Il palazzo dei Lucifero di Crotone marchesi di Apriglianello

Crotone, palazzo Lucifero.

La casata dei Lucifero

La casata dei Lochiferus è presente nel Crotonese già all’inizio della dominazione sveva.[i] A Crotone durante gli Aragonesi, i Lo Cifaro occupano importanti cariche civili ed ecclesiastiche. “Nobili primari discendenti dagli antichi patrizi della città”,[ii] nel 1481 con altre famiglie aristocratiche fondano il monastero di Santa Chiara.[iii] Nel 1485/1486 troviamo Peruczo, sindaco della città, con il fratello, il nobile Lamberto, il diacono Antonello e Gerolimo.[iv]

Durante la crisi che investe il Regno di Napoli, i Lucifero si segnalano per la fedeltà sia verso i sovrani aragonesi che gli Spagnoli. Il deciso impegno antifrancese sarà base della futura fortuna.

Bernardo Lucifero, zio di Perruccio e di Giovan Paolo Lucifero, con due galere serve Federico d’Aragona ed ha in dono il territorio, sequestrato ai ribelli, di Armerì. Bernardo, capitano della gente a piedi ed a cavallo di Crotone, fa anche prigioniero Giovanni Barracca, capitano dei Francesi in Calabria al comando di 200 uomini.[v]

Nella prima metà del Cinquecento dominano le massime cariche ecclesiastiche, detenendo continuamente l’arcidiaconato, che è la carica più importante dopo il vescovo, con Io. Matteo (1508), Bartolomeo (1525),[vi] Iacobo Antonio (1526), Camillo (1531)[vii] e Nicola (1542); il cantorato, terza dignità, con Io. Petro (1521), Antonio e Ottavio (1553) e molti altri benefici.[viii]

Essi assumono il vescovato, dapprima con Antonio (1508-1521) e poi con Io. Matteo (1524-1548), e si insediano in quello di Umbriatico con Io. Matteo, traslato poi a Crotone, e nel 1531 con Iacobo Antonio[ix] che morì nel 1547.

L’arcidiacono Antonio Lucifero per rinunzia di Andrea della Valle, nel marzo 1508 diventa vescovo.[x] Ricostruisce parte della cattedrale e dell’episcopio, utilizzando materiale proveniente dal tempio di Era Lacinia; costruisce la cappella con l’altare di patronato di famiglia, dove verrà seppellito nel 1521. A ricordo pose il suo stemma gentilizio.[xi]

Io. Matteo Lucifero, traslato a Crotone nel 1524 da Umbriatico, nipote di Antonio da parte di fratello, partecipò attivamente alla difesa della città e dei luoghi vicini, contro i Francesi durante l’invasione del 1528. Ottenne perciò molti privilegi per la città, la sua famiglia e la sua chiesa, e fece anche parte dei consiglieri di spada e cappa di Carlo V. Morì nel 1548.[xii]

Nel 1506 Nardo o Leonardo è sindaco,[xiii] e nel 1520 contribuisce alla fondazione del convento degli Osservanti. Un altro Lucifero, Perruzzo, assumerà il sindacato nel 1533.[xiv]

Crotone, localizzazione del palazzo Lucifero.

L’ascesa durante il Cinquecento

Il loro impegno per la causa imperiale, portò i Lucifero a prendere parte con la flotta dell’imperatore Carlo V alla spedizione contro Tunisi nel 1535, alla quale parteciparono Giovan Paolo e Perruccio Lucifero, armando a loro spese una tartana e distinguendosi nell’assedio alla Goletta. L’anno dopo per i servizi resi, Carlo V concedeva a Giovan Paolo ed a Perruccio ed ai loro eredi, alcuni privilegi, tra i quali l’esenzione dai pagamenti fiscali ordinari e straordinari, gabelle ed altre imposizioni, che avrebbero facilitato l’ascesa e la potenza dei Lucifero. I privilegi concessi erano: “1) Che fossero considerati in perpetuo familiari domestici del Re, e commensali del Regio Ospizio. 2) Che fosse loro concesso portare, per tutto il Regno, due servi armati a propria difesa. 3) Che godessero per tutto il Regno: dignità, onori, favori, esenzioni, prerogative, libertà, grazie, come agli ufficiali familiari domestici del Re. 4) Che nelle cause civili e criminali non dovessero essere molestati citati, arrestati, se non per disposizione del Gran Siniscalco del Regno. 5) Che fossero esenti da ogni pagamento fiscale.”[xv]

