Usi e consuetudini di Crotone, Cutro e Isola, tratti da atti dei secoli XVI-XVIII

aratura[1]

“Nell’apprezzare li territorii aratorii che volgarmente in essa città si chiamano gabelle si è sempre pratticato d’apprezzare i territorii a raggione di salme, cioè le terre fertili si compongono di tre et quattro tumula seu moggia di terre et a questi si da il prezzo di docati cinquanta et fino a docati sessanta la salma et nelle terre sterili et situati in luoghi montuosi, ciascheduna salma si considera per tumula seu moggia quattro o cinque di terre , et a questi si suole dare il prezzo di docati quaranta sino a cinquanta la salma, più o meno, secondo la loro situatione et qualità .Et nelle terre infertili, sterili et sciollosi, si considera a tumula sei la salma et a questi le si da il prezzo di docati venti o venticinque la salma”
“Quando si danno in affitto li territorii in erba per uso di pascoli per quelli che sono feraci e fertili l’affitti per uno anno si sogliono fare sino alla raggione di carlini venti la salma, et quelli di minor conditione qualche cosa meno del sud. prezzo secondo le richieste et bisogni dell’affittuarii e l’affitti in grano si sogliono stabilire per tre anni cioè il primo anno si fa maesi seu maggesi e l’affittuario non è tenuto a pagar cos’alcuna al padrone del territorio ma nell’altri due anni susseguenti che vengono a seminarsi li territorii devono pagare per raggione di terratico per ogni anno grani o majorche pro rata che semineranno circa tumulo uno, tumulo uno e mezo, tumula due ancora per ogni tumulo seu moggio di terre et questo si stabilisce a proportione della qualità et fertilità delle terre che comunemente chiamasi in questa città pagamento di copertura, copertura e meza et due coperture” (ANC. 667,1746,166-167).

“Per inveterato uso e consuetudine in questa città si valuta ogni soma di grano seu salma la raggione di tumola sei per ciascheduna” (ANC. 665, 1737, 27).

“L’affitti de territorii o gabelle del comprensorio di questa città e Paesi convicini che si pigliano ad ogn’uso si sentono come si pigliassero in semina perché tanto è affittarsi ad ogn’uso che affittarli in semina, potendo l’affittatore farli pascere d’animali e seminarli a suo piacere, quanto dell’ affitti in erbaggi non puole l’affittatore valersine in altro che farli pascere d’animali. Per l’affitti ad ogn’uso o in semina si pagano li sudetti territorii molto di più e circa il terzo di più di quanto l’istessi territorii s’affittano o possono affittarsi in erbaggio per pascolo di animali che quando s’apprezzano li territorii secondo la loro rendita si considera per quanti anni possono affittarsi in erbaggio e per quanti anni in semina e per quanto così in erbaggio che in semina possono affittarsi, e coarcervandosi insieme si ratizzano e dividono per tutti l’anni in erbaggio et in semina per rendita uguale la rendita annuale, essendo indifficultabile che molto di più fosse la rendita di ciaschedun anno che s’affittano in semina e sino al terzo circa di più di quello che s’affittano in erbaggio per li territorii predetti” (ANC. 911, 1739, 29).

“L’uso e consuetudine di questa città nell’affitti delli territorii e gabelle del distretto et tenimento della stessa città che sogliono affittarsi e concedere in affitto, cioè per anni tre ad uso di pascolo di animali e per altri anni tre ad uso di semina ed in predetto triennio di semina si costuma il primo anno maggesarsino li territorii et non si paga cosa alcuna alli padroni di essi , ma l’affitto ed estaglio di tutti detti tre anni quando si è in grani si corrisponde mettà nella raccolta del primo anno della semina che viene ad essere il secondo del triennio ed altra mettà nella seconda raccolta in cui viene a terminare d.o termine di semina” (ANC. 860, 1759, 246).

