Papanice tra il Sette e l’Ottocento
Gli Sculco e i Lucifero
Tommaso Domenico Sculco, oltre a molte proprietà, lasciò numerosi figli, ad ognuno dei quali prima di morire[i] aveva prefissato il destino. Bonaventura fu avviato alla carriera ecclesiastica e, dopo sedici anni di studi e di permanenza a Roma, nel 1745 ottenne il vescovato di Bisignano; Carlo dopo avere prestato servizio a Roma, Napoli e Malta, divenne cavaliere della religione di Malta; Brigida e Maria Nicola entrarono nel monastero di Santa Caterina da Siena di Catanzaro, Antonia in quello di Santa Chiara di Crotone, Chiara si unì in matrimonio col nobile catanzarese Gio. Battista Grimaldi, e Francesco Antonio prima amministrò e poi ereditò i beni paterni.
Quest’ultimo si sposò con Chiara Suriano[ii] e perpetuò la schiatta degli Sculco, incrementandone le proprietà, che erano più che sostanziose, come evidenzia il catasto onciario di Crotone del 1743. In quell’anno lo Sculco, nobile di 42 anni, era sposato con la trentatreenne Chiara Suriano. La sua famiglia era composta dai figli Giuseppe di 6 anni, Tomaso di 1 anno, e dalle figlie Geronima di 10 anni e Livia di 4 anni, dai fratelli Carlo, cavaliere gerosolimitano di 40 anni, e Bonaventura, sacerdote residente in Roma di 33 anni.
Nello stesso palazzo di abitazione, posto in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo di Crotone, abitavano anche Ignazio Grimaldi, nipote ex sorore, la madre Vittoria Lucifero, e numerosi servi e serve: il cocchiere Giuseppe Sempiterno, il servo Saverio Curcio, il volante Francesco Antonio Galasso, la serva Domenica Greco, la serva Rosa Rizzo, la serva Antonia Donato, e la balia Vittoria Pazzanita.
Lo Sculco possedeva alcune casette davanti e dietro il suo palazzo, tra le quali una presso il vicino palazzo di Dionisio Lucifero, dove vi era la rimessa per la sua carrozza. Era proprietario di sei magazzini al Fosso, e di numerose terre: la chiusa a Manca di Cane, Jannello con oliveto, S. Nicolicchia, Mutrò, La manca di S. Stefano, la Trazza, La Columbra, Misistrello, Cortina, la chiusa, il vignale di Scarano, il vignale a La Pietà, il vignale. Egli esigeva lo jus pagliaratico sopra le case di Papanice dove possedeva anche alcune case. A tutto questo era da aggiungere il numeroso bestiame: 60 bovi aratori, 26 mazzoni, 40 giovenchi, 132 vacche, 4 tori, 33 vacche, 59 vitellazzi, 1700 pecore, 10 scrofe, 2 giumente, 2 cavalli, di cui uno per uso di sella, e 2 muli.[iii]
Per quanto riguarda il rapporto che il nobile ebbe con la terra regia di Papanice, sappiamo che Francesco Antonio Sculco restaurò il palazzo dei suoi avi che, abbandonato, era divenuto quasi inabitabile, fece edificare trenta nuove casette da dare in locazione agli abitanti del luogo, e ricostruì alcune case e tre botteghe andate in rovina, che erano situate a filo nella pubblica piazza, vicino alla chiesa matrice dei SS. Pietro e Paolo.[iv]
Gli Sculco ed i Lucifero condizioneranno il destino di Papanice e dei suoi abitanti per tutto il Settecento. I primi si susseguiranno nel possesso della gabella Cortina[v] e nei diritti ad essa legati, con Francesco Antonio, figlio di Tommaso Domenico, e poi con Tommaso;[vi] i secondi nei due rami: 1) quello dei baroni, possessori del feudo della bagliva di Crotone e Papanice[vii] con Giuseppe, figlio di Fabrizio, Dionisio[viii] e Francesco Antonio. 2) quello dei marchesi di Apriglianello, con Fabrizio, il figlio Francesco e poi Giuseppe.