In virtù dei loro privilegi godranno della “franchezza” anche Pompeo e Marcello, figli ed eredi di Perruccio o Petruccio e Giulio Cesare e Lelio (seniore), figli ed eredi di Jo. Paulo.[xvi] Approfittano dei grandi lavori di fortificazione, fornendo materiale da costruzione e facendo lavorare i loro schiavi.[xvii]

Nella seconda metà del Cinquecento troviamo in parrocchia di S. Pietro, la casa del barone di Zinga e poi dei suoi eredi, in parrocchia di Sant’Angelo, la casa del m.co Perruccio Lucifero, poi del m.co Pompeo Lucifero, e la casa di Marco Cola Lucifero, mentre in parrocchia di S. Nicola de Cropi, la casa degli eredi di J. Lucifero e “la potiga delli m.ci Julio Cesare et Lelio Lucifero”,[xviii] fratelli e figli di Giovannella Pica e di Gio. Paulo.[xix]

La scalata alle cariche ecclesiastiche è spesso ottenuta con la violenza e la corruzione. Io. Petro Lucifero, senza avere i titoli necessari, indebitamente occupa il posto di parroco di S. Pietro, ed è scomunicato perché ha ottenuto corrompendo con denaro il cantorato.[xx] L’arcidiacono Camillo è rimosso perché è accusato di omicidio.[xxi] Il vescovo Matteo nel 1543, si oppone fieramente alla costruzione del convento dei francescani dentro le nuove mura, tanto che Paolo III deve intervenire con la minaccia di scomunica e di censure ecclesiastiche.[xxii]

Imparentati con altre famiglie aristocratiche, i Lucifero allargano i loro interessi e le loro alleanze anche fuori città. Nicola Lucifera sposa Lucantonio Morano, barone di Cotronei, nel 1536 rimane vedova, mentre nel feudo subentra il figlio Giovanni Francesco;[xxiii] Lucretia sposa Alfonso Barracco dei baroni di Lattarico.[xxiv] Imparentati con i Ricca, baroni di Isola, dapprima con Lidonia,[xxv] e poi con Hippolita, moglie di Gaspare, barone di isola dal 1586 al 1599, e madre di Antonio, successo al padre nella baronia.[xxvi]

L’arme dei Lucifero sormonta l’ingresso del loro palazzo di Crotone: “D’azzurro alla fascia d’oro accompagnata nel capo da due stelle dello stesso in una punta da una crescente montante d’argento.” (Nola Molise G. B., Cronica …, 1649).

I Lucifero feudatari di Belvedere, Montespinello, Zinga e Rocca di Neto

I Lucifero sono fra le famiglie patrizie più facoltose ed antiche del nobilissimo sedile di San Dionisio e possessori dei feudi di Belvedere, Monte Spinello, Zinga e Rocca di Neto. Marcantonio Lucifero comprò il feudo di Belvedere Malapezza con regio assenso del 1533, dal conte di Santa Severina Galeotto Caraffa.[xxvii]

Alla sua morte, avvenuta nel 1549, gli successe nel feudo il figlio Mario;[xxviii] un altro figlio di Marcantonio, Prospero, sposò la baronessa di Zinga Faustina Pipino.[xxix] Mario, barone di Belvedere Malapezza, e Prospero, barone di Zinga, furono al seguito del duca d’Alba, luogotenente e capitano generale del regno (1556-1558), ed ebbero perciò confermati nel 1558, i privilegi già concessi da Carlo V.[xxx]

Mario, barone di Belvedere, sposò Portia Piterà,[xxxi] figlia di Giulia Campitella e sorella carnale di Antonio e Bartolo Piterà di Catanzaro, che gli portò in dote 4000 ducati.[xxxii] Gli successe il figlio Marcantonio che si unì con Cornelia D’Aquino dei baroni di Castiglione. Approfittando delle difficoltà finanziarie di Scipione Spinelli, principe di Cariati, acquista nel 1570 Monte Spinello e Rocca di Neto, ma indebitato,[xxxiii] nel 1578 vende Rocca di Neto a Giraldino d’Amelia.[xxxiv]

Marcantonio muore nel dicembre 1585. Lascia tre figli maschi, Horatio, Mario e Gio. Battista, che per la tenera età sono sotto la tutela della madre. Due anni dopo il primogenito Horatio, divenuto emancipato, è barone di Belvedere e Monte Spinello; nel frattempo era morto il fratello Gio. Battista[xxxv] e lo seguì, dopo non molto, anche Mario.

