La Popolazione di Crotone all’epoca dell’Unità d’Italia – Aspetti demografici e anagrafici

Registri dei battesimi

Sul Portale Antenati del Ministero della Cultura sono disponibili on line alcuni registri dello Stato Civile del comune di Crotone, all’epoca “Cotrone”, relativamente a vari periodi del XIX secolo, quando la città era uno dei quattro distretti della provincia di Calabria Ultra Seconda, con capoluogo Catanzaro.

L’ultimo di questi periodi ha per oggetto i Registri dei battesimi del quadriennio 1861-1864[i], e la loro analisi è utile per ricavare alcuni dati della popolazione nell’arco di tempo immediatamente successivo all’Unità d’Italia.

Nel corso dell’analisi, sarà fatto il confronto con altri periodi, e in particolare con la popolazione presente nell’anno 1743, ossia all’epoca della compilazione del Catasto onciario effettuato durante il regno di Carlo VII di Borbone[ii].

Per il suddetto quadriennio, le denunce annuali di nascita sono state: 239 – 216 – 231 – 238, quasi tutti parti singoli, salvo pochissimi casi gemellari. La media annuale è di 231 nascite, pari a 19,25 nati per mese, all’incirca 2 nascite ogni 3 giorni.

La nota più inimmaginabile è che l’allora Regno d’Italia, nonostante le tante proclamate dichiarazioni di laicità dello Stato (libera Chiesa in libero Stato, Cavour), curava in modo particolare la fede cattolica dei sudditi, e non si prevedeva in linea generale la possibilità di avvalersi di culti di altre religioni.

Si imponevano, infatti, degli obblighi ai seguenti soggetti interessati, mantenendo gli usi vigenti nel regime borbonico:

1) gli Ufficiali di Stato Civile dovevano avvisare immediatamente il parroco competente affinché battezzasse il neonato;

2) a sua volta il sacerdote doveva dare conferma dell’avvenuta celebrazione del battesimo.

Ogni atto di nascita era pertanto ritrascritto in un modulo in duplice copia, denominato “Autorizzazione per il battesimo”, altrimenti detto “notamento”. Un esemplare era trasmesso al parroco, il quale lo restituiva dopo avervi aggiunto la data del battesimo e la sua firma. A questo punto la copia, rimasta nell’ufficio dell’anagrafe, era cestinata e sostituita con quella con le annotazioni. A volte il parroco dimenticava di restituire uno o più moduli, e veniva avvertito di tale omissione in una delle segnalazioni successive.

Quindi, più che di Registri di battesimo, si tratta di plichi di certificazioni di battesimo.

In virtù dell’alta natalità, i battesimi erano frequenti e considerati un semplice obbligo religioso. La cerimonia, pertanto, era molto semplice e senza i fasti attuali, ed avveniva entro due giorni dalla denuncia della nascita, a volte lo stesso giorno ed al massimo entro 4-5 giorni. Quando il bambino, in caso di pericolo di vita, veniva immediatamente battezzato dall’ostetrica o da un familiare, e il parroco attestava tale circostanza. Questa fretta a elargire il battesimo, dipendeva dalla convinzione religiosa che i bambini deceduti senza il battesimo finissero nel Limbo.

In circa il 50% dei casi, in calce all’atto pubblico riconsegnato era indicato anche il nome del padrino o della madrina; in tre o quattro occasioni questi ultimi, non potendo partecipare di persona, vennero rappresentati da procuratori.

Queste formalità si adeguavano alla prassi vigente nel precedente regime borbonico, adottandone anche una modulistica affine. In appendice esponiamo il testo classico delle segnalazioni per il battesimo.

Nel documento era sempre precisato, salvo poche omissioni, la parrocchia competente. A Crotone, nel quadriennio in oggetto ce n’erano sei:

– SS.mo Salvatore

– Santa Maria (de Prothospataris)

– Santi Pietro e Paolo

– Santa Veneranda

– Santa Margherita

– San Dionisio.

