Carceri e carcerati nella Crotone sei – settecentesca

Santa Severina (KR), i nomi dei reclusi graffiti sulle pareti del carcere del castello.
Tra i privilegi confermati al vescovo di Crotone Cruchetto dal re Alfonso D’Aragona il 25 febbraio 1445, essendo gli originali andati perduti durante l’assedio alla città a causa di un incendio, che aveva devastato la cattedrale ed il palazzo vescovile, vi era, che egli oltre alle cause riguardanti gli ecclesiastici, potesse solamente giudicare le cause tra i Cristiani e gli Ebrei e tra gli Ebrei: “etiam dignaremur de gratia speciali concedere ipsi Episcopo quod possit cognoscere diffinire et terminare causas omnes et singulas civiles dumtaxat que vertuntur inter christianos et Judeos ipsius Civitatis Cutroni et inter Judeos ipsos”.[i]

Firenze, visita ai carcerati, lunetta nell’Oratorio della Compagnia dei Buonomini di San Martino, sec. XIV (da storiadifirenze.org).
Il vescovo
Spettava alla curia vescovile giudicare le cause, che vedevano implicati gli ecclesiastici. La giurisdizione ecclesiastica di pertinenza vescovile fu col tempo delegata al vicario. La corte vescovile si riuniva nel palazzo vescovile, in presenza del vicario generale e di un notaio apostolico e, su istanza del promotore fiscale, chiedeva di prendere informazioni su fatti delittuosi, nei quali erano implicati i sacerdoti o i chierici, affinché i colpevoli fossero castigati severamente conforme ordinano le leggi ed i sacri canoni, così la giustizia avrebbe avuto il suo corso ed i delitti non sarebbero restati impuniti ed il tutto fosse di esempio.
Dopo aver interrogato la parte offesa e raccolta la querela criminale contro quanti erano incolpati del delitto, il vicario convocava ed interrogava i testimoni, poi incaricava il servitore della curia vescovile di affiggere alla porta della cattedrale l’ordine di citazione “ad deponendum” dei colpevoli, quindi lo stesso servitore bandiva più volte nella piazza pubblica l’ordine di comparizione, intimando, che se non fossero comparsi i chiamati, sarebbero stati dichiarati contumaci con pene in denaro e possibile scomunica.
Passato il termine assegnato dalla corte vescovile per la comparsa e dichiarati contumaci, il promotore fiscale chiedeva al vicario generale di applicare le pene previste nel mandato di contumacia per i denunciati. La curia vescovile per eseguire le sentenze utilizzava i diaconi. “Sono in Calabria alcuni uomini quali vivendo con le proprie mogli senza ricever ordine ecclesiastico si sommettono alla obbedienza di Prelati, et al servitio delle chiese, et questi sono servitori, o serventi della chiesa, et volgarmente li chiamano Jaconi selvaggi. L’officio loro è polir le chiese, sonar le campane, alzar li mantici dell’organi, andar per corrieri per servitio della chiesa, et della Corte per tutta la Diocese, intimar l’ordini, citare, carcerare, custodire le carceri, esseguir le pene, et esser ministri della giustizia ecclesiastica, et haver cura dell’osservanza delle feste, non solo per le Terre, ma per le campagne, et far altri simili bassi servitii, et questi dopo morta la prima pigliano più mogli per antico solito, et da tempo che non vi è memoria di huomo incontrario sono del foro ecclesiastico, et godeno la libertà, immunità, et privilegii clericali come persone ecclesiastiche”.[ii]

Crotone, la cattedrale.
Le carceri vescovili
Nella seconda metà del Cinquecento le carceri vescovili erano parte della sede vescovile. Il “palazzo” vescovile era costituito da un insieme di case contigue ed apriva al piano terreno undici botteghe affittate a sarti, fabbri e speziali. Comprendeva inoltre due magazzini usati per ponervi il grano, due “catoyi terrani”, uno situato sotto la cucina ed uno, che serviva per “cellaro grande” con dentro un “centimulo”, cioè un mulino a trazione animale per utilità del vescovo. Completavano la struttura due casette terranee usate dal vescovo come carcere civile e criminale e due cortili con pozzo.[iii]
La gestione delle carceri, costituite da bassi era sotto il potere e la vigilanza del vicario generale.[iv] I detenuti erano quasi sempre sacerdoti e chierici, i quali avevano commesso delitti sia contro i beni e le persone della chiesa, che contro i laici. Il potere giudiziario vescovile su tutti gli ecclesiastici della diocesi sarà ribadito da un editto della Sacra Congregazione dei Vescovi alla fine del Seicento. In una lite tra il vescovo di Crotone Marco Rama (1690-1709) ed il parroco di regia presentazione di Santa Maria de Prothospatariis, il napoletano Giovanni Millucci, con un editto datato 11 giugno 1695, la Congregazione dei Vescovi accoglieva le istanze del vescovo di Crotone, il quale poteva così affermare, che pur essendo la chiesa di Santa Maria de Prothospatariis di regia presentazione e che quindi spettava al re delle Spagne inviare cedole reali all’eletto, al quale poi erano rilasciate le bolle della curia vescovile di Crotone, tutto ciò non limitava i diritti ed il potere vescovile, sia per quanto riguardava le visite, sia nella indagine contro lo stesso parroco riguardante le cause civili, criminali e miste. “Itaquod licet talis ecclesia sit ad Regiam praesentationem, tamen non eximitur à juribus, et Potestate Episcopali tum in visitatione, tum in requisitione contra ipsum Parochum in causis civilibus, criminalibus et mixtis”.[v] Il parroco accusato di aver fatto rubare alcune stoffe dalla bottega di un sarto e di aver amministrato malamente i beni della parrocchia, nel 1691 si trovava condannato e rinchiuso nel carcere vescovile.[vi]
Anche se sui carcerati esercitavano lo stretto controllo il vescovo ed il vicario generale, a volte la scarcerazione di un detenuto avveniva per ordini superiori. Ciò era possibile previo il pagamento di una cauzione, come nel caso di alcuni canonici: Per lettere mandate al vicario generale dalla Sacra Congregazione degli Eminentissimi Cardinali sopra i negozi dei Vescovi, si ordina di scarcerare, a meno che non emergano nuovi indizi, i canonici Bombino, Barricellis e Petrolillo, i quali devono pagare di cauzione ducati 200 per ciascuno. Il 22 luglio 1622 Gio. Paolo decano e vicario generale della chiesa di Crotone provvede a liberare i carcerati.[vii]

Crotone, palazzo vescovile.
