Le fornaci a Crotone – Analisi Storica
Excerpta del libro
A’ carcara – Vicende umane attorno a una fornace da calce (D’Ettoris Editore, 2024)

Resti della fornace romana del Parco Archeologico di Capocolonna (Crotone)
La fornace classica per le aziende edili è quella da calce, in dialetto crotonese “a’ carcara”, in cui si introducono rocce calcaree e scarti di prodotti edili affinché siano trasformati in calce viva a temperature che superano gli 800 gradi. Poi si passa ad una seconda lavorazione: il trattamento con acqua per ottenerne la calce spenta.
Un’altra tipologia di fornaci è quella per la produzione di laterizi e suppellettili.
Le fornaci sono sempre state una presenza costante in tutti gli agglomerati urbani, per i quali favoriscono l’espansione edilizia e lo sviluppo di un’attività artigianale locale. Tra le più antiche, l’ultima scoperta in Italia è quella di epoca romana di Arenzano (GE) venuta alla luce a inizio 2023.
Sono anteriori le fornaci ritrovate nelle colonie della Magna Grecia. Sin dai primi insediamenti degli Achei nell’Italia meridionale si costruirono delle fornaci per la produzione delle terrecotte.
Il fenomeno si è verificato anche nell’antica Kroton, nei cui siti archeologici sono stati trovati, oltre ai reperti di oggetti in ceramica (arule, deinoi, louteria ecc.), scarti di fornace, il che testimonia una produzione locale di oggetti fittili. Si denota una specializzazione nell’arte decorativa a rilievo delle ceramiche, realizzata con l’impiego di matrici a cilindretto. Gli artigiani artistici crotoniati dell’epoca, oltre a riportare magistralmente temi della madre patria, ne ripropongono dei nuovi, come quello di un vitello che si allatta da una giovenca[i]. A testimoniare la presenza di manifatture ceramiche nella chora già nel corso del VI secolo a.C., nel sito archeologico di Isola Capo Rizzuto, a sud di Crotone, presso Quota Pullano è emersa una fornace in mattoni crudi, che produceva coppe ioniche, annessa a una fattoria di tale secolo.[ii]
Una delle fornaci più antiche della polis ionica è quella rinvenuta durante gli scavi archeologici effettuati dal 1985 sotto la BPER Banca, in via Napoli.[iii] Risalirebbe al I periodo dell’età greca, quello arcaico, e serviva alla produzione di utensili di terracotta. Essendo stata ritrovata in una casa monumentale, cioè di un certo livello sociale, non è detto che non abbia avuto anche la funzione di riscaldare gli ambienti riservati alle donne (oikos), posti al piano superiore.
Altri resti di fornaci arcaiche e di pozzi sono stati ritrovati negli scavi effettuati intorno a via Cutro, tra Campo sportivo e quartiere Acquabona, a documentare la presenza di officine di artigiani fino al III secolo a.C., quando la zona, per la decadenza della città greca, restò disabitata.[iv]
In particolare, gli scavi iniziati nel 1979 in zona Campo sportivo evidenziarono un abitato del VII-VI secolo a.C. comprensivo di tre fornaci a pianta circolare.[v]
A sud di Crotone, in località Tonnara in prossimità di Capo Colonna, sono state individuate varie unità rurali, alcune delle quali dotate di grandi fornaci, attive dal II-I sec. a.C. sino alla tarda età imperiale.[vi]
Trasferiamoci infine al Parco archeologico di Capo Colonna dove, a lato del Santuario della Madonna di Capo Colonna, sono visibili i resti di una fornace rettangolare di epoca romana, databile intorno al III secolo d.C. Sempre nello stesso sito, poco distante e vicino al Tempio di Hera Lacinia, esiste anche una fornace a pianta circolare molto deteriorata. Si presume che le due fornaci servissero a cuocere i laterizi necessari a costruire il centro abitato.[vii]
Nell’Alto Medioevo le evidenze materiali – nella fattispecie suppellettili e anfore relative ai secoli VI e VII – sono attestate in vari punti, sia sulla collina del Castello sede della civitas, sia ai piedi di questa dove erano operative alcune piccole realtà artigianali[viii], e pertanto dovevano esserci anche delle fornaci.
