Dal focatico al catasto onciario a Santa Severina

Santa Severina panorama

Santa Severina (KR).

La Tesoreria Generale era l’organo principale della amministrazione finanziaria. Da essa dipendevano i vari tesorieri provinciali, i quali con esattori riscuotevano i tributi.

Le entrate del Viceregno erano formate per la maggior parte da due voci distinte: una dal gettito dell’adoha, che dovevano versare i feudatari, e l’altra dal focatico dovuto dalle università. Stabilito l’entità della somma occorrente per il funzionamento dello stato e tolta la parte proveniente dall’adoha, la parte del focatico era suddivisa per il numero dei fuochi. Una volta stabilito quanto ogni fuoco doveva versare, ogni università era tassata in base ai suoi fuochi.

Spettava al tesoriere provinciale riscuotere per ogni provincia il quantum stabilito per ogni università.  In caso di necessità e spese impreviste si ricorreva a donativi. Spesso la Regia Corte, avendo necessità di disporre subito di denaro, si indebitava con banchieri e speculatori dando a garanzia la possibilità di rivalersi sui tributi, che dovevano le università. E’ il caso di Nicolò Inurea, il quale nel 1600 fece un prestito alla Regia Corte al tasso del 13 % con una rendita di ducati 600 annui vita durante, dei quali ducati 100 da esigersi sopra le entrate di Santa Severina. L’anno dopo Inurea vendette o meglio subappalto la riscossione dei ducati 600 a Agostino Doria al tasso del 7 e 1/3 per 100. Sempre sulle entrate della città di Santa Severina e dei suoi casali andarono a gravare anche i debiti contratti dal feudatario. Morto nel 1599 il conte Vespasiano Carrafa, lasciando molti debiti, i creditori fecero causa. Nel dicembre 1602 la Camera della Sommaria ordinava al tesoriere di Calabria Ultra Camillo Romano di versare, prendendoli dai denari pervenuti dalle entrare della città e dei casali di Santa Severina, ducati 800 alla Contessa di Santa Severina Geronima Carrafa e altri ducati 1500 al principe di Scalea Hettorre Spinello.

Durante il Cinquecento ed il Seicento la città di Santa Severina andò incontro, dopo un aumento della popolazione nella prima metà del Cinquecento, ad un progressivo spopolamento, come risulta dalla numerazione dei fuochi. Era tassata nel 1521 per fuochi 450, nel 1532 per 489 fuochi, nel 1545 per 747, nel 1561 per 414, nel 1595 per 307, nel 1648 per 301, nel 1669 per 105.

Il fuoco era costituito dall’unità familiare, comprendente tutti coloro che vivevano in una stessa casa, dove vi era almeno un focolare (cinere) ed un letto. La famiglia era quindi l’unità di riscossione del focatico. L’elenco delle famiglie era tenuto aggiornato dai “cuntatori regii”, i quali in comitiva con il “rationale” ed il mastrodatti, tutti con le loro famiglie, cavalcature e servitori, in date prefissate, andavano di paese in paese a censire gli abitanti di ogni abitazione, con il loro stato sociale, il grado di parentela e l’età.

Essi procedevano di casa in casa annotando le possibili frodi e confrontando la situazione rilevata con quella della numerazione precedente. Il numero dei fuochi censiti, quelli assenti e quelli controversi, era la base per stabilire quanto doveva ogni anno versare l’università al fisco regio. Molte erano le frodi in cui si imbattevano. All’avviso del loro arrivo, per non essere censiti e quindi essere poi tassati dall’università,  molti cittadini sfrattavano, lasciando le case vuote, altri abbandonavano la città dandosi alla macchia, mentre gli Albanesi e Greci distruggevano, o spostavano in altro luogo, le “pagliara”.

