Pellegrini ed eremi nella vallata del Tacina: Il monastero di San Pietro di Nimfi

San Mauro Marchesato (KR), ruderi di San Pietro di Nimfi in località “S. Pietro”.

La leggenda del monaco eremita greco Vitale di Castronovo, come ci è tramandata, narra che dopo che il santo ebbe appreso le sacre lettere, decise di far penitenza nel monastero di San Filippo di Agira, dove rimase per cinque anni. Poi, con licenza di quell’abate, per soddisfare un voto, andò a Roma a visitare e pregare nei santuari e ad onorare i luoghi santi. Compiuto il pellegrinaggio, da Roma si diresse in Calabria, e si ritirò in un monastero presso la città di Santa Severina, rimanendovi due anni in penitenza e orazione. In seguito, ritornò in Sicilia, presso il monastero di San Filippo di Agira, da dove era partito. Dopo varie vicende il santo morì il 9 marzo 990.[i]

Secondo il Sinopoli, la chiesa siciliana di S. Filippo di Agira sorse sui ruderi di un tempio pagano e fu dimora, durante il periodo bizantino e arabo, di una comunità di monaci che praticavano l’esempio dei santi e celebravano secondo la liturgia greca. Dopo la conquista normanna dell’isola, il monastero di Agira fu abitato da monaci benedettini. Nel 1094/1095 Ruggero I lo arricchì e lo fece restaurare, confermandolo all’abate Ambrogio, benedettino di san Bartolomeo di Lipari, al quale confermò sia la chiesa che il territorio di San Filippo di Agira, già acquisiti in precedenza.[ii]

Conquistata Gerusalemme (15 luglio 1099), alcuni cavalieri normanni vollero potenziare il monastero benedettino di Santa Maria dei Latini che si trovava in quella città. Essi, perciò, vi aggregarono le rendite di molti monasteri benedettini delle Puglie, delle Calabrie e di Sicilia, fra cui figura anche quello di San Filippo di Agira, con le sue proprietà e grangie. A seguito di tale unione avvenne che tutte le badie ed i priorati annessi a Santa Maria Latina di Gerusalemme, trassero il nome dalla abbazia principale. In seguito, a causa di avvenimenti storici, i monaci si trasferirono da Santa Maria Latina di Gerusalemme, nella badia di S. Filippo di Agira in Sicilia. Il papa Pasquale II nel luglio 1112, stabilì che la badia di S. Filippo di Agira, detta anche di S. Maria Latina Gerosolimitana, fosse immediatamente soggetta alla Sede Apostolica e seguisse la regola benedettina cassinese, salvi i diritti del patriarca di Gerusalemme.[iii]

La località “S. Pietro” in un particolare del foglio N.° 570 Petilia Policastro della carta 1:50.000 dell’IGM.

Nel 1126 il monastero di San Filippo di Agira è dipendente di Santa Maria Latina di Gerusalemme, come si apprende dalla conferma concessa da Ruggero II al priore di Agira.[iv] Secondo il Russo, l’abbazia benedettina di Santa Maria la Latina in Gerusalemme,[v] ricevette nel 1126 il monastero greco di San Filippo d’Argirò. Nel 1158, come si rileva dalla bolla del papa Adriano IV, essa possedeva sette chiese, un casale e diverse fattorie.[vi] L’otto marzo 1173 (secondo il tabulario del Sinopoli l’anno è il 1164), il papa Alessandro III confermava all’abbate Richardo e al monastero, i diritti ed i privilegi che godeva in Terra Santa, Siria, Sicilia e Calabria. Dall’atto si rileva che in Calabria l’abbazia possedeva la chiesa di “Sanctus Petrus de Tachina” e la chiesa di Sant’Elia, con i loro possedimenti, decime e diritti.[vii]

Dal 1187, essendo stata presa Gerusalemme dagli Arabi, il priorato di San Filippo di Agira, che già aveva assunto il nome di Santa Maria Latina in Gerusalemme, divenne sede abbaziale e fu posto a capo di altri monasteri.

Da tutto quanto detto si può supporre che la chiesa, o monastero, di San Pietro di Tacina, o di Niffi, sorto probabilmente su un tempio preesistente, e abitato da una comunità di monaci di lingua e rito greco, fosse già in periodo bizantino legato spiritualmente (e forse anche economicamente) al monastero di San Filippo d’Agira, di cui ne seguì i destini. Il monastero di San Pietro di Tacina, infatti, fu posto sotto l’obbedienza dei benedettini di Santa Maria Latina, conservando, tuttavia, una propria vita economica e religiosa.