Alla fine del Medioevo, la procedura di lavorazione delle fornaci è illustrata da vari documenti relativi alla fortificazione della città di Crotone e del suo castello dopo il 1480. In tale anno i turchi avevano occupato la città di Otranto e costituivano una minaccia per le altre località costiere dell’Italia meridionale, che pertanto provvidero a rinforzarsi.
Nello specifico, a Crotone i “carreri” trasportavano alle “calcare” con i loro carri, trascinati da buoi, la legna del bosco di Isola e della “fiomara di Neto”. L’acqua vi era portata dai “saccari”. Sotto lo sguardo attento del “mastro calcararo”, gli aiutanti mettevano la pietra nelle calcare, che cocevano giorno e notte, poi toglievano con i “furcuni” la calce e pulivano la calcara. La pietra era ceduta dagli abitanti locali, oppure arrivava da fuori e veniva sbarcata al porto. I “furcuni” erano acquistati a Cutro e ad Isola. Esistevano all’epoca almeno due calcare: una dentro al castello, l’altra fuori le mura davanti alla chiesa di San Francesco.[ix]
Gli scavi effettuati sulla collina di Santa Lucia, a sud della città, hanno fatto emergere le tracce deboli di tre fornaci per la calce, probabilmente della metà del Cinquecento.[x]
La penuria di buona pietra da taglio aveva determinato, per l’ex colonia greca, la necessità di attingere dalle rovine dell’antica Kroton le pietre necessarie per costruire il porto, il castello e gli edifici cittadini. La depredazione di marmi e di materiali del Tempio pagano di Hera Lacinia era proseguita fino al tempo del vescovo Antonio Lucifero (1508-1521), che aveva completato l’opera distruttiva, lasciando in piedi due sole colonne, una delle quali si frantumò a seguito di un terremoto nel 1638.
Una fornace da calce crotonese è stata anche teatro di un evento miracoloso da parte di fra’ Domenico da Riace, che era considerato un santo ed era noto per camminare sempre scalzo. Il frate, che trascorse a Crotone gli ultimi anni della sua vita presso il convento dei Cappuccini, e vi morì nel 1620, un giorno si trovava presso la fornace da calce, dove era stato terminato un ciclo produttivo. Si voleva procedere a un nuovo ciclo immediatamente, ma gli operai si rifiutavano di ripulire la calcara delle braci a causa dell’altissima temperatura presente. Allora il frate vi entrò scalzo, e con delle ceste portò via le braci senza subire alcun danno fisico.[xi]
Tornando al Parco archeologico di Capo Colonna è stata ritrovata, oltre alle due citate fornaci di epoca romana, una calcara più recente di epoca viceregnale (XVII-XVIII secolo).
Lo sviluppo delle fornaci per la fabbricazione di laterizi ebbe un impatto positivo nell’edilizia per la possibilità di sostituire la pietra da costruzione in zone, come quella di Crotone, dove scarseggiava. Queste fornaci avevano anche il vantaggio di poter produrre laterizi nel formato idoneo alle opere in edificazione.
A Crotone la zona detta Spina Santa era la più favorevole alla localizzazione delle fornaci per la minimizzazione dei costi. Si trovava nei pressi dell’attuale Istituto Tecnico Industriale Donegani su una collinetta argillosa, i cui caratteristici calanchi degradavano dolcemente verso il mare, fermandosi a pochi metri dalla riva. Bastava praticamente scavare sotto i piedi per ricavare l’argilla, la materia prima dei laterizi. La località era sempre stata caratterizzata dalla presenza delle fornaci. Già nel 1517 un documento attesta la presenza di una “carcara dela Observantia”, di proprietà del confinante convento francescano dei Minori Osservanti, situato tra Poggio Reale e il Carmine nei pressi della spiaggia.[xii] L’area era attraversata dal torrente Pignataro, che forniva l’altra materia occorrente: l’acqua. Il fiumiciattolo sgorgava dal vicino Poggio Reale, nel versante occidentale, per dirigersi a Spina Santa.