L’operazione di conteggio dei fuochi durava a seconda della popolazione del paese in media almeno per una quindicina di giorni. Per tutto questo tempo l’università doveva fornire vitto, alloggio, vestiti ed ogni altro tipo di assistenza alla comitiva dei contatori. Stabilito dal fisco regio l’importo delle tasse in ducati tari e grana, che l’università doveva pagare a scadenze prefissate , essa provvedeva a ripartirlo tra gli abitanti secondo catasti e apprezzi . A volte si tassavano gli abitanti ed i loro beni con una moneta fittizia detta oncia, quindi si divideva la tassa dovuta al fisco per la somma di tutte le once, stabilito il valore dell’oncia in ducati ,tari e grana, per ogni famiglia a seconda delle once tassate, tanto doveva versare. Altre volte si tassavano gli animali, i terreni, i trappeti, i mulini in ducati, tari e grana (es. Un bue aratorio per 1 ducato, 1 vacca 2 tari, 1 vitellazzo 1 tari,  un bagaglio o somaro per 2 tari, una mula per 2 ducati ,se era vecchia la metà, una pianta di gelso 1 tari, una pianta di ulivo 10 grana, un trappeto 1 ducato ecc.) (1 ducato = 5 tari = 10 carlini= 100 grana).

Era compito dei governanti dell’università far fronte al fisco regio, se essi non riuscivano a riscuotere le tasse dai cittadini e pagare, arrivava in città il luogotenente del tesoriere di Calabria Ultra con un commissario destinato dal Sacro Regio Consilio ad esigere le collette dai cittadini e a fare “correria”, cioè a sequestrare i buoi e le vacche, impedendo così la semina, o ad incarcerare i morosi, finché non sarebbe stato saldato il debito. Per non incorrere in tali condizioni, a volte il governo cittadino per pagare il debito verso la Regia Curia era costretto a mettere all’asta pubblica la riscossione del “truglio” o onciario, dando così in appalto ed aggravando ancor di più  le entrate della città. Spesso coloro che prendevano in appalto parte della riscossione delle tasse cittadine, per pagare i creditori dell’università, non ottemperavano all’obbligo, in tal caso i creditori si rivalevano sulle proprietà di colui, che aveva comprato parte del fisco dovuto dai cittadini. E’ il caso di quanto successe a Carlo Zurlo, il quale comprò dall’università il “quinterno delli fiscali” dell’anno 1614. Rimasto debitore sia verso l’università che verso gli “assignatari” dell’università, interviene il regio commissario degli assegnatari che fa mettere all’asta pubblica la gabella “Fisa di volo” dello Zurlo e ,con il denaro ottenuto, salda i debiti.

Durante il Viceregno l’imposta diretta del focatico aumentò di continuo. Nel 1542 il vicerè Don Pedro de Toledo impose un aumento di 36 grana per fuoco per le esigenze di difesa del regno ed altre dodici grana due anni dopo, seguirono altre sette grana e mezzo nel 1550 per combattere il brigantaggio, nove grana nel 1559 per costruire strade e ponti, venti grana e mezzo nel 1566 per la costruzione delle torri costiere, poi 7 grana e 1/12 per la paga dei caporali e guardiani delle torri di Calabria Ultra, seguirono altre imposizioni per la costruzione e guardia delle nuove torri, per la paga del barricello e per gli alloggiamenti dei soldati ecc..

A questa imposta annuale bisogna aggiungere i donativi, che una volta tanto gravavano in maniera disuguale le università ed i feudatari (di solito un quarto ai feudatari ed il resto alle università). I donativi divennero con il passare del tempo una prassi comune per finanziare qualsiasi avvenimento. Nel 1508 ducati 551.000 per la guerra contro la Francia, nel 1518 ducati 116.000 per il matrimonio della sorella di Carlo V, nel 1520 ducati 600.000 per l’incoronazione di Carlo V, nel 1530 ducati 300.000, nel 1531 ducati  600.000, nel 1534 ducati 1.500.000 ecc. Non mancarono in seguito occasioni per altre imposizioni: nel 1602, essendo vicerè Francisco de Castro, “per le necessità della Regia Corte” fu imposto un donativo di 1.200.00 ducati da pagarsi in due anni, cioè 900.000 ducati dalle università in base ai fuochi e ducati 300.000 dai baroni e feudatari a ragione di adoho.

