Il monastero dell’Annunziata di Papanice

SS. Pietro e paolo papanice

Papanice (KR), chiesa dei SS. Pietro e Paolo (da www.comune.crotone.it).

Sul finire del Cinquecento al tempo del vescovo Giovanni Lopez de Aragona (1595–1598) a Papanice, diocesi di Crotone, vi erano due chiese matrici: quella “latina” dei SS. Pietro e Paolo e quella “greca” di San Nicola. Nella chiesa latina avevano sede due confraternite: del SS.mo Sacramento e dell’Annunciazione (1).

La chiesa dell’Annunciazione
In seguito i confrati dell’Annunciazione costruirono una loro cappella, lasciando la chiesa dei SS. Pietro e Paolo.
All’inizio del Seicento secondo una relazione del vescovo Thomas de Montibus (1599 – 1610) nella chiesa parrocchiale latina dei SS. Pietro e Paolo di Papanicefora era rimasta solo la confraternita del SS.mo Sacramento, oltre a molte cappellanie di laici con molti chierici. Nel paese vi erano inoltre una confraternita sotto il titolo della SS.ma Annunciazione, l’altra parrocchiale di San Nicola dei Greci, dove si officiava secondo il rito dei greci da un prete greco, e due altre cappelle di rito greco (2).
Essendo vescovo il De Montibus, nel 1607, fu eretto a Papanicefore un monastero dell’ordine di Sant’Agostino. La fondazione fu possibile perché, previo il consenso del vescovo e dell’università di Papanicefora, i confrati dell’Annunciazione donarono agli agostiniani la loro chiesa “con l’entrata e pesi di messe che haveva et senza altri patti” (3).
Fin dalla fondazione il monastero, distante dall’abitato circa cinquanta passi, fu abitato da pochissimi frati. Nel 1629 ve ne erano due il priore fra Anbrosio di Necastro e fra Geronimo di Cosenza. Essi compaiono in un atto notarile rogato a Crotone il 21 marzo di quell’anno. I due frati locali del monastero della SS. Annunziata dell’ordine di S. Agostino di Papanicefora avendo un pezzo di terra con alcune vigne, gravato di un censo di carlini 23 dovuti agli eredi di Tomaso Crasidonte, pervenuto al monastero per il legato di una messa alla settimana lasciato dal defunto Fronzo Rizuto, poiché il monastero “non può attendere a coltivare detta vigna e pagare detto censo”, decidono di venderla, previo assenso apostolico, al cutrese Gio. Battista Quercio per ducati quindici, in modo tale da non pagare più il censo ed utilizzare il denaro ottenuto dalla vendita per soddisfare la messa settimanale (4).
Pochi anni dopo il vescovo di Crotone Niceforo Melisseno Comneno così descriverà la situazione religiosa di Papanicefora, unico luogo della sua diocesi dove vivevano promiscuamente circa mille abitanti tra greci e latini. “Ci sono due chiese matrici arcipretali una dei SS. Pietro e Paolo nella quale per un arciprete rurale si esercita la cura degli antichi latini e l’altra di S. Nicola nella quale per un proprio parroco si amministra i sacramenti agli antichi greci. Nella arcipretale c’è la confraternita del SS.mo Sacramento e la cappella del SS.mo Rosario, che gode di privilegi e indulgenze apostoliche per concessione del maestro generale dell’ordine dei predicatori. Nella chiesa di San Nicola c’è la cappella e la confraternita di S. Maria di Monte Carmelo. Vi sono inoltre la chiesa della SS.ma Annunziata con il convento dei frati eremiti di Sant’Agostino e due altre chiese, o oratori, una dedicata al SS.mo Salvatore e l’altra a San Rocco. In queste ultime si celebra alla domenica e nei giorni festivi per devozione del popolo e con le elemosine di uomini pii, in quanto entrambe possono contare su piccolissime rendite (5).