Altre tracce storiche ci dicono che mastro fabbricatore Iuzzolino Pasquale nel settembre del 1765 ottenne “dall’Università” [dal Comune] la concessione di un pezzo di terra nel luogo detto “il Ceramidio” per costruirvi un baraccone per produrre ceramidi e mattoni. Sempre in località Ceramidio, quasi certamente Spina Santa, anche mastro Lepera Antonio aveva una casetta con fornace per fare ceramidi in un terreno confinante con quello di Iuzzolino. Al Lepera subentrò Scaramuzza Cesare che il 2 dicembre 1781 ne rilevò casetta e fornace. Lo stesso Scaramuzza, con atto del 12 maggio 1785 del notaio Pittò, ottenne in affitto per 29 anni il vignale che apparteneva agli Osservanti, e denominato Poggio Reale.[xiii]
Nel 1788 una fornace crotonese apparteneva a Pantisano Diego. È quanto risulta da un atto di battesimo del 4 giugno del 1788. Il parroco della chiesa di Santa Maria, don Vincenzo Greco, aveva ribattezzato una neonata trovata abbandonata presso la fornace (ad figulinam) predetta. In un biglietto, lasciato accanto alla bambina, era scritto che era nata il 31 maggio e già battezzata col nome di Maria Crocifissa, e si richiedeva che fosse ribattezzata in chiesa con lo stesso nome.[xiv]
Ritornando al torrente Pignataro, dopo avere alimentato Spina Santa, iniziava un’ampia curva di 180°, dirigendosi dapprima verso nord, e ricevendo le acque di minuti ruscelletti provenienti dal Parco Carrara. In questo tratto era attiva un’altra fornace comunale, adiacente alla strada che conduce al Comune di Cutro. Alla fine dell’Ottocento la fornace era gestita da Natale Adamo, ma nel 1905 Nicoletta Domenico chiedeva di poterla rilevare proponendo un canone maggiorato di Lire 10 rispetto a quanto pagato fino ad allora[xv]. Questa fornace era l’erede di quella costruita nel 1484/1485 vicino al vecchio convento[xvi] dei Frati Minori Conventuali tra le località Spataro, Pignatari, Vecchia Carrara e la strada pubblica (ora via Cutro). Attorno alla metà del Cinquecento, per paura delle incursioni dei Turchi, i Conventuali abbandonarono il convento per ricostruirlo dentro le mura.[xvii]
Il Pignataro infine si dirigeva verso est, dove rallentava il corso. In questa località, detta Torno o Pignataro, sorgevano altre fornaci del Comune date in concessione, che meritano un discorso a parte per le problematiche create. Il fiumiciattolo poi sfociava nel mare in località Spiagge delle Forche (già Arenile delle Forche).
C’era anche qualche fornace privata, come quella per laterizi operante nella frazione Papanice su suolo pubblico senza alcuna corresponsione di canone. Il 9 ottobre 1905 il signor Lorecchio Giuseppe, dovendo ricostruire la fornace, regolarizzava la situazione. Infatti, chiedeva ed otteneva la concessione dello stesso appezzamento di terreno comunale per impiantarvi la nuova fornace per tegole e mattoni al canone annuo di L. 18 contro i 12 da lui proposti.
Il successo delle fornaci di laterizi faceva sì che se ne costruissero delle nuove.
Il 25 ottobre 1871 Costa Antonio chiedeva di poterne fabbricare una in Contrada Campitella, lungo la Strada Nazionale, accanto a quella già in essere dei fratelli Lumare.
Il 18 dicembre 1908 Sculco Umberto, rappresentante di alcuni promotori di una Società per la costruzione di latterizi e calce, presentava la domanda della concessione di un suolo di mq. 9.614 per impiantarvi una o più fornaci in contrada Spina Santa, nelle vicinanze della fornace concessa a Torchia Giuseppe.
Focalizzando l’attenzione sul 1876, al Carmine in contrada Pignera o Strada Vecchia, i soggetti ad avere la concessione di terreni “ad uso ceramidio” erano: 1) Lumare Saverio, 2) Costa Antonio; 3) Natale Franco, che poi rinunciò per il 1877.
