Pesca, pescatori e tonnara di Capo Colonna

Crotone, panorama di Capo Colonna.

La pesca nel Medioevo

Il diritto di pescare fa parte dei privilegi dati dai regnanti normanni ai vescovi, agli abati ed ai feudatari. Nella donazione fatta nel 1115 del castrum di Licia da Riccardo Senescalco, figlio del conte Drogone, all’abbate ed ai monaci del Monte Thabor è concesso ai religiosi di poter pescare con i loro pescatori in tutto il mare, eccetto che nella “fossa”, e anche nella fossa se l’abbate di Monte Tabor sarà presente, o saranno presenti quelle persone, alle quali fossero necessari i pesci per rifocillarsi, previo però aver avuto il permesso.[i]

La possibilità di utilizzare una “piscina piscatoria” in località Campolongo in territorio di Le Castella, compare tra i doni concessi da Roberto il Guiscardo al monastero del Patire, poi confermati nel 1132 dalla figlia, la contessa di Crotone Mabilia.[ii] Tra i privilegi concessi al vescovo di Umbriatico vi era quello di esigere le decime sulla pesca nei luoghi marittimi della sua diocesi, cioè a Cirò, Crucoli e Melissa.[iii]

Spesso anche il tipo di pesce che i pescatori potevano trattenere era regolamentato, come testimoniano i privilegi concessi da re Alfonso all’atto della resa, l’otto novembre 1444, ai cittadini di Ypsigrò che ottennero, oltre alla restituzione senza alcun pagamento delle barche da pesca, di poter trattenere “lo pisse grosso” come al tempo di re Ladislao.[iv]

Pescatori a Torre Melissa negli anni Quaranta (foto di Peppino Amoruso, dalla pagina fb di Chiara Amoruso).

Il commercio del pesce

Un certo commercio in ambito locale di pesce fresco è attivo specie negli abitati presso la marina. Tra i viveri forniti dal sindaco di Melissa durante il sindacato 1561/1562 ai contatori di fuochi, vi sono “diece rotula de pisci a cinque grana lo rotulo”, e sempre lo stesso sindaco compra quattro rotoli di pesci da Francesco Fiscaldo per il predicatore.[v]4

Le sarde, il tonno e le acciughe hanno un mercato più vasto. Salati e posti in barili li troviamo nel Cinquecento, quando i “barili di sardi vacanti” erano usati per portare l’acqua per fare la calce per la fortificazione della città di Crotone. Le sarde ed il tonno facevano fin d’allora, parte delle riserve di vitto che erano conservate nelle case della monitione all’interno del castello di Crotone,[vi] ed erano in vendita nelle botteghe cittàdine.[vii]

Di un certo scambio commerciale pesce/formaggio si ha notizia da alcuni atti notarili della fine del Seicento. Il 18 novembre 1679 si presentano dal notaio crotonese Antonio Varano, quattro marinai siracusani che affermano di essere al servizio di Domenico Ponzo di Siracusa, patrone della barca denominata San Giovanni Battista.

Essi erano partiti circa due mesi prima dalla loro città, per venire in queste marine con alcuni barili di tonnina, allo scopo di venderli per conto di Francesco di Montenegro, castellano del castello di Siracusa. Per loro testimonianza la merce fu piazzata a Cariati, Cirò, Strongoli e quattro barili anche a Crotone. Poiché il “sopra carico”, inviato dal castellano nella barca per curare i suoi interessi, si era ammalato ed era sbarcato a Roccella, la vendita era stata curata dal patrone, il quale aveva anche intascato il denaro, ammontante a 260 ducati. Secondo le istruzioni date dal castellano, una volta venduta la tonnina, con i soldi ricavati si doveva comprare del formaggio pecorino da portare a Siracusa.

Il Ponzo perciò trattò a Cotrone la compra del formaggio, poi lasciò la città col taverniere Gio. Domenico Buda, dicendo ai marinai che andava a Casabona a prendere in consegna la merce. Ma non fu più rivisto. Secondo il taverniere Buda, il Ponzo appena giunto a Casabona si rifugiò in una chiesa, dicendogli di ritornarsene da solo a Crotone, in quanto egli non voleva comprare il formaggio, ma aveva intenzione di tenersi il denaro. I marinai, rimasti senza patrone, protestano e vogliono ripartire per Siracusa ma sono trattenuti, perché c’è il sospetto che siano implicati nella “scomparsa” del patrone.[viii]

Il giorno di Natale del 1698 Cusello Pagano di Castellamare, ancorato al porto con la sua tartana, dichiara che, partito a novembre da Messina per Taranto, per imbarcare del grano da portare a Napoli, a causa della presenza di una caravella turchesca, dovette riparare nel porto di Crotone. Qui rimase un giorno, senza tuttavia “pigliar prattica”, per non pagare la tassa. Sparsasi la voce che vendeva baccalà, numerosi cittadini andarono al molo, invitandolo a prendere la prattica in modo da poter comprare.[ix]