I carcerati
La carcerazione di laici e la loro prigionia nel carcere vescovile è spesso al centro di contrasti tra la giustizia laica e quella ecclesiastica. Il nove marzo 1710 il regio giudice ad contractus Domenico Asturi “Regio ad vitam”, il regio notaio Stefano Lipari e alcuni testimoni, si recano nella piazza pubblica, dove videro “Domenico di Franco di Bocchigliero incola cum domo et familia in questa sud.a Città, che con li ferri alli piedi, e legato con le mani dietro le spalle e con un’altra fune per mezzo la sua persona, e poi dato volta e legata alle grate di ferro delle carceri di questa R.ma Corte Vescovale, che stà situata nella sud.a piazza”.
Mentre erano in piazza arrivarono il governatore ed il giudice della città, i quali vedendo il carcerato Domemico di Franco, che è un “mero laico e vassallo del Re”, così maltrattato pubblicamente dalla corte vescovile, protestano con un atto pubblico notarile a difesa della “Real giurisdizione e difesa de’ vassalli di S. M.” Poi su richiesta del governatore e del giudice, il notaio ed il giudice ad contractus si recano dal vicario del vescovo, chiedendo la scarcerazione del prigioniero, ma il vicario rispose “che il Sig. Giudice si serva dell’atto publico fatto, che intorno alla richiesta escarceratione ci penserò io”.[viii]

Crotone, piazza Duomo.
La fuga
Essendo il carcere vescovile costruito con muri di creta e porta di legno era facile l’evasione, specie quando questa era favorita.Nella notte del 25 ottobre 1733, verso le ore quattro in cinque dell’orologio italiano, Pietro Errigo ed un altro sacerdote di Papanice, che erano rinchiusi nelle carceri vescovili, situate sotto il palazzo del vescovo Gaetano Costa, tentano la fuga. Con l’aiuto di qualche paesano, amico o parente, si tolsero dai piedi i ferri, approfittando del fatto, che essi erano stati lasciati larghi e poco ribattuti. Con gli stessi ferri, che li tenevano imprigionati, fecero un buco al muro, che separava le carceri dalle case dell’università ed dal “palazzo”, dove abitava il regio governatore Giuseppe Giannatasio. Sbucati in un basso del “palazzo”, da lì tentarono di continuare nella fuga e si misero a scassare la porta, che dal basso sporge sulla strada pubblica.
Essendo il palazzo del governatore di fronte alla porta principale della città, il tentativo non passò inosservato. Il rumore nella notte richiamò l’attenzione dei soldati tedeschi, posti a guardia dell’entrata della città. Accorsi sul luogo, bloccarono l’evasione, in attesa di sapere come comportarsi. Un soldato tedesco bussò alla porta del palazzo, dove dormiva il governatore. Il servitore del funzionario, Pietro Mercurio di Stilo, si svegliò e venne alla porta. Riconobbe il soldato, come una guardia della vicina porta maggiore e gli chiese cosa volesse. Il milite lo informò sulla fuga dei carcerati del vescovo e che essi si trovavano dentro il basso del palazzo e stavano scassando la porta, che sporgeva sulla strada ma ne erano stati impediti dal loro intervento e chiese di avere istruzioni dal governatore. Il servo corse a svegliare ed informare il padrone e questi gli rispose, che non voleva saperne niente e che a lui poco o nulla importava se fuggissero i carcerati del vescovo. Avuta la risposta i soldati invece di impedire la fuga, allora li aiutarono a liberarsi e fuggire. I due prigionieri, riacquistata la libertà, si rifugiarono nell’atrio della vicina chiesa di Santa Maria della Pietà e dentro il cimitero dell’ospedale. Qui, contando sull’immunità del luogo, stettero il resto della notte e buona parte del giorno seguente.[ix]

Crotone, in evidenza il luogo in cui era il palazzo del regio governatore, in un particolare della pianta catastale della città del 1874.
Contrasti tra curia vescovile e curia regia
Sono numerose le controversie tra il vescovo e le autorità cittadine sul diritto di carcerare, con lo scambio di accuse di sconfinare dalle rispettive giurisdizioni, soprattutto sul diritto di rifugio nei luoghi religiosi e sull’immunità, che vi si godeva e che spesso si tramutava in complicità ed in attentati alla sicurezza dello stato. Altro elemento di lite verteva sul diritto di tassare i chierici selvaggi.