Il Real Castello, abitato dai militari dell’esercito, faceva parte della parrocchia del SS.mo Salvatore. Tuttavia in qualche atto è citata una “parrocchia del Castello” in quanto all’interno del maniero, per alcuni decenni, era stata funzionante la chiesa intitolata a San Dionigi. Riscontriamo, rispetto al 1743, una parrocchia in più, quella di san Dionisio. Questa era l’unica al di fuori dalle mura cittadina, e comprendeva i territori più prossimi. L’aumento della popolazione aveva determinato la formazione di un nuovo agglomerato urbano, in cui erano risiedevano molti pescatori. Era un’attività nuova per la città, nonostante fosse situata sul mare, in quanto dal Catasto onciario non risulta la presenza di “marinari”. Per avere il pesce fresco, i paesani dovevano pertanto attendere nel Settecento l’arrivo di barche di pescatori forestieri.

In un paio di atti anagrafici compare anche una “parrocchia del Purgatorio”, che in realtà era la vecchia denominazione della parrocchia di Santa Margherita o Margarita.

Decisamente la parrocchia più citata nei registri è quella di “Santa Margarita”, dove abitava la signora Flora Arcuri detta Fiore, la “Pia Ricevitrice dei Proietti” dell’epoca. Poiché a Crotone non c’era ancora una ruota degli esposti (Rota Proiecti) gestita da un convento, i bambini, abbandonati dalla madre, erano lasciati presso l’abitazione di una donna stimata, detta Pia Ricevitrice. Fiore, a tale proposito aveva fatto costruire accanto alla sua porta di casa una ruota degli esposti per evitare che i bambini dovessero patire il freddo notturno. Per gli anni considerati le denunce dei trovatelli, con una media di uno al mese, erano pertanto presentate dalla Arcuri, salvo quattro volte effettuate dalla figlia primogenita Domenica Raimondi. La formula classica sull’atto era: il/la bambino/a “…è stato/a da lei rinvenuto/a nella Ruota dei Proietti, compariva di fresco nato/a, avvolto/a in cenci e senza marche apparenti”.

Come parroco della chiesa dei Santi Pietro e Paolo compare anche don Luigi Covelli (~1824-1901). Viene in mente che nel secolo scorso a Crotone officiava ed era molto considerato don Pino Covelli (1927-2020), rettore della chiesa dell’Immacolata: era pertanto forte la religiosità di tale famiglia.

Quanto agli abitanti residenti, le sei parrocchie sostanzialmente si equivalevano, con una lieve maggiore numerosità per la parrocchia di Santa Veneranda, e una minor numerosità per quella del SS. Salvatore. Riguardo ai decessi, Santa Veneranda superava abbondantemente le altre parrocchie in quanto in essa era allocato l’Ospedale Civile, i cui defunti erano soprattutto infermi nati in altri comuni. Un discorso a parte va fatto per la nuova parrocchia di S. Dionisio, che comprendeva i territori al di fuori dalle mura cittadine. A inizio del XIX secolo era minoritaria per la popolazione, col tempo era cresciuta notevolmente raggiungendo e superando per numerosità le parrocchie intra moenia, finché un nuovo assetto amministrativo rimpiazzò le parrocchie con le contrade. I suoi residenti erano abitanti trasferitisi dal centro storico o provenienti da altri comuni, e facevano prevalentemente i pescatori.

Dichiarazioni di nascita

A presentare le denunce delle nascite erano per oltre il 40% i padri, per il resto erano ostetriche, parenti o persone incaricate, e in rarissimi casi la puerpera. Si ha il caso estremo di Barbara Scicchitano, coniugata con Gregorio Rizzo, la quale partorisce Antonio alle ore nove del 6 aprile 1862, e il giorno dopo va a presentarne la dichiarazione di nascita. Non solo, lo stesso 7 aprile è fatto anche il battesimo, cui partecipa come madrina l’ostetrica Teresa Giacobbe. Sembrerebbe che, il giorno seguente alla nascita, la madre si era già ripresa dai travagli del parto e andava in giro per la città, ma, come si vedrà, sulla precisione del giorno di nascita c’era molta superficialità.