Un certo commercio di sarde, di baccalà e di anguille, è attivo nel Settecento. La città fu rifornita di questi prodotti soprattutto da barche estere o provenienti da fuori regione.[x] Spesso la merce sbarcata è di “mal odore e patita di sale”.[xi] Nella descrizione del carico che trasportava una tartana maltese arenata sulle secche presso Capo Rizzuto, troviamo anguille, “anguilloni”, ed una cassa d’anguille salate.[xii] Dalle platee del monastero di Santa Chiara di Crotone, si nota che le monache in primavera fanno provvista di sarde, provvedendo alla salatura,[xiii] e comprano baccalà, che consumano soprattutto alla vigilia di Natale.[xiv] Baccalà ed altri pesci di mare e di fiume, vengono spesso dati in omaggio a vescovi e feudatari.[xv]

Crotone, pescatori nel porto vecchio.

La tonnara di Capo Colonna

Da un atto notarile del 1742 veniamo a conoscenza che, come già succedeva da alcuni anni, Marcello La Piccola di Crotone ed Andrea Orsini di Catanzaro, verso la metà di marzo, erano soliti far “erigere ed apparare la solita tonnara nel “Capo Colonne loco detto Nao”.

Per far ciò, in gennaio l’Orsini si era recato a Pizzo, dove aveva stipulato un contratto col patrone Andrea Jerocadi, abitante a “Pargalia”, casale di Tropea, il quale si era impegnato ad erigere la tonnara e da “rajso” comandarla assieme a dodici suoi marinai ed ad altri marinai di Pizzo.

Alla stipula del contratto, l’Orsini aveva anticipato come caparra al “rajso” ducati 60, ed altri 40 glieli darà poco dopo. Alla metà di marzo, approssimatasi la stagione atta a mettersi in pesca la tonnara, i marinai iniziano ad erigerla, preparano gli attrezzi necessari e accomodano le barche, in modo che essa possa entrare in attività sotto la guida del rajs.[xvi]

Nell’agosto dell’anno dopo (1743) la tonnara è gestita dal nobile Berardino Suriano, ed è sempre sotto il comando del patrone Andrea Jerocadi, rajs di Parghelia. Vi lavorano soprattutto marinai forestieri: Cainienello Persico ed il fratello Michele, originari di Napoli, il facchino Ciccio Pantullo ed il figlio, Tommaso di Tropea, ecc. Nella baracca, piantata a terra, accadono frequenti furti di denaro, di pezzi di lardo e di sgombrino salato; quest’ultimo è scambiato da alcuni lavoranti con i frati cappuccini, ricevendo “tabacco di pippa, minestra e pane”.[xvii]

Capo Colonna in un acquerello di Louis Ducros (1778) conservato al Rijksmuseum di Amsterdam (da rijksmuseum.nl).

La società della tonnara

Dovranno passare alcuni anni prima di ritrovare le tracce di una nuova tonnara a Capo Colonna. Nel 1770 il marchese di Apriglianello Giuseppe Maria Lucifero, ed il primicerio Diego Zurlo, decisero di erigere una tonnara a Capo delle Colonne, perciò si diedero da fare per ottenere dalla Regia Corte il permesso di piantare il Palo.

Il 27 giugno 1770 si presentavano dal notaio di Crotone Vitaliano Pittò i patrizi crotonesi Giuseppe Maria Lucifero, marchese d’Apriglianello, ed il signor Francesco Antonio Zurlo. Essi dichiararono di essere riusciti a concludere “la compra d’una nuova tonnara da fondarsi e situarsi nel Capo delle Colonne sotto il patrocinio di detta B.ma Vergine”.

Per far ciò avevano incaricato Michele di Amico il quale era andato in Regia Camera e si era aggiudicato “ad estinto di candela” per sette anni, il Palo della tonnara “pro persona nominanda”, impegnandosi a pagare ogni anno per detto Palo ducati 25 alla Regia Corte. Dovendo ora dare inizio all’attività, i due soci stabilivano in presenza del notaio alcuni patti, cioè che i conti annuali della tonnara sarebbero stati tenuti in modo alterno, iniziando il marchese; alla fine di ogni anno si dovevano dividere i guadagni o le perdite; a ognuno spettava la nomina di un subalterno di fiducia che si sarebbe interessato della gestione ed alla fine di ogni mese avrebbe sottoposto a loro i conti per la firma.

Si decise che le spese da farsi (fabriche di magazeni, fabriche di barili, sale, bollette, spedizioni, ecc.) dovevano essere sempre concordate, restando stabilito in ogni modo che “le fabriche, o piano case, ove si devono appendere, salare e tagliare li tonni ed abitare i subalterni si dovessero fare a vista ed a luogo quanto più prossimo può essere, dove sarà situata la tonnara”, e proprio nel terreno di proprietà dello Zurlo, mentre a riguardo dello stoccaggio del prodotto (“tonnina, tarantelli ed altre salume”), i barili, dove sarà riposta “la salata”, saranno trasportati in Crotone o nell’abitazione di Capo Colonna, secondo la convenienza.