Liti tra Crotone e Papanice
La formazione del nuovo catasto onciario riaccende le liti tra l’università di Papanice e quella di Crotone. All’inizio del 1742 il sindaco di Papanice Tommaso di Bona, protesta perché gli apprezzatori di Crotone hanno accatastato nel loro territorio, anche vigne, vignali e terre comuni, appartenenti all’università di Papanice, la quale, per far fronte ad alcune necessità, aveva dovuto vendere detti beni stabili a particolari crotonesi ma, tuttavia, essi facevano sempre parte del suo territorio.[ix]
Poco dopo, mancando il governatore regio di Crotone, che esercitava anche a Papanice, assume quella carica il sindaco dei nobili di Crotone, il quale “pretende di firmare il catasto di Papanice”. Perciò fu avanzata una nuova protesta del sindaco Giovanni Gambino, il quale fa presente che, in mancanza del governatore regio, deve subentrare nella carica il mastrogiurato di Papanice, come è evidenziato nei capitoli dei privilegi, che gode quest’ultima. Di parere contrario è il sindaco di Crotone, il quale dichiara che, da sempre, il governatore di Crotone pro tempore ha esercitato giustizia anche a Papanice, essendo questa terra edificata nella gabella Cortina, territorio facente parte del regio demanio di Crotone. Per tale motivo gli abitanti di Papanice hanno sempre goduto i privilegi dei Crotonesi e, per tale motivo, essi sono stati e devono essere assoggettati alle tasse, come risulta dai vecchi catasti.[x]
Indebitata da più anni coi marchesi Doria ed incapace per la povertà degli abitanti, quasi tutti braccianti e piccoli coloni, di far fronte ai pagamenti, sia fiscali che verso coloro che hanno anticipato denaro, l’università di Papanicefora è ormai preda degli speculatori. Questi, ottenuta attraverso la corruzione, la complicità di alcuni governanti della terra, tentano di sottrarle le uniche due terre demaniali che possiede: “il Prato” e “la Botte”, territori che “da loro Antenati furono sempre con gelosia conservati”, tanto da non “averne voluto far uso nemeno nel tempo del grande bisogno, come fu quello della ricompra del Regio Demanio nell’anno Mille Seicento trenta sette”.[xi]
Ben presto tutta l’operazione perpetrata a danno dei cittadini fallisce. Scoperta la trama, questi ultimi riescono ad ottenere che, non potendo in una sola volta l’università saldare i debiti “per essere povera, come lo sono anch’essi loro odierni amministratori e cittadini, e gravata da pesi”, sia possibile dilazionare e frazionare i pagamenti in più anni.[xii]
Colpita duramente dal succedersi di annate sterili, che sfoceranno nella lunga carestia, che si protrarrà dal 1759 al 1767,[xiii] la regia terra di Papanice si spopola e va in decadenza. Il prolungarsi della siccità getta nella miseria i coloni, i quali non riuscendo a fare raccolti soddisfacenti, sono costretti ad indebitarsi, sia per alimentarsi che per poter seminare, perdendo così i pochi averi. Della crisi ne traggono profitto i grandi possidenti di grano e di terre. Soprattutto in questi anni di metà secolo, si rafforza il dominio di Francesco Antonio Sculco che, intervenendo tempestivamente con il prestito in aiuto dei coloni, da una parte li salva dal fallimento, dall’altra li lega sempre più ai suoi interessi. Rimase per molto tempo famoso il detto “Guai a Papanici, si Sculco vò pagatu!”
Gli Sculco si comporteranno verso gli abitanti in maniera tale da tener sempre ben saldo il principio che, la fortuna della loro famiglia, era strettamente legata alle vicende ed alle condizioni economiche dei coloni di Papanice, i quali non dovevano né arricchirsi, né diventare troppo poveri. Gli Sculco agirono perciò, da una parte, come forza economica equilibratrice e, dall’altra, attuarono l’asservimento, in modo tale che i coloni non divenissero mai così benestanti, da non aver bisogno di affittare i terreni, da non chiedere in prestito i semi, e di non avere bisogno dei buoi, ma non tanto poveri da non potersi alimentare e non pagare al raccolto, chi aveva a loro affittato ed anticipato nel momento del bisogno.
Rendendoli così dipendenti, gli Sculco si assicurarono sempre, anche in momenti di grave crisi, il rifornimento di grandi quantità di grano, da immettere al momento opportuno sul mercato napoletano. Essi prestarono perciò molta attenzione, affinché la terra a causa dei debiti o per altra ragione non spopolasse, in quanto la decadenza di Papanice era presagio della fine del prestigio della loro casata. Per tale motivo impiegarono parte della loro potenza economica per renderne stabile, per quanto possibile, l’economia, intervenendo con il loro denaro ed il loro grano in soccorso dei coloni in difficoltà nei momenti di carestia. Così agendo essi resero meno devastanti le annate difficili, ma soprattutto fecero in modo che, alla fine, le difficili congiunture economiche non si rivolgessero in loro danno.
