal baliaggio di Santa Eufemia del Golfo, si trovava eretto “nella Città di Belcastro, e propiam.te fuori le muri della stessa”, ma la sua chiesa sita nel luogo detto “S. Giovanni” era già “diruta”.

I beni appartenenti a tale beneficio erano rappresentati dalle terre dette “Piano di S. Giovanni” e “Ciaramidio o Fossa di Sarcone” poste “In Andali”, alle quali si sommavano alcuni vignali in territorio di Belcastro, denominati “Valloneo” e “Driolo”.

Queste ultime notizie che ci provengono dall’antico cabreo, sono confermate da quelle contenute nel catasto onciario di Belcastro relativo agli anni 1742-43, dove apprendiamo che a quel tempo, “La Commenda di Malta” possedeva in territorio di Belcastro, due vignali nel loco detto “Drialo” confine la Venerabile Cappella del SS.mo Sacramento ed “alcune Terre Comuni d.e Baloneo” di tt.e 4, confine “il Fiume baloneo”.[lvii]

In relazione a tali possessi, nello stesso catasto, riscontriamo che Vito Gemello, bracciale di anni 38, possedeva una continenza di terre ignobili di 1 tt.a loco detto “Baloneo” che confinavano con “le terre di S. Giovanni”.[lviii]

Oltre ai due vignali descritti, “La Commenda di Malta” possedeva in territorio di Belcastro anche alcune gabelle: quella detta “S. Ienia” di salme 60 confine S.to Petro di Niffi, la gabella detta “Lifrerio” di salme 60 confine “la Castagna”, la gabella di salme 18 detta “il Cavalcaturo”, confine D. Luccio Nobile della città di Catanzaro, la gabella detta “S. Giovanni” di salme 8 confine il cantore D. Pietro Diano e la gabella di salme 5 detta “S. Giovannello” confine “Pettochino”.[lix]

 

Le vigne di San Giovanni

Sempre attraverso le informazioni del catasto onciario, apprendiamo che alla metà del Settecento, il luogo detto “S. Giovanni” posto in territorio di Belcastro, era caratterizzato dalla presenza della chiesa diruta detta di “S. Salvatore”, dai ruderi di quella di San Giovanni e da alcune vigne dette “le Vigne di S. Giovanni”, dove si trovavano anche alberi d’olivo e di gelso nero, che confinavano con il vignale di tt.e 3 di terre ignobili e boscose con castagne detto “Il Timpone della Trinità”, posseduto dal Seminario di Belcastro “e Conventi soppressi à quello uniti”.[lx]

Il paesaggio ci è descritto dettagliatamente, dalle rivele e dalle  partite contenute nel catasto.

Il mag.co Antonio Bernardo Rotella di anni 39, vivente civilmente e sposato con la mag.ca Teresa Petirro di anni 32, possedeva una vignarella nel luogo detto “S. Giovanni” ovvero “in San Giovanni”, confine Antonio Perrò.[lxi]

Il bracciale Antonio Perrò di anni 65 cieco d’un occhio, possedeva una vigna dotale “d.a Santo Giovanni” di tt.a ½ con pochi piedi di olive loco detto “S. Giovanni”, confine il dottore fisico Giacinto Sillano.[lxii]

Il mag.co Giacinto Sillano di anni 61 medico fisico nativo di Belcastro, ma commorante nella terra di Cropani, vivente della sua professione di medicina, possedeva una vigna “d.a S. Giovanni” di tt.e 3 con ½ tt.a di “Margio” alberata con pochi olivi e gelsi neri loco detto “S. Gio:”, confine “la chiesa diruta di S. Salvatore” ed Antonio Perrò.[lxiii]

Il mag.co D. Marco Sammarco dottore in legge della città di Catanzaro, percepiva l’annuo censo bullare di duc. 4 e ½ che gli pagava il dottore fisico Giacinto Sillani, per un capitale di ducati 50 sopra la vigna di questi “nomata S. Giovanni”.[lxiv]

Leonardo Tascione di anni 37, soldato del battaglione a piedi della provincia di Catanzaro, possedeva la vigna “d.a S. Gio.ni” di tt.a ½ loco detto “S. Giovanni” confine la vigna di Antonio Perrò.[lxv]

La mag.ca Livia Petirro vergine in capillis e nobile vivente di anni 65, possedeva la metà della vigna di 1 tt.a “d.a S. Giovanni”, “di addietro S. Gio:”, confine la vigna dotale di Antonio Perrò.[lxvi]

Il molinaro Salvatore Pisano di anni 55 della città di Belcastro, casato ed abitante nel casale della Cuturella, possedeva la vigna alberata con gelsi neri ed olivi loco detto “S. Giovanni”, confine la mag.ca Livia Petirro.[lxvii]

Gio : Gregorio Pitirro diacono della terra di Mesoraca, possedeva la vigna di 1 quarto “d.a San Giovanni” in comune ed indiviso con la mag.ca Livia Pitirro nel loco detto “S. Gio:”, confine Antonio Pirrò.[lxviii]

Pietro Antonio Avignone di anni 39 della terra di Montedinovi nella Marca di Ancona, ma abitante in Belcastro dove viveva civilmente, possedeva la vigna di ½ tt.a “d.a S. Giovanni”, confine la mag.ca Olimpia Petirro e pagava annui ducati 1.40 al beneficio di S.to Angelo della famiglia Altomare ossia al Rev.do D. Gio Battista Schieri, per un capitale di ducati 14 sopra la detta vigna di “S. Giovanni”.[lxix]

Domenico Mayda di anni 28 nobile vivente della città di Policastro, vedovo della quondam Ippolita Lupoleo, possedeva la vigna di ½ tt.a “d.a S. Giovanni” con olive e poche viti loco “S. Giovanni”, confine la vigna del mag.co Michele Diano e la vigna del quondam D. Giuseppe Petirro.[lxx]

 

La Cassa Sacra

Nella seconda metà del Settecento i Gerosolimitani detenevano ancora saldamente tutti i possedimenti riportati in catasto ed il 23 maggio 1775, si dava facoltà a “Paulo (sic, ma Carlo) Covani, Militi et Priori Prioratus S. Euphemiae, Ord. Hospit. S. Io. Hieros.”, di conferire la “Cappellaniam S. Ioannis” posta “prope et extra muros Civ. Bellicastri”.[lxxi]

Il beneficio fu conferito al sacerdote fra’ Giuseppe Larussa, come è evidenziato alla fine del Settecento: “Rev. Sacerdote Sig.r Fra D. Giuseppe Larussa Cappellano professo della sudetta S.R.G.”, provvisto del “Beneficio di S. Giovanni Battista eretto fuori le Mura della sudetta Città di Belcastro, il quale gli fu conferito fin dal mille settecento settantacinque dalla b.m. del Sig.r Balì Fr. D. Carlo Covani” a quel tempo priore del detto baliaggio.[lxxii]

Dai documenti della Cassa Sacra istituita a seguito del terremoto del 1783, apprendiamo che a quel tempo, l’arcipretura di Belcastro possedeva “Cugniuali” in territorio di Mesoraca che confinava con i fondi della “Commenda di Malta[lxxiii], mentre il  decanato di Belcastro possedeva “Li Decani” in territorio di Belcastro, confinante con “S. Jania della Commenda di Malta” ed il “Vignale contiguo d.te Decani, o Santa Jania in Territ.o di Belcastro”, “confine col sudetto fondo”.[lxxiv]

Nello stesso periodo il canonicato di S. Paolo possedeva “Santo Paolo tt.e 40 arat.e di Marina Confina da Levante col Cantorato di Belcastro, e da Settentrione Sangiovannello del Sig.e Riso di Catanzaro d. 40.00”.[lxxv]

Per quanto riguarda ancora i beni dei Gerosolimitani in territorio di Mesoraca, attraverso la fede catastale del 27 novembre 1787 fatta dal notaro Nicola Rossi “attual Cancell.e” dell’università di Mesoraca, sappiamo che nel libro del “General Catasto” di Mesoraca, tra le altre partite, esisteva quella della “Commenda di Malta del Baliaggio di S. Eufemia” che possedeva “in Territ.o di q.a T(er)ra una Cabella loco d.o li Cugnuoli vicino Cundoleo della Ducal Cam.a”.[lxxvi]

 

Antichi ruderi

Le informazioni forniteci dal vescovo Emblaviti agli inizi del secolo, circa l’esistenza di un antico abitato posto nelle vicinanze del casale di Andali, trovano qualche riscontro in un documento conservato all’Archivio di Stato di Catanzaro tra quelli relativi alla Cassa Sacra.