Nell’ultimo ventennio del XIX secolo, si rileva che operavano tre fornaci comunali nella predetta zona, ora denominata contrada Spina Santa, gestite da: 1) Benincasa Tommaso; 2) Costa Antonio e Di Sole Antonio; 3) Zappacosta Antonio. Al decesso di quest’ultimo (23 settembre 1892) prima della scadenza del contratto, la concessione fu messa all’asta e fu aggiudicata da Torchia Alfonso.
Le assegnazioni avevano dunque frequenti mutazioni: all’inizio del 1916 la situazione era: 1) De Miglio Domenico; 2) Ranieri; 3) Torchia Giuseppe, succeduto al padre Alfonso. Nello stesso anno anche Torchia Giuseppe morì e la fornace passò di mano al primogenito Alfonso. Costui nel 1930 evitò di rinnovare il contratto, essendo la gestione diventata improduttiva per la forte concorrenza e per gli eccessivi rialzi dei canoni annui dovuti al Comune.
Seguire la storia delle fornaci comunali è un’impresa ardua, sia per la perdita di molti documenti dell’epoca, sia perché le fornaci erano considerate inglobate nei terreni sui quali sorgevano, quasi fossero degli accessori. La vendita dei terreni comportava anche quella delle fornaci esistenti, e queste sparivano senza spiegazione dagli inventari dei beni immobili posseduti dal Comune, che erano comunque molto lacunosi.
Ad esempio, in un inventario risalente al 1906, sono elencate 4 fornaci: due in contrada Cipriano, una in contrada Campitella e un’altra in contrada Pignataro, senza alcuna indicazione di quelle in località Spina Santa.
Tre decenni dopo, in un inventario del 1936[xviii] era stata rilevata la presenza di una sola fornace: quella già data in concessione fino al 1930 a Torchia Alfonso a Spina Santa; ma la registrazione era poi stata depennata con una nota: “eliminata per alienazione suolo”.
Termina così la proprietà pubblica delle fornaci di Crotone, dismesse o divenute private.

PROGETTO DI FORNACE DA CALCE DI FINE ‘800 (Fonte: Archivio Storico di Crotone – Disegno 10740)
Non sono state rinvenuti disegni o foto delle fornaci comunali, ma solo una stampa del progetto di costruzione di una fornace privata presentato a fine 1800. Un’idea di come potessero essere le fornaci da calce, è data dalla famosa fornace di Brema, sopravvissuta nel tempo e divenuta monumento nazionale.

Fornace da calce di Bremerhaven-Lehe intorno al 1949 (Fonte: Archivio della città di Bremerhaven/Stadtbildstelle)
Come si è detto, nell’ultimo tratto del torrente Pignataro, in località Torno o Pignataro, il Comune deteneva altre fornaci, costruite accanto al corso d’acqua, e dunque nel suo alveo.
Alcune delle fornaci risalivano a tempi remoti, come un paio (una da calce e l’altra per laterizi) che nel 1844 erano state date in concessione a Covelli Salvatore, e poi vendute al medesimo. Da costui erano state cedute a Caivano Giuseppantonio, alla cui morte furono ereditate dalle figlie Chiarina e Adelina. Altre due fornaci comunali esistevano in loco, e agli inizi del Novecento risultavano date in concessione a Costa Antonio e a Natale Adamo. Per queste ultime il Comune richiedeva un canone minore di quelle di Spina Santa, perché la zona era meno propizia alla produzione; inoltre stipulava contratti triennali e non quinquennali, riservandosi il diritto di rescindere il contratto un anno prima in vista dell’effettuazione della bonifica di tutta l’area.
Il torrente Pignataro un tempo scorreva libero verso il mare, tra terreni rurali in cui poteva esondare senza provocare grossi danni nei periodi di piena. Con gli anni si trovò imbrigliato per via della mano dell’uomo. Ostacolato nell’accesso al mare, le sue acque ristagnavano creando paludi malsane e maleodoranti.
Si progettò allora un’opera di bonifica, dopo aver determinato le due principali cause dell’impaludamento.