Col tempo gli Sculco strinsero con gli abitanti un vincolo duraturo, quasi di complicità, che andava ben oltre il semplice rapporto di affari, tale comunque da identificare generalmente gli abitanti di Papanice come docili vassalli degli Sculco e, come tali, sempre pronti a prenderne le parti ed a testimoniare in loro favore e dei Lucifero loro parenti.
Il tutto viene chiaramente in luce nel testamento di Francesco Antonio Sculco: “Item acciò dopo la mia morte non venga a mancare alla povera gente della terra di Papanice quell’aiuto che sono stato solito annualmente a prestarle per sottrarla da’ gravi interessi, voglio ed ordino che statim seguita la mia morte, li miei eredi universali e particolari, depositassero in mano di persona benestante di questa città ducati trecento e per la prima volta in potere del marchese D. Giuseppe Maria Lucifero, mio genero, e dopo complito l’anno si faccia continuare nell’amministrazione di detto peculio, se così piacerà a quello de miei eredi a cui nella divisione dell’asse ereditario caderà in sorte d’avere il comprensorio di Cortina colle rendite di detta terra di Papanice, in contrario sia lecito e possa detto mio erede eliggere altro depositario benestante, restando però esso mio erede responsabile, se detto capitale venisse in tutto, o in parte a perire, e voglio, che detti ducati trecento si distribuiscano ogni anno per aiuto di particolari di detta terra o per bisogni universali della medesima come sarebbe l’annuale pagamento dovuto alla Regia Corte e Fiscalari o per la formazione dell’annona, restando ad arbitrio di detto mio erede possessore di detto territorio di Cortina di decidere del bisogno più interessante dietro l’informo che ne averà preso dal sindaco e curato del luogo mentre a detto possessore e futuri possessori dell’istesso fondo preme la sossistenza e miglior stato di detta terra per ragione de propri interessi che sono l’annuali rendite per l’antichi jussi, che si percepiscono dagli abitanti di detta terra per esser edificata dentro il territorio sudetto di Cortina. Verum, per l’espressato motivo voglio, di detto mio erede e suoi successori in detto territorio di Cortina deliberano circa l’uso di detta somma di ducati trecento, e che la loro deliberazione si presenti in scriptis al depositario di detto peculio, vada però solamente a carico d’esso depositario la distribuzione del medesimo e ne deve essere responsabile per ogni menima mancanza, e perciò deve detto depositario distribuirlo con tutta la cautela, precedente obbligo d’uno, o più benestanti dell’istessa terra o di questa città di Cotrone, affinché detto capitale non venga mai a mancare, e per ogni mancanza sia tenuto de proprio esso depositario, a cui stimo che sia equo li si accorda per l’incommodi dell’amministrazione quelche premio almeno al quattro per cento in danno però di chi averà il beneficio dell’uso del denaro, affinché detto capitale di ducati trecento resti sempre intiero ed indiminuto …”.[xiv]
Crisi e spopolamento
La crisi di fine Settecento accelera il passaggio di beni ecclesiastici in mani laiche. Alcuni speculatori del luogo, col pretesto dello stato di abbandono in cui versano gli edifici, si impossessano dei pochi beni delle chiese, mentre altri ecclesiastici mettono le mani sui beni dei luoghi pii laicali.[xv] Nel 1775 Papanice tocca il suo minimo plurisecolare con 283 abitanti.[xvi] Sempre in quell’anno l’università denuncia l’intrusione e la usurpazione da parte degli ecclesiastici, della amministrazione delle rendite delle cappelle laicali, col pretesto che la popolazione è composta “di persone idiote, e contadini che non sanno nè leggere nè scrivere”.[xvii]