In un atto del 1784, relativo ad un inventario degli averi e delle rendite della Venerabile Cappella del SS.mo Sacramento eretta dentro la chiesa parrocchiale della terra di Andali, devoluti ed incorporati alla Cassa Sacra, si evidenzia che il luogo detto “Colle di Andali” posto in territorio di Belcastro, ospitava “molti segni di fabriche antiche” ed era attraversato “nel mezzo da una publica strada p(er) cui si và alla montagna”. Così è descritto questo luogo:

(…) “Colle di Andali, vignale ignobile, volgarm.te d.o Vignale / della Chiesa sito, e posto dentro il Territorio di / Belcastro della Capacità, ed estensione tumula / te undeci dentro il quale vi esistono molti segni / di fabriche antiche, dei quali tt.a undeci, sole /  tumulate cinque circa, non continuate, ma res / pettivamente spezzoni spezzoni, dentro esso / comprensorio, sono seminabili, confina colle / Terre di D. Pietro Paolo Fragale dalla parte / di Tramontana, ed il termine divisorio tra di loro / è un vallone secco, dall’altre parti  con / fina colle Terre di S. Giovanni ò sia del Fra Cap / pellanato di Malta, esso vignale tira sino al / luogo, volgarm.te d.o La fontana delli jungi, esce / alla crista, e crista a basso piglia il vacante / sino alle Castagne che sono da quella parte im / mediatam.te del vallone corr.te il quale divide ques / to vignale da d.e terre di S. Giovanni, tira la / Confinazione p(er) esso vallone Corr.te abasso, esce al / le Castagne dell’eredi di Marcantonio Lia in cui / vi è un termine divisorio ò sia un sentiero di / terreno, che ne indica La Confinazione, finita / questa Confinazione tira della parte di sotto altro / termine ò sia sentiero di terreno tra esso vigna / le , e l’accennate terre di S. Giovanni, e và a fi / nire a d.o vallone secco, tra il med.o e le terre del / pred.o Sig.re Fragale. V’arbustato con tre piedi di / Castagne, due delle quali sono vecchie (…)”.[lxxvii]

Nello stesso periodo risulta che l’arcipretura di Andali possedeva il fondo “Immacolata” “con piante di Castagne tt.e 6 Montagna”, confinante “da Ponente col Fondo Comunale d’Andali d.to Commenda di Malta”.[lxxviii]

Nella copia di un atto del 3 settembre 1792 redatto in Belcastro, dove si verbalizza la presa di possesso da parte del decano D. Giuseppe Fragale di Belcastro, procuratore di mons. Vincenzo Greco vescovo di Belcastro, di tutti i beni e diritti appartenenti e spettanti alla Mensa Vescovile di Belcastro, si menziona ancora anche quello “in Andali in dove vi sono pochi piedi di castagne”.[lxxix]

Attualmente ritroviamo il luogo denominato “Colle d’Andali” nell’ambito del territorio comunale di Cerva (CZ). Secondo una tradizione, Cerva sarebbe stata chiamata, originariamente, con il nome di “San Giovanni della Croce”.[lxxx] A cominciare dalla prima metà del Settecento, le relazioni vescovili registrano la presenza del casale “S. Crucis, sive Cervae” o “La Cerva” posto in diocesi di Belcastro.[lxxxi]

 

Le due commende di Belcastro

Alla fine del Settecento, i beni appartenenti al baliaggio di Santa Eufemia del Golfo siti nei territori di Belcastro, Andali e Mesoraca che, in passato, erano stati amministrati come un’unica rendita, furono divisi tra due distinte commende.

Nel 1791 infatti, l’ordine Gerosolimitano aveva provveduto ad una riorganizzazione della rendita fondiaria del baliaggio, attraverso il suo “smembramento”. Avvenne così che le rendite che “un tempo erano unite al Baliaggio di S. Eufemia del Golfo, come si ravvisa dall’ultimo Cabreo del 1705 in 1706”, furono “smembrate da d.o Baliaggio” ed assegnate a due nuove commende.

Tutto ciò si ravvisava nel “Piano, o sia Plana” realizzato dal “Sig.r Com.re Fr. Annibale Adami Commissario destinato dalla Veneranda Lingua d’Italia per fare lo smembramento di detto Baliaggio, e la ripartizione de’ beni a ciascuna Commenda di nuovo eretta”.[lxxxii]

Al proposito, il Gattini così s’esprimeva:

“Crediamo però che questo Baliaggio dovette subire altre varie vicende, e da documenti che abbiamo avuto sott’occhio sembrerebbe che esso fosse stato partito in più Commende. Siamo anzi di opinione che dal Baliaggio si dovettero smembrare più Commende, le quali in origine dovettero essere di una ben lieve entità, ma i cui titolari, con la restaurazione de’ Borboni, profittando della mancanza del titolare del Baliaggio, dovettero fare incorporare nelle loro Commende i beni di questo. Non si potrebbe infatti diversamente spiegare come nel 1791 entrassero in rendita il balì F. Bartolomeo Arezzo per il Baliaggio di S. Eufemia; F. Francesco Marulli per la Commenda di S. Maria e Carolina in S. Eufemia; F. Nicola Luigi Pignatelli per la Commenda di S. Francesco in S. Eufemia; F. Alvaro Scipione Ruffo per la Commenda di S. Sidero; F. Francesco Paternò per la Commenda prima de’ beni di Belcastro ed il balì F. Onorato Pasquale Gaetani per la Commenda seconda de’ beni di Belcastro (…) le notizie riguardanti l’ultimo Ruolo per l’anno 1792 riportano che in quell’anno era in vacante per la Commenda seconda dei beni di Belcastro il cavaliere F. Francesco Cedronio; e quelle per l’anno 1793, che entrò in rendita il Cavaliere F. Antonio Landolina.”.[lxxxiii]

 

La Commenda Prima

Nell’ambito della suddivisione relativa allo smembramento del baliaggio di Santa Eufemia, i beni assegnati alla commenda detta “La Prima di Belcastro” si trovavano nei “Paesi” di “Catanzaro, Belcastro, Andali e Misuraca”.[lxxxiv]

Per quanto riguarda i territori di questi ultimi tre centri, alla detta commenda furono assegnate la gabella “S : Jania” e la gabella detta “Cugnoli” che si trovava “attaccata” alla precedente, le quali rientravano nella suddetta assegnazione con unica rendita.

Quella denominata “S : Jania” era una gabella di terreno “aratorio, o sia atto a semina” di 368 tomolate, confinante con D. Giacchino Ferrari, con “il Feudo d.o Crima”, con la gabella “Li Decani”, con la gabella di S. Domenico di Belcastro, con la gabella “Condoleo” e con quella del beneficio di S. Pietro di Niffi.

Costituivano anch’esse un’unica rendita, le gabelle di terreno “atto a semina” assegnate alla detta commenda, denominate “Cavalcatore” e “S : Giovannello”, assieme a due vignali “adjacenti” a quest’ultima.

La prima di tomolate 83, confinava con la gabbelluccia dei domenicani di Belcastro, con la gabella “Seduto”, con le gabelle dette “Caselle”, con la gabella detta “Rango”, con quella detta “Zuccarello” e con il “Feudo chiamato Magliacane”.

La seconda di tomolate 50, confinava con la “Gabella grande”, con la gabella “Pettochino”, con la gabella detta “S. Paolo” e con quella detta “il Cantorato”.

 

La Commenda Seconda

Gli atti evidenziano che alla “Seconda Commenda di Belcastro” furono assegnati beni siti nei territori di “Catanzaro, Triolo, Settingiano, Caraffa, Simeri, Soveria, Belcastro, Andali, Mesuraca, Cutro e Castella”.[lxxxv]

Quelli posti in territorio di Belcastro, erano costituiti da due gabelle “di Terreno raso atto a semina di grani”. La più grande, denominata “Freri” di 320 tomolate che si trovava fittata al Sig.e Benedetto ed a Gaspare Colosimo, confinava con le gabelle dette “Valle della Cerza”, “le Camere”, “la Caputa”, “Cumparo”, “la Piterà”, “Pantanelli” e con il “Feudo Magliacane”. La seconda denominata “S. Giovanni” di 45 tomolate che si trovava affitata a mastro Pietro Stanizzi di Andali, confinava con le gabelle dette “il Cantorato”, “Marcantonio Ferraro”, “Bilotta” e quella detta “Gabella Grande”.

Alla stessa commenda risultavano assegnati per errore, anche i beni appartenenti al beneficio di San Giovanni, parte dei quali erano stati assegnati erroneamente, in occasione dello smembramento, anche alla Commenda Prima, determinando una duplicazione:

“(…) quantunque i beni suddetti secondo si rileva dall’antico Cabreo appartenessero al beneficio di San Giovanni, che al presente si gode dal Fra Cappellano Don Giuseppe Larussa, pure per equivoco meczo nello smembramento de beni del Baliaggio furono parte addetti alla Commenda Prima, e parte alla Seconda, come per questa si osserva dalla Platea (…)”.

Apprendiamo così che in territorio di Andali, oltre ad una “Continenza di Terra Corsa” denominata “Ceramidio o Sarcone”, posta presso il “Vallone detto Ceramidio” ed il “Fiume Nasari”, risultavano assegnati alla “Seconda Commenda di Belcastro” ed attraverso una duplicazione, anche alla Prima, il “Piano di S. Giovanni” di natura corso e la continenza di terre corse denominate “Pietra Majore” che invece, appartenevano al beneficio di San Giovanni.[lxxxvi]

Accanto a questi possessi, nell’assegnazione fatta dal Sig.re Com.re Adami, risultava anche un’altra “Rubrica” indicata come “Terreni inaffitati, o sia Vignali”, dove si trovavano descritti altri quattro vignali assegnati erroneamente alla stessa Commenda: “Vignale chiamato Valloneo, Altro Vignale di là Valloneo, Vignale detto Scordillo, E un’altro d.o Li P[iani] di Driolo”.

In relazione al possesso controverso di questi vignali, erano ricorsi al Gran Maestro e Sacro Consiglio, tanto il commendatario Fr. D. Francesco Maria Paternò Castello che l’abbate Fr. Giuseppe Larussa detentore del beneficio, il quale aveva avanzato le sue ragioni presso Sua Altezza e Venerando Consiglio, contro il titolare della Prima Commenda ed anche nei confronti del titolare della Seconda.

