La Salina di Neto presso Altilia

Localizzazione della salina di Neto presso la confluenza dei fiumi Neto e Lese.

Lo sfruttamento della salina di “Neto” è attestato fin dai primi documenti medievali. Essa era di proprietà regia ed era situata all’interno del tenimento detto “Neto” (un antico possesso dell’abbazia di Calabro Maria, detta anche Santa Maria di Altilia), ai piedi della collina sulla quale sorgeva l’abbazia, ed alla riva destra del fiume Neto, nei pressi della confluenza col fiume Lese.[i]

Della sua importanza, riconosciuta anche al di fuori dell’ambito regionale, fa fede l’opera del geografo arabo al-Idrisi (1099 ? – 1164 ?) il quale, descrivendo il fiume Neto nel “Libro di Ruggero”, così si esprime: “Il fiume Neto scende dalla Sila a destra di Cerenzia e si dirige verso levante. A sinistra di questa città esce un altro fiume che si unisce al precedente nel luogo chiamato la Salina distante da Cerenzia nove miglia. Il Neto quindi continua il suo corso fino a che passa sotto Santa Severina lontano un miglio e mezzo e proseguendo tra Crotone e Strongoli si mette in mare.”[ii]

Numerosi indizi ci inducono ad ipotizzare uno stretto legame tra lo sfruttamento della salina e la fondazione e la presenza dell’abbazia greca di Calabro Maria. Ancora nel Sedicesimo secolo quest’ultima conservava “In primis uno tenimento chiamato Neto”, all’interno del quale era situata “la salina chiamata di Neto de la quale sua maestà e suoi ministri pagano annuatim a detta Abatia d(uca)ti cinquanta et tari due” e l’“Ill.re S.r Abbate può in essa salina haver sale quanto ad esso parerà conforme a d(et)ti privilegii”. L’abbazia possedeva inoltre “uno prato per commodità di detta salina et fuoculieri”.[iii]

Il fiume Neto presso Altilia di Santa Severina (KR).

Durante il Medioevo

Tra i privilegi, concessi dai regnanti normanni al monastero di Calabro Maria, troviamo che, il primo giugno 6623 (1115), il conte di Calabria e Sicilia Ruggero, su supplica del vescovo di Cerenzia Policronio, trovandosi presso Santa Severina, confermava al monastero le concessioni a suo tempo elargite dal duca Ruggero, aggiungendovi la rendita di 12 once d’oro annue da riscuotersi sulle rendite della salina di Neto.[iv]

Troviamo ulteriori concessioni anche in periodo svevo. Nel 1195 l’imperatore Enrico VI concedeva all’abate del monastero florense Gioachino, una rendita di “quinquaginta bizantios aureos percipiendos annis singulis absque aliqua diminutione de salina Neti”.[v] I cinquanta “bizantios” d’oro saranno in seguito convertiti in sessanta ducati sulla salina di Neto “que est in territorio Sancte Severine prope monasterium Calabro Marie”, da versarsi ogni anno il giorno di San Giovanni Battista.

L’imperatore Federico II, nel maggio 1225, confermava all’abate ed ai monaci del monastero cistercense di Sant’Angelo de Frigillo, i possessi e le immunità, tra le quali quelle “ut libere sumant sale de salenis nostris Neti et Merchedusi absque alicuius contradicione”.[vi] Le concessioni a questi monasteri saranno in seguito ripetutamente confermate, sia dall’imperatore Federico II,[vii] che dai successivi regnanti angioini ed aragonesi; i quali riconosceranno anche i diritti dell’arcivescovo e del capitolo di Santa Severina, ad esigere la decima sul sale ed a godere alcuni privilegi sulla salina.[viii]

“La badia di Altilia” (14), “La timpa di Altilia” (15), “Il colle della Salina” (16) ed “Il fiume Neto” (2). Particolare di una carta conservata all’Archivio Arcivescovile di Santa Severina.

Essendo un bene appartenente e gestito direttamente dalla regia corte, spettava al re nominare gli ufficiali addetti alla gestione della salina ed incamerare gli introiti. Sulle regie miniere di sale vigilavano il secreto ed il maestro del sale, che erano di nomina regia, i quali dovevano osservare e fare osservare, le regole contenute nei capitoli, che regolavano detti uffici.