Horatio, barone di Belvedere e Montespinello, morì al finir del secolo. Prima della sua morte aveva venduto il feudo di Montespinello a Mario Pisciotta. Essendo morti sia il figlio Cesare che i fratelli Gio. Battista e Mario, la sorella Laura pagò i relevi di Belvedere e Malapezza,[xxxvi] che nel 1603 passarono a Marcantonio Barbaro.[xxxvii] Si estingueva così il ramo dei baroni di Belvedere Malapezza.

Sempre in questi ultimi anni del Cinquecento un altro Lucifero, il cantore Antonio, è procuratore del capitolo dopo la morte del vescovo Minturno (1570-1571),[xxxviii] Marcello è sindaco nel 1573[xxxix] e Ottavio l’anno dopo.

Sul potere e la prepotenza dei Lucifero gettano luce alcune suppliche al vicerè. Nel 1574 alcuni Crotonesi fecero presente che: “essendo maneggiate le intrate della città dalli mag.ci Luciferi et altri citatini loro parenti ed adherenti, fo supplicato per commissario che dovesse vedere li conti” e che, “essendo stati i colpevoli condannati a pagare cinquemila ducati e avendo anche ottenuto una dilazione quinquennale per il pagamento, essi riluttano egualmente a pagare”. Nello stesso anno il sindaco dichiarava che: “volendosi fare l’elettione delli nuovi officiali, Lelio Lucifero, non contento di essere andato di notte et de di astringendo per timore et minacce mediante sua potentia et l’opera di suoi adherenti li poveri cittadini a farli donare il voto a suo disegno, ha anche sfidato a duello il sindaco”.[xl]

Un altro Lucifero, Ottavio, è barone di Massanova.[xli] Egli fa fortuna subappaltando i lavori di fortificazione della città e sfruttando i mastri ed i manipoli, i quali per le inadempienze del barone bloccano i lavori, in quanto “se moreno de fame”, perché il barone rifiuta di pagarli.[xlii]

L’altissima mortalità di fine Cinquecento e dei primi anni del Seicento spopola la città; si estinguono molti rami della casata dei Lucifero, come anche di altre famiglie. Joannes Francesco Lucifero sposò Anastasia de Ariba Martino, e morendo istituì come erede Jo.es Lucifero, suo figlio legittimo, e Jo.es Petro Lucifero Juniore, suo nipote postumo, figlio del fu suo fratello Jo.es Petro Lucifero seniore; poiché questi eredi istituiti morirono senza figli, succedettero nell’eredità le figlie di Jo. Francesco: Marianna, Livia e Dianora.[xliii]

Lelio seniore, figlio di Giovannella Pica e di Gio. Paulo seniore, sposato con Hippolita Pipino, proprietario e costruttore della torre di Fasana, morì a Napoli nel giugno 1586 senza lasciare figli. Subentrò nell’eredità il fratello Jo. Paulo, ma essendo morto anche costui, ereditò suo figlio Lelio juniore. Per la minore età, il tutto passò sotto tutela della madre Isabella Leone, moglie del fu Gio. Paulo.[xliv]

Crotone, palazzo Lucifero.

Dalle case al palazzo

Estintosi il ramo dei Lucifero baroni di Montespinello, rimaneva quello dei baroni di Zinga. La baronia di Zinga passò da Prospero a Fabrizio e da questo ad Horatio. Horatio Lucifero, barone di Zinga, abitava in parrocchia del SS. Salvatore. Sposò dapprima Beatrice Piterà, che morì di parto nel settembre 1616, dando alla luce il figlio Jo.es Fabritius. Dopo aver venduto il feudo nel 1618 a Giacomo d’Aquino, Horatio si risposò con Livia Suriano, ma rimasto nuovamente vedovo, si unì con Maddalena della Motta Vigliecas, figlia del castellano Antonio e di Eleonore Leone, figlia del capitano Fulvio Antonio. Dalla loro unione nacquero Giuseppe (battezzato il 16 ottobre 1636)[xlv] e Lucretia (battezzata il 19.1.1638).