Ne fu concluso che il detto abbate fosse reintegrato nel possesso di detti quattro vignali che si riconoscevano non appartenenti al baliaggio ma al beneficio di San Giovanni Battista di Belcastro rimuovendoli, di conseguenza, dal possesso del Paternò Castello, per come deciso dal Gran Maestro e Regio Consiglio con decreto del 3 ottobre 1794.[lxxxvii]

 

Il nuovo cabreo

A seguito di questi fatti, non esenti da discordanze e controversie, fu deciso di provvedere alla compilazione di un “nuovo Cabreo”, “mutandosi bensì, aggiungendo, e surrogando quelle circostanze, e notizie, che per l’ingiuria, e lasso del tempo si siano forse mutate, alterate, o minorate.”, arrivando finalmente a precisare i beni, le rendite ed i censi posseduti dalle due commende di Belcastro.[lxxxviii]

In relazione all’ordine del re Ferdinando IV, spedito dall’ “Ill.mo Marchese D. Andrea Tontoli Regio Consigliere”, dallo stesso re “delegato per le Cause della Sagra Religione Gerosolimitana” nel regno, relativo alla confezione di un “publico, ed Autentico Inventario, o sia Cabreo” dei beni della “Commenda detta La Prima di Belcastro”, il commendatore di quest’ultima l’ “Ill.mo Sig.r Cavalere Fr D. Francesco Maria Paterno Castello Milite della Sagra Religione Gerosolimitana”, istituì in qualità di suo procuratore D. Domenico de Nobili decano della cattedrale di Catanzaro, per attendere al detto compito. Questi, trovandosi impedito, istituì a sua volta, “il mag.co D. Ignazio Cerra” di Catanzaro.

Allo stesso modo, l’ “Ill.s Fra D. Antonio Landolina Scammacca Commendatore dell’insigne militar ord.e Gerosolimit.o del titolo della Commenda la Seconda di Belcastro”, nominava suo procuratore lo stesso Cerra, con procura del 13 agosto 1793 stipulata in Siracusa.

Al fine di realizzare quanto previsto, il detto Cerra incaricava il notaro D. Luigi Larussa di Catanzaro, di provvedere ad eseguire la confezione del detto cabreo, fornendogli le copie del precedente cabreo del 1705 e del “Piano” relativo allo smembramento avvenuto nel 1791.

 

Periti ed agrimensori al lavoro

Per quanto riguarda la Commenda Prima, al fine di ricognire i suoi beni secondo gli esatti confini, nei primi giorni di gennaio del 1795, furono affissi e pubblicati i bandi nei luoghi soliti e consueti dei paesi interessati, in maniera che fossero avvisati tutti i confinanti, affinchè fornissero un elenco di periti sospetti, così da giungere alla nomina dei “Periti di Campagna ed Agrimensori” non sospetti alle parti.

Considerato che nessuno segnalò sospetti, il notaro Luigi Larussa nominò le persone che si sarebbero dovute occupare delle misure e delle verifiche sul campo, che furono Damiano Argirò di Squillace “publico Agrimensore” e mastro Aurelio Rossi di Cropani, scelti tra le “persone prattiche e perite in tale mestiere”.

Tra coloro invece, che furono indicati dalle rispettive università, come persone del luogo “Esperti, Probi ed idonei”, quella di Belcastro nominò Domenico Mazza “alias Dolceamico” di Belcastro e Bruno Colistra di Andali.

Il giorno 25 essi cominciarono il loro lavoro proseguendo in quelli successivi, procedendo “nel Territorio di Belcastro, e ne’ Tenimenti, ove sono siti i Beni med.mi”, usando un “Estratto” dell’antico cabreo del 1705-06 e il “Piano, o sia Notamento de’ suddetti Beni smembrati dal Baliaggio med.mo nel 1791”.

Il 20 aprile 1795 completate le perizie, i beni riconosciuti come “Beni demaniali della Commenda P(ri)ma di Belcastro”, di cui furono realizzate anche le “Piante dei Beni, e Gabelle o siano Territori Della Commenda Prima di Belcastro”, risultarono i seguenti: la gabella “S. Jania” che costituiva “una Continenza” con l’altra detta “Cugnoli”, la gabella detta “Cavalcatore”, i due vignali adiacenti a questa gabella detti “Vignali del Cavalcatore” e la gabella “S. Giovannello”.

Anche per quanto atteneva alla Commenda Seconda, le operazioni si svolsero allo stesso modo e furono impegnati a realizzare le verifiche sul campo in territorio di Belcastro, gli stessi esperti: Damiano Argirò ed Aurelio Rossi “Publici Periti eletti”, aiutati dalle “persone probbe” destinate dall’università, Dom.co Mazza alias Dolce Amico e Bruno Colistra. Completate le perizie i beni riconosciuti alla commenda risultarono le gabelle “Freri” e “S. Giovanni”.

Belcastro doc.

Particolare della pianta che descrive le gabelle S. Jania e Cugnoli appartenenti alla Commenda Prima di Belcastro (ASCZ).

I pesi

Accanto all’individuzione dei singoli beni ed all’accertamento delle loro condizioni e dei loro confini, fu provveduto anche ad accertare gli oneri che li gravavano.

In relazione alla richiesta del 28 marzo 1795 da parte del notaro Larussa, di dichiarare il numero di once riportate in catasto che gravavano ogni singolo bene della Commenda Prima in territorio di Belcastro, il 20 aprile di quell’anno, il sindaco Tomaso Gimigliano, assieme a Giovantomaso Nicoletta eletto, firmavano una fede nella quale risultava che avendo “perquisito le Cedole Fiscalarie formate sul general Catasto” della detta università, avevano riscontrato la “partita della Buonatenenenza della Ven : P(ri)ma Commenda di Malta” nella seguente maniera: “Ven : Commenda di Malta, Commenda P(ri)ma”: “Per Santa Jenia : on: 184, Cavalcaturo on: 560 e S. Giovannello on: 050”, per complessive once 794 che alla ragione di grana tre e cavalli sette, importavano ducati 28 : 28 e ¾.

Lo stesso fecero il 15 aprile 1795 quelli di Mesoraca dietro la richiesta del notaro Larussa del 30 marzo 1795: “Commenda di malta p(er) S. Jania, ò siano Cugnali oncie duecento, sessanta sei, e due carlini deve d. 22 : 66”. Oltre a questo peso la detta commenda contribuiva  con altre grana due per ogni oncia in ragione “dell’abbolita rigalia del tabbacco”.

Per quanto riguarda invece i “Pesi annuali” della Commenda Seconda, la fede dell’università di Belcastro del 20 aprile 1795, attestava che la “Gabella nomata Freri” era accatastata nel General Catasto di Belcastro per once 560, mentre quella detta “S. Giovanni” per once 80, per complessive once 640 “che alla Rag.ne di gr(an)a Tre e cavalli sette per Cadauna oncia importano d. 23.93”.

 

I censi di Mesoraca

Sempre a riguardo dei beni posseduti dai Gerosolimitani in Mesoraca, troviamo descritti i censi che l’ordine esigeva in questo territorio.

Dato che “da’ precedenti Cabrei” di detto Baliaggio, si rilevava che esistevano alcuni censi “siti nella Terra di Misuraca” dovuti da “vari Individui di essa”, il 23 aprile 1795 l’università di Mesoraca redigeva una fede nella quale si elencavano i detti censi riportati nel “librone del G(e)n(er)ale Catasto di questa Un(vers)ità”.

Da questo documento apprendiamo che questi censi si trovavano infissi sopra una gabella detta “Vittoriano” posta nella parte del territorio di Mesoraca dove attualmente si uniscono il “F.so Potamo” e la “F.ra di Mesoraca”, che confinava con “il fiume di Putamo” e le terre dette “Cocozzito” e su una possessione sita nel luogo detto Putamo” confine “lo Fiumicello Putamo”.

Qui vicino si trovavano alcune vigne anch’esse soggette al pagamento di un censo alla Commenda di Malta, richiamate nel luogo detto “Vittorio” o “Vittorino”, presso la via pubblica e “le Terre dello Putamo”.

Altri censi poi, si trovavano infissi sopra il territorio detto “Bucciaro”, sopra alcune terre poste nel luogo detto “li Carusi” e nella parte valliva del territorio mesorachese, presso il confine con quello di Belcastro, sopra alcune terre nel luogo detto “li Bricusi, o pure li Gigli”, che confinavano con “le Terre della rocca” della Mensa Vescovile di Catanzaro e della badia di S. Pietro di Niffi e con altre terre della corte di Mesoraca.

 

Il beneficio di San Giovanni alla fine del Settecento

Dalle relazioni del 2 marzo 1795 e del 24 dello stesso mese, effettuate dai periti a seguito della loro ricognizione dei luoghi, ed a compimento dei rilievi di campagna necessari alla compilazione del nuovo cabreo delle due commende, apprendiamo che appartenevano al “Beneficio di S. Gio Batt(ist)a di Belcastro dipend.te dal Baliaggio di S. Eufemia, che oggi si possiede dal Sig.r Abbate Frà Giuseppe Larussa Cappellano Professo della S.R.G., si trova eretto nella Città di Belcastro, e propiam.te fuori le muri della stessa”, i beni già evidenziati precedentemente, tutti costituiti da terre corse, parte siti in territorio di Belcastro (“Valloneo al di quà il Vallone di detto nome” che da ponente, confinava con “la Torre detta di Castellace”, “Valloneo al di là il Vallone di d.o nome”, “Scordillo, o sia Driolo” e “Driolo, o sia li Piani di Driolo”) e parte in quello del suo casale di Andali, ovvero “nella Circumferenza di Andali Casale di Belcastro Denominati Piano di S. Gio : Pietra Majore, e Ceramidio, seu Sarcone” che pur con alcune discordanze ed omissioni, confermavano quanto descritto nell’antico cabreo del baliaggio di Santa Eufemia del 1705.

