Le chiese di San Marco Evangelista e Sant’Antonio Abbate di Crotone

Crotone, chiesa di S. Antonio.

San Marco Evangelista

Tra i capitoli concessi dal re Alfonso d’Aragona all’università ed uomini della città di Crotone, dopo la resa della città al tempo della ribellione del Centelles, vi era la richiesta di spostare la fiera dal primo di agosto al 25 aprile, festa di San Marco: “Item peteno la fera de Cutrone sia anno quolibet lo iorno de la festa de sancto marco de lo mese de aprile et dura iorni quindici franco perche le altre fiate lo dicto mercato solea essere lo primo jorno de augusto”.[i]

La piccola chiesa era situata tra la città e il fiume Esaro, vicino alla marina, detta nel Cinquecento appunto di San Marco.[ii] Sembra che l’edificio sacro sul finire del Quattrocento, con breve di Innocenzo VIII (1484-1492), fosse stato concesso per un certo tempo ai domenicani, che per questo avevano l’onere di versare annualmente nove Paoli ai canonici di San Giovanni in Laterano.[iii] La chiesa si manteneva su un beneficio semplice, che dava una entrata annua di 6 ducati. Uno degli ultimi possessori risulta il canonico di Crotone Baldassarre Marchese, che ne venne in possesso nel gennaio 1595, per morte del precedente rettore.[iv] In seguito la chiesa fu abbandonata e soppressa, e la sua cura fu aggregata alla vicina chiesa di Sant’Antonio Abbate, che assunse così il titolo di San Marco Evangelista e Sant’Antonio Abbate.

La chiesa di San Marco Evangelista non risulta quasi mai elencata nelle relazioni dei vescovi del Seicento. Il suo titolo compare, infatti, appena una volta verso la metà del Seicento, assieme alle altre chiese fuori mura della SS.ma Pietà, della SS.ma Nunziata, di Santa Caterina, di San Leonardo e di Santa Maria La Scala. Anche in questo caso il titolo è forse da riferirsi alla chiesa alla quale era stata annessa, cioè a Sant’Antonio Abbate.[v]

Crotone, chiesa di S. Antonio.

Sant’Antonio Abbate

La chiesa di Sant’Antonio Abbate era posta fuori mura presso la “conicella”, ed è già documentata all’inizio del Cinquecento. Durante il pontificato di Clemente VII, nel marzo 1525, le rendite di alcune chiese di Crotone, rimaste vacanti per morte di Alfredo Saverio, vennero concesse all’arcidiacono Bartolomeo Lucifero, tra queste ci sono: Santa Maria del Mare, Sant’Antonio e Santa Maria della Scala.[vi]

Morto nell’ottobre 1545 Bartolomeo Lucifero, nel maggio dell’anno seguente l’arcipretato di Crotone, la prebenda della Beata Maria della Scala e la chiesa di Sant’Antonio “prope la Conicella”, situata vicino e presso le mura della città, vennero concessi a Gregorio Cosentino.[vii] In seguito la chiesa di Sant’Antonio e l’arcipretato, la quinta dignità della cattedrale di Crotone, alla quale durante il vescovato di Sebastiano Minturno (1565-1570) per concilio diocesano era stata annessa la penitenzieria,[viii] appartennero dapprima a Domenico Sillano[ix] e poi a Leonardo Labrutis.

Dopo la morte di quest’ultimo, avvenuta nel luglio 1577, la prima fu concessa al chierico crotonese Geronimo Facente, il secondo al sacerdote Francesco Sillano.[x] In seguito, la chiesa venne amministrata dall’arciprete penitenziere della cattedrale di Crotone, il quale tra i privilegi, che gli erano conferiti, aveva quelli di essere il primo parroco e propriamente il sacerdote dei forestieri presenti in città e nella diocesi, potendo beneficiare delle offerte votive, che si raccoglievano durante la festa del santo Abbate. Festa che si svolgeva ogni anno, il 17 gennaio, nella sua cappella fuori mura, di cui egli era rettore. Tra gli oneri aveva quello di sedere nella sede confessionale in tempo pasquale, per ricevere le confessioni dei forestieri; ciò doveva fare anche in tempo di indulgenze e nelle feste. Egli inoltre doveva svolgere ogni funzione parrocchiale verso tutti coloro che venivano temporaneamente ad abitare nel territorio crotonese.[xi]