Oratio, barone di Zinga, morì il 22 febbraio 1638 e fu sepolto in cattedrale,[xlvi] la moglie Maddalena lo seguì il 18 aprile 1646. Giuseppe Lucifero, abitante in parrocchia del SS. Salvatore, presso il confine con quella dei SS. Pietro e Paolo, fu più volte sindaco dei nobili (1679, 1685), luogotenente del Regio Secreto e mastro portolano della provincia di Calabria Ultra nella città di Crotone. Nel 1670 cominciò a trasformare le sue case in palazzo. Per far ciò egli comprò in quell’anno per ducati quaranta, la vicina casa dai coniugi Giovanni Maria Lombardo e Vittoria Limari, che confinava con la casa dell’eredi di Dianora Lumbardo (poi del convento di S. Francesco d’Assisi),[xlvii] e fece scavare profonde fondazioni per innalzare il nuovo edificio.

Di tale fatto e di come convinse i proprietari vicini a cedere i suoli e le case vicine, ne dà una chiara testimonianza un atto notarile, rogato il 31 maggio 1670 dal notaio Peleo Tiriolo. Il notaio su richiesta del soldato spagnolo del regio castello Antonio Granello e della moglie Minichella d’Aponte, e dei coniugi Alonso Sances e Basta Granata, i quali possedevano una casa “in comune ed indivisa”, confinante con le case del Lucifero, e con quella degli eredi di Horatio Gulli, si recò davanti al cortile del Lucifero.

Crotone, palazzo Lucifero.

Qui i coniugi dichiararono, in presenza di molti vicini e testimoni, che, come era evidente e visibile, il nobile aveva “fatto cavare sotto li pedamenti d’essa in grandissimo loro danno preiuditio et pericolo evidente d’essa di cascare, per causa della quale appare minacciar ruina, et essi constituti sono stati forzati sfrattare d’essa et lasciarla vacua”. Essi protestavano contro il Lucifero, per i danni che avevano dovuto sopportare, in quanto il nobile l’avea “fatto spedar delli pedamenti molti palmi sotto per suoi particolari disegni et per farla cascare”.[xlviii]

Non passa molto tempo che i coniugi Granello e la vedova Basta Granato, saranno costretti a cedere la “casa palatiata in uno appartamento”, che era separata da una vinella dal palazzo in costruzione. Infatti, essendo ormai abbandonata, “conoscendo il pericolo che stante se ritrova così diruta senza trava e ciaramide et non hanno di poterla accomodare”, gliela venderanno tre anni dopo per ducati sessanta.[xlix]

Giuseppe si sposò con Livia Suriano. Continuò a vivere con i figli nel suo palazzo, nei cui magazzini accumulava il grano, che incettava e poi vendeva a Napoli. Per tale motivo subì anche un furto con aggressione. Nel 1685 “i latri s’animarono con scala entrare nel palazzo del m.co Giuseppe Lucifero nostro gentilhuomo et li rubbarono grani con pericolo d’assassinarlo”.[l]

Tra i vari figli va ricordato Fabritio, nato il 24 febbraio 1662, che diverrà l’erede e sposerà dapprima Theresa Barricellis, figlia del fu Diego e di Petrucza Sculco, e poi Hippolita Suriano. Fabritio continuò ad abitare nelle case paterne, costituite alla fine del Seicento, da un palazzo con cortile posto in parrocchia del SS. Salvatore, confinante, via mediante, le case o palazzo di Valerio Antonio Montalcini, e accanto alle case che dai Gulli erano passate ai De Vite.[li] Fabritio alla fine del secolo diverrà barone di Apriglianello, e nel 1703 otterrà da Filippo V il titolo di marchese. L’anno dopo i coniugi Fabrizio Lucifero e Teresa Barricellis ottengono dal Papa Clemente XI, l’indulto per la costruzione di un oratorio privato nel loro palazzo.[lii]

Crotone, palazzo Lucifero.