I pochi ruderi della chiesa di San Giovanni, posti nel luogo detto “S. Giovanni”, confinavano ora con i possessi del tesoriere D. Fran.co Vagnone e dell’arcidiacono D. Antonio Sillano[lxxxix] che precedentemente, alla metà del Settecento, erano appartenuti ai loro rispettivi genitori: Pietro Antonio Avignone ed il mag.co Giacinto Sillano.[xc]

Attualmente, la località che conserva l’antico toponimo, si rinviene presso il cimitero di Belcastro.

 

Ultimi documenti

Dopo l’abolizione dell’ordine di Malta da parte di Ferdinando IV che sottopose i suoi beni alla particolare amministrazione dipendente dalla “Cassa di Ammortizzazione”, con decreto del 19 ottobre 1818, l’amministrazione dei beni e delle rendite della commenda “Belcastro prima” furono concesse al commendatore di Malta D. Giovanni Stagno o Stagna[xci] mentre, nello stesso periodo, il fondo Freri della Commenda di Malta sito in Belcastro, risultava affittato ancora a Gaspare Colosimi (1819) e le terre di Santa Eugenia (“S. Ionia”) Cugnali e Valle Longa, poste in territorio dei comuni di Belcastro e Mesoraca, risultavano anch’esse aggregate al Pubblico Demanio.[xcii]

Il 4 agosto 1838, da Catanzaro, il direttore della “Real Direzione de Dazi Diretti del Demanio” di Calabria Ultra II, scriveva all’arcivescovo di Santa Severina, la comunicazione che aveva per oggetto la “Verifica de’ Beni e Rendite dell’Ordine di Malta” appartenenti al carico del “Demanio Pubblico”, riguardante i comuni di “Belcastro”, “Andali” e “Misuraca”.

In tale missiva, il direttore informava l’arcivescovo di “Una verifica interessantissima, dilicata, e difficile superiormente disposta sù Beni e Rendite dell’abolito ordine di Malta in questa Provincia” e gli annunciava che “a momenti”, tale verifica sarebbe stata affidata ai “Contatori delle Contribuzioni Dirette”, con l’obbligo di eseguirla nel più breve tempo possibile, “poiché [trat]tasi della scoverta di tutte le occultazio[ni,] usurpazioni, ed aggravi inferiti all[’ordi]ne suddetto”.

Considerato che “In tale dissimpegno” si sarebbero dovute investigare le genealogie e le discendenze di coloro che si trovavano annotati sugli antichi “Cabrei” delle commende, con tutti i censi, canoni ed altre prestazioni dovute, il direttore chiedeva all’arcivescovo di provvedere alle convenienti disposizioni nei confronti dei parroci conservatori dei libri battesimali, affinchè aggevolassero e contribuissero al lavoro dei contatori nei comuni segnalati.[xciii]

Successivamente, con decreto del 14 febbraio 1844, i “Beni appartenenti alla Cassa di ammortizzazione e publico demanio per lo ramo di Malta”, denominati: “S. Jenca (sic) e Cugnoli” e “Li fidi (sic)” posti a “Belcastro in Calabria Ultra 2ª”, e quelli denominati “Cugnoli” posti a “Misuraca” nella stessa provincia, andarono a confluire nel “majorasco” precedentemente istituito in favore di S.A.R. il principe D. Luigi Carlo Maria Borbone conte di Aquila.[xciv]

 

Appendice

1) Gabelle appartenenti al baliaggio di Santa Eufemia del Golfo già riportate nel cabreo del 1705 e successivamente assegnate alla Commenda Prima di Belcastro.

S : Jania.

E’ una Gabella di tumulate trecento sessantotto. Il terreno è / aratorio, o sia atto a semina. Confina da Tramontana con D. Giac / chino Ferrari di Catanzaro. Da Ponente il Feudo d.o Crima. Da Mez / zo giorno la Gabella detta Li Decani del Decano di Belcastro, e l’altra / di S. Dom.co di Belcastro. E da Levante colla Gabella detta Con / doleo della Cam.a Ducale di Mesuraca, e coll’altra del Benef.o / di S. Pietro di Niffi.

Cugnoli

E’ una Gabella di tumulate Cento trentasei. E’ della stessa / natura della sudetta di S. Jania colla quale è attaccata / Li suoi confini si dicono l’istessi, e che sia circondata da altri fini. Si porta di rendita nell’assegnazione sudetta / per annui Ducati trecento sessanta due.

Cavalcatore

E’ una Gabella di tumulate ottanta tre. Il suo terreno è / atto a semina. Li suoi confini sono : Da Tramontana la / Gabelluccia d.a S. Domenico de’ Domenicani di Belcastro : Da Ponente / colla Gabella detta Seduto, e colle Gabelle dette Caselle : Da Mezzo / giorno colla gabella detta il Rango : e da Levante colla Gabella detta / Zuccarello, e col Feudo chiamato Magliacane.

Accanto a q.a Gabella si trovano due Vignali, di capacità di tumolate / cinque l’uno. Confina uno di essi : Da Tramontana colla Gabella detta / Cannizzaro della Collegiata di Cropani : e da Mezzogiorno colla Gabelluc / cia detta S. Dom.co de’ Domenicani di Belcastro. L’altro Vignale è si / tuato dentro la pred.a Gabella d.a Cannizzaro della Collegiata di Cropani. / La qualità del terreno è seminatoria.

S : Giovannello.

E’ una Gabella di Tum.te cinquanta. Il terreno è tutto atto a semina. / Li confini sono : Da Tramontana la Gabella grande di D. Dom.co Galati / Diano di Belcastro, e la Gabella detta Pettochino : Da Ponente q.a istessa / Gabella di Pettochino : Da mezzo giorno la Gabella d.a S. Paolo : E da Levante la Gabella detta il Cantorato della Cattedrale di Belcastro. / La rendita di q.a Gabella, e della sud.a del Cavalcatore, e due vignali / adjacenti è di annui Ducati cento quaranta.

(ASCZ, Notaio Larussa L., cit.).

*****

2) 04.10.1794. Copia fatta dal notaro Luigi Larussa di Catanzaro del “Piano, o sia Plana” fatto in Nicastro il 23.03.1791 dal Commendator Annibale Adami.

Seconda Commenda

di Belcastro

1: Freri

E’ una Gabella di Terreno raso / atto a semina di Grani. / Confina dalla parte della Tramon / tana colle Gabelle dette le / Camere del B(aro)ne D. Saverio Coscia / di Catanzaro, colla Valle della /  Cerza del med.mo Coscia, colla Gabel / la detta la Caputa della Chie / sa di S.ta Catarina di Cropane / oggi della C. S. : Da Ponente colla / Gabella detta Cumparo del Capi / tolo della Colleggiata di Cropane / e colla Gabella detta la Piterà / del Decano D. Giuseppe Fragale : Da / mezzogiorno col Feudo Maglia / cane di D. Felice Nobile di / Cat.ro : e da Levante colla Gabella / detta Pantanelli, spettante alla / Baronia di massanova del S.r Prin / cipe Doria.

La sua estensione è di Tomolate trecento / venti.

Questa Gabella trovasi fittata al / Sig.e Benedetto, e Gaspare Colosimo / per annui Ducati Trecento novanta / sebbene d’altre notizie si rileva es / sere affittata per annui d. 370.

2: Cosentino

E’ un pezzotto di Terra situata in / Territorio delli Castelli nel Corso / di Campo Longo del S.r Principe della / Roccha, che vi ha la Grancia : La / sola semina suole fittarsi per ogni / anno Ducati nove, siccome è stato / solito da tempo immemorabile, e / si paga il Fitto dalla Camera  Ba / ronale della Terra delli Castelli d. 9

3: Tacina, o sia Priorato

di Tacina

Terreno seminatorio vicino al Fiume / Tacina, accanto la Gabella delle / Valli appartenente alla Baro / nia detta di Tacina, e beni del Vescovo d’Isola, in qual Corpo si / pretende dal Barone di Tacina / averci il jus pascolandi, e quella / Camera Baronale ne paga / annui Docati trenta d. 30

4: S. Giovanni

Questa Gabella è di Terreno raso, atto / a semina di grani. / Confina da Tramontana colla Gabella / detta il Cantorato delle Prebenda / Cantorale di Belcastro: Da Ponente / colla Gabella detta Marcantonio Fer / raro di D. Antonio Corabi di Cropani / Da Mezzogiorno colla Gabella Bilotta / di D. Fran.co Corabi di Cropani, e da / Levante colla Gabella detta Gabella / Grande posseduta da D. Dom.co Galati / de Diano di Belcastro.

La medesima è dell’estensione di Tu / mulate quaranta cinque.

Attrovasi fittata a m(ast)ro Pietro / Stanizzi di Andali per annui Do / cati quaranta d. 40

5: Piano di S. Giovanni

E’ di natura Corso; alborato con dieci piedi / di Castagne vecchie disperse per / tutta l’estensione del terreno, il / quale parte è pietroso, ed inse / minabile, e parte atto a semi / na di grano, e di germano.