Si riscontra una notevole differenza nella composizione dei dichiaranti rispetto al precedente periodo della Restaurazione (1816-1858), in cui la percentuale dei padri era dell’ordine del 75%. La dichiarazione di nascita poteva avvenire anche da parte di un minorenne. Si registra, infatti, la denuncia nel 1839 della nascita di Lucia R. effettuata dal cugino Gregorio R., non ancora sedicenne e di mestiere muratore.

È da osservare che c’era l’abitudine di non denunciare immediatamente le nascite. In tal modo, nell’ipotesi che il bambino morisse nei primissimi giorni, veniva considerato come abortito, evitando le spese funerarie. Quando la denuncia avveniva oltre i cinque giorni, previsti dalla legge, si aggirava l’ostacolo della violazione della normativa dichiarando come data di nascita un giorno successivo da quello effettivo. D’altronde non si presentava alcuna certificazione medica dell’evento, ma la legge prevedeva che fosse portato lo stesso neonato presso l’ufficiale di Stato Civile, che doveva dichiarare sull’atto di averlo visto e di averne accertato il sesso. Quando ciò non poteva avvenire per le condizioni di salute del piccolo, allora il funzionario doveva accertarsi altrimenti della verità della nascita, come ad esempio recandosi di persona a casa della puerpera. Ma in pratica queste formalità erano disattese: come si vedrà, ci sono alcuni casi di sentenze che correggono il sesso indicato negli atti di nascita.

Prima che fossero introdotti i registri dei battesimi presso lo Stato Civile, si riscontrano numerose divergenze tra gli atti di nascita e i registri ecclesiastici dei battesimi compilati dai parroci[iii].

Ad esempio, nel 1809 Giglio Diego Michele risulta nato il 20 novembre per l’Anagrafe, mentre al battesimo del 26 novembre fu dichiarato come nato il 21 e con un ulteriore nome (Francesco): in alcune parrocchie era infatti consuetudine dare almeno tre nomi ad ogni bambino.

Altro esempio: Cimino Gennaro fu dichiarato dal padre il giorno 26 novembre 1909 come nato il 23; nello stesso giorno 26 fu battezzato ma nel registro parrocchiale è indicata come data di nascita il 24 e per nome Cimino Gennaro Raffaele Ignazio: qualcuno ha suggerito di aggiungere altri due nomi, tra cui Ignazio, che era il nome del padrino.

Carvello Rachela Maria “Serafina”, dichiarata all’Anagrafe dal padre il 14 maggio 1810 come nata il giorno prima (13), è registrata dal parroco al battesimo, celebrato sempre il 14 maggio come nata invece lo stesso giorno e con nomi: Rachela Maria “Vincenza”.

Più rilevanti le divergenze per Pasqua Rosalia: battezzata il 19 agosto 1810 e nata lo stesso giorno per la Chiesa; al Comune invece il padre la dichiarò il 29 agosto (ben oltre i 5 giorni imposti dalla legge) asserendo che era nata solo 10 ore prima, praticamente una differenza di 10 giorni.

Le discrepanze con i registri ecclesiastici permangono anche in seguito.

Nel 1876 viene dichiarata dal padre Vincenzo la nascita di Raffaela, figlia illegittima sua e di donna ignota non maritata, avvenuta il 10 dicembre. Diversa la situazione nel registro dei battesimi della parrocchia del SS. Salvatore: Raffaella sarebbe nata l’8 dicembre e il nome della madre è ben indicato in quanto regolarmente coniugata con Vincenzo. Per completezza di informazioni, l’atto di nascita è stato stilato il 12 dicembre e il battesimo amministrato qualche giorno dopo, il 18.

Pertanto i registri anagrafici dell’epoca sono inaffidabili circa le date di nascita, e anche per i nomi, come si vedrà.