L’allargamento in parrocchia di S. Pietro

Nel 1705 il marchese riprende ad allargare la sua proprietà immobiliare nel confinante territorio della parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, comprando due casette vicine al suo palazzo. Le due casette, attaccate l’una all’altra, erano composte da due membri superiori e due inferiori. Situate in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, esse confinavano con le case che erano appartenute ai Labrutis, e ora erano del reverendo Marcantonio Benincasa, separate da uno stretto dalle vicine case di Francesco Torromino, già dei Castelliti e, via mediante, dalle case di Domenico Capocchiano. La proprietaria Maria Sacco, vedova di Mutio Mancuso, essendo indebitata per i molti censi arretrati, la vende al marchese per ducati 140.[liii]

È sempre di questi anni una lunga lite con Gaetano e Domenico Capocchiano, proprietari del vicino palazzo, i quali stavano costruendo una camera nuova, sopra un magazzino contiguo al palazzo del marchese ed a quello dei Montalcini. Fabrizio Lucifero, anche a nome di Valerio Montalcini, portò la protesta in regia corte, in quanto la nuova costruzione gli “levava l’aria e il prospetto de’ monti e del mare”. Egli, perciò, aveva già costretto i muratori ad interrompere la loro opera, ma volle costringere i Capocchiani a riportare l’edificio nel modo in cui si trovava in precedenza o, comunque, a ristrutturare la loro costruzione, in modo da non creare fastidi al suo palazzo ed a quello dei Montalcini.[liv]

Passano gli anni e nel 1727 il Lucifero riesce ad impossessarsi anche della confinante casa, che dagli eredi di Dianora Lumbardo era passata in proprietà del convento di S. Francesco d’Assisi. Situata anch’essa in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, era attaccata all’abitazione di Santa Giglio e al muro del vaglio del marchese, e fu ceduta dai francescani a Nicola Cristiano per un censo annuo di carlini 30 su un capitale di ducati 90, con l’impegno per il possessore di migliorarla. Prendendo a pretesto che essa era attaccata al suo vaglio, il marchese, fece valere il “Jus congruo”, e si rivolse di nuovo alla regia corte della città, facendosela assegnare per lo stesso valore.[lv]

Crotone, il palazzo Lucifero su via Giuseppe Ducarne.

Nel febbraio 1731, pochi mesi prima di morire, aveva comprato per ducati 80 dal mastro Giuseppe Schipano, erede di Marcantonio Benincasa, erede a sua volta di Domenico de Labrutis, due casaleni “con li soli mura alti, non coperti”, attaccati alla casa del mastro, ad una casetta di proprietà del marchese, e confinanti strada pubblica mediante, col palazzo del marchese e col palazzo dei Montalcini. La vendita venne effettuata con la condizione che il compratore potesse costruire sopra i muri dei casaleni, appoggiandosi al muro del giardinello del mastro, nel caso che il nobile volesse alzare. Il muro sarebbe rimasto comune alle due parti, rimaneva tuttavia proibito al Marchese ed ai suoi heredi, di poter aprir finestra in detti casaleni dalla parte del giardinello del mastro.[lvi]

Morì il 16 dicembre 1731, lasciando il suo palazzo composto di più quarti e con cappella, che si estendeva in un’ampia area e confinava, “strada mediante col palazzo del Sign. Gregorio Montalcini, attaccato alla casa de’ signori De Vite, strada pubblica col giardinello murato di m.ro Giuseppe Schipano”.[lvii]

Il palazzo passò in eredità dal marchese di Apriglianello Fabrizio Lucifero al figlio Francesco che vi abitò con la moglie Elisabetta De Mayda. Verso la metà del Settecento il palazzo fu ingrandito. Per far ciò, nel 1745 il marchese acquistò anche la vicina casa palaziata dei De Vite. Morto infatti il sacerdote Gio. Cesare de Vite, gli eredi Francesco Antonio Zurlo e Nicola Maria de Vite, venderono a Francesco Lucifero una casa palaziata sita in parrocchia del SS.mo Salvatore, consistente in tre camere superiori con tre bassi di sotto, “uno per uso di magazeno, altro per cellaro e l’altro per catojo”.