Crotone, 8 giugno 1634. Davanti al sedile nella pubblica piazza. Il capitano Antonio de Noriega Y Salazar e lo UJD Vito Magnisio regio giudice, ufficiali regi della città di Crotone, affermano che: “le venuto a notitia uno editto fatto per lo Sig.r Vicario Capitulare di detta Città affisso in Valvis Ecc.ae con comm(unication)e de scomunica latae incurrenda ipso facto sotto pretesto che non si facesse exeg(utio)ne sulli beni di certi pretenti clerici selvaggi et che ogni volta succedesse di fare exegutione in detti beni essi ufficiali regii siano scomunicati di scomunica late sententiae sin come da detto editto affisso si legge et vede allo quale impugnatione tamquam iniusté et nulliter fatto con R.a dello quale se n’è presa copia, estante detto editto iniustè et nulliter fatto exabrupto contro la forma d’ogni legge come canonica come civile da quello ne appellano et dicono di nullità come ancora esser notorio iniusto se ne aggravano à Superiori à chi spetta”.[x]
Il 25 agosto 1674 da Napoli, Lelio Caracciolo Duca di San Vito, preside, “Governatore dell’Armi e Commissario Generale contro forasciti e delinquenti con la potestà estraordinaria ad modum belli per S. M. in questa Provincia”, invia un ordine al mag.co Costabile d’Amato regio governatore di Crotone, ordinando di far scarcerare i banditi Domenico e Giovanni Battista Castagna, Giovanni Domenico Caloiero di Borgia e Giuseppe Lamanna di Policastro.
Tali carcerati erano stati estratti con la forza, su ordine del governatore precedente Don Ferdinando Costilla, dalla chiesa di Santa Maria del Carmine, posta fuori le mura, dove avevano trovato rifugio. Il vescovo Geronimo Caraffa, conosciuto il fatto, aveva appeso alla porta della cattedrale i cedoloni e le censure di scomunica contro il governatore. Per togliere i cedoloni e la scomunica al precedente governatore, si ordina al castellano del castello di Crotone di consegnare Domenico e Gio. Battista Castagna, Gio. Domenico Caloiero di Borgia, Gioseppe la Manno di Policastro, che furono fatti carcerare nel castello dal precedente governatore, a questi furono aggiunti anche Gio. Paolo Coronea di Crotone, Domenico Sarda d’Usito, Stefana Calabria di S. Catarina e Gioseppe Sale di Mammola, sempre fatti carcerare nel castello dal precedente governatore. I carcerati saranno consegnati al vescovo, prima però, egli dovrà togliere i cedoloni di scomunica contro il governatore.[xi]
Tuttavia, la consegna dei carcerati al vescovo non avvenne “per alcuni incedenti occorsi”. Il 25 novembre 1674 il regio giudice di Crotone Don Errico Gugliemini, si recava nella chiesa dei cappuccini, situata fuori le mura della città. Qui si trovavano Domenico e Gio. Battista Castagna, Gio. Domenico Caloiro e Giuseppe La Manna, i quali erano riusciti a fuggire dalle carceri del castello e si erano rifugiati nella chiesa dei Cappuccini, dove tuttavia si trovavano “ferrati e guardati” dalle guardie. Ubbidendo all’ordine di un dispaccio arrivatogli il 27 ottobre, il giudice ordinò “che loro levasse le guardie e ferri et li lasciasse liberi” a disposizione del vescovo. I carcerati, lasciata la chiesa, sono presi in consegna dal reverendo Don Giulio Varano procuratore fiscale e dal reverendo Nicola Antonio Protentino mastro d’atti della Corte vescovile.[xii]
Le carceri vescovile rimarranno sotto il palazzo vescovile fino alla loro soppressione, avvenuta alla fine del Settecento. Alla fine del Seicento la mensa vescovile esigeva ancora “Sopra le due Camere della Casa dell’Università, che stanno sopra le Carceri Vescovali doc.ti Undici”.[xiii] Alla fine del Settecento al posto del carcere c’era una bottega.[xiv]
Le carceri della corte vescovile erano situate sulla piazza pubblica e confinavano muro mediante col basso delle case universali, o palazzo, dove abitava il regio governatore. La porta del basso dava sulla strada pubblica di fronte alla cappella di San Giovanni Battista, che si trovava a man sinistra nell’entrare la porta maggiore della città.

Crotone, il luogo in cui erano le carceri della corte vescovile.