Vicino alla chiesa e al monastero di San Pietro di Tacina si sviluppò il casale omonimo, detto anche di Nymphus, nome del vecchio abitato preesistente. (Lo stesso avvenne in questo periodo per l’abbazia di Santa Maria di Altilia che darà il suo nome al casale che prima si chiamava Caria). Durante il Duecento la chiesa di San Pietro di Tacina allargò i suoi possedimenti attraverso acquisti e donazioni, e mantenne una certa autonomia economica, anche se gli atti del suo priore risultano a volte convalidati, o approvati, dall’abbate di Agira da cui egli gerarchicamente dipendeva.[viii] Tutto ciò è confermato da un documento del 1256, con il quale il papa Alessandro IV conferma la permuta di alcune terre tra l’abbate ed il convento florense, ed il priore del priorato di Tacina, in diocesi di Santa Severina. Da esso veniamo a conoscenza che il priorato era certamente soggetto all’abbate del monastero de Latina in Ierusalem, o di S. Filippo di Agira, ma il suo priore godeva di ampi poteri nelle decisioni economiche, che gli derivavano dall’atto di fondazione[ix] della chiesa di San Pietro di Tacina.

San Mauro Marchesato (KR), ruderi di San Pietro di Nimfi in località “S. Pietro”.

Il casale di “Nimfus cum Sancto Petro”, posto sulla riva sinistra del Tacina, all’inizio della dominazione angioina è una delle terre appartenenti al giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana e nel 1276, risulta tassato per once due tari dodici e grana otto,[x] con una popolazione presunta di un centinaio di persone.[xi] Nelle vicinanze del casale, oltre alla chiesa campestre di Santa Maria de Niffi,[xii] vi era la grancia di San Teodoro di Niffi, che dipendeva dall’abbate del monastero di San Nicola di Jaciano.[xiii] In questi anni (1275-1279) Guillelmus, priore del monastero di “San Pietro de Nimpha”, a titolo di decima, versò in più riprese alla Santa Sede la considerevole somma di tre once d’oro.[xiv] La discreta floridezza del monastero, verrà confermata anche dai successivi pagamenti delle decime nel biennio 1325-1326.[xv]

Nel 1274 sorse una controversia tra l’arcivescovo di Santa Severina Rogerio di Stefanuzia, nella cui diocesi sorgevano la chiesa ed il casale di San Pietro de Tacina, e l’abbate Henricus del monastero di Santa Maria Latina in Ierusalem, riguardante i diritti di decima e sui beni di coloro che morivano. La lite, risolta con l’intervento di comuni amici, riconosceva quasi completamente i diritti della chiesa di Santa Severina e del suo arcivescovo, che così potevano godere di un censo annuo di tari 14 d’oro l’anno, che l’abbate, o il priore della chiesa di San Pietro di Tacina, doveva consegnare nella festa di Sant’Anastasia.[xvi]

Il priorato continuò la sua esistenza durante il Trecento e la prima metà del Quattrocento.[xvii] Esso è ancora esistente dopo le distruzioni e le stragi, operate prima dalle truppe di Alfonso di Aragona, e poi da quelle di Ferrante, scesi in Calabria per stroncare la ribellione del marchese di Crotone, Antonio Centelles. Tra i capitoli, chiesti dall’università di Santa Severina a re Ferdinando, e da lui concessi nel febbraio 1460, vi è la conferma dei privilegi, prerogative e immunità che godevano i monasteri di Calabromaria e di San Pietro de Niffi, i “quali sono fundati intro lo tenimento” della città di Santa Severina.[xviii]

In evidenza la località “R. S. Pietro”. Particolare del F. 237-II “Petilia Policastro”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Le devastazioni operate dalle truppe aragonesi, la peste, e le mire dei nuovi padroni per impadronirsi dei beni del priorato, ben presto determineranno l’abbandono del monastero. Il 28 marzo 1479, il papa Sisto IV concedeva a Luca Crispo, prete di Ravello, il priorato benedettino, o grancia, di San Pietro di Niffi, nel quale non vi sono più la comunità monacale né la dignità abbaziale.[xix]

Seguiranno i vari commendatari del priorato di San Pietro de Niffi: Ruggero Condopoli, l’arcivescovo di Santa Severina Antonio Cantelmi,[xx] Cristoforo de Maffeis,[xxi] Benedetto de Maffeis, Alessandro Carrafa,[xxii] ecc. Ormai il legame tra il priorato di S. Pietro di Tacina e l’abbazia di S. Filippo di Agira, era sempre più messo in discussione. Per rivendicare questa dipendenza, nel settembre 1528 a Catania, su richiesta dell’abbate di Agira Francesco Aiutamicristo, si radunava il capitolo dei benedettini, per verificare attraverso le testimonianze di varie persone, i diritti che poteva vantare l’abbazia di Santa Maria Latina gerosolimitana di Agira, sul priorato di San Pietro in Nimphis in Calabria e sulla confraternita colà esistente. In quella occasione, il capitolo dei benedettini cassinesi di Catania affermò i diritti dell’abate di Agira sul priorato e sulla confraternita di S. Pietro in Nimphis,[xxiii] ma questo non valse a mutare il destino del monastero, ormai ridotto a grancia disabitata.