Due anni dopo l’arciprete Domenico Elia[xviii] così descrive la situazione religiosa: “… vi sono quattro chiese. La prima è la chiesa matrice seu Arcipretale sotto il titolo di S. Pietro e Paulo, di cui n’è Procuratore Gio. Batt.a Ganguzza, che dal secolo passato insino al scorso anno 1775 è stata sempre soggetta alla R.ma Curia della città di Cotrone, due anni sono s’è dichiarata laicale come amministrata da’ laici per la questua si va facendo ogn’anno per l’arie da laici. La sua entrata è circa docati quaranta esigge di tante case in affitto. Entro detta chiesa vi sono cinque cappelle, una sotto il titolo del Rosario, di cui n’è procuratore Pantaleone Stillitano, ed averà d’entrata circa carlini trenta, oltre la questua per l’arie, et per la terra; un’altra sotto il titulo dell’Immacolata Concezzione senza veruna entrata e non vi è procuratore; l’altra sotto il titulo del Santissimo Crocefisso, di cui è procuratore Nicola Ganguzza senza veruna entrata; l’altra sotto il titulo di Maria Vergine della Catena de Iure Patronatus famiglia Foresta di Cutro; l’altra cappella è sotto titulo di S. Pantaleone sostenuta dalla pietà delli fedeli con l’elemosine, di cui n’è procuratore Giuseppe L’Ammirata e non vi è veruna entrata. La seconda chiesa è sotto titulo di S. Nicola dei Greci, di cui è procuratore Pascale Elia di Sebastiano ed averà da ducati quattro d’entrata, e la questua per l’arie, entro la quale vi sono quattro cappelle. Una è sotto titulo dell’Anime del Purgatorio, di cui è procuratore Giuseppe Rajmondo, ed ha circa docati cinquanta d’entrata, e la questua ogn’anno per l’arie e per la terra ogni lunedì. L’altra è sotto il titulo di S. Antonio di Padova, di cui è procuratore Carmine Carcea senza veruna entrata. L’altra sotto il titulo di S. Maria del Carmine, di cui è procuratore Arcangelo Ganguzza con carlini venti d’entrata e la questua ogn’anno per l’arie; l’altra è sotto il titulo di S. Leonardo de Jure Patronatus famiglia Franco ed Orsini. L’altra chiesa è sotto titulo di Maria Santissima della Pietà con ducati quattro d’entrata, di cui è procuratore Francesco Pedace, e la questua ogn’anno per l’arie. L’altra chiesa è sotto titulo di S. Rocco, di cui è procuratore Vincenzo Cumbariati con docati quattro d’entrata, cioè due case che s’affittano carlini venti l’una, e la questua ogn’anno per l’arie. Non vi sono confraternite, ne veruno Monte. Così tutte queste altre chiese sempre sono state da un secolo, soggette alla R.ma Curia di Cotrone.”[xix]
Da terra regia a frazione
Alla fine del Settecento l’abitato risulta composto da una cinquantina di case, consistenti in una sola stanza terranea, in fila lungo la strada maestra che, da Crotone, sbuca sulla piazza pubblica, inoltrandosi verso San Giovanni Minagò. Case sorgono allo sbocco delle strade pubbliche e vicinali. Alcuni casaleni, appena fuori dell’abitato, si affacciano sulla campagna. Le contrade hanno il nome dei luoghi pii e delle persone più importanti socialmente: La Pietà, S. Rocco, Francesco Longo, Natale Elia, Raimondi, Le Sciolle, Colace, Bartolo Torromino, ecc.
Vicino ed in mezzo alle case, sorgono gli orti (Conicella, Le Sciolle, orto della Pietà, orto in contrada Colace, ecc.) ad “uso giardino”, circondati da fossi e muraglie di pietrame, all’interno dei quali vi sono piante di fichi, di pomo agromolo, di poma, di pera, d’amendole, di gelso nero, di fichi d’India, piedi di granati, piantari di pruni, viti, olivi di stato. Nelle vicinanze ci sono alcuni vignali di proprietà degli abitanti e della chiesa.