Le carceri del castello
Durante il Viceregno Austriaco furono eseguiti alcuni lavori al castello. Dalla “Nota di ripari et acconci di fabrica nella casa del regio castello di questa città” compilata il 23 dicembre 1713, troviamo che, tra i lavori da farsi: “In primis nella Marchesana canne due e mezo di fabrica di ripezzo cosuto e scosuto, calce e mastria, 4 … Nelle carceri della cisterna niente … Nelle carceri della Campana oltre 3000 mattoni di taglio e 100 ceramidi per calce e maestria, 4 …”.[xv] Mentre in una successiva “Nota di quello doverà farsi nelli quartieri dentro del Regio castello” del 7 maggio 1714: “… Nelle carceri della cisterna un rastrello di farna senza chiudenda a tutta spesa 4 … Nelle carceri della campana quaranta fallacche per il suolo, due rastelli et una porta di farna a tutta spesa duc. 28”.[xvi] Oltre a queste due carceri ci sono da aggiungere le carceri nella torre Marchesana, nelle quali furono rinchiusi i forzati al tempo della costruzione del nuovo porto di Crotone.[xvii]
L’esistenza nel castello di queste tre carceri: una particolarmente umida e buia, situata nella cisterna, un’altra con pareti in mattoni, tetto con tegole e pavimento in legname, situata vicino alla porta del castello ed al quartiere dei soldati della Campana, ed infine quella nella torre Marchesana, daranno al castello le sembianze non di luogo di presidio, ma di triste luogo di detenzione e di prigionia. Ancora nel 1846 così l’ingegnere Salvatore Langone descrive le sue carceri: “La carcere denominata la torre Marchesana, a base circolare di diametro palmi 24 è capiente di n. 20 detenuti. L’altra carcere detta la Campana a base quadrata di lato pal. 25 può contenere 25 prigionieri. E finalmente la carcere per le donne detta la Serpe di base rettangolare di pal. 19 per 12 è capace di 6 persone. L’anzidette tre carceri sono nel castello di Cotrone ma in siti diversi e distanti tra loro”.[xviii]
Deteneva e gestiva le chiavi delle carceri il castellano, il quale quando si assentava o finiva il suo mandato, le consegnava al successore assieme alle altre chiavi del castello. Nel maggio 1733. Bonaventura Albano, procuratore del “coronello” D. Francesco Mayans, castellano del castello di Crotone, prende in consegna il castello da D. Giuseppe Antonio Sporoviti, capitano comandante dell’inclito regimento Patentarf, comandante delle truppe cesaree della piazza di Crotone e regio castellano ad interim del regio castello di Crotone. Congregati nel corpo di guardia maggiore del castello e squadronate le milizie della guarnigione, in presenza di D. Giuseppe Giannatasio, regio governatore della città, dei governanti, degli ufficiali militari, di molti patrizi e nobili e del regio giudice e di testimoni, sono consegnate tutte le chiavi del castello “così della Porta Maggiore, come della Porta Secreta di Soccorso, del Caracò, del Palazzo dove sole abitare il Sig.r Castellano, et ogni altro luogo e finalmente le chiavi della Cappella di S. Dionisio, dell’Archivio e delle Carceri et d’ogni altra cosa sistente in esso Regio Castello.”[xix]

Crotone, la torre Marchesana del castello.
Il potere del castellano
Il vicerè (Antonio Alvarez de Toledo duca de Alba) era obbligato a mandare a Cotrone il governatore e capitano a guerra della città di Reggio, Giovanni de Egues, con lettera del 30 novembre 1624, nella quale raccontava: “essendo andato per mio ordine l’alfiere Martino de Robleda a servir l’officio di tenente del castello di Cotrone, il castellano (Geronimo del Rio) non volle ubbidire all’ordine che quegli portava e lo arrestò, e due soldati, perché gli parlarono in prigione, pose in carcere finché stettero per morire e poi li cacciò dal castello e li privò dei loro posti; e l’alfiere lo pose in una stanza priva di tegole. Ed essendo andato D. Martino de Torreblanca e Rivera, governatore di detta città, mosso dalla pietà, a mostrare al castellano con una fede del medico che il detto alfiere Robledo era in gran pericolo e ad offrire la garanzia perché lo si potesse far curare in un ospedale, rispose che dal castello non avevan da uscire che gli spiriti. Il governatore, vedendo tanta crudeltà, andò a visitare l’alfiere infermo e a fargli dar da mangiare, ben sapendo che stava per morire; e il castellano dette ordine che, se tornava più il governatore al castello, lo prendessero e che non lo si lasciasse affatto vedere l’ammalato; cosicché venne a morire il detto alfiere senz’avere chi gli desse da mangiare; e di poi il castellano gli mandò a dire che fossero da lui, che già aveva raggiunto l’intento suo con l’avere estinto quell’uomo di quella sorta; e una notte, stando assai male, lo trasportarono nelle stanze del castellano e gli diedero tante bastonate che lo finirono d’ammazzare”.[xx]
Furono imprigionati nel castello i ribelli al Re e alla sicurezza dello stato. Tra questi spicca un gruppo di religiosi, che parteciparono ai moti di Cosenza del luglio 1647. Furono accusati di esser conniventi col popolo ribelle e di sedizione, i domenicani Ludovico Tedesco, Crisostomo da Cosenza e Domenico del Bianco,[xxi] il cappuccino Giovanni Petrosini, ed il minore osservante Francesco da Pietramala.[xxii]
Crotone, 18 dicembre 1718. Liberato Zane, marinaio del pinco genovese del patrone Michele Sirumbra, “carico di passi, marangi di Portogallo e limoni”, litiga con un altro marinaio ed il 15 dicembre espone querela al castellano D. Giovanni Ramirez y Arellano, dicendo che nel pinco c’era una persona francese chiamata “monseur Campo”, che portava “dispacci del Generale dell’Angioini per trasportarli in Venezia”. Ricevuta la querela, il castellano con l’aiuto del sindaco dei nobili e governatore pro interim, del tenente tedesco e dei soldati tedeschi acquartierati di guarnigione nel castello, subito procede a carcerare tutti i marinai nel castello, “ove al presente si ritrovano malamente carcerati”. È inoltre sequestrato il pinco.[xxiii]
Durante i moti repubblicani del 1799, nel marzo di quell’anno furono imprigionati nel castello dapprima il filoborbonico barone Francesco Antonio Farina e successivamente i repubblicani: il capitano Giuseppe Ducarne, il nobile Giuseppe Suriano, il barone Francescantonio Lucifero e Bartolo Villaroja. Questi ultimi saranno condannati a morte con decreto del 31 marzo 1799 ed il 3 aprile fucilati nel castello.[xxiv]

In evidenza: “q. Carceri dei paesani”, “3.” alloggio “del custode delle prigioni paesane”, “4. Cucina dei detenuti paesani”, “9. Torre Marchesana di un sol piano abitato da carcerati paesani”. Pianta del R.e Castello di Cotrone” (1859), Archivio di Stato di Napoli, Min. Guerra fs. 2395, inc. 3470, ff. 33-34.