Quanto a quelli ecclesiastici, quelli esistenti e scampati agli incendi che hanno coinvolto in passato gli Archivi della Curia di Crotone, hanno anche qualche rara lacuna. Si è riscontrata più volte la mancanza del padre legittimo del battezzato, in quanto i registri erano compilati successivamente all’erogazione del Sacramento da un clerico addetto, che utilizzava gli appunti lasciati dall’Officiante, a volte incompleti. Non esistevano moduli prestampati e in un caso, ma per dimenticanza, non è stato trascritto il nome della bambina battezzata, ma solo il cognome: la primogenita della Pia Ricevitrice Elisabetta Marvasi, di cui si dirà in seguito, nata il 24 settembre 1789 e appartenente alla parrocchia del SS. Salvatore.

Le imperfezioni dei registri ecclesiastici dipendono soprattutto dal fatto che gli atti sono il risultato di tre clerici: il sacerdote autorizzato ad impartire il battesimo, che lascia degli appunti per colui che compila il registro e il parroco che sottoscrive l’atto.

Gli errori principali ricorrono nelle trascrizioni dei nomi e cognomi: Placido (Placidus) trasformato in Biagio (Blasius), Laudari in Lodara, Maugeri in Mageri, Ruggieri in Rugiero, ecc.

In quegli anni esisteva una forte discriminazione nei riguardi delle donne che, se potevano essere dichiaranti negli atti pubblici, non potevano invece fare da testimoni. Il Codice Civile del Regno d’Italia, in vigore dal 1866, confermava tale criterio all’art. 351:

“Gli atti e le dichiarazioni da farsi dinanzi agli uffiziali dello stato civile si riceveranno in presenza di due testimoni scelti dalle parte interessate, i quali siano di sesso maschile, abbiano compito gli anni ventuno e risiedano nel comune”.

L’inferiorità delle donne, che vigeva anche in campo politico, cominciò a sparire dal 1945, quando fu istituito il suffragio femminile e le donne votarono alle elezioni amministrative. Poi nel 1946 tornarono ai seggi per il referendum istituzionale che sancì la nascita della Repubblica italiana.

Redatto l’atto di nascita, il documento era sottoscritto dall’ufficiale di Stato Civile, dai due testimoni e dal dichiarante. Per oltre il 95% del casi quest’ultimo era analfabeta, e se ne attestava la circostanza con formule come: “e il dichiarante disse non sapere scrivere”, “e il dichiarante disse essere ideota”. Il termine “ideota” (o idiota) non aveva connotazioni negative o offensive, ma era l’equivalente di “analfabeta”.

Il nome più ricorrente tra i denuncianti, è senz’altro quello della signora Teresa Giacobbe di Leonardo per circa il 10% dei casi. Era l’ostetrica principale della cittadina ionica, ove operava già nel 1831 a trentadue anni, e si prestava anche ad adempiere alle formalità civili. Molte volte il suo nome compare pure in fondo agli atti come madrina, e non solo per i bambini da lei denunziati. Il secondo nome più frequente è l’ostetrica Carmela Giacobbe, sorella minore di Teresa. Lei ha una frequenza del 2-3% e, come la congiunta, non si esimeva da fare da madrina a qualche bambino.

Restando in argomento “padrini”, fra loro risultano anche due sacerdoti ed un frate.

Come si è detto, erano rari i parti gemellari. Nel quadriennio ne abbiamo riscontrato solamente tre:

– Vittorio Emmanuele e Vito, nati il 1° gennaio 1862, entrambi alle ore undici;

– Rosa e Carmela, nate il 17 dicembre 1862 alle ore dodici e alle ore sedici.

– Emilio e Alfredo, nati il 10 maggio 1864

Non è agevole individuare la presenza di gemelli per gli anni interessati in quanto i registri mancano dell’indice riepilogativo. I gemelli erano denunciati con due atti separati usando la formula classica, senza alcun riferimento al loro stato di nascita in comune, ma come se fossero parti singoli. Soltanto dal 1866, quando è entrato in vigore il nuovo Codice Civile, fu prevista l’annotazione del parto multiplo. L’art. 374 detta infatti: “Se il parto è gemello, se ne farà menzione in ciascuno dei due atti, esprimendo chi nacque primo, chi secondo.”