Numerose sono le nomine di doganieri, credenzieri, cassieri ed incisori, come anche le concessioni di rendite annue sulle entrate della salina.[ix] Per avere un’idea dell’importanza, che la salina continuò ad avere anche durante la dominazione angioina, è sufficiente ricordare la presenza di un fondaco del sale a Crotone.[x] Da molti documenti risulta, inoltre, che i regnanti angioini confermarono ripetutamente agli abati dei monasteri vicini, i privilegi che godevano sulla salina, intervenendo spesso presso gli ufficiali regi addetti all’amministrazione della salina, per sollecitarli all’osservanza dei pagamenti. Essi fecero inoltre numerose nuove concessioni. Sempre durante il periodo angioino la gabella della salina di Neto cominciò ad essere appaltata a finanzieri e speculatori, i quali a loro volta la subaffittavano.

Nel 1294 Carlo II d’Angiò, re di Napoli, confermava al monastero florense la rendita annua di ducati 60 sulla salina di Neto e nel 1310 Carlo, primogenito del re Roberto, duca di Calabria e vicario generale del regno, scriveva al credenziere della salina di Neto ordinandogli di versare i 60 ducati annui, già concessi nel 1294.[xi] La regina Giovanna confermava la concessione al monastero florense della rendita annua di 60 ducati, comandando ai credenzieri della salina di Neto di provvedere al pagamento.[xii] Nel 1301/1302 il capitano di Santa Severina Giovanni Stefanicii, aveva un’annua provvigione di 60 once sulla Salina di Neto.[xiii]

Sempre durante il regno di Giovanna I d’Angiò la salina entrò nell’orbita dei Ruffo, conti di Catanzaro e signori di Crotone. La regina, infatti, concesse ai Ruffo una provvigione di ben 4000 ducati annui sui proventi della Salina di Neto e la riscossione della gabella del sale in alcuni luoghi.[xiv] Della provvigione ne beneficerà in seguito anche la marchesa di Crotone Errichetta Ruffo.

Il 20 gennaio 1383 Carlo III di Durazzo confermava l’annua concessione di tomola 12 di sale al monastero di Santa Maria La Nova.[xv]

Re Ladislao confermava al monastero florense i ducati 60 sulla Salina di Neto, incaricando il secreto di Calabria a provvedere.[xvi] Durante la lotta tra Luigi II d’Angiò e Ladislao, il 7 novembre 1390, Alessandro de Stefaniciis “comprava” la salina di Neto dal viceré Alberico da Barbiano.[xvii] Luigi III d’Angiò il 2 maggio 1424 ordinava ad Antonio Hermenterii di provvedere a restituire alla duchessa di Sessa le cinquanta once ricavate dalla vendita di alcuni panni di lana, prelevandole dagli introiti della Salina di Neto ed il primo settembre 1426 concedeva al segretario Oliviero Bonyere l’ufficio di credenziere della salina di Neto, sua vita durante.[xviii]

La “Salinella” presso Altilia di Santa Severina (KR), in un particolare del Foglio N. 570 Petilia Policastro della Carta 1:50000 dell’IGM.

I re aragonesi continuarono a rinnovare le vecchie concessioni ai monasteri ed altre ne fecero. Il 12 dicembre 1444, il re Alfonso che era sceso in Calabria per domare la ribellione del marchese di Crotone Antonio Centelles, accampato presso Crotone, concedeva al catanzarese Roberto de Astore, sua vita durante, una annua provvigione di ducati 100 “super pecuniae iurium et intratarum salinae civitatis Sanctae Severinae”,[xix] ed il 15 febbraio 1446 confermava all’arcivescovo di Santa Severina il diritto di decima sul sale della Salina di Neto.[xx]