“Secondo l’inveratissima consuetudine di questa città, quall’ora nel primo anno della semina non torna conto all’affittuario di raccogliersi i frutti, sta a sua disposizione di poter d.o affittuario cedere e renunciare al Padrone del territorio il sementato, che si attrova in quello fatto, e con tal rinuncia resta dismesso il contratto di d.o affitto, nè tenuto più l’affittuario di continuare nel medesimo nè tenuto pagar cosa alcuna per detto affitto ed estaglio” (ANC. 1342,1761,18)

“Il costume inveterato ed accettato comunemente in q.a città è in simili affitti quello che quando nelli due anni di semina nel triendio di affitto comulativamente non si prende in detti due anni il punto delli dieci deve il Patrone della Gabella o terreno seminato far l’escomputo al colono” (AVC. Contratto tra G. Albani ed il colono F. de Vennera, Cotrone 20. 7. 1805)

“Come la raccolta in questa città per l’affitti delle gabelle affittate in semina, tanto in grano che in danaro, è stata ed è sino alla metà del mese di agosto di cadaun anno e doppo detta metà di agosto si può liquidare l’obliganza di detto affitto e non prima della medesima mettà di agosto” (ANC. 915, 1763, 83).

“Per antica consuetudine le gabelle et territori dal mese di maggio per tutto il mese di agosto de quasivoglia anno et finche non piove tre volte in abundantia sono comuni et si pascolano indifferentemente da qualsivoglia sorte de animali: qual pascolare li padroni di dette terre non possono prohibire” ( Dip. Som. F. 315, n.10, f. 33 ASN).

“Non vi è solito che nelle gabelle chiuse dove vi sono fidati animali grossi come vacchi e bovi fidarci animali minuti appresso come pecori et auni quali per esser cossi minuti non solo mangiano l’herba ma quella radono dalla terra” (ANC. 117, 1623, 19).

“Sempre è da tempo immemorabile si è stilato come si stila tanto in questa città dell’Isola quanto in altre parti che qualunque sorte di animali ,si vaccini che pecorine, giumentini ed altri che pascolano uniti con altri animali di diversi Padroni nelli territorii d’essa città e fuori si numerano alcune volte dopo otto giorni che sono entrati al pascolo dello territorio et alcune volte nel mese di marzo per vedere a che somma ascenda di pagare cadauno animale ed esce pro rata della somma che si deve pagare a Padroni de territorii il loro affitto, e che per tanto si numerano in detto mese di marzo perchè l’antico costume è, che l’animali si ritrovano vivi a marzo sudetto, pagano per li morti. Entrando animali a pascolare in qualunque gabella del territorio di questa città e luoghi convicini delli dieci del mese d’aprile, sogliono pagare grana dieci poco più o poco meno a testa perchè si tratta di bruscia, seu terre pascolate prima d’altri animali” (ANC. 1267, 1756, 148v-149).

“In ciascheduna forma di formaggio di libre cinque e mezo a pezza vi vogliono di sale di monte cavalli quattro a pezza per uscire di sale, e questa cura dura quattro mesi incirca” (ANC. 663, 1729, 54v).

“No se va a fare ne istrumento ne obliganza di patti de nesciuna sorte deli poteghe case et magazeni che se allugano da quanto tempo che noi ce possiamo recordar ma solamente se sogliono affittare in parole e alli tercij o ultimi tandi quando no pagano se serra la potega/ o / casa /o magazeno finche pagano ne se have soluto ne sole fare nixuna sorte de cautele per detti affitti ” (Dip. Som. 315, n.10, f.51, a.1587, ASN.).

“L’affitti de magazeni in questa città si pagano a carlini venti a centenaro per uno anno intiero dalla prima di giugno sino l’ultimo di maggio dell’anno seguente. E le voltature delli grani si pagano tre tornesi a centenaro, come pure li grani in tempo d’està si voltano due volte la settimana, e l’inverno una volta” (ANC. 661, 1722, 292).

“Il fitto delle poteghe si paga in tre terze cioe al di di santa croce nel mese di settembro, pasca di resurretione et alla fini dello anno nel detto di santa croce” (Dip. Som. 315,n.10, f. 33, a.1587).


Creato il 10 Febbraio 2015. Ultima modifica: 16 Febbraio 2015.

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