I soldati della guarnigione del castello
Sempre nelle carceri del castello furono rinchiusi i soldati della guarnigione, che avevano commesso delitti o che avevano disubbidito agli ordini. Crotone, 26 settembre 1697, nel castello. Gabriele Lucifero aiutante del regio castello “solutus prius vinculis et catenis et in pristina libertate positus”, dichiara in presenza del notaio e degli ufficiali del castello che, alcuni mesi prima, passando di notte davanti alla porta della casa di Gio. Battista Gerace, ebbe una lite col Gerace. Entrambi si ferirono con coltellate. Il Gerace diede querela criminale contro Gabriele Lucifero nell’udienza del regio castello, per cui il Lucifero fu carcerato; mentre il Lucifero diede querela criminale contro il Gerace nella regia corte della città.[xxv]
I debitori ed i renitenti al fisco regio
Crotone, 30 ottobre 1629. Ottavio Ciza, sposato con Vittoria Paritaria, affitta nell’anno 1620/1621 il dazio della farina per annui ducati 2000 e dà per garanti Giuseppe e Pietro Francesco Viza. Trovandosi in perdita, devono intervenire i garanti per sanare il debito nei confronti del regio tesoriere della provincia. Poiché in seguito il Ciza riesce solo in parte a pagare il debito verso i Viza, è carcerato nel castello. Dopo più mesi di carcere del marito, la moglie si rivolge ad alcuni gentiluomini, affinché intercedano verso il creditore, ottenendo che, dando in affitto la casa ed un magazzino, il Viza “l’havesse excarcerato per non morirse in detto carcere”.[xxvi]
Crotone, 31 luglio 1674. I sindaci della città Fabrizio Suriano e Antonio Varano dichiarano, che essi non hanno inviato né una supplica né una relazione al Re o al Consiglio Collaterale, dove chiedevano l’intervento di alcuni soldati spagnoli, i quali dovevano arrestare alcuni lavoranti ed il massaro “che stavano fatigando nell’aria vicino la Chiesa della Nunciata di d.a Città et che li fossero sopragiunti Giacinto et Alessandro Suriano con altri delinquenti in loro comitiva et levatoli li carcerati havessero tirato molti colpi d’archibugiati”. I soldati spagnoli dovevano arrestare i lavoranti ed il massaro in quanto i loro padroni non avevano pagato i fiscali.[xxvii]
Luglio 1712. £per pagare li cavallari la ragione di ducati sei il mese, utensili al regio governatore, et altre spese occorrentino a questa università et un romasto debito alla Regia Corte”, il sindaco dei nobili Cesare Suriano incarica l’esattore Pelio Tirioli di tassare alcuni cittadini. Incarcerate più persone per costringerle, esse ricorrono, affermando di avere già pagato, così il governatore le scarcera. Nel frattempo, il sindaco si assenta dalla città e il carico di pagare le tasse rimane all’esattore, il quale, non avendo denaro per pagare i cavallari, è imprigionato per sei giorni nel castello per ordine del regio governatore e poi è perseguitato dal sostituto del regio tesoriere per i versamenti, che deve ancora fare alla regia corte.[xxviii]
Libonia Rucciulillo, moglie di Michele Fuscaldo, supplica “per le annate calamitose occorse ha dovuto detto suo marito contrarre molti debiti per alimentare la sua numerosa famiglia”, indebitatosi con il barone Ignazio Schipani, è incarcerato nel castello. Per pagare il debito e liberare il marito, chiede di vendere la casa dotale.[xxix]

Crotone, ricostruzione assonometrica della torre Marchesana del castello alla fine del sec. XIX, quando fu abbattuta in seguito ad alcuni crolli (disegno di Gregorio Crugliano).