La casa era attaccata con una delle camere e suo basso al palazzo del Lucifero, avendo un muro comune. Le altre due camere superiori con i loro rispettivi bassi, confinavano invece da una parte al palazzo del signor Gregorio Montalcini, e alla casa dotale di Saverio Carbone, strada pubblica mediante, dall’altra parte alla casa abitazione di uno dei venditori, cioè Nicola Maria de Vite. La casa palaziata, eccettuati però il vignano e la scala di cantoni che erano in comune con l’abitazione del De Vite, che perciò mantenne la proprietà, fu ceduta al marchese “una colle gelosie e paramenti di tavole nelle finestre”, per il prezzo di ducati 410 di carlini d’argento.[lviii]

La costruzione sarà completata dal figlio di Francesco, il marchese di Apriglianello Giuseppe, sposato con Girolama Sculco, che comprò da Giuseppe Zurlo le rimanenti case appartenute ai De Vite, “case che sono aggregate al suo palazzo di abitazione e servono per uso proprio”,[lix] e la vicina e confinante casa palaziata di Margherita Modio, vedova di Nicolò Milelli ed erede della sorella Teresa e della madre Berenice Albano. La Modio venderà al marchese una casa palaziata consistente in due sole camere superiori e due bassi o catoj, sita in parrocchia del SS. Pietro e Paolo, e confinante da una parte, con il palazzo del Lucifero, per il prezzo di ducati 369 e grana settanta con alcune condizioni.[lx]

Allora il palazzo dei Lucifero aveva già assorbito le numerose case vicine, ed altre ne assorbirà, come quelle dei Giglio e dei Papasodaro,[lxi] assieme ai suoli pubblici degli stretti e delle vie, che da esse lo separavano. Alla fine del Settecento il palazzo confinava ancora dalla parte della parrocchia del SS. Salvatore, strada intermedia, con il palazzo di Gregorio Montalcini,[lxii] ma le proprietà dei Lucifero si erano estese, e di molto, verso la parrocchia dei SS. Apostoli Pietro e Paolo.

Crotone, palazzo Lucifero.

Note

[i] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, p. 275 sgg.; Trinchera F., Syllabus graecarum membranarum, 1865, p. 376.

[ii] L’aristocrazia crotonese si dichiarava discendente dagli antichi invasori Achei ed attuava un netto distacco, sia verso il popolo, ritenendolo di origine bruzio, col quale evitava qualsiasi “mescolanza e contaminazione”, sia verso i nobili forestieri residenti in città. Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, pp.191-193.

[iii] Nel 1517 Francisco Lochifaro assieme a Bernardino Prothospatario, convalidano una dichiarazione di Hieronymo Pinlo, procuratore del monastero. ASN, Fs. 532/10, f. 18. La presenza dei Lucifero nel monastero sarà continua. Nel Seicento troviamo le clarisse: Adriana (1619-1632), Beatrix (1583-1610), Isabella (1619), Laura (1602-1632), Lucretia (1602-1655), Victoria (1602-1623), Victoria (1666- 1677). Pesavento A., Elenco delle clarisse del monastero di S.ta Chiara di Crotone, www.archiviostoricocrotone.it

[iv] ASN, Dip. Som. I serie, 1/196.

[v] Valente G., Dal Viceregno spagnolo all’Unità d’Italia, in Crotone, Rubbettino Ed. 1992, p. 251.

[vi] L’arciprete Gregorio Cosentino provvede alla prebenda di Santa Maria dela Bricha, al canonicato di S. Andrea e alla chiesa di S. Antonio, fuori le mura presso la Conicella, rimasti vacanti per morte di Bartolomeo Lucifero, avvenuta nell’ottobre 1544. Reg. Lat. 1774, f. 240.

[vii] L’arcidiacono Camillo Lucifero scrisse in latino un manoscritto sulla storia della città nel 1523, dedicandola poi al vescovo Matteo Lucifero. Il manoscritto utilizzato dal Nola Molise andò poi perduto. Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, pp. 52, 54.

[viii] Il 22.5.1515 il Papa conferma a Cifaro de Lucifero il iuspatronato della cappellania di S. Jacobo in cattedrale. Russo F., Regesto, III, 15669.

[ix] ASN, Dip. Som. 1/3-196. Russo F., Regesto, III, 15183 e sgg. Ughelli F., Italia Sacra, IX, 529. Il vescovo G. Lucifero è ricordato per la lite con il feudatario di Cirò, Pietro Antonio Abenante, e per avere sollecitato l’invio di un delegato dell’inquisizione, che determinò l’arresto del feudatario ed il sequestro del feudo. Pugliese G. F., Descrizione ed Historica Narrazione di Cirò, I, pp.178-179.

[x] Russo F., Regesto, III, 15669.

[xi] “Pars illa cathedrali contigua, tempore Antonii Luciferi, predecessoris mei, abhinc quasi ducentis annis constructa, ut gentilium scutum denotabat.” ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1730. Ughelli F., Italia Sacra, IX, 387.