Oltre al focatico ed ai donativi, altre imposte dovette l’università di Santa Severina per spese contingenti.

Nel quadrimestre luglio–ottobre 1542 l’università di Santa Severina contribuì con 7000 tomolate di calce e 60 canne di pietra per le nuove fortificazioni di Crotone e nel dicembre 1542 per lo stesso motivo l’università si impegnò a versare una quota annuale di ducati 250 d’oro in tre rate (Natale, Pasqua e agosto).

Durante i lavori di costruzione del nuovo baluardo del castello e di una cortina della città di Crotone il 21 giugno 1578 Santa Severina, che contava 414 fuochi, fu tassata a fornire 2 carri per portare frasca e pietra per le calcare.

Alla metà del Cinquecento la tassa del focatico, senza le imposizioni accessorie, incideva per circa la metà della somma, che l’università doveva pagare al fisco regio, come si rileva dal conto del tesoriere di Calabria Ultra Turino Ravaschiero, relativo all’ottava Indizione, cioè all’annata compresa dal primo ottobre 1564 al 30 settembre 1565. La popolazione della città si era quasi dimezzata, passando dai 747 fuochi censiti nel 1545 ai 414 del 1561. Per tale motivo l’università si era fortemente indebitata verso il fisco, infatti nell’ottava indizione avrebbe dovuto pagare dei residui dei grana 48 a fuoco per gli anni V –VI e VII indizione, altri residui per i 78 grana a fuoco per la VI e VII indizione, la tassa per le strade di Calabria Ultra ecc.. Tuttavia per ordine della Regia Camera tutti questi tributi le furono poi condonati o restituiti.

Per la tassa di 15 carlini e grana 1 a fuoco, essendo Santa Severina tassata per 414 fuochi l’università doveva pagare ducati 625.0.14 (ne paga solo ducati 420-1 -8 1/3 in quanto “se li fanno boni ducati 204-4 (tari)-5 2/3 (grana) perché li aveva pagati di più nei residui negli anni precedenti V e VI e 7 Ind.e come da lettere della Regia Camera del 7 luglio 1565). Per la tassa di grana 48 a fuoco imposta per la paga della fanteria spagnola ducati 198 – 3 – ½.. Per il donativo fatto al re nell’ottava indizione di grana 78 e 11/12 a fuoco ducati 326 – 3 – 11 ½.

(Per lo stesso donativo il conte di Santa Severina paga ducati 204 -4 -10)

Per il donativo di 8 grana e 5/4 a fuoco per il regno al Principe di Spagna e Duca di Calabria da esigersi nel terzo di Natale ottava Indizione l’università versava ducati 34 – 4 – 4 ½.. (Per lo stesso donativo il conte paga 32 – 3 – 2 ½).

Per l’imposta di grana 3 e 1/12 a fuoco per la paga del barricello di campagna dell’anno VIII Indizione “giusta la tassa della vecchia numerazione nella quale Santa Severina era tassata per 711 fuochi, l’università doveva pagare ducati 21 – 4 – 12 ¼.

In tutto l’università pagava in quell’anno circa 1210 ducati dei quali solo 625 per il nudo focatico. In  pratica ogni fuoco era tassato per circa 3 ducati.