La prima era che nel 1899, allorché era sindaco il marchese Anselmo Berlingieri, era stato dato in concessione dal Demanio al barone Luigi Berlingieri un appezzamento di arenile, adiacente al Pignataro che costituiva in parte una zona di sfogo del corso d’acqua durante le inondazioni. Il barone, per proteggere l’appezzamento, innalzò un argine, che impediva al torrente di espandersi sulla spiaggia e ne alterava il corso. Ciò provocava durante le piene un rigurgito e un ristagno d’acqua, che andava a minare il vicino collettore delle pubbliche fogne.
L’altra causa era la costruzione della diga del nuovo porto. Le correnti marine, non avendo più libera circolazione, ristagnavano depositando arene sul lido, il cui accumulo aveva creato una sorta di duna, che impediva lo sbocco a mare del torrente.
Per avviare l’opera di bonifica, occorreva preliminarmente abbattere le quattro fornaci insite nella zona interessate. Per le due del Comune non ci furono problemi. Nel 1909 si rescissero i contratti con i due utilizzatori. Tra costoro, Natale Adamo chiese ed ottenne un rimborso parziale di lire 20 del canone annuo già pagato di lire 80, per lo scioglimento anticipato di tre mesi del contratto scadente il 31 dicembre 1909.
Più complessa la situazione delle due fornaci private ereditate dalle sorelle Caivano. Il Comune, senza verificare la storia dei due manufatti, inviò un ordine di abbattimento delle due fornaci, applicando una contravvenzione in quanto considerate abusive e costruite nell’alveo di un fiume. Immediato il ricorso delle due proprietarie che, però, ignoravano se il loro genitore fosse proprietario o concessionario delle stesse, comunque opponevano che le due costruzioni non erano abusive, ma costruite dal Comune stesso. Ci fu un primo respingimento del ricorso, un appello, un ordine della Prefettura di abbattimento d’ufficio con addebito delle spese alle proprietarie. Seguirono altre opposizioni e ricorsi, nonché richieste degli organi deliberanti al Comune di Crotone di conoscere la storia delle fornaci, ed anche una denuncia di alterazione dei confini del suolo comunale in corrispondenza della proprietà del marito di una delle signore Caivano. Finalmente si acclarò che le contestate fornaci erano originariamente del Comune, date in concessione e poi cedute a Covelli Salvatore, e da questi vendute al padre delle Caivano, come si è anticipato. A questo punto furono le due sorelle a chiedere il risarcimento al Comune per l’esproprio e l’abbattimento della loro proprietà, e, dopo una decennale trafila giudiziaria, finalmente nel 1919 una sentenza riconobbe alle signore Caivano un risarcimento di L. 6.600. Ma le peripezie delle due proprietarie sono erano terminate. Il relativo Decreto Ministeriale deliberò un “versamento” di indennità alle ricorrenti, restituendo loro le due procure a riscuotere a favore del marito di una di loro, non ritenendole necessarie. Non fu di questo avviso la Regia Avvocatura Erariale di Catanzaro, che bloccò il pagamento, invitò il Ministero a rettificare il Decreto da “versamento” a “pagamento” di indennità, e richiese la riconsegna delle due procure.
Le stesse lungaggini, se non peggiori, si ebbero nell’attuazione del piano di bonifica. Si riscontrano alcune riunioni d’urgenza del Consiglio Comunale per denunciare che i lavori di bonifica procedevano con molto rilento e che addirittura si erano bloccati. C’era un rimpallo di responsabilità tra le ditte appaltatrici e i diversi organi pubblici coinvolti. Si dava la colpa dei rallentamenti sia alle continue variazioni del progetto iniziale, che comportavano un aumento di spese, sia alle mancate deliberazioni delle amministrazioni pubbliche a causa di pratiche incomplete o mai iniziate, lamentando: pareri mancanti, perizie non effettuate, plichi non spediti o non ricevuti ecc.