Inoltre, i due patrizi s’impegnano a dare al cappellano della cappella della Vergine del Capo, sotto il cui patrocinio e protezione la tonnara è posta, la metà di una “carata”, qualora sarà possibile. Da ultimo è dato ai soci la possibilità di cedere ad altri parte della loro quota individuale, ma i nuovi acquirenti non costituiranno parte della società. Restò inoltre stabilito, che se uno dei due soci volesse vendere la sua quota, avrebbe dovuto avvisare l’altro quattro mesi prima, preferendolo.[xviii]

Ottenuto il permesso i due soci comprarono le ancore, le barche, gli attrezzi ed ogni cosa che era necessaria. Poiché tutti questi oggetti dovettero venire da fuori, il primo anno non fu possibile mettere in opera la tonnara. L’anno dopo finalmente, la tonnara poté essere eretta nel luogo detto “L’acqua di Berlingieri”, marina sotto alcune terre acquistate dagli Zurlo dalla principessa di Isola. Lo Zurlo, perciò, edificò a sue spese nella sua proprietà soprastante la marina, alcuni magazzini, delle casette, una taverna, due camerini ed altre opere.[xix]

Frattanto altri nobili vogliono partecipare all’affare della tonnara. Annibale Montalcini compra una quota individuale di ducati 600 e nel giugno 1771, ne rivende un terzo al marchese di Valle Perrotta Carlo Berlingieri, con la condizione che, qualora quest’ultimo avesse voluto rivenderla, egli sarebbe stato preferito.[xx]

Fornita degli attrezzi necessari e edificati alcuni magazzini, casette ed altre comodità, tra le quali una “taverna con alcuni camerini”,[xxi] in primavera la tonnara entra in attività sotto la guida di un rajs e alcuni marinai di Parghelia.[xxii] Dopo essere stata eretta per due anni (1771 e 1772), nel 1773 “per alcune intercadenze e loro giusti riguardi”, la tonnara non fu messa in opera. Nel settembre di quell’anno, mancando ancora tre anni per la fine del contratto con la Regia Corte, per non vedere marcire inutilmente nei magazzini le barche e gli attrezzi della tonnara, i due soci decisero di farla erigere nuovamente e di metterla in opera dal mese di aprile 1774.

Poiché “per le di loro gravi occupazioni” non potevano badare all’amministrazione, “e molto meno assistere, ed invigilare all’interessi della società con andar replicate volte, secondo il bisogno lo richiede sulla faccia del luogo per disponere l’occorrente ed attendere a tuttaltro che farà bisogno per il buon dissimpegno”, si accordarono con Giuseppe Micilotto. Perciò fecero venire nel mese di settembre da Tropea Domenico Macrì, che era stato rais della tonnara e quindi la conosceva bene, ed inoltre, era pratico ed esperto in materia, il quale assieme ad altra persona esperta, andò nella tonnara e fece l’inventario di tutti gli attrezzi, stabilendo il valore complessivo in ducati 2271 e grana 57. I due soci Lucifero e Zurlo decisero allora di cedere al Micilotto la metà della società, insieme alla completa e totale amministrazione della stessa per i successivi tre anni per ducati mille, da pagarsi in due rate uguali, una al momento del contratto e la successiva nel settembre dell’anno dopo.[xxiii]

Crotone, la località Capo Colonna nella veduta prospettica del 1877 di L. P. Paganini, tratta dal volume “Vedute e descrizioni dei fari e dei semafori sulle coste d’Italia eseguite a bordo del Piroscafo Tripoli comandato dal Capitano di Fregata E. Di Persano”, Civica Raccolta Bertarelli, Milano.

L’inventario della tonnara

“Mille Settecento Settanta Tre a Quindici Settembre. Inventario ed apprezzo fatto così per parte delli S.ri Marchese D. Giuseppe Lucifero e Primicerio D. Diego Zurlo che del Sig.r D. Giuseppe Micilotto di questa città di tutti l’attrezzi ed ordegni attualmente esistenti ed attinenti alla tonnara e sono

Reste in quattro d’un’acqua n. cento doppane trentatre ed un terzo a D. quattro la doppana imp.no (133:33:1/3).