Seguono la conferma dei privilegi dell’abbazia Calabro Maria[xxi] ed alcune lettere, affinché non siano molestati i diritti sulla salina del monastero florense; nel 1453 una lettera della Regia Camera della Sommaria esenta il monastero dalla tassa del 4 per cento sulla concessione dei 60 ducati annui.[xxii] Anche durante il regno di Ferdinando e dei successivi re aragonesi troviamo numerose concessioni. Il 24 giugno 1462 il re Ferdinando reintegrava Antonio Centelles e la moglie Errichetta Ruffo; tra le concessioni vi è una “provisione annua ducatorum mille super salina Sancte Severine dicta de Netu”.[xxiii] Seguono altre concessioni al monastero florense, all’abbazia di Santa Maria di Altilia,[xxiv] a Tomaso Astagna, a Giovanni Pietra di Corneta, ecc. Viene assegnato l’ufficio di doganiere del sale di Neto al notaio Berardino de Bosis, di credenziere del sale di Neto ad Alfonso Sentina, o Cetina, a Francesco Telese di Cosenza è affidato l’ufficio di incisore del sale nelle saline di Neto, ecc.[xxv]

Durante la dominazione aragonese fu introdotta la tassa sui fuochi e sul tomolo di sale a fuoco. La tassa consisteva nel pagamento annuo, da parte di ogni famiglia, di carlini dieci per il focatico, più carlini cinque e grana due per il tomolo di sale, che ogni famiglia era obbligata ad acquistare, da pagarsi in tre rate.[xxvi] Sempre sul finire del Quattrocento compaiono i nomi di alcuni arrendatori. Tra le grazie, chieste dall’università di Roccabernarda e concesse dal re Ferdinando il 12 ottobre 1491, vi era “in primis” la richiesta di scomputo dai pagamenti fiscali di ducati 50; somma che per ordine del tesoriere di Calabria Vincislao Campitello, era stata pagata dall’università a Ioanne Quactro Mano, arrendatore delle saline di Neto, per tagliare il sale.[xxvii]

La “Salinella di Neto”, in un particolare del Foglio N. 237 I “Savelli” della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Arrendatori e affittuari

Durante il Viceregno i monasteri conservarono gli antichi diritti sulla Salina di Neto, come risulta da una lettera inviata nel 1517 dalla Camera della Sommaria a favore del monastero florense, che ordina al doganiere e al secreto della salina di Neto di pagare gli usuali annui ducati 60.[xxviii] Magazzini dove si conservava il sale ed imbarchi sono segnalati a Crotone. Nel maggio 1594 il patrone reggino Anello Alampi è al porto di Crotone per imbarcare per conto del nobile Giovanni Carnelevare di Monasterace “sale a scascio”. Egli dovrà riempire di sale la sua barca, per quanto sarà possibile, e scaricarne circa 15 cantara allo Cenzo in territorio di Stilo ed il rimanente allo scaro di Stefanizze. Dovrà poi ritornare al porto di Crotone per compiere un secondo viaggio, per trasportare altro sale allo scaro di Stefanizze. Il sale, che è conservato nei magazzini di Crotone, dovrà essere imbarcato dall’Alampi a spese però del Carnelevare. Il patrone dovrà consegnare “le petre di sale sane”, come gli sono state consegnate e per ogni viaggio, riceverà ducati 35.[xxix]

Le saline erano messe all’asta pubblica ed appaltate, o arrendate, al maggior offerente, il quale a sua volta, di solito, le affittava singolarmente, o tutte assieme, ad altri. Di solito le regie saline di Neto, Lepore e Milioti, situate in diocesi di Santa Severina e di Cerenzia, erano affittate assieme.[xxx]

Nel 1565 Gregorio Pinello era regio arrendatore dei sali e saline delle province di Calabria.[xxxi] Nel maggio 1571 il napoletano Orazio Barbaro risulta arrendatore della salina di Neto.[xxxii] Nell’agosto 1623 Marcello Barracca era arrendatore delle saline di Calabria Ultra. Il Barracca risultava renitente ai pagamenti per servizio del re e delle galere, e doveva versare una grossa somma all’ammiraglio principe Filiberto. Per non essere imprigionato, si era rifugiato nella chiesa arcivescovile di Santa Severina, portando con sé molti dei suoi beni. Tre commissari gli davano la caccia: uno inviato dal mastro portolano di Reggio, su ordine della Camera Sommaria, gli aveva sequestrato le saline con le loro rendite, un altro inviato dal Tesoriere di Monteleone, gli aveva sequestrato gli animali e dei beni, il terzo gli era stato mandato contro dal mastro di Campo Carlo di Sangro.[xxxiii]