I colpevoli di fatti di sangue
Crotone, 26 novembre 1722. Il nevaro Giuseppe Cristoforo dichiara che nella notte del passato 17 agosto, fu chiamato da Francesco Gargana, alias Piraino, e da Ignazio Tutino, i quali gli chiesero se avesse neve. Come si affacciò alla finestra per rispondere che non ne aveva, dai due richiedenti gli fu tirata una “scopettata dalla quale miracolosamente non fu offerso”. Esposta denuncia nella regia corte e fatto il processo, Ignazio Tutino già da quattro mesi si trova carcerato nel castello.[xxx]
I contrabbandieri
Crotone, 29 agosto 1704. Il nobile crotonese Geronimo Syllano, viceconsole della Francia, chiede l’intervento del regio governatore di Crotone Don Giuseppe Crippa, per carcerare Tomaso Polverino, sopracarico della tartana Sant’Anna del capitano francese Andreas Ciapus, accusandolo di contrabbando. Il governatore fa prendere il Polverino e lo porta prigioniero nelle case della regia corte. Nel frattempo, il Syllano si rivolge al castellano e ottiene dei soldati, i quali estraggono il Polverino dalle case della corte e lo portano nelle carceri del castello.[xxxi]
Fuga dalle prigioni del castello
Crotone, 13 novembre 1714. Il romito del Carmine Abramo Simeone di Felice della Terra di Bernicari, dichiara che, nel marzo 1714, Michele. Conaveli di Reggio si era rifugiato nella chiesa del Carmine, dopo essere fuggito dalle carceri del castello. Il Conaveli era stato incarcerato per aver rubato grano nei magazzini di Ciccio Suriano. Secondo il romito l’accusa era falsa, in quanto un creato del Suriano, spesso andava a trovare il rifugiato, riferendogli, che da parte del Suriano “non havesse paura di niente”.[xxxii]
Il cutrese Francesco Le Rose, carcerato nel castello “col sotterfuggio di fare il benefitio del corpo fu portato dalla guardia a luoghi comuni di detto castello da dove si precipitò”. Rifugiatosi nella chiesa eremitica di San Leonardo, fu da essa estratto con la forza da due soldati tedeschi e riportato nel castello. Subito interviene il vescovo Anselmo dela Pena con un pubblico monitorio contro il castellano D. Giovanne Ramirez Y Arellano, con l’ordine di riportarlo entro tre ore nel luogo sacro. Per il pericolo della scomunica il castellano lo fa riportare nella chiesa dagli stessi soldati, che lo avevano preso. Qui giunto il carcerato, interviene il sacerdote Vincenzo Foggia, canonico della corte vescovile, il quale presolo per mano, lo condusse via.[xxxiii]

“Profili del fabbricato del Carcere progettato, e del corrispondente bastione S. Giuseppe nella Piazza di Cotrone”. ASN, Ministero Guerra Fs. 2395 inc.3470 p. 32.
Le carceri della regia corte
Entrati nella città passando la porta, di fronte alla chiesa di San Giovanni Battista[xxxiv] vi erano le carceri della città e la casa della regia corte, dove abitavano il regio governatore pro tempore ed il regio giudice. Accanto la casa dell’università c’era l’abitazione del vescovo con il portone e le sue botteghe. Già alla metà del Cinquecento il vescovo Marcello Maiorana (1578-1580) aveva concesso a censo enfiteutico all’università le due botteghe, che erano nel cortile dell’episcopio, con patto di alzarle all’uguaglianza delle altre case della giustizia, o sia Corte, e di non farci finestre né lustrera, né per appresso per entro il sud.o cortile del vescovo e di pagare ogni 15 agosto alla Mensa Vescovile ducati 11.[xxxv]
Il carcere cittadino consisteva in una casa terranea, dove erano carcerati soprattutto i debitori, i malfattori e i ladri. La vicinanza alla porta della città, la poca sorveglianza e la fragilità dell’edificio, determinava spesso la fuga dei prigionieri, come evidenzia questo episodio: “Il 2 di questo mese (maggio 1623), “fra le quattro e le cinque ore di notte, sei uomini armati con armi da fuoco andando alle carceri di questa corte, sfondandone le porte a mano armata e portando via Antonello Storello, ch’era lì carcerato per essere stato trovato di notte con una pistola”.[xxxvi] Ancora alla fine del Settecento il Galanti affermava che: “Le carceri di Cotrone sono tanto pessime, che il governatore è costretto mandare i carcerati in quelle del castello, mentre il castellano ha ordine di non poterli ricevere”.[xxxvii]
Crotone, 28 luglio 1636. Isabella Vaccaro, moglie di Pietro Leone Manesi, dichiara, che le furono date in dote ducati 300, cioè ducati 200 in contanti e ducati 100 in tanti beni mobili. Considerato che a causa delle male annate, il marito si trova carcerato ad istanza dei creditori, essa intende vendere una continenza di vigne acquistate dopo il matrimonio e con il denaro liberare dal carcere il marito.[xxxviii]
Crotone, 26 novembre 1663. Lorenzo de Vennera ed il figlio Tommaso sono debitori di Carlo Messina, perché hanno acquistato del grano nel 1659 e nel 1661, obbligandosi a pagarlo. Non avendo rispettato gli obblighi stabiliti nei contratti, su denuncia del Messina Lorenzo De Vennera è carcerato nelle carceri della regia corte. “Havendo dimorato per il spatio di quaranta giorni et più per non poter complire ultimamente per non morirse in dette carceri”, il De Vennera cede al Messina la casa dotale della moglie Laura.[xxxix]