A fine Cinquecento nel distretto di Rocca Bernarda c’è il Priorato di San Pietro de Nimfi, grancia di San Filippo Argirò di Sicilia, che da una rendita annua di circa trecento ducati.[xxiv] All’inizio del Seicento, la chiesa, distante circa quattro miglia da San Mauro e soggetta alle incursioni dei ladri e degli uomini malvagi, fu abbandonata e andò distrutta. Soppressi la chiesa ed il monastero, in loro ricordo fu istituito un beneficio con il suo altare, sotto il titolo di San Pietro de Niffi, nella chiesa matrice di San Giovanni Battista di San Mauro Marchesato.

L’arcivescovo di Santa Severina Francesco Falabella, compiendo nel novembre 1660 la visita pastorale alla matrice di San Mauro, annotava che la nuova cappella, di cui si era stata decisa la costruzione circa 15 anni prima, non era ancora finita. Essa si trovava a destra dell’altare maggiore, davanti alla porta piccola della chiesa, e c’era lo stemma del cardinale Lelio Falconeri, che era stato priore di San Pietro de Niffi. L’onere delle due messe che dovevano essere celebrate nella chiesa di San Pietro, era stato in precedenza trasferito dall’arcivescovo Fausto Caffarello nella chiesa matrice di San Mauro.[xxv]

San Mauro Marchesato (KR), ruderi di San Pietro di Nimfi in località “S. Pietro”.

La cappella è così descritta in un apprezzo del 1687: “Nella destra nave piccola in testa v’è la cappella di S. Pietro de Ninfis seu Niffi abbadia oggi commendata all’Ecc. Cardinale Spinosa S. Cecilia, con ornamento di marmo verde e bianco, con immagine, intempiata, e ferriata avanti detta cappella, questa cappella sta ornata con candelieri indorati, e tiene bellissimi suoi ornamenti e suppellettili vi si celebra due volte la settimana, e v’è il cappellano assignato colla sua provisione”.[xxvi]

I beni del priorato rimasero ai commendatari e da questi fatti gestire da procuratori. Alla metà del Settecento l’abbazia possedeva terreni in territorio di San Mauro Marchesato (“Ducime”, “San Pietro”, “Gabelluccia dell’Acquaro”, “Caravà”, “S. Sodaro”), di Santa Severina (“Prelatello”, “Latina”), di Rocca Bernarda (“Ducime sottovia”, “vignale S. Sodaro”, “gabella della Rottura”), di Rocca di Neto (“S. Nicola”),[xxvii] e di Crotone (due vignali a “Cortina”). Nel 1809 Tiberio Merola era ancora titolare della Regia Cappellania laicale sotto il titolo di San Pietro di Niffi. In seguito, le entrate provenienti dall’abbazia, assieme ad altre provenienti dall’abbazia di S. Cosma e Damiano di Nicastro, e ad annui ducati 200 provenienti dall’abbazia di Santa Maria del Mito della diocesi di Ugento, vennero usate dall’arcivescovo di Santa Severina, Ludovico Del Gallo (1824-1848), per migliorare le entrate del seminario arcidiocesano, previa concessione avuta dal governo.[xxviii]

Ancora oggi, a ricordo del monastero benedettino, rimangono resti di poderose mura in località “San Pietro”, in territorio di San Mauro Marchesato, e sulla collina soprastante sono ancora visibili alcuni ruderi di una vecchia chiesa. Il ritrovamento di numerose tombe di periodo greco, e di monete romane in tutta l’area, ci attesta l’esistenza di un popoloso abitato, che si sviluppò certamente dal periodo greco fino all’età medioevale. Il vicino toponimo Niffi (Nimphus) sulla riva sinistra del Tacina, in territorio di Roccabernarda, ci ricorda il nome e l’origine di questo vecchio casale scomparso.

Note

[i] Martire D., La Calabria sacra e profana, Cosenza 1876, Vol. I, pp. 286-288.