Il monastero alla metà del Seicento
Il 19 marzo 1650 in esecuzione della Costituzione di Innocenzo X, emanata in Roma il 22 dicembre 1649, il priore Carlo Mauro di Nicastro ed i due frati Nicola da Nicastro e Giuseppe da Cosenza compilarono la relazione sul monastero agostiniano di Papanice, descrivendone la struttura della “fabrica” e lo stato economico.
Da essa risulta che la chiesa, intitolata alla SS. Annunziata, era completa mentre l’attiguo monastero, pur essendo tutto circondato da mura, aveva solo un braccio finito, quello detto del dormitorio. I rimanenti erano solo iniziati. La parte costruita, abitata dai frati, era composta da cinque camere al piano superiore, mentre nella parte sottostante v’erano il cellaro, la cucina, il refettorio, la dispensa ed un luogo per conservare la legna.
I frati del convento, che in passato erano quasi sempre due, a volte uno solo, nella relazione sono quattro, ai quali andavano aggiunti un serviente ed un garzone. Questo evidentemente nel tentativo di fuggire la soppressione. Secondo la relazione abitano nel monastero quattro sacerdoti, i frati Carlo Mauro da Nicastro, priore, Agostino Nasca di Crucoli, Francesco Romano d’Aprigliano e Nicola di Casole, vi è poi il converso serviente Domenico d’Arena ed il garzone Giovanni Sicilio.
La relazione dovendo tener conto della presenza di tutte queste persone nel monastero risulta quanto mai sbilanciata nella parte economica. Ai circa 75 scudi in entrata, media annuale calcolata sugli ultimi sei anni, corrisponde infatti un’uscita di oltre 200 scudi.
Fatta questa premessa e con i limiti esposti, risulta che la rendita maggiore è costituita dall’affitto di 13 case che contribuiscono per circa la metà del totale. Seguono la “cerca della Bertola”, cioè del pane (20%), l’affitto della vigna (13%) e l’esercizio del sacro (13%). Il resto viene dalle elemosine (4%).
Le uscite sono formate dal vitto (grano, vino, olio ecc.), che ne rappresenta quasi la metà. Circa un quarto se ne va per il vestiario ed il rimanente quarto è formato da numerose piccole spese, tra le quali emergono le collette, le medicine, il sussidio al capitolo ed alla congregazione, seguono gli acquisti di cera, olio, vasi da cucina, corde per le campane ecc.
Il monastero ha l’onere di celebrare numerose messe in suffragio. Esse sono “cinque per ogni giorno, due per settimana, due per mese e 122 per ogn’anno”. La maggior parte però non vengono celebrate sia per mancanza di sacerdoti nella congregazione, sia perché alcune case, che per legato dovrebbero fornire il denaro per poterle celebrare, a causa della decadenza di Papanice sono “dirute” e quindi senza rendita.
Per quanto riguarda i lavori di restauro e di completamento della fabrica del monastero, i compilatori fanno presente che è stato designato perciò un procuratore secolare. Ogni anno egli fa la cerca del grano e si interessa per avere qualche lascito. Avuto il denaro, lo spende subito per andare avanti nella costruzione.