Confina dalla Tramontana con’ / i Beni di Carmine Tocci : Da Levan / te colle Castagne di Santo Cuda, e / del Decano D. Giuseppe Fragale, col Vignale di Gesù Cristo della chiesa / Parrocchiale di Andali, oggi della C. S. / e col Timpone detto d’Andali : Da / mezzogiorno colle Castagne di d.o Fra / gale : e da Ponente con Ignazio / Abbate, ed il menzionato di Fra / gale.

La di lui estensione è di tomolate sedeci circa, delle quali Tumo / late dieci sono atte a semina / di grano, e di germano, e Tumo / late sei sono inseminabili, per / essere pietrose d. 16

6: Pietra Majore

Altra Continenza di Terra di natura / Corsa, parte a semina, e parte / inseminabile.

Confina da Tramontana colle Terre / del Decano Fragale : Da Ponente / colle Castagne di Felice Taverna / di Catarina Peta, di Antonio Peta, / di D. Carmine Manfreda, e di / Antonio Peta Ebreo : Da mezzo / giorno colle Castagne di D. Fran.co / Torchia, e libertà della Terra, o / siano Comuni, e colle Terre della / Prebenda Decanale di Belcastro : /  e Da Levante col d.to Decano Fra / gale.

E’ dell’estensione di Tumolate sei / circa, delle quali quattro Tu / molate sono atte a semina, e / due inseminabili, e petrose.

Si trovano affittate d.e due Continenze / a Gennaro Scheridi di Andali, per / anni tomoli quattro grano bian / co, che valutato a carlini dieci / il Tumolo, importano Ducati d. 6

7: Ceramidio o Sarcone

E’ una Continenza di Terra Corsa, parte / seminabile, e parte petrosa, ed in / servibile: Confina dalla Tramonta / na col Vallone detto Ceramidio, / che mette nel Fiume Nasari: / Da Ponente colle Castagne / di Pietro moraca della Cerva, / e colla Fontana detta Cornacchia / Da Mezzogiorno colli Comuni, o sia / Libertà della Terra: e Da Levante / col Fiume detto Nasari, e Vallone / Seccagno, che mette a d.o Fiume. / E’ dell’estensione di Tumolate / Dodeci circa, otto seminabili, / e quattro pietrose, ed insemi / nabili.

Si trova affittato a Fran.co Moraca del / la Cerva per annui grano bian / co Tumula quattro, che valutato / a Carlini dieci il tumolo impor /  tano Ducati quattro d. 4

(ASCZ, Notaio Larussa L., cit.).

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3) 20.03.1795. Descrizione dei beni della Commenda Prima di Belcastro.

Beni demaniali della Commenda P(ri)ma di Belcastro

S. Jania

Questa è una Gabella di vasta estensione, la quale / costituisce una Continenza coll’altra Gabella detta / Cugnoli, da cui è divisa in parte da una stra / da publica; tanto vero, che nell’Antico Cabreo / del Baliaggio si trovano dette due Gabelle / in un solo Corpo descritti, e dell’estensione / di salmate quaranta cinque, che importano Tumolate 380.

Essendosi misurata la sola Gabella S. Jania, è / dell’estesione di Tumulate Trecento sessant’ / otto, Terreno atto a semina di Grano bianco, in / sito piano, semipiano, e scosceso, e di figura / molto irregolare. Confina nel seguente modo / cioè : Dalla Tramontana scendendo al Ponen / te confina colla Gabella detta D. Giacinto di D. Giacchino Ferraro di Catanzaro, e seguendo, col / la Gabella detta Sgarrilla del medesimo, colla / Gabella detta S. Domenico de’ PP. Domeni / cani di Belcastro, oggi della Cassa Sacra, colla / Gabella detta le Timparelli della Famiglia / Fragale di Andali, e finalm.te col Feudo detto Crima  del citato D. Giacchino Ferraro. Dal Ponen / te poi  volgendo al mezzogiorno  Confina colla Gabel / la detta Varrina della d.a Famiglia Fragale di / Andali, e finalm.te col Feudo detto / Crimadel citato D. Giacchino Ferraro. Dal Ponen / te volgendo al mezzogiorno confina colla Gabel / la detta Varrina della d.a Famiglia Fragale di / Andali, e colla Gabella detta li Decani della / Prebenda Decanale della Cattedrale di Belca / stro. Dal mezzogiorno salendo al Levante attac / ca con altra Gabella di S. Domenico di Belcastro, /  oggi della Cassa Sacra. E finalm.te da’ Levante / unendosi alla Tramontana Confina colla Gabella / detta Cugnoli di questa stessa Commenda, colla / strada, che la divide dalla Gabella medesi / ma, e con i beni del Beneficio di S. Pietro di / Niffi.

Quale Gabella S. Jania, al presente da’ la / rendita di annui ducati trecento ottanta / inclusa ancora la Gabella che siegue detta / Cugnoli, date in affitto a Tommaso Brut / to per obbligo stipolato dal Magnifi / co Notar D. Luigi Larussa.

Cugnoli

Questa Gabella è dell’estensione di Tumulate / Centotrentasei, Terreno come il precedente, / atto a semina di grano bianco. Confina dalla / Tramontana colla Strada publica, che la divide / dalla Gabella detta S. Jania; Da Ponente / limita colla stessa Gabella. Da Mezzogiorno / col Vignale detto Condoleo della Camera Ba / ronale di Misuraca, e con altro Vignale di / S. Domenico di Belcastro, che oggi si appartie / ne  alla C. S.. E da Levante limita colla / Gabella detta rocchicella di d.a Camera di / Mesuraca. E la sua rendita va’ inclusa / colla Gabella precedente S. Jania, come si è / di sopra accennato per annui D. 380.

Cavalcatore

Questa Gabella nell’ultimo Cabreo del Baliaggio / si trova descritta senza la notizia della / sua estensione, la quale è di Tumulate / Ottantatre, nella maggior parte in piano, / terreno atto similm.te a semina di grano bian / co. La sua Confinazione corrisponde a quella / dell’Antico Cabreo, sebbene in parte siano cam / biati  i Possessori de’ beni vicini. Da Tramonta / na Confina con una Gabella dell’abolito Conv.to / di S. Domenico di Belcastro, oggi della Cassa / Sagra. Dal Ponente con quella detta Peduto / di D. Tommaso Fina di Cropane, e colla Gabel / la detta Casella di D. Vitaliano Riso di Catan / zaro, che fù di Alfonso Galzarano. Da Mezzo / giorno colla Gabella detta l’Arango di D. / Fran.co Riso di Catanzaro, che fù de’ F(rate)lli di Sammar / co, e Da Levante Confina colla Gabella det / ta Zuccarello del Cennato D. Vitaliano Riso / che prima si appartenea al sopradetto Gal / zarano, e col Feudo detto Magliacani di / D. Felice Nobili di Catanzaro.

Questo Terreno dal Levante, a Ponente è / soggetto ad una Strada publica, e dalla / affluenze delle acque si trova positivam.te / danneggiato con spaziosi, e profondi scavi nella / parte piano, e migliore di esso, che da / Noi si credono irreparabili, perché necessa / riamente devono scorrervi le acque, che / per le pioggie scolano dalle parte superio / ri : e stimiamo soltanto potersi impedire / gli ulteriori devastamenti.

Si trova al presente affittata per annui / Docati Cento quaranta, assieme colle Gabel / le, che sieguono

Vignali del Cavalcatore

Adjacenti alla sopradetta Gabella del Cavalcatore / possiede la Commenda due Vignali, o siano / pezzi di Terreno raso della stessa qualità.

Uno di essi, ch’è il più prossimo al Cavalcatore, / e che gli attacca da un Angolo, confina da / Tramontana, Ponente, e Levante  colla Gabel / la della Chiesa Colleggiata di Cropane, oggi / detta Cannizzaro, e che per quanto si deduce / dal Cabreo del Baliaggio, anticamente si / denominava Parruccio, e dal Mezzogiorno / colla Gabella di S. Dom.co di Belcastro, che da / Tramontana attacca col Cavalcatore. Qua / le Vignale è della estensione di Tumulate / cinque in semipiano, atto parimendi a / grano bianco.

E l’altro Vignale viene da tutti i lati circon / Dato dalla soprad.a Gabella Cannizzaro, o Parruc / cio della Chiesa Collegiale di Cropane. Ed è / dell’estensione di altri Tumulate cinque, come / il precedente, dello stesso sito, e qualità.

Quale sopradescritta Gabella detta Cavalca / tore, e li soprad.i Due Vignali adjacenti  sono / inclusi nell’affitto, unitamente colla Gabella / che si descriverà in appresso denominata / San Giovannello.

S. Giovannello

Questa Gabella nel Cabreo del Baliaggio porta la stes / sa denominazione senza esprimersi però l’esten / sione. Essendosi da noi fatta la ricognizione / de’ Confini, questi si sono trovati diversi da / quelli descritti nella plana dello smembram.to / perché smembrati forse peristaglio colla Gabella / detta S. Giovanni della Commenda Seconda di / Belcastro. Confina dunque da Tramontana / colla Gabella detta il Cantorato della Prebenda / Cantorale  di Belcastro. Da Ponente detta / Marcantonio Ferraro di D. Antonio Corabi di / Cropane. Da Levante colla Gabella Grande / di D. Dom.co Galati de Diano di Belcastro (Quali / tre Confinazioni concordano esattam.te col citato / Antico Cabreo del Baliaggio)  e da mezzogiorno / colla Gabella denominata Bilotta di D. Fran.co / Corabi di Cropane.

