Alcuni luoghi di culto fuori le mura di Santa Severina

Il convento di San Francesco dell’Osservanza evidenziato nel particolare di una carta del territorio della città di Santa Severina conservata nel suo Archivio Arcivescovile.

Chiesa dell’Annunziata e convento di San Francesco dell’Osservanza

Alla fine del Cinquecento è segnalata la presenza di una chiesa, sede di una confraternita intitolata alla SS. Annunziata, situata fuori le mura della città. Il 15 luglio 1584 il papa Gregorio XIII concedeva ai confratelli della confraternita della Beata Maria Annunziata, esistente nella chiesa della Beata Maria Annunziata, costruita presso e fuori le mura della città di Santa Severina, l’indulgenza nelle quattro principali festività della Beata Vergine Maria.[i]

La presenza della confraternita con chiesa propria, vicino ma fuori le mura, è confermata anche dalla relazione dell’arcivescovo Alfonso Pisano del 1589.[ii] Secondo il Fiore il convento dei frati minori osservanti riformati di Santa Severina fu fondato da Pietro da Cassano nel 1611.[iii] Secondo altri il convento intitolato alla SS. Vergine Annunziata fu fondato nel 1613.[iv] Situato poco fuori la porta della città detta della Piazza, esso riuscì a passare indenne dalla soppressione dei piccoli conventi al tempo di Innocenzo X.[v] Poco dopo la metà del Seicento, fu arricchito e protetto dagli Sculco, duchi di Santa Severina, i quali costruirono nella chiesa una cappella gentilizia, e fecero alcuni lasciti per la celebrazione di messe in suffragio, come risulta chiaramente dalla seguente testimonianza:

“Io sottoscritto guardiano del ven. convento de P. P. Riformati della città di S. Severina fo fede, qualmente in questa nostra chiesa si scorgono in diversi luoghi l’imprese Gentilizie dell’Illustre Famiglia Sculco, signanter nel soffitto del nostro coro, e parimente in fra l’altre cappelle, che risiedono in d(ett)a nostra chiesa, vi si trova quella della d.a illustre famiglia sotto il titolo del Santissimo, e furono fondate nell’anno 1655 dall’Eccellentissimo Signor Don Carlo Sculco fu Duca di questa medesima Città ed a piè di detta cappella vi stà la lapide sepolcrale con di sopra questa iscrizione. “Carolo ex Sculcorum Familia/ Primo Sanctae Severinae Domino/ Viro ad magna omnia facto/ Invidentibus fatis/ Anno 1656 (MDCLVI) grassante lue/ E vivis erepto”. Et “D. Hieronymae Rotae sub ipso imminente (juventae flor.)/ Flore Prematuro exitu raptae/ Quorum quod condi potuit hic iacet/ Io. Andreas Sculco (I) Sanctae (S.) Severinae Dux/ Frater, et (ac) Vir dolentissimus/ Monumentum hoc excitavit/ Anno Domini 1666 (MDCLXVI)”.[vi]

Ed in questa sepoltura vi stanno riposti tanto li già morti Duchi di questa città, quanto li discendenti della sudetta illustre famiglia Sculco, e fra gl’altri l’illustrissimo Signor D. Francesco Antonio Sculco Fratello utrinque congionto del Sig. D. Tomaso Domenico Sculco, il quale morendo, lasciò, che si celebrassero cinquanta messe l’anno in perpetuum da questi nostri padri, come in effetto ogn’anno li si celebrano, che per essere tutto ciò vero, ne ho fatto la presente scritta e sottoscritta colle mie proprie mani, e sugellata col solito sugello di questo ven. convento. Oggi 24 aprile 1723. Io fra Bonaventura di Mesoraca quardiano faccio fede”.

Il convento mantenne quasi sempre un discreto numero di frati: al tempo dell’arcivescovo Mutio Suriano aveva quattro sacerdoti e quattro conversi[vii] e, pochi anni dopo, è così descritto in un apprezzo della fine del Seicento: “Segue fora di detta Città uscendo dalla parte della piazza e proprio dalla parte di Ponente vi è un monistero de Frati zoccolanti detto dell’osservanza nel quale vi risiedono otto frati tra laici e sacerdoti: vi è la chiesa ad una nave, con due cappelle sfondate una con la statua di S. Antonio e l’altra con l’immagine della Madonna, altare Maggiore custodia e coro; vi sono tre bracci di claustro con 18 celle, ameno giardino, dove si fa verdumi e frutti di ogni sorte. E poco distante di detto Monistero vi è la fontana delle acque di buona qualità, della quale si servono i cittadini vi è la conserva di fabbrica e chiave di bronzo per comodità di quelli che vanno a caricarla”.[viii]