Numerosi atti riguardano l’affitto ed il subaffitto della salina. Il 3 luglio 1640, Giovanni Battista di Roggiero di Roccabernarda, che possiede l’ufficio di regio credenziere della regia Salina di Neto, per privilegio e provvisione della Regia Camera, lo cede per ducati 150 a Pietro Mascambrone di Crucoli.[xxxiv] Il 17 aprile 1764 Nicolazzo Espluga, che detiene per concessione fattagli dal re, sua vita durante, l’ufficio di regio doganiero dei sali della Salina di Neto, con possibilità di affittarlo e di sostituire chi lo esercita, avendo dovuto rimuove dall’ufficio Gaetano Stefanizzi, per ubbidire ad un decreto della Regia Camera, concede a Domenico Dafinà, abitante il Altilia, l’affitto dell’esercizio dell’ufficio di doganiero, “con tutte sue ragioni, azzioni, ed intiero stato, e con tutti li lucri, gaggi e emolumenti, annua provisione se pur vi sia, ed esenzione, che sono annessi all’ufficio sudetto”. L’affitto ha la durata di quattro anni, per l’annuo estaglio di ducati 70 pagabili in due rate eguali ogni sei mesi, con un semestre anticipato e con la possibilità di subaffittare l’ufficio.

“Le Saline” di Neto in un particolare della tavola N° 29 (1789) della carta di G. A. Rizzi Zannoni.

La salina nel 1640

Nel 1640 Anello Antonio de Urso di Napoli era regio arrendatore delle saline dei monti delle Province di Calabria, e Marcello Tosardi era affittuario delle regie saline di Neto, Lepore e Milioti.

Il 3 marzo 1640, in Badolato, l’abbate Francesco Tosardi di Napoli, a nome di Marcello Tosardi, affittuario delle regie saline di Neto, Lepore e Milioti, si impegnava a consegnare a Giulio Dolce, procuratore del Principe di Satriano, “sale bianco, recettibile, netto di creta, sale per sale et ben conditionato cantara cento cinq(uan)ta allo sottile, consistente ogni cantaro r(otol)a cento, et ogni rotolo onze 33 parte in pietra et parte minuto ad elettione di d(ett)o S.r Giulio”. Il prezzo era stabilito in ducati tre per cantaro per un totale di ducati 450, da consegnarsi in due rate: cioè, ducati 200 nel mese di maggio ed il rimanente nel mese di agosto. Il sale sarà consegnato settimana per settimana nella salina di Neto, a partire dal 20 marzo e finendo all’ultimo di giugno, ed il Dolce “dovera da pagare la rag(ion)e che spetta per la cacciatura et tagliatura di detto sale”.[xxxv]

Sempre in quell’anno, nel luglio 1640, il regio credenziere della salina di Neto Gio. Battista Ruggiero, cedeva l’ufficio a Pietro Mascambrone. Continuavano il furto ed il contrabbando del sale da parte degli abitanti dei paesi vicini.[xxxvi] Nel luglio 1640 l’arrendatore Anello Antonio de Urso faceva presente “che in tempo di notte sono state scassate le saline di Neto et Lepore et rubbato molta quantità di sali”.[xxxvii]

Nel novembre 1640, era celebrato un processo per indagare sull’uccisione di una vacca del monastero di Altilia, avvenuta nel bosco presso la chiesa della salina. Il delegato apostolico Tomaso Segreto ascoltò numerosi testi e, fra questi, anche ufficiali e lavoratori della Salina di Neto: il “laborator assiduus” di circa 35 anni Alfonso Verrina di Roccabernarda, il “laborator assiduus”di circa 25 anni Francesco Parise del casale di Altilia, il “forgiaro” mastro Andrea Morano, il “substitutus officialis” di circa 27 anni Antonio Pacifico, il “regio casciero”, il napoletano Martio Cimino di circa 19 anni, “l’incisor salis”, o tagliatore del sale, di circa 30 anni Salvatore Barberio ed altri lavoratori. Tutti erano idioti, cioè analfabeti, e la maggior parte di loro lavorava nella salina da molti anni, alcuni addirittura da più di quindici anni.[xxxviii]

Il territorio presso il fiume Neto con la via che “va alla Salina”.