Dopo il terremoto del 1783, che procurò alcuni danni materiali,[xx] i luoghi pii furono soppressi ed i loro beni amministrati dalla Cassa Sacra.[xxi] Le entrate erano modeste e provenivano dall’affitto di case, da alcuni orti e vignali, da piccoli e pochi censi enfiteutici e bollari e, globalmente, non superavano la rendita di 100 ducati annui. Significative erano solo le entrate, che godevano le due cappelle del SS.mo Sacramento e delle Anime del Purgatorio, che da sole rappresentavano i due terzi dell’entrate: la prima proprietaria soprattutto di case, la seconda di corpi stabili.[xxii]
Le chiese di Santa Maria della Pietà, di San Rocco e di San Nicola de Greci, nel 1790 furono prese in consegna dal regio amministratore.[xxiii] Scomparivano così l’antica chiesa di San Nicola de Greci, per molto tempo luogo e simbolo religioso/sociale degli abitanti, e molti altri luoghi pii. Le loro rendite, in seguito, furono aggregate alla arcipretura del luogo con l’obbligo che, tolte le spese, del rimanente si facessero tre parti: una per l’arciprete, come integrazione della sua congrua, una per l’economo dell’arciprete, e la terza come onorario al maestro della scuola pubblica.[xxiv]
All’inizio del periodo francese a Papanice rimase solo la chiesa parrocchiale ricettizia dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, amministrata dall’arciprete D. Giovanni Fullone e dall’economo curato Bruno Sacco.[xxv] Sempre durante il Decennio, Papanice perdeva la sua autonomia amministrativa. Nel riordino amministrativo fatto dai Francesi nel gennaio 1807, Papaniceforo diveniva un luogo del governo di Cotrone. Sempre in quell’anno, nella divisione del territorio di Crotone fatta dall’università, la sezione Papanice indicava quella parte che “confina a levante con il vallone detto Papaniciaro, fino a Santo Janni Vecchio, territorio di Cutro, a settentrione con Santa Marina territorio di Scandale, a ponente con Catalano, territorio di Cutro, a mezzogiorno colla suddetta strada del vallone Papaniciaro”.[xxvi] Nel riordino francese del 1811 Papanice era villaggio, o frazione di Crotone, situazione confermata dai Borboni nel 1816.[xxvii] Con il fallimento della quotizzazione dei demani[xxviii] e con il passaggio da città regia a semplice villaggio, Papanice diventa uno dei tanti luoghi indistinti del latifondo.
Pur contando un solo morto, il villaggio subisce seri danni a causa del terremoto dell’otto marzo 1832, che “distrusse varie chiese, che ivi esistevano”, tanto che “per esercitarsi il divino culto, vi fu in necessità di costruire una piccola baracca di tavole”.[xxix] I lavori di risanamento della chiesa di Papanice, infatti, termineranno nei primi giorni di giugno del 1835.[xxx] Nel 1845 la terra ha la chiesa parrocchiale da poco ricostruita dei SS. Pietro e Paolo,[xxxi] e una confraternita sotto il titolo della SS. R. Beata Vergine Maria,[xxxii] il santo protettore è San Nicola con festa il 6 dicembre. Successivamente il patrono è San Pantaleone, mentre a ricordo di San Nicola rimase solo il nome di una via. Il venir meno della identità religiosa e la grave situazione economica, segneranno profondamente il destino degli abitanti, gettando sinistre luci sul paese, dove in un clima di omertà e di paura, matureranno omicidi e rapimenti.[xxxiii]
Nuovi fermenti
Il vasto e partecipato movimento bracciantile del primo dopoguerra verrà ben presto perseguitato e represso dal regime fascista, che ripristinerà nelle campagne il potere degli agrari.[xxxiv] Nel secondo dopoguerra riprenderanno voce e forza le sempre presenti aspettative di maggiore equità sociale ed economica. La popolazione partecipa numerosa al movimento di occupazione delle terre, contrastato dalla polizia con scontri ed arresti di massa.[xxxv]
Il fallimento della riforma agraria, accanto a quello di iniziative economiche convincenti, alimenterà il fenomeno migratorio e determinerà nei rimasti un generale senso di frustrazione e di apatia, accompagnato dall’eclisse di ogni riferimento storico e culturale. Mentre le reliquie, ormai prive di significato, vanno disperse,[xxxvi] sorgono iniziative che tentano di dare vita ad una nuova identità culturale ed economica.