Tra le tante modifiche al progetto iniziale, per le quali il Comune esprimeva voti al Ministero del Lavori Pubblici per l’accoglimento, annotiamo: la copertura dell’ultimo tratto del Pignataro, il disciplinamento delle acque piovane dei terreni attigui alla strada nazionale, il prolungamento di un cunettone di raccolta delle acque stagnanti, opere riguardanti anche le colline vicine all’abitato quali rinsaldamenti e rimboschimenti.
E pure la conclusione dei lavori non fu pacifica, perché nel 1923 ci si lamentava che non era stato ancora costituito il Consorzio di manutenzione del torrente Pignataro, comprendente tutti i proprietari degli immobili interessati, nonché i proprietari delle tre strade avvantaggiatesi della bonifica, rispettivamente: Stato, Provincia e Comune. E dopo la costituzione, il Consorzio non veniva convocato e la manutenzione non effettuata, sicché se ne propose il commissariamento.
Sin dall’inizio del XX secolo, c’è stato un forte sviluppo delle fornaci per la produzione di leganti nell’Italia settentrionale, i cui poli principali, Bergamo e Casale Monferrato (TO), operavano su larga scala. Le calci e le malte erano di ottima qualità e di prezzo competitivo. Le stesse zone divennero i centri delle prime industrializzazioni del settore e della nascita dei grandi cementifici.[xix] Nel resto d’Italia le fornaci artigianali hanno pertanto risentito negativamente di tale forte concorrenza.
Le conseguenze si ebbero anche a Crotone dove le vecchie calcare, a partire dagli anni Trenta, vennero dismesse sia perché divenute antieconomiche, sia per creare nuove aree edificabili.
Negli anni ’50, a Spina Santa, delle tre fornaci comunali restava attiva soltanto quella già data in concessione ai Ranieri, che ne erano divenuti i proprietari. Col diffondersi dell’acquedotto urbano, non c’era più necessità di costruire le fornaci accanto al torrente Pignataro. E infatti ne troviamo due, e più moderne, al Carmine in prossimità della via che conduce al Cimitero: una degli Adamo, caratterizzata da un’alta ciminiera, e l’altra del costruttore Romolo Sanguedolce. A loro volta i discendenti degli Adamo, trovando più sicuro economicamente il lavoro subordinato, si occuparono presso la grossa fabbrica della Montecatini che, in via d’espansione, assorbiva mano d’opera da tutti gli altri settori produttivi. Pertanto gli Adamo cedettero la loro fornace a Bruno Samà, che ne aveva un’altra anche a Lamezia Terme. Oggi anche queste due fornaci del Carmine non esistono più, e, al loro posto, furono creati i parchi “Samà” e “Santa Maria Novella”.
Inoltre, sopravvisse fino agli anni Sessanta la fornace situata lungo la via che portava a Cutro. I Crotonesi più anziani se la ricordano ancora. Posta difronte al cinema Ariston, un po’ prima dell’attuale Parco delle Rose, continuava a produrre laterizi, e non aveva recinti delimitatori. Ci si poteva arrivare tramite un viottolo e vedere all’opera gli operai intenti a preparare con l’argilla mattoni e tegole, lasciarli asciugare al sole e poi infornarli.
Chiusa anche la fornace dei Ranieri, restava operativa quella di Proto in località Tufolo. All’inizio degli anni Novanta anche questa venne demolita per far posto ai palazzi costruiti dalle cooperative edilizie in base al piano di edilizia economica popolare (PEEP).
Pertanto, prima della fine del secondo millennio, le sagome delle ultime fornaci erano sparite dal panorama della città pitagorica.
Note
[i] Cfr. Luigi La Rocca, Arule e ceramiche a rilievo di produzione Crotoniate, in Kroton e il suo territorio tra VI e V secolo a.C. – Aggiornamenti e nuove ricerche, Atti del Convegno di Studi – Crotone 3-5 marzo 2000, a cura di Roberta Belli Pasqua e Roberto Spadea, Crotone 2005, pagg. 52-53
[ii] Salvatore Medaglia, Carta archeologica della provincia di Crotone : Paesaggi storici e insediamenti nella Calabria centro-orientale dalla Preistoria all’Altomedioevo, Università della Calabria 2010, pag.59.