Tra gli arcipreti ricordiamo Giovanni Franchi (morto nel settembre 1623), Io. Andrea Azzarito (dal febbraio 1624), Petro Antonio Bombino (maggio 1635-agosto 1640), Fabritio Bonello (settembre 1640-aprile 1663), Io Battista Venturi (dall’ottobre 1664).[xii] La rendita di questa dignità della cattedrale di Crotone veniva valutata ufficialmente a volte in 24 ducati annui, a volte in 70, ma essa era di molto maggiore. Infatti, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, l’arcipretato possedeva due gabelle (la Brica e la gabelluccia della Carrara) e tre vignali (a Bernabò, a l’Esca e ad Spataro). Le due gabelle a seconda delle annate erano date in fitto a semina o a pascolo. Nel primo caso rendevano 23 salme di grano, nell’altro circa 56 ducati. I tre vignali venivano invece affittati sempre con pagamento in denaro, e procuravano una rendita annua di 14 ducati. Oltre ai terreni l’arciprete esigeva una decina di canoni su vigne e case, che portavano altri 11 ducati. A questi erano da aggiungere le offerte; così a seconda delle annate la dignità poteva disporre di circa un centinaio di ducati all’anno.[xiii]

Nelle relazioni dei vescovi di Crotone del Seicento troviamo più volte citata la chiesa di Sant’Antonio assieme ad altre chiese fuori mura. Così durante il vescovato di Niceforo Melisseno Comneno (1628-1632) fuori e presso le mura, oltre alle chiese della Pietà, dell’Annunziata e di Santa Caterina, sedi delle confraternite omonime, ci sono le altre tre chiese di Sant’Antonio, di San Leonardo e di Santa Maria del Mare.[xiv] Il successivo vescovo Giovanni Pastor (1638-1662), annoverando alcune chiese fuori mura, alle tre amministrate dalle confraternite aggiunge quella di Sant’Antonio, che è annessa alla penitenzieria.[xv]

Sempre durante il Seicento mutò titolo e, assumendo la cura della vicina chiesa di San Marco Evangelista, durante il vescovato di Marco Rama, si presentava con il titolo di San Marco Evangelista e Sant’Antonio Abbate. Allora la chiesa fu visitata, su incarico del vescovo, dal primicerio Geronimo Facente, che la trovò senza proprietà, ma mantenuta dalla devozione dei fedeli. La cura era dell’arciprete della cattedrale, il reverendo Januario Pelusio, al quale il visitatore raccomandò di raccogliere consistenti mezzi finanziari, in modo da poter riparare l’edificio e portarlo in forma migliore. Il prelato, almeno a parole, accolse volentieri le esortazioni del primicerio e promise che entro tre mesi l’avrebbe risanata.[xvi]

Secondo quanto riporta il Vaccaro all’arciprete nella festa del patrono erano offerti doni votivi: “Era costumanza che, al primo di ogni mese, il capitolo della cattedrale vi si recava in processione e, nel secondo giorno, vi aveva luogo la benedizione degli animali”.[xvii] Al tempo del vescovo Anselmo de la Pena era rettore della chiesa l’arciprete Antonio Puglise,[xviii] ed alla sua morte seguì nel novembre 1723 Gio. Domenico Zurlo.[xix]