Popolazione di Papanice 1545-1851 (anime)
1545: 42 (fuochi)
1561: 80 (fuochi
1595: 234 (fuochi)
1603: 1000 circa
1606: 1000 circa
1610: 2000 circa
1614: 1000 circa
1617: 990 circa
1621: 2000 circa
1631: 1000 circa
1640: 1360 circa
1667: 920
1669: 155 (fuochi)
1670: 1200 circa
1675: 694
1678: 694
1681: 694
1692: 400
1693: 405
1696: 405
1700: 368
1703: 408
1706: 510
1709: 535
1711: 300
1722: 412
1737: 50 (fuochi)
1760: 371
1763: 350
1769: 350
1774: 298
1775: 283
1776: 291
1783: 341
1788: 335
1795: 300 circa
1801: 357
1805: 321
1807: 414
1816: 464
1818: 450
1845: 522
1851: 514
Note
[i] Tomaso D. Sculco morì a Crotone mantenendo la sua fede originaria: “Thomas Sculco ex par. SS. Apostolorum Petri et Pauli sine sacramentis extremum reddidit spiritum sub die prima m. novembris et sepultus fuit sub die 2 (1734) in ecclesia S. Joseph”, Libro dei morti cit. A ricordo rimane l’epigrafe ” D.O.M./ THOMAE DOMINICO SCULCO CROTONIATA/ E DYNASTARUM GENTE/ SACELLI HUIUS FUNDATORI/ IRO EXIMIAE PIETATIS AC ANTIQUIS QUIBUSQUE MORIBUS EX CULTO/ IN PUBLICIS PRIVATISQUE REBUS/ USU PRUDENTIA ATQUE AUCTORITATE CLARISSIMO/ FRANCISCUS FR. CAROLUS EQUES HIEROSOL. AC BONAVENTURA FILI/ ET VICTORIA LUCIFERO UXOR/ EHU PATRI OPTIMO ET PIENTISSIMO CONIUGI P.P./ VIXIT ALIIS POTIUS QUAM SIBI ANNOS LXX MENSES VII DIES XXV/ OBIIT CUM LUCTU PENE PUBLICO KALENDIS NOVEMBRIS AERAE VULGARI/ MDCCXXXIV.
[ii] ASCZ, Busta 857, anno 1754, ff. 443-452; Busta 612, anno 1717, ff. 107-108.Tra i figli di Francesco Antonio Sculco ricordiamo Giuseppe che sposò Antonia Berlingieri, figlia del marchese Carlo, e morì nel 1760 (ASCZ, Busta 861, anno 1761, f. 195v) e Gerolama che sposò il marchese di Apriglianello Giuseppe Maria Lucifero (ASCZ, Busta 1129, anno 1767, f. 14).
[iii] Catasto Onciario Cotrone , 1743, ff. 100-101.
[iv] Francesco Antonio Sculco ebbe due maschi: Giuseppe, primogenito, che sposò Antonia Berlingieri ed il secondogenito Tomaso che fu avviato alla religione di Malta. Morto il primogenito lasciando due soli figli: Nicola e Vittoria, Francesco Antonio Sculco mutò il testamento a favore del secondogenito che lasciò la religione di Malta. ASCZ, Busta 1129, anno 1767, ff. 9-32.
[v] Il comprensorio di Cortina di circa 750 tomolate entro il quale era stata edificata Papanice, era composta da sette gabelle: Muzzunà, Galantino, Buficchia, Zoci, l’Acqua d’Andrea, la Mortilla e Porcheria. ASCZ, Busta 1129, anno 1767, f. 12.
[vi] Francesco Antonio Sculco ereditò dal padre, tra l’altro, un “territorio di terre rase ed aratorie denominato Cortina sito in d.o distretto di questa città confine le terre dette li Caracalli, Gulli e la Conicella, e come che dentro d.o territorio di Cortina vi si attrova edificata la terra di Papanice per essere il medes.o di vasta estensione pertanto si esigge e spetta a d.a eredità il jus Pagliaratico sopra le case de’ Particolari di d.o territorio ed altresì spettarono e spettano a d.a eredità altre annue rendite che si esiggono per causa di alcuni vignali seu pezzi di terre del nom.o territorio che si attrovano a d.i Particolari cittadini di papanice concessi ad meliorandum coll’esazione tanto in denaro che in grano respettivamente quale esazione frutta di circa docati cento lanno”. ASCZ, Busta 853, anno 1754, f. 442v.
[vii] La bagliva di Crotone e Papanice era pervenuta a Giuseppe Lucifero per dote di Fulvia Barricellis. Pellicano Castagna M., cit. p.96.
[viii] Il barone Dionisio Lucifero sposò dapprima Rosa Berlingieri, figlia del marchese Francesco Cesare Berlingieri. Nel 1746 è vedovo. ASCZ, Busta 854, anno 1746, ff. 33-34.
[ix] ASCZ, Busta 981, anno 1742, ff. 3-4.
[x] ASCZ, Busta 981, anno 1742, ff. 36-38.
[xi] ASCZ, Busta 912, anno 1747, ff. 180-181.