Danneggiamenti

L’estrazione avveniva attraverso l’apertura di un fosso realizzato al centro delle terre appartenenti al monastero di Altilia e, per ottenere il sale, bisognava togliere grande quantità di terra. Con il passare del tempo e con l’estendersi dello scavo, le terre del monastero intorno alla salina persero di valore, anche perché le querce “sogliono giornalmente devastarsi dai forestieri nella salina”. I “travagliatori” e coloro che si recavano alla salina, concorrevano a rovinare le terre del monastero, perché erano soliti portarvi a pascolare il loro bestiame; così parte del bosco vicino alla salina veniva tagliato, altre volte era devastato dal fuoco, per ricavare terreni da mettere a grano e pascolo.

Il monastero di Altilia continuò ad esigere l’antica annua provvigione, ma divenne sempre più difficile ottenere il puntuale pagamento. Una relazione della metà del Seicento descrive le difficoltà che incontravano i priori del monastero a far valere i loro antichi diritti: “Sopra la Regia Salina di Neto dalli Credentieri della d(ett)a R(egi)a Salina per concessione antichissima delli sopra detti antichissimi Re annui docati cinquanta , tari due di moneta del Regno di Napoli li quali sempre si vanno dilatando dalli predetti regi ministri et non si pagano intieramente et quel poco che si riceve con molte spese e travagli di modo che li predetti docati 50. 2. 0 per sei anni intieramente sommano docati 302. 1. 0 solamente si ne sono ricevuti per tutti li medesimi sei anni docati 143. 3 et havendosi anco riguardo all’altri anni precedenti computati dalli fallimenti delli Regi Arrendatori et la renitenza delli Regi ministri a non pagare si fa conto che dun anno per l’altro se ne possa ricevere dal suddetto assignamento per docati cinquanta due tari ducati 35”.[xxxix]

L’estrazione del sale.

La chiesa della salina

Vicino alla salina vi era una chiesa. La presenza dell’edificio sacro, situato in diocesi di Santa Severina, è documentata già nella prima metà del Seicento. In seguito, così esso è descritto dall’arcivescovo Muzio Suriano in una sua relazione del 1678: “Distante da detto casale [Altilia] vi è un’altra chiesa, dove si celebra per devotione delli signori ufficiali delle regie saline di Neto in quel medemo luogo, quali saline altro non sono, che miniere di sale, che a guisa di marmo si cava nel distretto di quel casale con grande utilità della regia corte, e commodo dell’una e l’altra provincia”.[xl] La chiesa, dedicata a Santa Maria delle Grazie, ancora esisteva al tempo dell’arcivescovo Antonio Ganini: “Fuori dell’abitato presso le regie saline c’è la cappella di B. M. delle Grazie nella quale si celebra il sacro nel giorno festivo e domenicale dal cappellano scelto dai ministri delle dette saline che lo provvedono del necessario”.[xli]

Operai della salina di Lungro (CS) agli inizi del Novecento (da wikipedia).

L’attività nel Settecento e la chiusura della salina

Per tutto il Settecento col sale estratto dalla salina di Neto si sopperì al fabbisogno della popolazione di gran parte delle città della Calabria.[xlii] La vendita del prodotto, gravato dal fisco regio,[xliii] era appaltata città per città. Qui dei bottegai, da soli o in società, si incaricavano di ricevere il prodotto e di smaltirlo.[xliv] Ancora alla fine del Settecento, il Galanti imputava all’obbligo dell’uso del sale di monte, invece che di quello di mare, il fallimento di alcune iniziative commerciali: “Vi è in Cotrone il passaggio de’ tonni in gran copia nel mese di Settembre, ma allora sono di ritorno per cui le carni non sono di eguale bontà come nel Maggio. Si stabilì circa 12 anni sono da’ Cotronesi una tonnara in Capo Colonna colla spesa di molte migliaia (di ducati) colla speranza di ottenere una porzione di sale marino corrispondente per farne commercio di tonni, ma l’opposizione dell’affittatore de’ sali minerali fece svanire tale utile frangente. Si rovinarono dunque molte famiglie che volevano fare un bene per essi e per lo stato. Il tonno quando si prendeva non si poteva salare né smaltire fresco per mancanza di popolazione. Si era costretti bruciare o buttare nel mare una quantità enorme di tonno.”[xlv]