Crotone, 20 aprile 1664. In presenza del capitano Cristofero Serra, regio governatore della città di Crotone, Antonio Meranda di Petrafitta dichiara, che “l’anni passati retrovandosi vicino la torre di Nau in quardia di molti animali vaccini li fù tirato un colpo di scopettata da sopra detta torre da Tomaso Rinaldo, per causa di alcune differenze tra essi interposte, come disse apparere dall’informationi sopra ciò prese per la regia Corte di Cotrone e poiché per detta causa esso Thomaso hogge si retrova carcerato nelle regie carceri d’essa Corte”. Il Meranda perdona il Rinaldo.[xl]
Crotone, 23 marzo 1670. Supplica dei coniugi Gasparo Russo e Teresa Tesoriera e del figlio Fabrizio. Gasparo Russo da “più mesi sono e stato carcerato nelli carceri criminali di questa Regia Corte per debiti contrattosi in più anni per sustentar essa Giulia e Fabritio et altra figliola per la quale carceratione patiscano grandemente della fame, et si prestorno per l’escarceratione d’esso una somma di denari, et anco per guarirsi essa Giulia la quale più mesi sono se ritrova in un fundo di lecto con infermità incurabile, che vi bisogna grossa spesa, et si dubitano che per li debiti contratti in detta carceratione non torni carcerato et loro figlioli moressero della fame”. Per sanare i debiti, chiedono perciò il regio assenso, affinché possano vendere una torre disfatta dotale.[xli]
Crotone, 2 agosto 1690. Domenico Lantaro della città di Catanzaro abitante in Crotone in presenza del notaio Antonio Varano, sia come regio notaio quanto come notaio apostolico, dichiara, che i giorni passati andò per ordine dell’esattore dell’università insieme con il famiglio Mutio Cosentino, a carcerare un garzone, “seu vaccaro”, del chierico Bernardo Venturi per causa dei pagamenti fiscali. Dopo averlo preso, lo stava portando alle carceri ma quando fu vicino alla porta del carcere, giunse il Venturi e disse di lasciare il suo vaccaro, che avrebbe pensato lui a pagare. Non avendo voluto lasciarlo, il Venturi gli diede “quattro botte con la mano a ponta sulla testa dalla parte di dietro”. Per questo motivo su istanza del Lantaro, se ne prese informazione da parte della Rev.ma Corte vescovile, la quale intende carcerare il Venturi.[xlii]

“CROQUIS relativi al carcere distrettuale da erigersi sul bastione S. Giuseppe in Cotrone” ASN. Ministero Guerra Fs. 2395 inc.3470 pp. 30-31.
Note
[i] Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi al vescovo e all’università e uomini della città di Cotrone durante il sec. XV, Napoli 1923, p. 5.
[ii] SCC, Relatione dello stato della Chiesa Arcivescovale di Santa Severina. MDCIII.
[iii] ASN, Conto del m.co Giulio Cesaro De Leone deputato sopra le entrate del vescovato di Cutrone. 1570 et 1571, Dip. Som. 315/9, f. 45v.
[iv] “Lo Catoyo de sotto del palazzo versi lispeciale resta per carcere del R.do Vicario.” Esito del mag.co Julio Cesare de Leone exattore dele regie intrate del archiepiscopato de cotrone del anno p.e Ind.s 1572 et 1573. ASN, Dip. Som. 315/9, f. 4.
[v] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo et R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama A.D. 1699 Confectae, f. 12.
[vi] ASCZ, Not. Antonio Varano, Busta 336, anno 1692, f. 151; Busta 337, anno 1696, ff. 11-13, 79.
[vii] ASCZ, Not. Gio. Antonio Protentino, Busta 118, anno 1628, f. 91.
[viii] ASCZ, Not. Stefano Lipari, Busta 611, anno 1710, f. 24.
[ix] ASCZ, Not. Spagnolo S., Busta 764, anno 1733, ff. 28v-30.
[x] ASCZ, Not. Antonio Protentino, Busta 118, anno 1634, f. 34.
[xi] ASCZ, Not. Nicola Francesco Sacco, Busta 333, anno 1674, ff. 59-62.
[xii] ASCZ, Not. Nicola Francesco Sacco, Busta 333, anno 1674, ff. 83v-84.
[xiii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo et R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama A.D. 1699 Confectae, f. 70v.
[xiv] “Bottega VI su la facciata del Palazzo colla comunicazione alla bottega a parte dietro, che prima era carcere affittata, ad Alessio Fiodo”. AVC, Platea della Mensa Vescovile per l’anno 1780 e parte del 1781, f. 12.
[xv] ASCZ, Not. Stefano Lipari, Busta 611, anno 1714, f. 80.
[xvi] ASCZ, Not. Stefano Lipari, Busta 611, anno 1714, f. 100.
[xvii] “Spese fatte nella porta del calanozzo della torre marchesana per serrarvi li forzati venuti da capocolonna la sera del 2 7bre 1753”. ASN, Torri e Castelli, vol. 47, f. 352.
[xviii] AVC, Relazione sulle carceri.
[xix] ASCZ, Not. Pelio Tirioli, Busta 664, anno 1733, ff. 82v- 84.
[xx] Volpicella L., Epistolario del governatore di Calabria Ultra Lorenzo Cenani, In Arch.Stor.Cal.an. 1°, 1912 -13, in nota pp. 525-526.
[xxi] 31 ottobre 1655. Giovanni de Lubica, Signor di Guerra al Nunzio di Napoli “… fr. Ludovico Tedesco, fr. Crisostomo de Cosentia y fr. Dom.co del Blanco Domenicanos … en tiempo delas alteraciones passadas desta ciudad y Reyno falteron enteram.te alas obligaciones de vassallos fieles de su Mag.d en compania delos cavos Pueblos de Cosencia … fr.Ludovico Tedesco … han continuado en malas correspondencias con Reveldes de su Magestad y otras personas poco afectas a su servicio …”. ASV, Nun. Nap. Vol. 53, f. 447.