[xii] L’università di Papanice doveva ai Doria ducati 60 all’anno ma dal 1737 al 1748, ne aveva versati ogni anno solo 40. Aumentando il debito a ducati 240, ottiene di estinguerlo versando ducati 40 all’anno ad iniziare dal 1754. ASCZ, Busta 914, anno 1754, ff. 25-29.
[xiii] F. Follone di Papanice, indebitato a causa della sterile raccolta ottiene da F. A. Sculco un prestito al 6 %, impegnando i suoi buoi e le sue piccole proprietà. ASCZ, Busta 860, anno 1759, f. 328.
[xiv] ASCZ, Busta 1129, anno 1767, ff. 22v-23. Francesco Antonio Sculco degli antichi duchi di Santa Severina e dei nobili patrizi di Crotone, sarà seppellito nella sua cappella di famiglia intitolata a San Nicola dentro la chiesa di San Giuseppe a Crotone, dove ancora oggi è visibile l’epigrafe: CINERIBUS. ET. MEMORIAE./ FRANCISCI. ANTONII. SCHULCHI./ PATRICII. CROTONENSIS./ FIDE. PIETATE. RELIGIONE. CLARISSIMI./ ET. PRISCA. PROBITATE. EXIMII./ QUI. ANNOS. NATUS. LXVII./ FATIS. CESSIT./ BONAVENTURA. BESIDIENSIUM. EPISCOPUS./ CAROLUS. EQUES. HIEROSOLYMITANUS./ FRATRES. MAERENTISSIMI./ THOMAS. EIDEM. SACRO. ORDINI. ADSCRIPTUS./ DULCISSIMI. PARENTIS. INTERITU. INCONSOLABILIS./ IN. HOC. GENTILITIO. SACELLO./ M.C.L. PP.
[xv] D. Elia, come procuratore della chiesa di S. Nicola dei Greci, vende a G. L’Ammirata una casa diruta con casaleno attaccato, confinante con la chiesa di S. Nicola ed il palazzo degli Sculco, per poter restaurare la chiesa. Sempre lo stesso Elia, come economo della chiesa arcipretale, cede in censo enfiteutico allo stesso L’Ammirata, due casette presso il palazzo degli Sculco. ASCZ, Busta 916, anno 1768, ff. 126, 130.
[xvi] Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo di Papanice anno 1775/1776. Abitanti: maschi 143, femmine 123, nati 9, nate 6, sacerdoti 2, totale 283. AVC, documento senza segnatura.
[xvii] AVC, Lettera del vescovo di Crotone G. Capocchiani al cavalere Vargas Macciucca, Cotrone 8.9.1775.
[xviii] Nel 1759 il sacerdote Domenico Elia, curato di Papanice, era anche rettore e cappellano di una cappellania, alla quale erano stati assegnati e ridotti i beni del dismesso convento degli Agostiniani. ASCZ, Busta 860, anno 1759, ff. 127-128.
[xix] AVC, Papanice li 6 febraro 1777, Relazione dell’arciprete Dom. Elia alla Curia di Cotrone.
[xx] Vivenzio G., Istoria e teorie de’ tremuoti, Napoli 1783, p. 328. De Leone A., Giornale, e notizie de’ tremuoti accaduti l’anno 1783 nella provincia di Catanzaro, Napoli 1783, pp. 136-137.
[xxi] Le proprietà dei luoghi pii in amministrazione alla Cassa Sacra erano costituite da 21 case terranee, 3 casaleni, 1 magazzino, 6 orti, 7 vignali, 1 gabella, 5 censi enfiteutici e 6 censi bollari. Stato attuale, o sia Lista di Carico de’ beni, e rendite de Luoghi Pii della Regia Terra di Papanice, compresi nel distretto di Cotrone, assegnati all’amministratore D. Giacomo d’Aragona – 1790.
[xxii] I luoghi pii in amministrazione alla C. S. erano: Cappella del SS. Sacramento, cappella delle Anime del Purgatorio, chiesa di S. Rocco, cappella del Carmine, cappella di S. Nicola de Greci, congregazione dell’Immacolata, cappella del Rosario e chiesa della Pietà. Stato attuale, o sia Lista di Carico de’ beni, e rendite de Luoghi Pii della Regia Terra di Papanice, compresi nel distretto di Cotrone, assegnati all’amministratore D. Giacomo d’Aragona – 1790.