R.e in quattro di due acque n. cinquanta dop. sedici e dui terzi a D. due la doppana (33:32)

R.e in tre di un’acqua n. trentacinque dop. otto e tre quarti a D. quattro la dop. (34:66:2/3)

R.e in tre di due acque n. quindici dop. tre e tre quarti a D. due la dop. (7:50)

R.e in due di un’acqua n. dieci dop. una e due terzi a D. quattro la dop. (6:66:2/3)

Leva pezzi n. cento trenta a grana trenta il pezzo (39)

Cutra nuova can.ra sei a D. undici il can.ro (66)

R.a usata servibile cant.ra quattro e mezo a D. quattro il can.ro (18)

R.a vecchia can.ra quattro e mezo a D. due e mezo can.ro (11:25)

Porta servibile rot. settanta sette a grana quindici il rot. (10:55)

R.a vecchia rot. quaranta a g.na sette e mezo il rot.o (3)

Libani nuovi doppane ventiquattro e libani tre a D. sei la dopp.a (145:50)

Filetto di Spagna can. Sette e mezo a D. sei il can.ro (45)

Palambraro pezzi cento cinquanta a grana trenta il pezzo (45)

Cordelle migliara n. duecento venti due a grana diecissette mig.ro (37:74)

Corde n. quattro cento ottanta a g.na due e mezo l’una (12)

Piascimi migliara tredici e n. trecento a carlini dodici mig.ro (14:96)

Cordella di Napoli di erba di Spagna rot.a sessanta a D. sei can.ro (3:60)

Barcaccio capo rais estimato per D. 60 (60)

Altra barca chiamata ricevo estimata per D. quaranta (40)

Altre due barche chiamate Musciara e Colonnito estimate per D. settanta (70)

Altra barca che sta riposta entro S. Caterina estimata per D. ventiquattro (24)

Altre due barche chiamate Usuro e Caporais che furono comprate in Tropea, di presente nella marina del molo estimate D. settanta (70)

Ceppi di ancora n. trentatre a carlini quindici l’uno (49:50)

Due arghini grandi apprezzati D. dieci (10)

Il manganavite apprezzato per D. cinque (5)

Ancine n. tredici ed otto pennegalline di peso rot.a dodici a grana dieci (1:20)

Due Bardi o siano crocchi a 4 ganci di peso rot.a ventiquattro a grana venti rot.o (4:80)

Un ferro per la mola rot.a due e mezo a grana venti (:50)

Tinelli nuovi n. sessantacinque a grana quindici l’uno (9:75)

R.i usati n. quindici a grana sette l’uno (1:05)

Cordella di Gaeta mazzi diecinnove a grana venti mazzo (3:80)

Leva pezzi nove a grana trenta l’uno (2:70)

Una linterna per la loggia grana trenta (:30)

Cortellacci n. dieci apprezzati per d.ti otto (8)

Due accette apprezzate per grana sessanta (:60)

Un cassone di abbetto di diece tavole apprezzato per doc.ti due (2)

Tavole sane n. venticinque a grana dieci l’una (2:50)

Una bulla per li barili apprezzata per carlini dieci (1)

Tavole per le barche n. nove a grana sei l’una (:54)

Cancello di legname con due pezzi di travi per pedarelli (1:50)

Tijlli n. venti (30)

Dogarelli per barili migliara due a docati tre il migliaro (6)

Sovaro usato mazzetti tre mila apprezzato docati quindici (15)

Un tavolone di pioppo della grossezza di due tavole (:80)

Botti nap.ne n. undici a grana quaranta (4:40)

R.e mezane n. sei a grana venti (1:20)

Tina di farna n. cinque a D. due (10)

Manuelle di fago n. tre (22:6)

Ferri per fare le reste n. cinque n. venti due e mezo a grana venti (4:50)

Due travi usati per docati due (2)

Un treo di bastimento in due pezzi per la crapia (2)

Due maijlle tutte e due di sei tavole (80)

Una bilancia di legname e corda (30)

Ancora in essere n. trentatre e due perdute in mare D. mille cento trenta (1130)

Spago rot.a cinquanta sei a grana ventisei (14:56)

R.o filato in Cotrone rot. nove a grana ventiquattro (2:16)

Sovaro entro l’Osservanza in cantara cinque (7:50)

Tre pezzi di legname entro il magazzino del S. Antico (6)

Tinelli usati entro il magazzino del d.o Sig. Antico n. duecento a grana sei l’uno (12)

Cerchi entro d.o magazzeno mazzi ventidue apprezzati per docati quindici (15)

Sono in tutto docati Duemila duecento settantuno e grana 57.”

Crotone, panorama di Capo Colonna.

Il fallimento della tonnara

Il Micilotto, presa la cura della tonnara, per farla erigere fece venire a sue spese da Napoli alcuni libani d’Alicanta e più centinaia di cordelle di Gaeta e dell’Ascia, alcuni legnami per accomodo delle barche, remi e falanghe per uso delle stesse, cati, ed alcuni legnami, sovari, doganelle, stoppa, chiodi, pece ed altro, fece costruire a Tropea una nuova barca volgarmente chiamata di ricevere, quindi fatta venire la ciurma dei marinai col capo rais, nel mese di maggio la tonnara fu eretta e piantata nel solito luogo.