[ii] Pasini C., Osservazioni sul dossier agiografico ed innografico di san Filippo di Agira, in Storia della Sicilia e tradizione agiografica nella tarda antichità, Rubbettino Editore, 1988, p. 191.

[iii] Sinopoli P., Tabulario di S. Maria Latina di Agira, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, S. II, a. II, 1926, pp. 135-190.

[iv] Pasini C., Osservazioni sul dossier agiografico ed innografico di san Filippo di Agira, in Storia della Sicilia e tradizione agiografica nella tarda antichità, Rubbettino Editore, 1988, p. 191.

[v] La chiesa di Santa Maria, con annesso ospizio per pellegrini, fu fondata nel secolo XI in Gerusalemme da alcuni mercanti amalfitani. In seguito alla prima crociata vi fu annessa una comunità monastica, a capo della quale nel 1099 vi era il provenzale Gerardo Tunc, il quale redasse lo statuto, approvato poi dal papa Pasquale II. Russo F., Storia della Chiesa in Calabria: dalle origini al Concilio di Trento, vol. II, Rubettino 1982, p. 421.

[vi] Bresc-Bautier G., Les Possessions des eglises de Terre Sainte en Italie du Sud (Pouille, Calabre, Sicile), in Roberto il Guiscardo e il suo tempo, Centro Studi Normanno-Svevi, Roma 1975, pp. 28-29.

[vii] Russo F., Regesto, I, p. 81.

[viii] Nel novembre 1230, Pagano de Parisio abbate di Agira, compera alcune terre per la chiesa di “S. Pietro di Tazena” in Calabria. Sinopoli P., Tabulario di S. Maria Latina di Agira, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, S. II, a. II, 1926, p. 188.

[ix] Russo F., Regesto, I, p. 153.

[x] Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini, Napoli 1877, p. 215.

[xi] Pardi G., I Registri Angioini e la popolazione calabrese del 1276, in Archivio Storico per le Province Napoletane, Napoli 1921, pp. 27 sgg.

[xii] La chiesa di Santa Maria di Niffi poi scomparve, rimase a testimoniarne l’esistenza il canonicato omonimo nella cattedrale di Santa Severina, Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 155.

[xiii] Nel 1261 Adriano, abate di San Nicola di Jaciano, essendo il monastero in decadenza, lo sottomise all’ordine cistercense e all’abate di Sant’Angelo de Frigillo, riservandosi, finché sarebbe vissuto, la grangia di San Teodoro di Niffi. Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 431-434.

[xiv] Russo F., Regesto I, p. 174.

[xv] Nel 1325 e nel 1326 il frate Iohannes, priore di S. Petro de Tachina, versa undici tari. Russo F., Regesto, I, pp. 338, 355.

[xvi] Il documento fu scritto in “Sancto Petro de Tachina” il 4 novembre 1274, per mano di frate Nicolay, priore della Beata Maria de Latina di Messina. Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 254.

[xvii] Un breve di Papa Innocenzo VI del 25 giugno 1405, concede la cura della chiesa di S. Pietro de Niffi di Roccabernarda, al presbitero di Santa Severina Andrea Guardati, perché il rettore della chiesa, il chierico secolare Bernardo, cessa dall’incarico per entrare nel monastero di San Filippo de Ferolito (?), di cui ora è abbate. Russo F., Regesto II, p. 134. Nel novembre 1443, Jaimo de Paternò, abbate di Agira, accetta una donazione di terre alla chiesa di “S. Pietro de Tazena” in Calabria, fatta da Giliberto de Tara. Sinopoli P., Tabulario di S. Maria Latina di Agira, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, S. II, a. II, 1926, p.164.

[xviii] Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, pp. 160, 167.

[xix] Russo F., Regesto II, p. 455. Sempre in questi anni risultano “dishabitati” e distrutti, molti casali vicini: San Mauro de Carava, San Stefano de Ferrato, ecc. Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, p. 102.

[xx] Russo F., Regesto, II, p. 408.

[xxi] Russo F., Regesto, II, p. 458.

[xxii] Russo F., Regesto II, p. 482.

[xxiii] Sinopoli P., Tabulario di S. Maria Latina di Agira, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, S. II, a. II, 1926, p. 158.

[xxiv] ASV, Rel. Limina Santa Severina, 1589.

[xxv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 37A, Visita pastorale dell’arcivescovo di Santa Severina Francesco Falabella 1660.

[xxvi] Caridi G., Uno “stato” feudale nel mezzogiorno spagnolo, Gangemi 1988.

[xxvii] Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, pp. 147-148.

[xxviii] Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 255.


Creato il 23 Febbraio 2015. Ultima modifica: 1 Giugno 2023.

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