Una relazione dell’ottobre 1806, riportata da Umberto Caldora, descrive la situazione delle saline: “Miliati, inondata dalle acque. Era povera di minerale. Si pagavano al vescovo di Cariati ducati 50 per evitare sia che il terreno fosse messo a coltura sia che la «gente campagnola» rubasse il sale; la Regia Corte fittava il terreno ad uso di pascolo per ducati 32 annui; Manca del Vescovo, aperta in sostituzione di Miliati ma inondata nel 1784; era sita nel feudo del principe di Cerenzia, a cui la Regia Corte pagava duc. 80 all’anno; Smirne, presso Cotronei, in corso di apertura; Nuovo Scavo, presso il fiume Neto, di Proprietà della Regia Corte che percepiva duc. 16 annui dal fitto del prato; Salina Nuova, alias Bombacajo, pure nella stessa Zona.”[xlvi]

Non passerà molto tempo che la Salina di Neto, assieme a quelle di Basilico (a 10 miglia da S. Severina e 3 da Cerenzia), Ogliastri e Olivadi saranno definitivamente chiuse con decreto del 13 aprile 1826, perché si stimò che quelle di Altomonte, Barletta e Trapani erano più che sufficienti ai bisogni del Regno.[xlvii]

Note

[i] “Altilia villaggio situato sulla cima di un alto monte, a piè del quale vi sono le famose saline alla riva del fiume Neti: Dioc. Santa Severina, commenda del vescovo di Catanzaro col titolo di S. Maria, d’aria cattiva fa di popolazione 137.” Alfano G. M., Istorica descrizione del Regno di Napoli, Napoli 1795, p. 93.

[ii] Pedio T., I paesi continentali del Regno di Sicilia nella descrizione di Edrisi, in Studi Storici Meridionali, 1/1994, p. 36.

[iii] Così è descritto il tenimento di Neto “nel territorio della Rocca Bernarda”: “Incominciando dal fiume di Neto dallo luoco proprio chiamato Lo Cafaro, la cabella di S.ta Maria di Mulerà vecchio et ascende per le criste criste delli sterei ed ascende alli terreni delli Giuliani per le timpe timpe, et esce e confina alla cabella della Feretta, li frunti frunti de d.a cabella, et esce alli vignali di S.ta Maria de la Magna della Rocca Bernarda, li frunti frunti di d.i vignali, esce alli vignali di S.to Nicola della Rocca pre.tta, li frunti frunti, et esce alla cabella de Cuvalari nominata dell’her.i del q.m Alfonso Masso li frunti frunti et esce alla serra di S.to Andrea de la suprad.a cabella di d.i her.i e li frunti frunti esce alla cabella de Berardino di Bona e frati nominata la cabella dello Suvero, et esce allo timpone de Castelluzzo, et discende lo timpone a bascio termino med.te et esce allo canale de Caria, et ascende lo vallone ad irto de Caria confinando con lo Castelluzzo e confina alla serra de Crapari, e de volta volta esce alla cabella chiamata Armerò, e le colle colle esce alle Scalille, e de volta volta confinando ad Armerò verso levante, et esce allo timpone d’Armerò, dallo quale timpone a bascio ferisce alle terre, e sararmaco di Francesco delle Serre, et lo sararmaco sararmaco esce allo vignale di S.to Nicola con lo quale confina termino med.te, con lo quale confinando sempre da man destra caminando verso Ardavuri finisce alla medesima cabella di Ardavuri, e segue la serra a pennino cristone cristone, et esce alle terre di Francesco delle Serre, e di Battista delle Pira, e lo termine termine esce allo cristone di S.ta Anastasia, e da esso cristone cala a bascio confinando da man destra con li Ficuti, e da man manca con la cabella d’Ardavuri, e fere allo termine di S.taAnastasia, et termino mediante lasciando d.o termine da man destra termino termino ferisce ad un pezzo di terre, e molino d’Alessandro Infosino acquaro mediante confinando con d.e terre ferisce allo (giardino) delle molina dell’Ill.e S.r Gio. Baracco, e seguendo la sepula sepula di d.o giardino ferisce allo galice prima dello prato di d.e molina venendo dalla città di S.ta Severina et ascendendo lo galica ad irto, et esce allo timpone dell’aira, e da d.a aira descende all’altro galice dello Scinetto della cabella d’Ardavuri, confinando da man destra de d.o prato, et delle molina di d.o Ill.e S.r Giovanni, e da d.o Scinetto scende mezze coste mezze coste, et esce allo timponello delli Scini delle mezze coste, et esce all’altro timponello di più sopra sempre confinando da man manca quando se va alla salina de Neto, e si viene dalla città di S.ta Severina confinando de d.e terre di d.o Ill.e S.r Giovanni, e ferisce alle timpe, e delle timpe timpe ferisce allo Galice dove e l’Aquicella de Femina Morta, e de detta acqua ferisce al fiume di Neto e de Neto ad irto conclude allo primo sciere(?) sopra la Menta.” ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de vassalli di d.a scritta a foliate numero 29, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782) 529, 659, B. 8.