Situata fuori mura, fu spesso trascurata dagli amministratori, che perciò più volte furono rimproverati e sollecitati dai vescovi del tempo, a provvedere ai necessari restauri. Così si comportò il vescovo Gaetano Costa (1723-1753) nel marzo 1727, essendo arciprete Gio. Domenico Zurlo.[xx] Lo stesso vescovo si adopererà a privare della quinta dignità il successore Donato Oliverio, il quale non solo era sempre assente ma si era anche rifiutato di venire alla residenza. La dignità fu perciò conferita, nel dicembre 1747, a Domenico Rinaldi.[xxi] Alla morte del Rinaldi, nel maggio del 1753 divenne arciprete Domenico Avarelli e quindi, nell’agosto 1774, seguì Michele Messina.[xxii]

Sul finire del Seicento e durante la prima metà del Settecento il luogo, che in precedenza era piuttosto isolato, cominciò ad animarsi. Nelle vicinanze della chiesa alcuni mercanti di Crotone edificarono dei magazzini per la conservazione del grano,[xxiii] e sul largo antistante al tempo del raccolto si vendevano i cereali; tale largo era conosciuto con il nome di “Fosso”.[xxiv]

Al tempo del vescovo Giuseppe Capocchiani la chiesa è descritta come molto piccola e di essa ne aveva ancora cura l’arciprete penitenziere della cattedrale, che era il reverendo Michele Messina, il quale l’aveva di recente restaurata.[xxv] Rimase sotto la cura dell’arciprete anche dopo il terremoto del 1783, come si rileva dalla relazione del vescovo Ludovico Ludovici (1792-1797). Il vescovo faceva presente che tra le dignità vi era l’arciprete, il quale oltre ai doveri propri della sua carica, aveva la cura delle anime degli abitanti fuori mura, che erano i marinai, i contadini, i vignaioli, i pastori ed altri. Egli amministrava il sacro a costoro di persona, o tramite il suo economo.

All’arcipretura era sempre annessa la penitenziera. L’arciprete, inoltre, curava una delle sette chiese, che si trovavano fuori mura della città. Queste pur essendo state lesionate in maniera minima dal terremoto, erano però mancanti di ogni suppellettile sacra e degli indumenti sacerdotali. Le chiese, alle quali il vescovo Ludovici fa riferimento, erano quella di Sant’Antonio Abbate e quelle della SS. Pietà, di San Leonardo, di Santa Maria de Monte Carmelo, di Santa Maria di Capo delle Colonne, di San Carlo Borromeo, ed una situata presso il porto, da poco eretta a spese e volontà del re per i forzati ed i lavoratori del porto; tale chiesa era stata infatti benedetta dallo stesso vescovo nel 1795.[xxvi]

Nel 1807 Sant’Antonio Abate risulta “chiesa rurale attinente all’arcipretura da molto tempo abbandonata, è parrocchia semplice e ne è parroco l’arciprete penitenziere Tommaso Bruno”. “Ha la cura delle 108 anime domiciliate fuori porta e di quelli che sostano dentro i limiti del territorio cittadino dell’estensione di circa 24 miglia. Ha ancora la cura di anime indeterminata. E queste sono: tutti i marinari, che sogliono, e posson capitare in questo porto: tutti li fatigatori, che da’ convicini Paesi sogliono venire per la coltura delle campagne; alli quali tutti è tenuto detto arciprete penitenziere amministrare li Sagramenti, sì per causa d’infermità, sì anche per il Precetto Pasquale, ovvero per propria divozione. È obbligato ancora il detto arciprete penitenziere assistere continuamente al confessionale di questa cattedrale chiesa”.[xxvii] Nel settembre 1819 a Tommaso Bruno seguì Vincenzo Maria Talamo e poi, nel giugno 1831, pervenne a Benedetto Avarelli.[xxviii]

Crotone, chiesa e largo di S. Antonio.