[iii] Una foto dei resti della fornace è inclusa nel volume Continuità e discontinuità nella struttura della città: il caso della Banca Popolare Cooperativa di Agnese Racheli, in Caulonia tra Crotone e Locri – Tomo 1, Firenze University Press, 2010, Fig.17.44.
[iv][iv] Cfr. Roberto Spadea, La topografia, in Crotone – Atti del ventitreesimo convegno di studi sulla Magna Grecia – Taranto, 7-10 Ottobre 1983, Istituto per la storia e l’archeologia della Magna Grecia – Taranto 1984.
[v] Elena Lattanzi, Problemi archeologici – Dalla ricerca alla tutela, in Crotone – Atti del ventitreesimo convegno di studi sulla Magna Grecia, cit., pag. 103.
[vi] Salvatore Medaglia, Carta archeologica della provincia di Crotone, cit., pagg. 86-87.
[vii] Ninina Cuomo Di Caprio, Le fornaci di Capo Colonna, Klearchos : Bollettino dell’Associazione amici del Museo nazionale di Reggio Calabria 1972 (XIV – 53/56), pagg. 107-122.
[viii] Salvatore Medaglia, Carta archeologica della provincia di Crotone, cit., pag. 108.
[ix] Andrea Pesavento, Fortificazione della città e castello di Crotone negli ultimi anni aragonesi, sito web: https://www.archiviostoricocrotone.it/urbanistica-e-societa/fortificazione-della-citta-e-castello-di-crotone-negli-ultimi-anni-aragonesi/, URL consultato il 27/12/2022. La chiesa di S. Francesco era molto probabilmente, come si dirà, quella dei Frati Minori Conventuali lungo la strada che porta a Cutro.
[x] Henri Treziny , Crotone – Saggi sulla collina di Santa Lucia , in Crotone – Atti del ventitreesimo convegno di studi sulla Magna Grecia, cit., pag. 595.
[xi] Fra’ Giovanni Fiore da Cropani, Della Calabria illustrata – Opera varia istorica, Stamparia Roselli, Napoli 1743, Tomo II, Libro I, p.158, https://books.google.it/books?id=pZKSZue5PfUC&printsec=frontcover&vq=Cotrone&hl=it
[xii] Andrea Pesavento, Paesaggi crotonesi: Gli orti ed i pozzi fuori e vicino alle mura della città, sito web: https://www.archiviostoricocrotone.it/ambiente-e-paesaggio/paesaggi-crotonesi-gli-orti-ed-i-pozzi-fuori-e-vicino-alle-mura-della-citta/, URL consultato il 27/12/2022
[xiii] Andrea Pesavento, Partitari e mastri fabbricatori di Crotone del Seicento e del Settecento, sito web: https://www.archiviostoricocrotone.it/luomo-medievale-e-moderno/partitari-e-mastri-fabbricatori-di-crotone-del-seicento-e-del-settecento/, URL consultato il 15/2/2022
[xiv] Liber renatorum 1739-1793, parrocchia Santa Maria de Prothospataris, Archivio Arcivescovile di Crotone, cartella 9.
[xv] Gli atti pubblici citati, relativi alle fornaci crotonesi, si trovano depositati nell’Archivio Storico di Crotone
[xvi] La chiesa del convento era sotto il titolo di San Francesco d’Assisi, e pertanto dovrebbe essere quella, citata in occasione del rinforzamento del castello, che aveva vicino una calcara.
[xvii] cfr. Andrea Pesavento, I frati minori “conventuali” di Crotone con chiesa di S. Francesco d’Assisi, sito web: https://www.archiviostoricocrotone.it/chiese-e-castelli/i-frati-minori-conventuali-di-crotone-con-chiesa-di-s-francesco-dassisi/, URL consultato il 27/12/2022
[xviii] Archivio Storico del Comune di Crotone, Inventario patrimonio comunale, Inv. 760
[xix] Elena Tamagno, Fornaci : terre e pietre per l’ars aedificandi, Allemandi, Torino 1987
Creato il 17 Maggio 2025. Ultima modifica: 17 Maggio 2025.