[iv] Ughelli F., Italia Sacra IX, 477.

[v] Ughelli F., Italia Sacra, IX, 196. L’inventario del monastero florense, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, pp. 219 sgg

[vi] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, p. 339.

[vii] Il 22 luglio 1227 il papa Gregorio IX conferma all’abate del monastero Calabro Maria ed ai suoi frati sia presenti che futuri, ogni bene e diritto, anche l’annua provvigione di 12 once d’oro sulla gabella della salina di Neto, agli stessi concessa dall’imperatore Federico II, con diploma da Bologna del 1221, ed il mulino nello stesso fiume. ASCZ, Atti relativi alla rimessa de’ libri ed altre carte originali appartenenti al monastero de cisterciensi di Santa Maria di Altilia, C.S. – S.E. Cart. 60, fasc. 1333. Russo F., Regesto, I, 715.

[viii] Di vari privilegi per la Sede di Santa Severina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 238.

[ix] All’inizio del Trecento troviamo Pietro II Ruffo, signore di Crotone, che esercitava le cariche di secreto, di “magister” del sale, dell’argento e delle foreste del ducato di Calabria. De Leo P., Dalla tarda antichità all’età moderna, in Crotone. Storia cultura economia, Ed. Rubbettino, p. 159.

[x] Reg. Ang. XI (1273-1277), p. 220.

[xi] Russo F., Gioacchino da Fiore e le fondazioni florensi in Calabria, Napoli 1959, pp. 107, 109.

[xii] L’inventario del monastero florense, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 232.

[xiii] Maone P., San Mauro Marchesato, Catanzaro 1975, p. 75.

[xiv] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 183.

[xv] Barone N., Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria di Carlo III di Durazzo, ASPN a. XII, fasc. II, 1887, p. 193.

[xvi] Russo F, Gioacchino da Fiore e le fondazioni florensi in Calabria, Napoli 1959,.p. 113.

[xvii] Cutolo A., Re Ladislao d’Angiò – Durazzo, Napoli 1968, n. 132.

[xviii] Orefice I., Registro della cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria. 1421-1434, ASCL 1977/1978, pp. 306, 353.

[xix] Fonti Aragonesi, I, p. 39.

[xx] Di vari privilegi per la Sede di Santaseverina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 238.

[xxi] “L’abate de Calabro Maria ave sopra la salina de Neto anno quolibet D. LX”. In “Le grazie facte per la Regia Maestà sopra segrecie et altri intrate de la corte in lo ducato de Calabria”. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 281.

[xxii] L’inventario del monastero florense, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 242.

[xxiii] AVC, Processo Grosso di fogli cinquecento settanta due della lite che Mons.re Ill.mo Duca di Nocera per il detto Vescovato dell’anno 1564, ff. 74-96.

[xxiv]. Re Ferdinando, venuto meno il principe, all’inizio del 1466, accogliendo le richieste dell’università di Santa Severina, riconoscerà i privilegi, le prerogative e le immunità del monastero, e farà presente all’arrendatore del sale, che la Regia Corte è obbligata ogni anno a versare al monastero 12 once d’oro sulle saline di Neto, in quanto esse sono dentro il territorio di Neto, che appartiene all’abbazia. Un prezioso documento del secolo XV, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, pp. 159 sgg.

[xxv] Falanga M., Il manoscritto da Como fonte sconosciuta per la storia della Calabria dal 1437 al 1710, in Riv. Stor. Cal. n. 1-2, 1993, pp. 262-264.

[xxvi] Fonti Aragonesi, XIII, pp. 230 sgg.

[xxvii] Trinchera F., Codice aragonese o sia Lettere regie, Napoli 1866–1870, pp. 132-133.