[xxiii] Nella chiesa di Santa Maria della Pietà vi erano due quadri raffiguranti l’Addolorata e una piccola campana, nella chiesa di San Rocco vi era il quadro del santo ed una piccola campana, nella chiesa di S. Nicola de’ Greci vi era un quadro di S. Maria delle Grazie con S. Nicola di Bari e Santa Lucia, e tre altari (del Purgatorio, con quadro raffigurante le anime del Purgatorio, del Carmine con quadro di S. M. del Carmine, e di S. Antonio con statua del santo) vi erano, inoltre, due campane e vi occorrevano alcune tavole per riparare il soffitto. AVC, Stato attuale delle Fabbriche delle Chiese esistenti nella Regia Terra di Papanice, che si consegnano al Reg.o Amministratore D. Giacomo D’Aragona li due Giugno 1790.
[xxiv] Tra i luoghi pii laicali elencati nel 1805 a Papanice, non esistono più la congregazione dell’Immacolata Concezione e la cappella del Rosario. AVC, Elenco dei luoghi pii laicali, 1805.
[xxv] Nel 1807 Papanice aveva 414 abitanti, vi erano 3 preti e la chiesa aveva una rendita lorda di 175 ducati. Stato della chiesa, 1807.
[xxvi] Lucifero A., Cotrone dal 1800 al 1808, Cotrone 1922-24, p. 471.
[xxvii] Valente G., Dizionario dei luoghi della Calabria, Frama Sud, Chiaravalle Centrale 1972, II, p. 712.
[xxviii] Sempre nel 1811 vennero assegnati alla popolazione di Papanice che contava 308 abitanti, tomoli 220 di terra perchè fossero ripartiti tra gli aventi diritto. Le terre di provenienza demaniale ed ecclesiastica, soggette alla ripartizione, erano: Destra di Deno, una parte di Giancavaliere, Boscarello, Prato, Botte, Pudano di San Pietro e Zappaturo. Gli abitanti, tuttavia, non entrarono mai in possesso di quelle terre. Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949, ff. 10-11.
[xxix] Richiesta del sindaco di Cotrone all’intendenza di Catanzaro di aumentare i fondi per riedificare una chiesa a Papanice, Cotrone 27.12.1833.
[xxx] AVC, 84B.
[xxxi] “Terra Papanicephori, animarum quingentarum viginti duarum Ecclesia est annumerata, et eius Archipresbyter operam, curamque ponit pro suis animabus, et confraternitas una extat sub titulo SS. R.B.V.M.”. Todisco Grande L., Synodales Constitutiones et Decreta, Napoli 1846, p.55.
[xxxii] Descrizione della chiesa dei SS. Pietro e Paolo fatta nel 1937: “Creata prima del 1600, aveva il soccorpo sotto il pavimento della stessa, forse a tre navi dalla parte destra di chi entra, nessun cenno, solo si son trovati alcuni archetti nella parete, mentre per l’altra a forma di cappelle – due grandi archi chiusi e le cappelle dirute ed oggi ne ha rifatta una, sbucando l’altra. Restaurata ed in parte ricostruita”. AVC, documento senza segnatura.
[xxxiii] Vaccaro A., Kroton, MIT Cosenza 1966, vol. I, pp. 358-361.
[xxxiv] Il 4 gennaio 1925 il prefetto di Catanzaro comunicava al Ministero dell’Interno “che il 1° corrente, verso le ore 18, nella frazione di Papanice (Comune di Cotrone) alcuni sovversivi al canto di “bandiera rossa” cercarono di sollevare gli abitanti di quella frazione per provocare disordini ed assalire la sede del Fascio. Recatosi in luogo Commissario P. S. di Cotrone con adeguato numero di Carabinieri, procedette all’arresto di 10 persone, alcune per grida sediziose, altre per porto abusivo di armi, mancata denunzia di armi e sparo d’arma nell’abitato.” Min. Int. 1056-62 (movimento sovversivo 12/1/925).
[xxxv] Il 26 ottobre 1949, a Papanice vengono ferite dalla polizia 12 donne e si procede ad arresti in massa (50 persone).
[xxxvi] La croce di legno con l’immagine in stile greco, portata secondo la leggenda da Papa Niceforo e dalle sette famiglie di Negroponte, conservata nella chiesa parrocchiale ancora all’inizi del secolo, è bruciata come legno vecchio. Sculco N., Ricordi di avanzi di Cotrone, Cotrone 1905, p. 50. Vaccaro A., Kroton, MIT Cosenza 1966, vol. I, p. 359.
Creato il 21 Febbraio 2015. Ultima modifica: 27 Aprile 2023.