Anche durante il Settecento risulta ben popolato; poco dopo la metà del Settecento secondo l’arcivescovo Antonio Ganini contava ben 16 religiosi,[ix] che al tempo della soppressione, a causa del terremoto del 1783, si erano ridotti però solo a sei frati.[x] Nella lista di carico della Cassa Sacra è così descritto: “Chiesa. La porta della stessa che è una sola, e grande, si chiude da dentro con un legno a traverso. La stessa è nuova. Nella d(ett)a chiesa vi sono sei finestre colle vetrate solam(en)te nelle quali vi sono pochi vetri vi sono sei altari attorno, e l’altare maggiore dietro al quale vi è il coro adornato di sedili e vi sono cinque quadri in d(ett)o coro. L’intempiata dello stesso, e della chiesa è buona. Apparte sinistra è la sagrestia in dove vi è uno stipo, che serviva per conservare l’utensili sacri del convento, vi è la portella che si chiude con fermatura. A parte destra vi è il chiostro in cui s’entra dalla porta che sporge fuori grande e si serra da dentro con un legno; nel primo piano dello stesso vi sono sei stanze, le porte de quali sono vecchie, ed aperte, vi sono sei finestre una porta dauna vecchie e fracide. S’entra per altra porta vecchia senza veruna serratura e si va al secondo piano nel dormitorio, vi sono sei celle colle porte, e finestre aperte, e senza veruna serratura. Nel secondo dormitorio vi sono otto celle, anche le porte e finestre sono aperte e vecchie e così nel terzo dormitorio, nel quale ve ne sono cinque stanze anche aperte. In tutti li dormitori vi sono sette finestre colle apre di legno ma senza potersino chiudere. Sceso nuovam(en)te nel piano a parte sinistra vi è il refettorio, in dove vi sono quattro banchi colli sedili attorno fissi, e vi sono due finestre di legno aperte più appresso vi è altra stanza, in dove vi è uno stipo grande, ed una finestra aperta tanto la porta che si entra tanto quella tramessa tra lo refettorio e d(ett)e stanze sono aperte e vecchie. A destra vi è un’altra porta caduta per dove si entra nella cucina prima, e vi è un bancone fabricato più appresso vi è altra cucina nella quale vi è uno stipo nel muro, ed una finestra aperta, appresso vi è altra stanza in dove vi sono due finestre colle stesse di legno aperte. Sotto d(ett)a cocina vi è altra stanza aperta che serviva per uso di legna e più appresso vi è altra stanza che serviva per il cellaro colla porta aperta senza veruna chiusura, e vi esistono quattro piccole botti. Vicino lo stesso cellaro vi sono due stanze che servivano per stalle senza porte.”[xi]

Soppresso nel 1811 durante il Decennio francese, fu poi riaperto con il ritorno dei Borboni.[xii] Subì alcuni danni a causa del terremoto del 1832. Fu nuovamente soppresso al tempo dell’Unità d’Italia, quando per un breve periodo fu adibito a civile abitazione. In seguito, ritornò di proprietà ecclesiastica.

Il convento dei “Francescani” nella “Veduta Orientale della Città di S. Severina” (Pacichelli G. B., Il Regno di Napoli in prospettiva, Napoli 1702).

Chiese campestri

Delle antiche chiese campestri che, ancora nel Duecento, si incontravano lungo i sentieri e le trazze, e nei numerosi villaggi agricoli sparsi sul territorio di Santa Severina, all’inizio del Settecento ne rimanevano solo due. Quest’ultime, inoltre, erano in uno stato precario, in quanto di solito si celebrava solamente nel giorno della loro festa e per devozione di qualche benefattore. Esse erano senza rendite e con le elemosine si provvedeva alla loro manutenzione ed a fornirle delle cose necessarie al culto.[xiii]

Di alcune di queste chiese campestri, scomparse per la maggior parte durante il Trecento, rimase il ricordo nei canonicati della metropolitana di Santa Severina. Essi ci indicano, oltre al santo a cui era dedicata la chiesa, anche il luogo, o il villaggio, in cui l’edificio sacro era situato. All’inizio del Seicento sono ricordati i canonicati di Santa Maria di Armirò, di S. Nicola di Armirò, di S. Stefano del Bosco, di S. Maria dela Grotta, di S. Maria Ora pro Nobis e di S. Nicola de Scuroioanne.[xiv] A questi sono da aggiungere: S. Domenica di Turroteo, S. Maria de Sette Frati, S. Nicola de Melleis, S. Nicola de Grottari, S. Lucia, S. Maria ad Nives, S. Vito Martire, S. Maria de Migale, S. Giorgio de Grottari, S. Stefano de Ferrato, S. Maria di Buon Calabria, e S. Maria Capriarorum.[xv]