Ma “non ostante le grandi spese fattevi e danaro impiegato in vece di esser fruttuosa e vantagiosa per essi loro è stata molto dannosa e di svantaggio, non essendosi ricavato dalla pesca fattasi ne pure il quarto”. Per tale motivo il 16 agosto 1774, con atto del notaio crotonese Nicola Partale, la società fu di fatto sciolta. Il Micilotto, infatti, s’impegnò a mettere a posto i conti ed a liquidare i soci Zurlo e Lucifero, rilevando la loro parte col versamento entro il mese di settembre di ducati 700. La tonnara passò così in pieno dominio del Micilotto con le condizioni che, se nei successivi due anni egli avesse proseguito nell’attività, avrebbe dovuto pagare interamente il diritto di palo alla Regia Corte, mentre nel caso contrario, ogni parte avrebbe pagato la metà. Se poi avesse eretto nuovamente la tonnara, avrebbe dovuto pagare l’affitto annuo per gli edifici allo Zurlo, in caso contrario lo Zurlo poteva farne l’uso che voleva, in quanto non c’era più la tonnara. Inoltre, poiché era stato comprato a credito del sale, che doveva servire a salare i tonni, ma per mancanza di questi se ne era stato consumato pochissimo, si convenne che esso dovesse essere pagato dalla società e fosse diviso tra le parti, cioè metà al Micelotto e metà agli altri due.[xxiv]

Finiva così l’esperienza della tonnara; a ricordo ne rimasero per alcuni decenni le opere murarie, ed il luogo prese il nome prima di “Magaz.o della vecchia tonnara” e poi di “Tonnara”. Pochi anni dopo il Galanti affermava erroneamente: “Vi è in Cotrone il passaggio de’ tonni in gran copia nel mese di Settembre, ma allora sono di ritorno per cui le carni non sono di eguale bontà come nel Maggio. Si stabilì circa 12 anni sono da’ Cotronesi una tonnara in Capo Colonna colla spesa di molte migliaia (di ducati) colla speranza di ottenere una porzione di sale marino corrispondente per farne commercio di tonni, ma l’opposizione dell’affittatore de’ sali minerali fece svanire tale utile frangente. Si rovinarono dunque molte famiglie che volevano fare un bene per essi e per lo stato. Il tonno quando si prendeva non si poteva salare né smaltire fresco per mancanza di popolazione. Si era costretti bruciare o buttare nel mare una quantità enorme di tonno”.[xxv]

Il “Magaz.o della Vecchia Tonnara”. Particolare della tavola N° 29 (1789) della carta di G. A. Rizzi Zannoni.

I pescatori

Rare sono le notizie su pescatori locali a Crotone nel Seicento. Nel maggio 1622, il crotonese Giuseppe Maria Sillano, concede la sua barca da pesca detta “Speronara”, fornita di 17 pezzi di reti da pesca, al suo concittadino Antonio de Squillace, il quale potrà utilizzarla, sia per pescare che per navigare. Lo Squillace sarà il “patrone posticzo” della barca, con la condizione che tutte le spese ed i guadagni siano divisi a metà.[xxvi]

Maggiore è la presenza in città, anche se temporanea, di pescatori provenienti da altre zone, come denotano alcuni atti notarili rogati in Crotone. Il 12 ottobre 1728 alcuni marinai di Reggio e di Santa Lucia a Mare, delle barche pescherecce dei patroni Paolo Li Conti, Fortunato Greco e Vincenzo Ferola, protestarono perché le loro imbarcazioni non prendevano il mare. Il motivo era il comportamento del loro patrone Fortunato Greco, il quale se ne stava in città, tranquillamente mangiando ed indugiando in casa di una donna pubblica. Tale evenienza accadeva spesso, in quanto il patrone preferiva starsene in Crotone con le meretrici, piuttosto che andare a pesca. Anzi quelle poche volte che la sua barca lasciava gli ormeggi e pigliava qualche pesce “la meglio parte era stata sempre delle puttane”. Egli a volte, dissuadeva anche gli altri due patroni di barche ad andare a pescare, convincendoli a rimanere assieme a lui dalle meretrici. Tutto questo recava danno ai marinai “per il lucro cessante che haverebbero potuto buscare e l’hanno perso per causa di detto patrone”.[xxvii]

Il 30 aprile 1742 alcuni marinai di Praiano protestano contro il loro patrone in presenza del notaio Pelio Tirioli e di Mirtillo Barricellis, “console della nazione regnicola”, anche a nome di tutta la ciurma, composta da 12 marinai. Essi affermano di essere venuti in queste marine con la barca “piscareccia” Santa Lucia del patrone Pietro Criscuolo di Praiano, con un contratto di lavoro detto “alla parte”. A causa del “mal comando” del patrone, e del poco giudizio del marinaio Giovanni Buonacore, quest’ultimo morì di morte violenta. Questo tragico fatto causò danni e spese, che il padrone ora vuol far gravare su di loro. Essi protestano e affermano che hanno “continuamente fatigato alla pesca di notte e di giorno con buoni e mali tempi”, ed intendono, secondo il loro accordato, avere l’intera loro parte.[xxviii]