Col passare del tempo le imposte aggiuntive ed i donativi aumentarono mentre diminuì sul totale l’incidenza del focatico. I pagamenti fiscali erano di solito divisi in tre rate o terze (Natale, Pasqua e agosto). Oltre ai donativi fatti per le esigenze del regno, vi erano quelli per il feudatario. Ne è esempio quello per la nascita del primogenito del duca Antonio Grutther. In una supplica  dell’università di Santa Severina al re del 1696 si legge che “per la nascita del primogenito del Duca i sindaci et eletti e la maggior parte dei cittadini congregati il 12 agosto si è deciso che questa università non ha muodo pronto per poter dimostrare il suo affetto per l’impotenza et pesi che portano se non che di farli rilascio delli 26 docati annui che l’istesso Ill.e Duca deve pagare per raggione di bonatenenza dell’effetti burgensatici che tiene in detta città et tenimento che per essa somma tenue non viene ad apportar niun danno ne incommodo ad essa supp.te et suoi cittadini stante massime a protettione per averne che tiene il med.o Ill. e Duca tanto più che in tempo quello prese il possesso dello stato sud.o la supp.te non fece niuna dimostratione di donativo”.

La bonatenenza, cioè l’imposta fondiaria che pagavano all’università alcuni abitanti di San Mauro, di Roccabernarda e del casale di Altilia, che possedevano terreni in territorio di Santa Severina, e anche il feudatario per i suoi beni non feudali, era una delle poche entrate come si rileva dall’apprezzo del 1653: “Tiene detta Univ(ersi)ta l’apprezzo di Bonatenenza che importava d. 70 et adesso per la povertà che se ritrova vengono senza raggioni sotto stimate e per molti anni non si è imposta n’esatta della quale ne Paga alli Regii assignatarii per fuochi 30”.

I nobili, in combutta con il feudatario, controllavano l’università e la indebitavano verso il fisco, scaricando poi le tasse sul popolo. L’università poteva contare sulle entrate provenienti dai dazi della macina e della carne, che di solito affittava, mettendoli all’asta al maggior offerente, e dai terreni del demanio, che dava in fitto per il pascolo.

La popolazione era gravata dai numerosi censi, che erano infissi su quasi tutte le case, le vigne, i terreni ecc. Censi che erano pagati ogni anno agli enti ecclesiastici ed al feudatario, il quale deteneva anche i corpi giurisdizionali di castellania, mastrodattia, bagliva, portulania, zecca di pesi e misure e fiera di S. Giovanni.

Spettava al governo cittadino la ripartizione delle tasse tra i cittadini e la loro riscossione (erano esenti dal pagamento delle tasse i religiosi). Nel caso della città di Santa Severina la tassazione avveniva con un sistema misto basato sul testatico , il focatico e con una imposta sui terreni e gli animali.  Un esempio di come avveniva la tassazione la troviamo nel “Libro d’Apprezzo o Catasto nel quale si tirano le teste delle persone, loro beni mobili, e stabili secondo l’Antico uso, stilo, et consuetudine di questa Città di S.ta Sev.na fatto in questo presente anno 1666 e 67. Nel Amministratione del Sindicato delli m.ci Sindici Lelio Teutonico sindico de Nobili e Giuseppe Russo sindico dell’Honorati”. In quell’anno l’entrata era stimata in 1183 ducati un tari e grana 8 e ½. Più del 65% dei tributi gravava la persona e “per li grana a fuoco”, circa il 3 % proveniva dalla bonatenenza, il rimanente quasi il 30 %  dalla tassazione dei terreni e degli animali. Esenti dalla tassa sulla persona erano i soldati, le vedove, gli eredi, gli invalidi, gli ecclesiastici, compresi i chierici coniugati, i diaconi selvaggi, gli offerti ed i servitori ( Così si trova anche scritto: non si tira perché serve alli monasteri dell’esercitio di barbiero; commissario delle feste, scarparo  non si tira perché serve li monasteri di scarpe; non si tira perché servente della Corte arcivescovile, Guglielmo Zurlo franco perché acconcia le strade). Poche sono le proprietà tassate , ancora meno gli animali armentizi, assenti i capitali e le rendite, che in una società agricola costituivano la maggior parte della accumulazione, mentre erano tassati in maniera sproporzionata gli asini, i muli e le vigne, uniche proprietà dei molti coloni. La maggior parte dei terreni, dei buoi aratori, degli armenti, dei trappeti e dei capitali, detenuta dagli ecclesiastici, dal feudatario e dai nobili era quasi esente o sfuggiva alla tassazione, rimaneva solamente il testatico, che era pagato da tutta la popolazione nullatenente, così come si ricava da una nota del tempo: “La quale Universita vive in apprezzo sopra le teste de Cittadini Robbe stabile et Animali epperche la maggior parte di dette Robbe sono passate in dominio di Chiese e persone Ecclesiastiche non vi remane Cosa di Rilevio per la Universita solo delle teste che tutte unite dette Impositioni ascendono a ducati mille incirca”.