Santa Maria della Consolazione

La chiesa non parrocchiale fu fondata verso la metà del Seicento, poco fuori la porta della città detta “Portanova”. Così, infatti, si esprime in una relazione l’arcivescovo Muzio Suriano: “Chiesa di Santa Maria della Consolazione: è questa fuori le mura della città nuovamente fabricata”.[xvi] Pochi anni dopo un “Apprezzo” ci indica il luogo: “Di fuori di detta città e proprio da sotto il luogo detto Portanova vi è una chiesa sotto il titolo di S. Maria della Consolazione ad una nave, ed intempiatura, pittata con un altare ed una campana piccola”.[xvii] La chiesa esisteva ancora alla metà del Settecento. Essa allora era mantenuta dalla devozione dei fedeli. Vi era l’onere di una messa settimanale a beneficio dell’anima di Agnese Zurlo, e di due messe annuali per quella di Andrea Cozza. Entrambe si celebravano con le rendite provenienti da alcuni lasciti.[xviii]

La chiesa di “S. Maria” della Consolazione nella “Veduta Orientale della Città di S. Severina” (Pacichelli G. B., Il Regno di Napoli in prospettiva, Napoli 1702).

Santa Maria dei Sette Frati

Era situata in località “Fonte dei Settefrati”. Alla metà del Settecento la chiesa era annessa al canonicato del reverendo D. Oronzo Severino; era senza rendite ed oneri, e perciò si celebrava qualche volta per devozione di qualche benefattore.[xix] Alla fine del Settecento, a ricordo della chiesa esiste tra i canonicati della cattedrale, quello di S. Maria dei Sette Frati.[xx]

La località “Font.na Settefrati” in un particolare del foglio N.° 570 Petilia Policastro della carta 1:50.000 dell’IGM.

Santa Domenica

La cappella era anticamente situata fuori le mura. Essa era stata costruita per devozione da Lionardo de Sanfelice, il quale tuttavia, non la provvide di rendite. In seguito, fu dotata dai fratelli Gio. Francesco e Lucantonio Modio, nipoti del Sanfelice, i quali, nel febbraio 1563, ne ottennero lo iuspatronato per bolla di conferma da parte dell’arcivescovo Gio. Battista Orsino. In seguito, col consenso e beneplacito dell’arcivescovo Alfonso Pisano, la cura della cappella fu trasferita dentro la chiesa arcivescovile. Si sa che nel luglio 1619, ne deteneva lo iuspatronato Giulio Cesare Modio, il quale presentò come rettore e cappellano suo figlio, il chierico Gio. Battista Modio, essendo la carica rimasta vacante per morte di suo fratello Gio. Pietro Modio.[xxi] Gio. Battista Modio nel 1634 era ancora rettore della cappella di Santa Domenica, sita nella chiesa metropolitana, come risulta dagli atti del sinodo di quell’anno22. La cappella continuò ad appartenere alla famiglia Modio ed ancora alla metà del Settecento, l’arcivescovo Antonio Ganini segnalava l’esistenza di un beneficio sotto il titolo di Santa Domenica, situato fuori le mura, appartenente alla famiglia Modio, che era amministrato dal chierico Francesco Piterà di Catanzaro, il quale provvedeva a soddisfare l’onere delle messe.[xxii]

Localizzazione della “Fiera” San Giovanni dell’Agli (IGM, F. 237 II N.E. sez.A).

San Giovanni

La chiesa era situata fuori le mura, nel luogo dove si svolgeva la fiera omonima detta di San Janni, o San Giovanni dell’Agli, ogni terza domenica di maggio. Solamente in tale periodo si celebrava la messa per coloro che partecipavano al mercato. Al suo mantenimento ed agli obblighi si provvedeva da parte del duca di Santa Severina.[xxiii]

Note

[i] Russo F., Regesto, V, 23674.

[ii] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1589.

[iii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, 1743, 419.

[iv] Piperno G., I conventi dei Frati minori, p. 56.

[v] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1660, 1666.

[vi] Tra parentesi sono riportate le varianti presenti nella iscrizione come è riportata in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 92.

[vii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1678.

[viii] Un apprezzo della Città di Santa Severina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 122.

[ix] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.

[x] Vivenzio G., Istoria e teoria de’ tremoti, Napoli 1783, (15).

[xi] ASCZ, C. S. Lista di Carico n. 37- S. Severina, 1790, pp. 598-600.

[xii] Caldora U., Calabria napoleonica, Cosenza 1985, p. 227.

[xiii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1725, 1735.

[xiv] Russo F., Regesto, V, 25721.

[xv] Chiese e titoli per i canonici della Metropolitana, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 155.

[xvi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1678.

[xvii] Un apprezzo della Città di Santa Severina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 142.

[xviii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.

[xix] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.

[xx] Chiese e titoli per i canonici della Metropolitana, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 155.

[xxi] Le Cappelle di Patronato nella Metropolitana, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 150.

[xxii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.

[xxiii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.


Creato il 10 Marzo 2015. Ultima modifica: 10 Aprile 2023.

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