Per tutto il Settecento pochi e per lo più forestieri rimasero i pescatori dimoranti a Crotone, come evidenziano i catasti onciari del 1743 e del 1793. Ciò era dovuto alla preminenza che fin dall’antichità ebbe per gli abitanti l’economia agro- pastorale, che unendo la pianura all’altopiano silano, aveva condizionato gli abitanti ad intraprendere le professioni legate alla gestione, produzione e commercio del grano e del formaggio.

Nel 1743 tra i “forestieri abitanti laici” troviamo il pescatore sessantenne Andrea Zurlo di Positano, ammogliato con la quarantacinquenne Anna Rispolo, ed abitante con il figlio pescatore Ottavio di 11 anni in affitto, in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, mentre tra i “fuochi acquisiti” troviamo il pescatore sessantenne Francesco Antonio Le Rose, sposato con Ippolita Calcea di pari età, ed abitante con i figli Luca, Nicola, Domenico e Vittoria in affitto, in parrocchia di Santa Veneranda, ed il pescatore trentaseienne Michele Perpiro, sposato con la coetanea Chiara Scamardi, abitante col figlio “stroppiato” Dionisio e la suocera, Lucrezia Scamardi, in affitto in parrocchia di Santa Maria Prothospatariis.

Il gruppo dei pescatori locali è rappresentato dai Di Sole. Essi abitano in parrocchia di Santa Maria Prothospatariis. Antonino di 50 anni, è sposato con la trentaseienne Carmina Marches ed abita in fitto con i figli Vincenzo, Laura, Francesca e la figliastra Maria Gentile; il quarantanovenne Domenico con la moglie Caterina Catalano di 41 ed i figli Michele, discepolo di ferraio, Carmine e Vincenzo, abita in casa propria; Nicola di 48 anni e la moglie Rosa Russo di 35 anni, abitano in casa propria con il figlio Giuseppe, pescatore, Santo, fatigatore di campagna, Vincenzo e Faustina .Tutti sono nullatenenti, tranne Domenico che possiede un terzo di casa dotale. Ai Di Sole c’è da aggiungere come pescatore locale anche il ventottenne Gio. Andrea Messina, sposato con Chiara di Laura di 35 anni ed abitante in casa di sua cugina.[xxix]

Ancora più ridotta sarà la presenza dei pescatori di Crotone cinquanta anni dopo. Essa sarà formata da Cesare Lofrè, di 26 anni, assente, da Paolo Citino di 49 anni e da Salvatore Ciambrone di 43 anni.[xxx]

Se nella seconda metà del Settecento rari sono i locali, non mancano invece i pescatori della costiera amalfitana e della Puglia. Alcuni documenti ce ne segnalano la presenza. Nel 1755 muore a Crotone Gerardo Jrace di Praiano, mentre sta esercitando la sua professione di pescatore, lasciando agli eredi alcuni attrezzi da pescare e due cozzi, uno nuovo e l’altro vecchio. A novembre dell’anno dopo gli eredi, sempre pescatori di Praiano, sono a Crotone per spartirsi l’eredità.[xxxi] Pescatori pugliesi sono segnalati nel maggio 1764: “Ob tempestate subito exortam, in loco huius maris dicto Bocca d’Inferno naufragium fecit navicula una piscatoria Barensium, et cum ea, qui erant, nautae mersi sunt (4 marinai). Evenit die ultima maij” (1764).[xxxii]

Il vescovo crotonese Giuseppe Capocchiani (1774-1788) così si esprimeva in una supplica al Papa: “… sebbene la città sia situata sul lido del mare, pure scarseggia assai di pesce fresco perché i paesani non sono addetti alla pesca, ed allora soltanto si ha pesce quando vengono da altre città lontane pescatori forestieri colle loro barche pescareccie a pescarlo; il che alcune volte succede, alcune altre no; anzi perloppiù ne siamo privi”.[xxxiii]

Sempre in questi anni di fine Settecento, il Galanti affermava: “Non si esercita la pesca in questi mari per difetto di gente. Il mare qui produce ottimi pesci, fra le quali eccellenti acciughe e sarde. Se ci fossero pescatori e se si potesse usare il sale marino, se ne potrebbe fare smaltimento per commercio.”[xxxiv] Alcuni anni dopo il cirotano Pugliese ripeteva lo stesso concetto: “… non abbiamo affatto gente di mare addette particolarmente alla pesca, tranne qualche scibacaro … vengono però ogni anno barche dalla costiera, da Maiuri, da Reggio e da Cariati … Nell’està soffriamo penuria di pesce se non vengono le barche tarantine e le baresi”.[xxxv]