[xii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, III, p. 105. Ughelli F., Italia Sacra, IX, 387.

[xiii] Ferdinando Cattolico nel 1506 confermò i privilegi della città essendo andati per sindaci e ambasciatori Gio. Antonio Pipino, barone di Cinga, Nardo Lucifero e Bartolomeo Tibaldo. Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, p. 197.

[xiv] Vaccaro A., Kroton, I, p. 490. Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 403.

[xv] Vaccaro A., Kroton, I, p. 377. Valente, G., Calabria, Calabresi e Turcheschi nei secoli della pirateria (1480-1800), Chiaravalle Centrale, Frama 1973, pp. 114-115.

[xvi] ASN, Tesoriere Turino Ravaschieri (a. 1564-1565), Conto di sua Amministrazione, Vol. 4087.

[xvii] Fra gli schiavi che lavorano alla fortificazione negli anni 1541 e 1542, ricordiamo: “Perico Nigro de Perruccio Lucifero”, “Franco lo Turcho”, e “Cifaro Moro seu yuzo de Nardo Locifaro”. ASN, Dip. Som. Fs. 196, n.4 a 6.

[xviii] ASN, Dip. Som. 315, n. 6, 9-14.

[xix] ASCZ, Busta 49, anno 1594, f. 150.

[xx] Russo F. Regesto, III, 16309, 16366.

[xxi] Russo F., Regesto, IV, 17992.

[xxii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 400.

[xxiii] ASN, Ref. Quint. 297, ff. 78-122. ASCZ, Busta 15, anno 1578, f. 357.

[xxiv] Pellicano Castagna M., Processi di cavalieri gerosolomitani calabresi, Frama Sud, 1978, p. 27.

[xxv] “Adi II di Febraro 1578 lo ecc.te don Gasparro Ricca ha contratto matrimonio con la ecc.te S.ra Lidonia Lucifera nella chiesia de Santo Martino, matre chiesia della Rocca di Neto et presenti per testimonii lo mag.co Melchiore Pignanello …”. Libro dei Matrimoni, Rocca di Neto.

[xxvi] Valente G., Isola di Capo Rizzuto, Frama Sud 1982, pp. 217-219.

[xxvii] Pellicano Castagna M., La storia dei feudi della Calabria, Vol. I, p. 208.

[xxviii] Nel 1536 Giov. Oratio Pipino è feudatario di Zinga. Mazzoleni J., Fonti per la Storia della Calabria nel Viceregno (1503-1734), p. 197. Vaccaro A., Kroton, I, p. 413.

[xxix] “XXI marzo 1551. Taxa de le entrate de belvedere et malapecza del m.co mario delo Cifero dela cita de Cutrone.” ASN, Relevi Vol. 377, ff. 290-291.

[xxx] Valente, G., Calabria, Calabresi e Turcheschi nei secoli della pirateria (1480-1800), Chiaravalle Centrale, Frama 1973, pp. 114-115.

[xxxi] “Adi II 7bre 1576. Portia Piterà, baronessa di bellovidere tiene a battesimo Gio. Bartulo, figlio di Desiderio Pignanello a Rocca di Neto.” Libro dei Battesimi, Rocca di Neto.

[xxxii] ASN, Relevi Vol. 352, inc. 4, ff. 62-124; 136-138.

[xxxiii] Marcantonio Lucifero era indebitato col principe di Cariati, con Fabritio Lucifero e con Gasparro Ricca. ASN, Relevi Vol. 352, inc. 4, ff. 62-124; 136-138.

[xxxiv] Maone P., Notizie storiche su Belvedere Spinello, Roma 1962, p. 26. Gallo Cristiani A., Piccola cronistoria di Rocca di Neto, Roma 1929, pp. 46-47.

[xxxv] ASN, Relevi Vol. 352, inc. 4, ff. 62-124; 136-138.

[xxxvi] Maone P., Notizie storiche su Belvedere Spinello, Roma 1962, p. 26.

[xxxvii] ASN, Relevi vol. 377, ff. 290-291.

[xxxviii] Antono morì il 19.9.1571. AVC, Libro de morti, Cotrone.

[xxxix] ASN, Dip. Som. 315/10.

[xl] Galasso G., Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Napoli 1975, pp. 300-301.