[xxviii] L’inventario del monastero florense, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 249.

[xxix] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Rigitano F., Busta 49, anno 1594, ff. 98-99.

[xxx] La salina regia di Milioti si trovava sulla riva sinistra del fiume Lese. Il vescovo di Cariati e Cerenzia Properzio Resta (1586 – 1602), in una sua relazione, affermava che “La Corte Regia occupa una salina in uno territorio della chiesa di Gerentia con molto pregiuditio della mensa episcopale senza haverne ricompensa alcuna. Il vescovo per la povertà della chiesa non può litigare come sarebbe acontrario”. ASV, Rel. Lim. Cariaten. et Geruntin., 1589.

[xxxi] ASN, Tesorieri e Percettori Vol. 4087, f. 65v.

[xxxii] Caridi G., Uno “stato” feudale nel mezzogiorno spagnolo, Gangemi 1988, p. 101.

[xxxiii] Volpicella L. (a cura), Epistolario ufficiale del governatore di Calabria Ultra Lorenzo Cenami, Arch. Stor. Cal. a. II, 1914, n. 2, pp. 138-139.

[xxxiv] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Amoroso G., Busta 179, anno 1640, ff. 33–34.

[xxxv] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Amoroso G., Busta 179, anno 1640, ff. 31v-33.

[xxxvi] Per furti di sale nella salina di Miliati da parte di abitanti di Cerenzia, vedi Aragona G., Cerenzia, Crotone 1989, p. 213

[xxxvii] L’arrendatore protestava perché aveva preso prigioniere molte vacche delle mandrie di coloro che avevano preso parte ai furti di sale, ma era stato costretto da un ordine della Regia Udienza di Cosenza a scarcerarle, con “grave danno prejuditio et interesse di detto Regio Arrendamento et Regio Fisco”. ASCZ, Fondo Notarile, Not. Amoroso G., Busta 179, anno 1640, f. 30.

[xxxviii] Processo pella morte di un animale vaccino fatto nel 1640, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782) 529, 659, B. 8.

[xxxix] ASV, Relatione del stato di S.ta M.a di Calabro Maria seu d’Altilia, S.C. Stat. Regul. – Relationes, 16, (1650), ff. 68–74.

[xl] ASV, Rel. Lim. S. Severina. 1678.

[xli] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.

[xlii] Nell’agosto 1754 Ignazio Braccio di Catanzaro ed il genovese Geronimo Dolera avevano l’appalto dei sali di monte della regia Salina di Neto per la città di Catanzaro ed il suo casale di Gagliano. Essi lo aveva preso “in solidum” fin dal 31 luglio 1749. ASCZ, Fondo Notarile, Busta 857, anno 1754, f. 452.

[xliii] Nel settembre 1759 l’aristocratico crotonese Raffaele Suriano era amministratore generale delle due reali imposizioni delle grana 82 e mezzo a rotolo dei sali del ripartimento dei monti delle due province di Calabria. ASCZ, Fondo Notarile, Busta 857, 1754, ff. 451v- 453.

[xliv] I bottegai Giuseppe Pagano e Francesco Giardino gestiscono in società lo smercio del sale a Crotone. Nell’agosto 1724 arriva in città un commissario inviato dal delegato delle saline di Neto e di Miliati, per essere pagato per il sale fornito ai due bottegai. Dopo moltissimi contrasti questi ultimi si accordano: il Pagano per la sua rata e porzione del prezzo ed importo del sale, che aveva ricevuto dall’amministratore delle saline, versa ducati 29 al commissario. Si convenne inoltre, che tutto il commercio del sale a Crotone passasse al solo Giardino, il quale da solo doveva ricevere il sale e smaltirlo. ASCZ, Fondo Notarile, Busta 663, anno 1729, f. 23.

[xlv] Galanti G. M., Giornale di viaggio in Calabria (1792), Soc. Ed. Nap. 1981, pp. 130-131.

[xlvi] Caldora U., Calabria napoleonica (1806-1815), Ed. Brenner Cosenza 1985, p. 270.

[xlvii] Caldora U., Calabria napoleonica (1806-1815), Ed. Brenner Cosenza 1985, p. 300.


Creato il 15 Marzo 2015. Ultima modifica: 18 Dicembre 2023.

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  1. Mario

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