La sua estensione è di Tumulate Cinquanta / conforme si descrive nella Plana di d.a Com / menda, Terreno in semipiano, ed atto parim.ti / alla semina di grano bianco.

La sua rendita secondo l’affitto presente / tenuto da D. Vitaliano Riso di Catanzaro / va inclusa colle Gabelle sopradescritte / Cavalcatore, e Vignali adjacenti per annui / Docati Cento quaranta D. 140.

Terreni inaffittati detti li Vignali

Di questi Terreni, che da Noi si sono similmente / visti, e riconosciuti, anche di v(ost)ro ordine, e colla / v(ost)ra assistenza, non se ne fà qui  la descrizio / ne, perché beni appartenenti al Beneficio / di S. Giovanni di Belcastro, che per errore / furono assegnati a questa Commenda, quando / spettavano, come spettano al d.o Beneficio, / ed oggi si godono dal Revd.o Sacerdote Frà Giusep / pe Larussa Cappellano professo della S. R. G., / così anche dichiarati con Decreto di S. G. E., e / Sacro Concilio Ord.rio di Malta, e perciò dello / Stato de’ suddetti Beni se ne farà da noi atto / separato, e distinto.

(ASCZ, Notaio Larussa L., cit.).

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4) 23.04.1795. Censi spettanti alla Commenda di Malta riportati nel catasto universale di Mesoraca.

Censi, e Censuarj della Terra di Mesuraca

Francesco, ed Anna Biondi figlia del q.m Marcan / tonio sopra una Gabella nel luogo detto Vitto / riano juxta il fiume di Putamo, e le terre di / Misuraca dette Cocozzito, e quelle Denomi / nate Donnateta possedute dalla Chiesa di / S. Pietro, e S. Nicola Pagano annui Carlini dieci d. 1

Gio Batt(ist)a Brizzi

Notar Gio Batt(ist)a Scandale di Policastro, e la / Cappella del SS.mo di Misuraca sopra alcune Terre / nel luogo detto li Carusi, posseduta cioè per / una terza parte da d.o Notar Scandale, per una / parte, e mezza dal Brizzi, e per una mezza / parte dalla Cappella pagano in solidum an / nui Carlini dieci, divisi fra loro, cioè

Gio Battista Brizzi d. 0:50

Notar Scandale d. 0:30

La Cappella d. 0:20 d. 1

La Corte di Misuraca sopra alcune Terre loco / detto li Bricusi, o pure li Gigli, Confine le Terre / della rocca della Mensa Vescovile di Catanzaro, / e della Badia di S. Pietro di Niffi, ed altre Terre / della Corte di Misuraca, paga annui Carlini cin / que d. 0.50

Più la Corte sud.ta sopra una possessione, che / anticamente si possedea da Giuseppe Riccio nel / luogo detto Putamo, juxta lo Fiumicello Puta / mo la Gabella del Cantorato di Misuraca, ed il / territorio detto Mazza renda, annui grana dieci d. 0:10

Item la Corte sud.ta sopra il Territorio detto Buc / ciaro, annui Carlini dodeci d. 1:20

Dippiù la detta Corte di Misuraca sopra le Terre / che anticamente erano degli Eredi di Girolamo / Capruzzano, deve annui Carlini quattro d. 0:40

Francesco Puglise sopra una Vigna loco detto / Vittorio, iuxta le Terre dello Putamo i Beni di / Ciccio Susanna, annui grana venti d. 0:20

Ciccio Susanna sopra le seguenti Terre, che / prima si possedeano dal Sig.re Ferrante Pistoja, / cioè / Sopra una Vigna loco detto Vittorino, che prima / fù di Santo Donato, juxta li beni di Gio : Capuano / la via publica annui grana venti  d. 0:20

Sopra una possessione, che prima fù di Antoniello / Cajano loco detto Vittorino, juxta la vigna / di sopra, e la via publica annui grana dieci d. 0:10

Sopra una Vigna, e Terre loco detto Vittorino, che / prima furono degli Eredi di Gio : Cajano, annui / grana dieci d. 0:10

E sopra una vigna loco detto Vittorino, che p(ri)ma / fu del q.m Pietro della Russa, juxta lo loco di / D. Jacinto, e la via publica, annui grana / cinque d. 0:05

(ASCZ, Notaio Larussa L., cit.).

*****

5) 24.03.1795. Beni del beneficio di San Giovanni di Belcastro.

Beni Demaniali Spettanti al Beneficio di

S. Giovanni di Belcastro.

Il Beneficio di S. Gio Batt(ist)a di Belcastro dipend.te dal / Baliaggio di S. Eufemia, che oggi si possiede / dal Sig.r Abbate Frà Giuseppe Larussa Cappella / no Professo della S.R.G., si trova eretto nella / Città di Belcastro, e propiam.te fuori le muri /  della stessa. La sua chiesa è diruta, siccome / apparisce dal Cabreo del Baliaggio di S. Eufe / mia fatto nell’anno 1705, ed al presente / non esistono, che pochi ruderi: E la stessa / era situata nel luogo detto S. Giovanni, con / finante al Vignale del Reverendo Tesoriere D. Fran.co / Vagnone, e Reverendo Arcidiacono D. Fran.co (sic) Sillano.

Essendosi da noi proceduto alla ricognizione, e / Misura de’ beni annessi al sud.o Beneficio, / i medesimi sono del modo seguente videlicet:

Valloneo al di quà il Vallone di detto nome

E’ un Vignale di natura Corso, o sia ignobile dell’ / estensione di Tumulate quattro in Circa. /  Vi sono otto piedi di Castagne in’annosi, e / di mala qualità. La terra non è atta a se / mina, perchè il vignale è un luogo scosceso / e tutto dirupi, e Timpe, e perciò le Castagne / dan poco frutto. Li Confini sono. Da Tramonta / na col Vallone detto Valloneo, e coi beni Dotali / di Saverio Piterì di Belcastro; da Ponente la Torre detta di Castellace; Da Mezzogiorno il / Fondo detto Pietra del Drago, e con altro detto il / Bastione del Monte de’ Poveri di Belcastro / da Levante coi Beni degli Eredi di Antonio Ge / melli, e della Chiesa dell’Annunziata di d.o Bel / Castro.

Si chiama Vignale per Causa, che prima vi era / piantata vigna, e oggi si trova distrutta per / lo tempo, e che poi non si è mai rifatta. La / Terra è rimasta di natura Corsa.

Perché il Terreno è di picciola estensione, di pes / sima qualità, ed inseminabile, non si trova / ad affittare. Si percepisce però il frutto delle / castagne, il quale si apprezza al maturo, e / si vende a particolari; ma questo non può / ascendere, che ad annui Carlini quindeci l’ / anno incirca.

Valloneo al di là il Vallone di d.o nome

Questo è un altro Vignale, il quale forse antica / mente era attaccato col primo, e poi diviso / dal Vallone, che ci ha dato il nome. E’ ancora / di natura parimente Corso. Vi sono piantate / otto piedi di Castagne vecchie, il frutto de’ / quali per esser situate in luogo Paludoso, o / Pantanoso perloppiù casca nel Vallone.

La sua estensione è di tumolate quattro in / circa. La Terra mettà, è acta a semina, e / l’altra metà tutto pietroso, dirupi, e lavato / dalle acque. Li confini sono. Da Tramonta / na li Beni della Chiesa dell’Annunciata di / Belcastro, e Pasquale Totino di d.o luogo; Da / Ponente  l’istesso Totino, li Beni di Giuseppe / Tassona, e Mastro Tommaso Rajmondi di d.o luogo / Da Mezzogiorno il Vallone, che la divide dall’altro / precedente; e Da Levante i Beni di Antonio / Gemelli e la Strada publica.

Stante la natura Corsa del Terreno, e la picciola / estensione di esso non si affitta, ma si tiene in / demanio da Rettore del Beneficio, e negli anni si semina, si semina da chi da chi si vuole, e se n’esigge / il Terratico secondo l’uso del Paese, cioè quanto dall’apprezzatori pubblici si stimerà essersi se / minato del Grano; locche quoando succede, suole / ascendere a circa quarti tre di Tumulo di majo / riche, o di grano, che secondo li prezzi correnti / puol importare annui Carlini Dodeci, e grana / Cinque. Più dalle Castagne, che si possono rac / cogliere, e che si vendono, come si è detto nel pre / cedente, possono ricavarsi annui grana qua / rantacinque, e perciò questo Vignale rende / in tutto Carlini Diecesette d. 1:70

Le Due sud.i Vignali non concordano col Cabreo pre / cedente del 1705, ma colla Conciliazione dei / Confini, e per le dilucidazioni presi da Libri /  Catastali della Uni(versi)tà, e da quanto si è pro / vato nel S. C. Ord.rio di Malta nel Decreto In / serito precedentem.te nella Descrizione della / Prima Commenda di Belcastro, Costa, che que / sti siano, unitamente coll’altro, che appresso / si descriverà sotto la denominazione di Pietra / Majore, quelli che si descrivano in Primo / Luogo sotto la denominazione di una Conti / nenza di più Vignali. Ora si è trovato che / sotto la descrizione di una possessione di / più Vignali, si comprendon li sud.i Due, e / l’altro che si descriverà appresso. A med.i  non / si è dato in d.o Cabreo Antico alcun nome / ma si vide chiaro, che l’abbian questi due / preso dal Vallone che li divide l’uno dall’ / altro, e Dell’altro ora detto La Pietra Majore / non si sa il perchè non si abbia nominato pu / re dalla liquidazione de’ Confini, e verificazio / ne de’ medesimi dal Continuo possesso, e dalla / Tradizione de’ Vecchi Massari, ed Agricoltori / del Paese si è veduto, che sian questi an / ticamente l’istessi, che quelli, che si trova / no Descritti nel modo indicato nel Cabreo.