Il Padula aggiungeva: I Sorrentini “vengono nel nostro Jonio di mezz’ottobre or con quattro or con cinque paranze e ventotto marinari e se ne vanno nel maggio. Ai Sorrentini noi dobbiamo il piacere di gustare la spinola, il coracino, il dentice, il pesce spada, la leccia, la mostella, il boccadoro, ed il tonno; laddove i nostri, di tanta ricchezza di mare, non ci danno che il pesciume minuto e littorale, e poco più che frattaglia”.[xxxvi]

Note

[i] Maone P., Contributo alla storia di Cirò, in Historica, n. 2/3, 1965, p. 110.

[ii] Ughelli F., Italia Sacra, t. IX, 482.

[iii] “In omnibus antedictis locis exigit Episcopalis Mensa Decimas Praediales, ad Gregum Ovium, sicut, et in tribus Marititimis Cirò scilicet, Crucoli, et Melissa etiam ex Piscatione”. ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1724.

[iv] Fonti Aragonesi, I, p. 41.

[v] ASN, Conti Comunali di Melissa, 1561-1562, fs. 199/5, ff. 5v, 7v.

[vi] Nel novembre 1651 le riserve del castello consistevano: Grano forte bianco tt.a 820; Fave tt.a 102; Sarde salate di buon odore e sapore barili 8; tunno salato di bon odore et sapore barili otto, Sale di pietra cantara 6 e rotola 29; Carne salata di porco cantara 14 e rotola 27; oglio lampante militra 297; caso pecorino paesano pezzi n. 1066; mosto salme 120; vino vecchio salme 30; aceto salme 20. ASCZ, Busta 229, anno 1651, ff. 101-102.

[vii] Il 12settembre 1642 Minico Vivacqua testimonia di avere visto in una “apoteca” della città, “due tinelli di sarda tutta sfatta di colore negro piena di squame e salata”. ASCZ, Busta 119, anno 1642, f. 30.

[viii] ASCZ, Busta 334, anno 1679, ff. 309-310.

[ix] ASCZ, Busta 338, anno 1698, f. 102.

[x] Nel marzo 1803 i “merciari” di Crotone Giovanni Pugliese, Antonio Paturzo, Antonio Scavello e Leonardo Carvello, comprano tre cantara di baccalà e cinque botti di “sarache” da una marticana con bandiera inglese. Notaio A. Smerz, Cotrone 21 aprile 1803.

[xi] Il 29 agosto 1747 su richiesta di Andrea Gargiulo, pubblico negoziante di Cotrone, addetto a somministrare i viveri “alle genti delle regie galeotte”, il notaio Antonio Asturi e alcuni testimoni si recano nel magazzino di Diego Tronca, dove sono convenuti anche Paolo Mastellone del Piano di Sorrento, capitano della barca S. Michele Arcangelo, ed i suoi marinai. Nel magazzino sono riposti circa 200 cantara di lardi e 13 barili di tonnina salata, appena sbarcati dalla nave del capitano, che il Gargiulo vuole siano esaminati dai pubblici macellari della città Gregorio Calabretta e Domenico Papaleo, “prattici a curare la carne salata”, e dai pubblici pizzicaroli Domenico Miceli ed Ignazio Giardino, “venditori di cascio, oglio, salume e salame”. I periti trovano che i lardi sono di “mala qualità, molli, umidi e rancidi”, mentre, presi in esame due barili su tredici, uno è di “mal odore” e l’altro è “patito di sale”. ASCZ, Busta 912, anno 1747, f. 125.

[xii] La tartana del patrone A. Sposino, accasato a Malta, all’inizio del 1732 si arena sulle secche presso Capo Rizzuto. Il carico era costituito da: tabacco a libretto balli 52; legname gialla pezzi 277; lignello cantara 10; olive barili 3; passolina barili 3; anguille n. 170; orgio mesco con grano moij 270; miglio sal. diece di Malta; fascioli sal. 2; 2 pezzi di legname di ulmo di pal. 16 lungo incirca; una salma di formento di tt.a 16 di Malta; un carratello d’oglio e due fiaschi; 7 pezzi di formaggio; una giarra di carne salata; un sacco pieno di lenticchie, ceci e fasciole; una cassa d’anguille salate con altre quantità fuori; tavole di fago n. 18; passolina giarra 2. Trasportava inoltre per conto del patrone: anguille 70; fascioli libre 3035; oglio barili 2. Per conto dello scrivano e dei suoi compagni: formento sacchi 3 con 3 fiaschi d’oglio; 2 pezzi di formaggio; cappotti 6; anguilloni 3; anguille 73. ASCZ, Busta 664, anno 1732, ff. 69-70.