[xxii] 20 novembre 1655 (37697). Il Nunzio di Napoli al Card. Segretario di Stato. Nella prigione del castello di Cotrone sono da diverse settimane un Padre Cappuccino, Giovanni Petrosini, un Padre Minore Osservante, Francesco da Pietramala, senza che si riesca a saperne i motivi. ASV, Nunz. Nap. 53, f. 517. 25 dicembre 1655 (37721). Gian Giacomo Sillano, Commissario aplo di Cotrone, comunica al Nunzio di Napoli che al P. Francesco da Pietramala è stata comunicata la scarcerazione e l’ordine di recarsi a Roma. Cotrone 25 Xbre 1655. ASV, Nunz. Di Nap. 54, f. 46. 11gennaio 1656 (377738). Il Nunzio di Napoli al Card. Segretario di Stato. Il P. Francesco di Pietramala, Ministro Provinciale dei Minori Osservanti, non si è potuto incamminare secondo l’ordine da me datogli, per trovarsi infermo; è però fuori dal castello di Cotrone e libero dalle molestie dei Regii. Di Napoli XI gennaro 1656. ASV, Nunz. Nap. 54, f. 45.
[xxiii] ASCZ, Not. Pelio Tirioli, Busta 659, 1718, ff.157-158r. ASCZ, Not. Leonardo La Piccola, Busta 707, anno 1718, ff. 73v-75.
[xxiv] Lucifero A, Il 1799 nel Regno di Napoli, Cotrone 1910, pp. 216-217. Aprile 1799. “Ill.mus D.nus D. Joseph Suriano Sacris munitus in Regio Castro huius Civit. Crotonen obiit sub die tertia praephati mensis; et sepultus fuit in ecclesia S.ti Francisci de Assisio, et ad fidem”. “Ill.mus D.nus D. Franciscus Antonius Lucifero, vir D.a Xaveriae Silva, Regio Castro huius Civit. Crotonen obiit sub die tertia, et sepultus fuit in ecclesia S.ti Francisci de Assisio, et ad fidem”. “D. Bartolomeus Villaroja, vir D. Teresiae Lerose, Sacris munitus in Regio Castro huius Civit. Crotonen obiit sub die tertia praephati mensis; et sepultus fuit in ecclesia S.ti Francisci de Assisio, et ad fidem”. “Ill.mus D.nus D. Joseph Ducarne dux Se.tae Legionis Calabriae Sacris munitus in Regio Castro huius Civit. Crotonen obiit sub die tertia praephati mensis; et sepultus fuit in ecclesia S.ti Francisci de Assisio, et ad fidem”. AVC, Libro dei Morti.
[xxv] ASCZ, Not. Ignoto, Busta 470, anno 1697, ff. 63-65.
[xxvi] ASCZ, Not. Gio. Antonio Protentino, Busta 119, anno 1629, ff. 109v-110.
[xxvii] ASCZ, Not. Nicola Francesco Sacco, Busta 334, anno 1674, f. 52.
[xxviii] ASCZ, Not. Stefano Lipari, Busta 611, anno 1713, ff. 66-67.
[xxix] ASCZ, Not. Gerardo Demeo, Busta 1327, anno 1777, f. 46.
[xxx] ASCZ, Not. Pelio Tirioli, Busta 661, anno 1722, ff. 291-292.
[xxxi] ASCZ, Not. Annibale Varano, Busta 497, anno 1704, f. 48.
[xxxii] ASCZ, Not. Stefano Lipari, Busta 611, anno 1714, f. 194.
[xxxiii] ASCZ, Not. Pelio Tirioli, Busta 661, anno 1722, ff. 302-303.
[xxxiv] 22 maggio 1631. Se trovò morto nella cappella di S. Giovanni delli carcerati mano di ferro di messina (AVC, Libro dei morti). “Tertia demum satis parva ecclesia est sub titulo S. Joannis decollati antiquitus e conspectu publicarum carcerum, excitata p.q. nullus quidem habet redditus, sed tamen diebus dominicis, ac festis in ea commudum carceratorum celebratur missa ex elemosyna a piis fidelibus oblata”, Dalla Visita ad Limina del vescovo. Joseph Capocchiani del 18 aprile 1774, f. 353v.
[xxxv] AVC, Crotone 28 febbraio 1594.
[xxxvi] Volpicella L., Epistolario del governatore di calabria ultra Lorenzo Cenani, in nota p. 510.
[xxxvii] Galanti G. M., Giornale di viaggio in Calabria, Rubbettino, 2008, p. 57.
[xxxviii] ASCZ, Not. Protentino G. Antonio, Busta 119, anno 1636, f. 51.
[xxxix] ASCZ, Not. Pelio Tiriolo, Busta 253, anno 1663, ff. 37-40.
[xl] ASCZ, Not. Gio. Tomaso Salviati, Busta 312, anno 1664, ff. 3v-4.
[xli] ASCZ, Not. Pelio Tiriolo, Busta 253, anno 1670, ff. 20v-21.
[xlii] ASCZ, Not. Antonio Varano, Busta 336, anno 1690, ff. 82v-83.
Creato il 10 Settembre 2025. Ultima modifica: 10 Settembre 2025.