Scordillo, o sia Driolo

E’ un picciolo Vignale anche di natura Corso di / estensione di circa tre quarti di tumulata / di terreno. Vi sono in esso piantate otto pic / cioli piedi di Quercia, ma di buona qualità. / Li suoi confini sono. Da Tramontana colla Gabella / chiamata Sinoro de’ Sig.ri Capocchiani di Mesura / ca; Da Ponenete col Fondo detto Scordillo della / Chiesa dell’Annunciata. Da Mezzogiorno col Fon / do chiamato La Cappella de’ Sig.ri Iazzolino di / Belcastro, e da Levante anche col sud.to Fondo di / Sinoro de Sig.ri Capocchiani.

Perché tutto il Terreno è coperto dalle dette quer /cie, perciò non si suole seminare. Gli alberi / producono molto frutto, ma la maggiorparte / va a cadere dentro il Fondo, che si chiama Cappella / Si apprezza però al maturo quel frutto, che vi / rimane negli alberi, che poi si vende, e se ne / ricava anno per l’altro circa annui Carlini / Dodeci d. 1:20

Confronta col Cabreo precedente dove stà deno / minato solamente Driolo, e si porta di circa / mezza tomolata

Driolo, o sia li Piani di Driolo

E’ parimente un Vignale dell’estensione di po / co meno di tumolate due. La sua terra è / tutto aratorio, ed atto a semina. Vi esistono / due piedi di quercie buone, ed alcune mezza / ne di esse (cioè per esservi li piedi di quercia / nel  Confine metà di esse spettano al Beneficio / e l’altra metà al Confinante). Li suoi Confini sono. / Da Tramontana il fondo detto Cappella de’ / Sig.ri Jazzolino. Da Ponente col Benef.o di S. / Maria di Trapani; Da Mezzogiorno coi beni della / menza Ep(iscopa)le della Cattedrale di Belcastro; e / da Levante coi beni di D. Giovanni Raimondo / di Belcastro.

Per esser il Terreno di natura Corso, e di pic / cola estensione non si puole trovare ad / affittare, ma si dà a Colonia, come si è detto / di sopra, e li frutti si vendono ad apprezzo / per cui si percepisce ogni anno dalle Terre / circa Carlini quindeci d. 1:50

e da frutti degli Alberi an. d. 0:40

in tutto d. 1:90

Concorda col Cabreo precedente.

In Andali

Piano di S. Giovanni

Terreno di natura Corso dell’estensione di / Tomolate quattordeci (tt.e 18). Vi si trovano sei piedi / di Castagne, ma molto vecchie, perchè annose. / Il Terreno, e porzione atto a semina, e por / zione inculto, e pietroso. Li suoi Confini sono / Da tramontana La Cappella di Gesù Cristo / Da ponente colle Castagne di Ignazio Ab / bate, e Tommaso Donato, Da Mezzogiono col / le Castagne del Sig.r Fragale, e Da Levante / colle Castagne della Cappella dell’Imma / colata di d.a Terra, e colle Castagne di / Domenico Cesare Grillone, e Antonio / Peta.

Si percepisce l’annua rendita di circa Carlini / Trentasei d. 3:60

Concorda col Preced.te Cabreo.

Pietra Majore

Terreno Corso di tumolate sei circa, ma tutto / pietroso. Vi si semina grano germano per / quanto si puole. Vi sono due piedi, e una / mezzina di Castagne. Li Confini sono. Da Tra / montana le terre dette Sculco de’ Sig.ri Fragale. Da Ponente / colle Castagne di Felice Taverna, ed Eredi di Catarina /  Peta, alias la Resoluta, Dom.co Cesare Grillone, Antonio / Peta, R. D. Carmine Manfreda, e Felice Peta. Da Mez / zogiorno colle Castagne di Fran.co Torchia, e Libertà / della Terra di Andali, e Da Levante colle Terre dette / il Loddano della Prebenda Decanale di Belcastro, e le / Terre di Galati de Sig.ri Fragale.

Stante la mala qualità del Terreno non si trova ad / affittare, ma di dà a semina anno per anno, e / si percepiscono in tutto circa annui Carlini ven / tiquattro         d. 2:40

Non si trova descritto nel Cabreo precedente, ma / và colla Descrizione  in esso fatta, come si disse / sopra nelle Terre di Valloneo.

Ciaramidio o Fossa di Sarcone

Terreno Corso della estensione di tumolate Dodeci (tt.e 16) / porzione aratoria, e porzione pietroso. Vi è in esso / La fornace per Cuocere embrici, Tegole, e matto / ni, e numero Cinque Borghe per uso di macerar / si il Lino. Li Confini sono. Da Tramontana col / Cavone, o sia Torrente detto Ceramidio, che / sbocca nel fiume Nasari; Da Ponente colle / Castagne de’ figli, ed Eredi Tommaso Moraca / della Cerva, e fontana detta di Cornocchia, da / Mezzogiorno colla Strada, per dove si conduco / no i tratti per lo Vallone secco, che mette al / fiume Nasari.

Questo Terreno è affittato con obbligo p(er) tutto l’anno / 1798 a Scipione Sacco, Serafino Scalise, / e Tomaso Leone della Cerva per annui Docati / quattordeci d. 14

Concorda Col Cabreo Precedente.”

(ASCZ, Notaio Larussa L., cit.)

*****

6) 02.03.1795. Beni appartenenti alla Commenda Seconda di Belcastro.

Nel Territorio di Belcastro

Freri

Questa è una vasta, e speciosa Gabella che nell’ / Antico Cabreo viene anche distinta colla / denominazione di Freri, sita nel Territorio / di Belcastro, ed in quella Uni(versi)tà è catasta per / i pesi fiscali. Essendosi visitata, riconosciuta, e misurata coll’intervento di Dom.co Maz / za, e Bruno Colistra in nome, e parte dell’ / Uni(versi)tà, si è trovata, come siegue: Da Tramon / tana confina colle Gabelle dette Le Camere / e la Castagna del B(aro)ne D. Saverio Coscia di Cat.ro / che furono di Tommaso, ed altri Fratelli Sammar / co di Vespasiano, colla Valle della Cerza di d.to / Coscia, e colla Gabella detta La Caputa, che fù della / chiesa di S.ta Caterina della T(er)ra di Cropane, og / gi dello stesso B(aro)ne Coscia. Da Ponente colla Gabella detta La Castagna di D. Giuseppe / Fragale di Andali, colla Gabella detta Cumparo / della Colleggiata di Cropane, che secondo il / Cabreo antico fù parte della Camera Du / cale di Belcastro, e parte de’ sud.i Fratelli / Sammarco : Da mezzogiorno col Feudo detto / Magliacani di D. Felice Nobili di Catanzaro / e da Levante colla Gabella detta li Pan / tanelli spettante alla Baronia di Massa / nova del Sig.e Principe d’Angli. La sua estenzio / ne è di tumolate quattrocento, cioè tumola / te Trecento sessanta site in piano, e se / minatorie, e tumolate quaranta Boscose / Costerose, atte al solo uso di pascolo. Quale / estensione corrisponde alle salmate / cinquanta, che si portano nel Cabreo Antico. / Al presente questa Gabella dona la rendita / di annui Ducati quattrocento, e quattro / affittata a D. Felice Nobili di Cat.o p (er) obl.e di nr. Filippo Larosa.

S. Giovanni

Nello stesso Territorio di Belcastro è parim.ti sita la / Gabella detta S. Giovanni, ed alla stessa /  Uni(versi)tà / sene corrisponde il peso del Catasto. Confina da Tra / montana colla Gabella Grande di D. Dom.co Galati di / Diano di Belcastro, e colla Gabella detta Petrochino / di D.n Gio Batt(ist)a Mottola di Catanzaro, ed anche da Ponen / te. Da Mezzogiorno colle Terre dette S. Paolo del / Capitolo di Belcastro, e da Levante colle Terre / del Cantorato di d.to Capitolo. La sua estensione / è di Tumolate Cinquanta Terreno raso, atto a / semina di grano bianco, parte piano, e parte / semipiano e scosceso.

Questa Gabella non si è potuta identificare coll’Anti / [co] Cabreo, in cui si descrive il Terreno detto S. Giovan / ni ch’è stato assegnato alla Commenda Prima / di Belcastro. E sebbene nelle assegnazioni fat / te a d.e Commende si fussero commesse / delle sviste nelle Confinazioni di ques / te due Gabelle Santo Giovanni, e Santo Giovannello, alcune delle quali / sono le stesse pure si sono ora attenta / mente riconosciute, e situate nella nella ma / niera come sopra.

Questa Gabella rende al presente annui Docati Tren / ta p(er) affitto stip.to con Vincenzo Tallarico Manchetta di / Carlopoli. 

(ASCZ, Notaio Larussa L., cit.)

 

NOTE

[i] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI – XIII sec., p. 141-144; Delaville Le Roulx J., Cartulaire Général de l’Ordre des Hospitaliers de S. Jean de Jérusalem (1110-1310), Parigi 1897, tome second (1201-1260), pp. 900-901.