[xli] Ottavio Lucifero risulta barone di Massanova già nel 1574. Morto prima del 1594, ereditò il figlio Jo. Paulo. ASCZ, Busta 49, anno 1594, f. 150.

[xlii] ASCZ, Busta 15, anno 1583, f. 100.

[xliii] ASCZ, Busta 49, anno 1610, ff. 106-107.

[xliv] Lelio Lucifero abitava in una casa palatiata in parrocchia di San Stefano. Nel 1579 donò assieme alla moglie, un terreno ai cappuccini, sul quale verrà in seguito costruito il convento. ASCZ, Busta 49, anno 1591, ff. 56-58. Vaccaro A., Kroton, II, p. 246.

[xlv] “Die 16 mensis 8bris 1636 Ego Joannes Paulus Paelaris decanus cathedralis ecl. Crotonen. De licentia Fabritii Bonelli paroch. S. Salvatoris baptizavi infantulum ex Horatio Lucifero et Madalena della Motta Vigliecas cui fuit nomen impositum Josephum Franciscum. Patrinus fuit Ceasar de Ayerbis de Aragonia.” AVC, Libro battezzati, S. Salvatore.

[xlvi] “Adi 22 febraro 1638 morse il S.r Oratio Lucifero barone di Zinga et si sepellì nella chiesa cattedrale, pagò.” AVC, Libro dei Morti.

[xlvii] ASCZ, Busta 253, anno 1674, ff. 5-6.

[xlviii] ASCZ, Busta 253, anno 1670, f. 50.

[xlix] ASCZ, Busta 333, anno 1673, f. 4.

[l] ASN, Provv. Caut. Vol. 258, ff.169-170v (1685).

[li] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, ff. 55, 138v.

[lii] ASV, Secr. Brev. 2136, f. 173v

[liii] ASCZ, Busta 497, anno 1705, ff. 50-52.

[liv] “In detto istrumento vi fu che nel coprire di detta camera, non si dovesse levare al palazzo di d.o Sig. Barone il prospetto del mare che dovea restare da vedersi per sopra detta camera nova di d.i Capocchiano, e di più si pattui che il balcone di cantoni già fatto in detta camera si dovesse levare da detto luogo dove al presente si trova, e trasportarsi nell’angolo, seu pontone di detta camera dove al presente si trova fatto una finestra; di più si convenne ch’essi di Capocchiano non possano alzare l’altra camera contigua a detta camera nova”. ASCZ, Busta 659, anno 1717, ff. 100-101, 118-120.

[lv] ASCZ, Busta 662, anno 1727, ff. 124-126.

[lvi] ASCZ, Busta 663, anno 1731, ff. 46-49.

[lvii] ASCZ, Busta 663, anno 1731, ff. 180-200.

[lviii] ASCZ, Busta 912, anno 1744, ff. 19-20; Busta 912, anno 1745, ff. 74-78.

[lix] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793.

[lx] “come innanzi detta casa v’è un largo nel quale anticamente v’eran edificii apparenti ed attaccati al Palazzo, ove abita essa Sig.ra Margarita, consistente detto largo in palmi quaranta otto che cominciano dal muro della sala del sudetto palazzo di detta Sig.ra Margarita e finiscono nel muro delle casette dirimpetto al detto palazzo che sono di presente di detto Marchese Lucifero delli quali palmi quaranta otto di largo ut supra s’è convenuto fra esse parti per patto espresso che palmi ventiquattro dal muro di detta  sala in avanti restano a favore di detta signora D. Margarita, la quale possa in detto spazio di terra largo sino al sopradesignato luogo e lungo quanto tira la dirittura del palazzo fabricarvi a suo piacere sino però all’altezza in cui si ritrova presentemente il Palazzo sudetto e l’altri palmi ventiquattro restano in beneficio di detto marchese per spiazzo, senza potervi esso fabricare”. ASCZ, Busta 913, anno 1752, ff. 45-49.

[lxi] Nel 1780, il marchese Lucifero pagava degli annui censi alla mensa vescovile sopra le case che erano state di Giacomella Giglio, che ora erano site sotto il suo palazzo, e sulla casa che era stata dei Papasodaro, entrambe le case erano in parrocchia di S. Pietro. AVC, Platea Mensa Vescovile per il 1780.

[lxii] ASCZ, Busta 1128, anno 1762, ff. 64-67.


Creato il 5 Marzo 2015. Ultima modifica: 2 Novembre 2022.

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