Tra il Seicento ed il Settecento
Poiché la Costituzione innocenziana prevedeva la soppressione dei monasteri con meno di sei soggetti di provata vita o che non avevano le rendite sufficienti, il monastero dell’Annunziata fu soppresso nel 1652 ma poi riaperto. Tuttavia durante il vescovato di Geronimo Carafa (1664 – 1683) poiché non aveva il numero di religiosi previsto dalla Sacra Congregazione e dalle Bolle papali, andò soggetto alla visita ed alla giurisdizione del vescovo (6). Contribuirono alla sua esistenza soprattutto alcuni legati per celebrazione di messe in suffragio, anche se le sue rendite risentirono della decadenza che sulla fine del Seicento colpì l’abitato di Papanice. Come evidenzia il caso del legato di Gio. Francesco Sculco, il quale nel 1665, poco prima di morire, per testamento rogato in Napoli per mano del notaio Leonardo Antonio Casari, aveva lasciato al nipote Tomaso alcune case con botteghe, con l’obbligo per il nipote di versare con le loro rendite ogni anno ducati sette ai frati di Sant’Agostino di Papanice. Il denaro, che doveva servire per la celebrazione di una messa settimanale per l’anima del testatore Gio. Francesco Sculco, sarà versato per alcuni anni ai frati da Bernardo Sculco, zio e tutore di Tomaso. Poi le case con le botteghe non andarono in rovina ed il denaro non fu più versato (7). Il vescovo Marco Rama (1690 –1709), vescovo di Crotone ed appartenente allo stesso ordine agostiniano, sul finire del Seicento lo visitò e trovò che alcune cose dovevano essere corrette (8). Secondo il Vaccaro il monastero fu abbandonato dai frati nell’agosto del 1693, in quanto oltre ad essere malridotto aveva subito anche un incendio. Secondo questo autore gli abitanti di Papanice ripararono a loro spese il monastero, rendendolo in parte abitabile e poi rivolsero una supplica alla Curia Generalizia dell’ordine per il ritorno dei frati, che non fu accolta, anzi si decise la soppressione (9). Tutto questo è, almeno in parte, in contrasto con quanto riferisce il vescovo Rama nelle sue relazioni. In esse il convento agostiniano di Papanice è sempre citato come esistente e soggetto alla sua visita. Nell’ultima sua relazione datata Crotone 16 aprile 1709, scritta cioè poco prima che la morte lo cogliesse, il 4 agosto dello stesso anno, così egli si esprime: “Ci sono due luoghi nella mia diocesi. Il primo Papaniceforo ha due parrocchie, una sotto il titolo dei SS. Pietro e Paolo dei Latini, l’altra di S. Nicola Vescovo dei Greci. Un solo arciprete ha la cura di entrambe, in quanto le poche entrate non ne permettono un altro. Vi è anche un convento del mio Santo Padre Agostino. Poiché non vi dimora il numero di religiosi richiesto a causa delle poche rendite, esso è soggetto alla mia visita (10).
A Marco Rama seguì sul seggio vescovile di Crotone Michele Guardia (1715 –1718) e poi Anselmo La Pena (1719- 1723). E’ da situarsi in questi anni, cioè pochi anni dopo la morte di Marco Rama, la soppressione del monastero. Al tempo di Anselmo dela Pena esso non esisteva più, come traspare dalla sua relazione del 18 maggio 1722: “ Nel villaggio di Papaniceforo ci sono due parrocchie con le loro chiese dove si osserva il sacro eucaristico, non vi è alcun monastero, o convento, un arciprete ha la cura di tutte le anime, vi sono sacerdoti ma forestieri, per mancanza di preti del luogo.” (11).
I beni con i loro pesi, che appartenevano al convento, con la sua dismissione furono assegnati e ridotti in una cappellania. Di essa era rettore e cappellano alla metà del Settecento il sacerdote Domenico Elia, curato di Papanice (12).

Note

1. Rel. Lim. Crotonen., 1597.
2. Rel. Lim. Crotonen., 1603.
3. Arch. Gen. Agost., J, 1, ff. 185-186.
4. ANC. 118, 1629, 15 –16.
5. Rel. Lim. Crotonen. 1631.
6. Rel. Lim. Crotonen., 1667, 1675.
7. ANC. 860, 1759, 127.
8. Rel. Lim. Crotonen., 1693.
9. Vaccaro A., Kroton cit., I, 364 –365.
10. Rel. Lim. Crotonen., 1709.
11. Rel. Lim. Crotonen., 1722.
12. L’erede di Tomaso Sculco, il figlio Francesco Antonio, riedificò le case e le botteghe situate a Papanice, sulle quali gravava a suo tempo il censo dovuto al monastero. Per soddisfare la volontà del suo bisavo, poiché il monastero era stato dismesso ed i suoi beni con i pesi assegnati ad una cappellania, nel 1755 cede tre officine di fabbro alla cappellania in modo che sia soddisfatta la messa settimanale per l’anima del defunto bisavo Gio. Francesco, ANC.


Creato il 21 Febbraio 2015. Ultima modifica: 14 Maggio 2015.

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