 

I tempi del catasto carolino

Carlo III di Borbone con la formazione del Catasto onciario tentò di porre un rimedio all’estrema povertà del popolo, cercando di ripartire in modo più equo i tributi. Furono emanate disposizioni per attuare procedure e criteri uguali per tutto il regno, secondo le regole prescritte dalle leggi e dai decreti generali,  emanati dalla regia Camera della Sommaria, cercando così di esautorare, o limitare, il potere delle oligarchie locali nella formazione del catasto. Con questo strumento egli riuscì a tassare, anche se in maniera molto parziale, i nobili ed il clero, che non avevano mai pagato. Gli atti per la formazione del catasto di Santa Severina durarono dal marzo 1742 al luglio 1743, periodo memorabile per la città e la Calabria, caratterizzato dalle annate sterili, dalla fame, dal vaiolo, dalla paura della peste e dal terremoto. (In una cronaca del tempo così è descritta l’annata 1743: “anno memorabile e nominato per tutta la posterità, perché stiamo attualmente sotto li 4 flagelli di peste … la fame è terribile perché la gente si muore, la carestia è di tutte le cose … li tremuoti continuamente ci fanno fuggire dalle case … prosegue il vaiolo …”). Dopo le annate sterili del 1741 e 1742, iniziò il 1743 e presto si fece sentire il terremoto, poi da giugno la paura della peste ed il blocco di ogni attività commerciale, a causa dei cordoni sanitari marittimi e terrestri, sorvegliati dai soldati. Giorno e notte a turno i cittadini devono sorvegliare la città, per proteggerla dalla peste, che da Messina si è allargata al Reggino.  Prosegue  l’epidemia  del vaiolo, che causa alta mortalità tra i bambini. Il 21 marzo 1744 il Marchesato è scosso. L’arcivescovo Nicola Carmine Falcone nel dicembre di quell’anno descriverà una città “desolata” e “deserta”, oppressa dalla malaria e in rovina. Il Concordato del 1741 ed il catasto onciario, accertando e tassando per metà gli antichi beni ecclesiastici e per intero i nuovi, pongono fine alle finte vendite e alle donazioni, sulle quali si reggeva la complicità tra chierici e laici nell’evadere i tributi. Il declinare dell’interesse taglia le rendite. Gli enti religiosi in difficoltà per il collocamento del capitale, che affrancato si ammassa inoperoso, devono ridurre i tassi. Le nuove prammatiche, che limitano i privilegi e l’accumulazione ecclesiastica, una maggiore liquidità ed un minore rendimento, unite alla precarietà delle entrate, spingeranno anche l’arcivescovo di Santa Severina a cedere al feudatario per una somma annua prefissata di ducati 350 l’antico e il più importante introito: il diritto di esigere la decima da tutti gli animali, che pascolano nel territorio dello stato di Santa Severina. Il diritto era stato oggetto nel passato di innumerevoli liti tra la mensa arcivescovile e i feudatari.


Creato il 16 Febbraio 2015. Ultima modifica: 17 Febbraio 2015.

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