Da Sant’Antonio Abbate a Sant’Antonio da Padova

L’edificio subì alcuni danni dal terremoto del 1832 ed in seguito fu restaurato. Alla metà dell’Ottocento così è descritta dallo Sculco: “Si giunge al largo S. Antonio, ivi vi è eretta una chiesetta e nello spiazzale nell’epoca della raccolta si vendono i cereali, tal sito vien chiamato: Fosso”. Nel 1888, per violenza commessa su una giovane, la chiesa fu interdetta e chiusa.[xxix] Nel 1921 vi fu un tentativo di vendita e nel 1931, per concessione gratuita di un suolo comunale, venne riedificata dalle fondamenta assumendo il nuovo titolo di Sant’Antonio da Padova.[xxx] In seguito ebbe trasferito il titolo della vecchia parrocchia di Santa Veneranda e fu più volte ristrutturata.

Note

[i] Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi al vescovo e all’università e uomini della città di Cotrone durante il sec. XV, Napoli 1923, p. 12.

[ii] “Lo schifo che porta arena dala marina de san marco a lo spontone petro nigro” (1546). ASN, Dip. Som. Fs. 197.

[iii] Forte S. L., Le province domenicane in Italia nel 1650. Conventi e religiosi, Archivum Fratrum Praedicatorum, 39, 1969, pp. 343-344.

[iv] Russo F., Regesto, V, 24945.

[v] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1667.

[vi] Russo F., Regesto, III, 16508.

[vii] Russo F., Regesto, IV, 19130.

[viii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 22.

[ix] Sul finire del 1570 Lauretio Calabrese è tesoriere e vicario, Antonio Lucifero cantore, Thomaso Gatto primicerio e Domenico Sillano penitenziario. ASN, Dip. Som. 315/ 9, f. 76.

[x] Russo F., Regesto, V, 22885, 22886.

[xi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 22.

[xii] Russo F., Regesto, V, 28702 sgg.

[xiii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 137. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 24.

[xiv] AVC, Rel. Lim. Crotonen., 1631.

[xv] AVC, Rel. Lim. Crotonen., 1640.

[xvi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 164.

[xvii] Vaccaro A., Kroton, II, p. 260.

[xviii] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 18.

[xix] Russo F., Regesto, X, 54950.

[xx] Vaccaro A., Kroton, II, p. 260. ASCZ, Busta 663, anno 1731, f. 48.

[xxi] Russo F., Regesto, XI, 61694.

[xxii] Russo F., Regesto, XII, 63175, 66764.

[xxiii] Muzio Manfredi possiede alcuni magazzini fuori le mura dietro la chiesa di Sant’Antonio Abbate. Nel 1732 ne vende uno e “proprio cominciando da dietro la chiesa, non il primo, ma il secondo”, a Ignazio Coccari. Il magazzino era pervenuto a Muzio Manfredi dal padre che l’aveva comprato da Gio. Pietro Presterà (ASCZ, Busta 664, anno 1732, f. 9). Giovanni Capocchiano possedeva due magazzini nel luogo detto S. Antonio Abbate e Gio. Battista Venturi ne possedeva quattro vicino alla chiesa (ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, ff. 114, 202).

[xxiv] Il monastero di Santa Chiara possedeva fin dalla metà del Settecento “un magazzino nel Fosso, dietro la chiesa di Sant’Antonio nella fila della marina”. AVC, Platea del monastero di S. Chiara, 1807, f. 7.

[xxv] AVC, Rel. Lim. Crotonen. 1775. AVC, Nota delle chiese e luoghi pii ecclesiastici e secolari esistenti nel distretto della giurisdizione del regio governatore della città di Cotrone, 1777.

[xxvi] ASCZ, Rel. Lim. Crotonen., 1795.

[xxvii] AVC, Stato delle Chiese e benefici, 1807.

[xxviii] Russo F., Regesto, XIII, 71402, 73681.

[xxix] Vaccaro A., Kroton, II, p. 260.

[xxx] N. 833 – Concessione gratuita di suolo alla diocesi di Crotone per la costruenda chiesa di S. Antonio (20.12.1931) mq. 59 di suolo comunale sulla via Stazione per la ricostruzione della antica chiesa di S. Antonio.


Creato il 10 Marzo 2015. Ultima modifica: 21 Ottobre 2022.

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