[xiii] “26 maggio 1707 Per sarda che si salò carlini tredeci e mezo”. AVC, Esito di spesa per robbe a beneficio del Ven. Mon.o di S. Chiara dalli 8bre 1706, f. 3.

[xiv] Il 22 dicembre 1768 le monache comprano dieci rotola di baccalà dal Signor Galdi. AVC, Esito per il Ven.le Monastero di S. Chiara, 1768 e 69, f. 5.

[xv] Fra Domenico di Cotrone dona del baccalà al vescovo di Isola Francesco Marino (1682-1716). Marino F., Lettere familiari, Studio Zeta 1989, p. 261. Nel 1593 il castellano di Crotone Diego Pignero fa omaggio di uno storione del peso di oltre dodici rotola, pescato alla foce del Neto, al duca di Nocera. Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 61.

[xvi] Il 19 marzo 1742 M. La Piccola e A. Orsini protestano perchè essendosi avvicinato il tempo per mettere in attività la tonnara, il rais A. Jerocadi di Pargalia, incaricato con alcuni marinai ad erigere la tonnara e a farla funzionare, non è ancora arrivato. ASCZ, Busta 854, anno 1742, ff. 28-29.

[xvii] Il 27 dicembre 1743 C. Persico denuncia gli autori di alcuni furti accaduti in agosto nella barracca della tonnara. C. Pantullo ed il figlio hanno dapprima rubato del denaro, poi un pezzo di lardo e più volte dello sgombrino salato, che era nel barile della tonnina, e lo hanno scambiato con i Cappuccini. ASCZ, Busta 793, anno 1743, f. 15.

[xviii] ASCZ, Busta 1589, anno 1770, ff. 47-50.

[xix] Per le spese sostenute per la costruzione dei magazzini e delle casette, la società della tonnara pagava allo Zurlo ogni anno ducati 60. La taverna ed i due camerini rimasero invece a carico e gestione dello stesso Zurlo. ASCZ, Busta 1344, anno 1773, ff. 96-106.

[xx] ASCZ, Busta 1325, anno 1771, ff. 115v-118.

[xxi] ASCZ, Busta 1344, anno 1773, ff. 96-106.

[xxii] Nell’aprile 1772 arriva da Tropea una marticana che rifornisce la tonnara di Pezze 600 di rezza chiara detta palamidaro, pezze 200 di leva di passi 12 il pezzo, corde 1500, piasmi 40 mila e corde 10 mila. Il 20 agosto dello stesso anno Domenico Macri, Matteo Bagnato, Antonio Pietro Paulo, Lorenzo Macri, Michele Pietro Paulo, Lorenzo Musì, Gio. Batt.a Licastro, Vincenzo Pandulo, M.ro Lorenzo Foduli, Francesco Gentile, Antonio Colaci, Michele Colaci, Carlo Famà, Vincenzo Jannelli, Giuseppe Macrì e Marco Bagnato, “raiso e marinai di Pargalia sopra la barca addetta alla pesca della tonnara”, affermano che gli attrezzi sbarcati non erano completi. ASCZ, Busta 1326, anno 1772, ff. 105-106.

[xxiii] Fra le condizioni vi era che il Micilotto dovesse anticipare le spese per riattivare la tonnara, rifacendosi sulle prime entrate della stessa, e che alla fine di ogni anno, “dopo che sarà spiantata la tonnara”, dovesse presentare i conti, andando gli utili, o le perdite, divisi a metà. ASCZ, Busta 1344, anno 1773, ff. 96-106.

[xxiv] ASCZ, Busta 1344, anno 1774, ff. 42-48.

[xxv] Galanti G. M., Giornale di viaggio in Calabria (1792), Soc. Ed. Nap. 1981, pp. 130-131.

[xxvi] ASCZ, Busta 117, anno 1622, ff. 52-53.

[xxvii] ASCZ, Busta 662, anno 1728, ff. 138-139.

[xxviii] ASCZ, Busta 666, anno 1742, ff. 52-53.

[xxix] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, ff. 87 sgg.

[xxx] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793.

[xxxi] ASCZ, Busta 858, anno 1756, ff. 362-365.

[xxxii] AVC, Liber Mortuorum ab an. 1756 usque ad annum 1790.

[xxxiii] Supplica al Papa per l’indulto di mangiare latticini e uova nella prossima quaresima del 1778. AVC, Cotrone 21.12.1777.

[xxxiv] Galanti G. M., Giornale di viaggio in Calabria (1792), Soc. Ed. Nap. 1981, pp. 130-131.

[xxxv] Pugliese G. F., Descrizione ed istorica narrazione di Cirò, Napoli 1849, vol. I, p. 105.

[xxxvi] Padula V., Calabria prima e dopo L’Unità, Laterza Bari 1977, pp. 138-139.


Creato il 14 Marzo 2015. Ultima modifica: 2 Novembre 2022.

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