[ii] Russo F., Regesto I, 405.

[iii] ibidem, 378.

[iv] ibidem, 381.

[v] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, pp. 269-272.

[vi] ibidem, pp. 399-403.

[vii] Minieri Riccio C., Notizie Storiche tratte da 62 Registri Angioini dell’Archivio di Stato di Napoli, 1877.

[viii] Reg. Ang. XIII, p. 267.

[ix] Reg. Ang. XVII, pp. 57-58.

[x] Reg. Ang. XIII, p. 221.

[xi] Pratesi A., cit., pp. 331-333.

[xii] ibidem, pp. 340-342.

[xiii] Costitutiones Regum Regni Utriusque Siciliae Mandante Friderico II Imperatore … et Fragmentum Quod Superest Regesti Eiusdem Imperatoris Ann. 1239 & 1240, Neapoli ex Regia Typographia 1786, p. 404; Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1859, Tomo V pars II, p. 929.

[xiv] Scandone F., La vita, la famiglia e la patria di S. Tommaso de Aquino, 1924, p. 84 nota 1; Reg. Ang. XXXV, p. 162.

[xv] Reg. Ang. XXVI, p. 156.

[xvi] Reg. Ang. XLV, pp. 39-40.

[xvii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, III, p. 340 e nota n. 1102.

[xviii] Pedio T., I Registri della Cancelleria angioina della V Indizione (1291-1292), in Studi Storici Meridionali 1/1994 p. 66.

[xix] Reg. Ang. XLV, pp. 41 e 127; Minieri Riccio C., Studi Storici su fascicoli Angioini dell’Archivio della regia Zecca di Napoli, p. 79.

[xx] Reg. Ang. XXXVI, p. 81.

[xxi] Laurent M. H., L’abbazia di Sant’Eufemia e il Vespro siciliano, in Calabria Nobilissima, n. 39-40, 1960, p. 61; Reg. Ang. XXVI, pp.151,156.

[xxii] Russo F. cit. I, 1501.

[xxiii] ibidem, 1521.

[xxiv] ibidem, 1525.

[xxv] ibidem, 1534.

[xxvi] ibidem, 2413.

[xxvii] Vendola D., Rationes Decimarum Italiae nei sec. XIII e XIV, Apulia-Lucania-Calabria, 1939, pp. 214-215.

[xxviii] Camera M., Annali delle Due Sicilie, volume II, Napoli 1860, p. 363 e note 4 e 5, che cita: “Ex. reg. Reg. Rob. an. 1333-1334 lit. B. fol. 242 v.°”.

[xxix] ASCZ, notaio Biondi G. F., busta 158, 1634, f. 71.

[xxx] Salerno M., Toomaspoeg K., L’inchiesta Pontificia del 1373 sugli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme nel Mezzogiorno d’Italia, 2008, pp. 109 e 265-267.

[xxxi] AASS, vol. 2A.

[xxxii] ASV, Instr. Misc., 2788.

[xxxiii] Salerno M., Toomaspoeg K., cit.

[xxxiv] ASN, Reg. Camera della Somm., Segreteria, Inventario.

[xxxv] ibidem.

[xxxvi] ibidem.

[xxxvii] AASS, vol. 41A.

[xxxviii] National Library of Malta, volume AOM 6196, ff. 53v-60v. Nel 1614, la “Grancia di Belcastro” compare tra i possedimenti della “Prioral Corte della Terra de Sant’Eufemia membro della Sacra Religione Hierosolimitana”, nella “Plathea, Libro et annotamento de tutte l’entrade, robbe stabili, censi, attioni et Iurisditioni e Grancie, che tiene, e possiede la Prioral Corte della Terra de Sant’Eufemia membro della Sacra Religione Hierosolimitana tanto nella terra sudetta come nel Casale d’Yezeria, Città di Necastro, Terra de San Biase, Terra de Maida, nella città de Catanzaro, Belcastro, Cotruni, e Zerò, e loro Territori”, pubblicata da Massara K., in “I possedimenti dei Cavalieri di Malta nella Piana Lametina in una platea del ‘600, 2005”, dove manca la trascrizione dei fogli ff. 45v-60v.

[xxxix] Un atto del 1673 che descrive la confinazione di un piccolo possedimento della Mensa Vescovile di Belcastro, indicato quale “Castaneto d.o Andali”, menziona tra i suoi confini “le terre di S. Giovanni Ierosolimitano”. AASS, cart. 15B.

[xl] ASCZ, busta 313, 1668, ff. 275-278.

[xli] ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1665.

[xlii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1692.

[xliii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1707.

[xliv] ASV, Rel. Lim. Bellicastren.,1692, 1703.

[xlv] ASV, Rel. Lim. Bellicastren.,1699.

[xlvi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren.,1711, 1715.

[xlvii] Russo F., Regesto XII, 66799a.

[xlviii] Pesavento A., La cattedrale di Belcastro, in La Provincia Kr nr 20-22/2000.

[xlix] Pesavento A., La città di Belcastro e “La Stella di San Tommaso”, in La Provincia Kr nr 24-45/2003.

[l] ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1699, 1703, 1707, 1715.

[li] ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1703, 1715.

[lii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1707.

[liii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1703, 1707, 1715.

[liv] ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1727.

[lv] Valente G., Il Sovrano Militare Ordine di Malta e la Calabria, 1996 p. 234, che riporta la segnatura e la trascrizione dell’atto fornitogli in copia dal barone Filippo de Nobili: “ASCZ, Prot. Not. Sebastiano Scorfi, 7.VIII.1739, fol. 36v sgg.”.

[lvi] ASCZ, Notaio Larussa L., busta 1912, prot. 12.382, ff. 218-262. La segnatura è riportata in Valente G., cit., p. 233 ed in Montuoro D., Il Sovrano Militare Ordine di Malta e la Calabria. La Grangia di S. Giovanni di Crucoli di Rocca Fallucca, in Rogerius anno XIV n. 1/2011.

[lvii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta 6328, ff. 395-396.

[lviii] Ibidem, ff. 389-391.

[lix] Ibidem, ff. 395-396.

[lx] Ibidem, f. 449.

[lxi] Ibidem, ff. 046-047.

[lxii] Ibidem, ff. 050-051v.

[lxiii] Ibidem, ff. 219-221.

[lxiv] Ibidem, f. 545v.

[lxv] Ibidem, ff. 255-256.

[lxvi] Ibidem, ff. 428-429.

[lxvii] Ibidem, ff. 612-614.

[lxviii] Ibidem, ff. 499-500.

[lxix] Ibidem, ff. 322-324.

[lxx] Ibidem, ff. 521-522.

[lxxi] Russo F., Regesto XII, 66799a.

[lxxii] ASCZ, Notaio Larussa L., cit.

[lxxiii] AASS, 1A.

[lxxiv] Ibidem.

[lxxv] Ibidem.

[lxxvi] ASCZ, Cassa Sacra, Segreteria Ecclesiastica, B. 76.

[lxxvii] ASCZ, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro.

[lxxviii] AASS, 1A.

[lxxix] AASS, 15B.

[lxxx] www.comune.cerva.cz.it Sito istituzionale del Comune di Cerva.

[lxxxi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1726, 1735, 1758.

[lxxxii] ASCZ, Notaio Larussa L., cit.

[lxxxiii] Gattini M., I Priorati, i Baliaggi e le Commende del Sovrano Militare Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme nelle Provincie Meridionali d’Italia prima della caduta di Malta, Napoli 1928, p. 72.

[lxxxiv] ASCZ, Notaio Larussa L., cit.

[lxxxv] ASCZ, Notaio Larussa L., cit.

[lxxxvi] ASCZ, Notaio Larussa L., cit.

[lxxxvii] Ibidem.

[lxxxviii] ASCZ, Notaio Larussa L., cit.

[lxxxix] Ibidem.

[xc] ASN. Catasto cit., ff. 219-221 e ff. 322-324.

[xci] Vacca D. A., Indice Generale Alfabetico della Collezione delle Leggi e dei Decreti per il Regno delle Due Sicilie 1806-1840, Napoli 1841, pp. 170-171 e 631.

[xcii] ASN, Fondo Amministrazione Generale della Cassa di Ammortizzazione e del Demanio pubblico.

[xciii] AASS, 020A.

[xciv] “(N° 8595.) DECRETO col quale si destinano i beni che formar debbono il majorasco precedentemente istituito in favore di S. A. R. Il PRINCIPE D. LUIGI CARLO MARIA BORBONE CONTE di AQUILA.

Napoli, 14 febbraio 1844.

(…)

“Beni appartenenti alla Cassa di ammortizzazione e publico demanio per lo ramo di Malta”.

  1. S. Jenca e Cugnoli – Belcastro in Calabria Ultra 2ª – Imponibile fondiario 512 51 – Affitto attuale 180 D.;
  2. Li fidi – Belcastro in Calabria Ultra 2ª – Imponibile fondiario 513 – Affitto attuale 355 D.;
  3. Cugnoli – Misuraca in Calabria Ultra 2ª – Imponibile fondiario 232 60 – Affitto attuale 120 D.; (…)”. (Collezione delle Leggi e de’ Decreti Reali del Regno delle Due Sicilie Anno 1844, Semestre I, Napoli 1844, pp. 37-55.).

 


Creato il 20 Febbraio 2015. Ultima modifica: 6 Ottobre 2017.

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