Andando a statisticare le attività, il primo posto è da assegnare ai “campagnoli” per oltre il 50%, i quali distanziano di molto i “vaticali” [carrettieri] e i “proprietari”. Altre attività sono rappresentate da: “mercatanti”, “mercieri”, “cappellari”, “macellari”, “massari di campi”, “bracciali”, “voltatori di grani”, “cernitori di grani”, “molinari”, “acquaioli”, “mastri muratori”, “industrianti”, “ferrari”, “fabbricatori”, “magazenieri”, “sartori” (e “mastri sartori”), “marinari”, “fornari”, “tavernari”, “bettolieri”, “cafettieri”, “cochi”, “maccaronari”, “servitori”, “scribenti”, “dottori fisici”, “speziali di medicina”, architetti, seminatori, ortolani, giardinieri, pastori, caprari, falegnami, pittori, negozianti, venditori di commestibili, calzolai, conciatori, orefici, gioiellieri, barbieri, bigliardieri, giudici, uscieri regi, controllori di dazi diretti, gendarmi, armieri, militari, soldati di linea, guardie di artiglieria, guardie rurali, guardacoste, comprendendo anche un maggiore dell’Esercito di S. M. di stanza nella città.

Questo quadro rispecchia la situazione al primo catasto, con la maggioranza dei lavoratori rappresentata dai “fatigatori di campagna”. Nel 1743, come si è detto, non esisteva la categoria dei pescatori (“marinari”).

Per le donne, quando indicata, la professione era quella di: filatrice, tessitrice, cucitrice, domestica, lavapanni, tavernara, ostetrica (o levatrice); non c’erano attribuzioni di casalinga o massaia, ma oltre il 90% delle donne crotonesi erano filatrici. Una nuova terminologia si forma nella seconda metà dell’Ottocento: “regitrice di casa” (1869), casalinga (1879), donna di casa (1883), civile (1887).

Nel catasto del 1743 il mestiere delle donne non era indicato, salvo che per 64 serve e 10 nutrici.

Quanto alle ostetriche, la prima a comparire nello Stato Civile è nel 1816 la quarantenne Anna di Sena, che provvedeva a volte a presentare la dichiarazione di infanti nati sia legittimamente, sia da donne nubili, e, in almeno tre casi, di neonati abbandonati di notte accanto alla sua porta della sua abitazione. Probabilmente, in questi ultimi eventi l’ostetrica si prestava a dichiarare il presunto rinvenimento di trovatelli, al cui parto aveva fornito assistenza, per evitare l’abbandono reale dei piccoli di notte con l’esposizione alle intemperie.

Prima di lei, come risulta dai registri ecclesiastici dei battesimi, avevano operato in città: Minichella Gatto (1669) [tra parentesi l’anno della prima citazione], Laudonia Fera (1672), Caterina Schipano (1686), Isabella Rocca (1689), Elena Albanese (1739), Antonia Di Sena (1759), Anna Ciordo (1768), Domenica Cionso (1770), Lucrezia Voce (1770), Isabella Ferraro (1773), Eufrasia Laura Macchione (1785), Michelina Leto (1804), Caterina Frijo (1806), Angela Rama (1807). Costoro sono state riportate negli atti in quanto, come “obstetrica probata”, avevano battezzato qualche bambino appena nato a forte rischio di morte.

Nel 1819 sono indicate negli atti di nascita anche l’ostetrica quarantacinquenne Anna Di Giano e la quarantenne Anna Leto. In seguito si aggiungono Maria Messina e la trentaduenne Teresa Giacobbe dal 1831 che, come abbiamo visto, furoreggerà negli allora anni Sessanta insieme alla sorella minore Carmela Giacobbe. Queste ultime due continuavano l’attività della loro madre: la levatrice Anna Di Sena, poi detta Di Siena.

In merito ai parti gemellari, già nel periodo borbonico erano scarsi variando da zero a tre per anno. Ancora più rari quelli trigemellari. In tutto il XIX secolo ne abbiamo rilevato tre. Il primo si è verificato il 7 gennaio 1813: 3 bambine nate di notte tre le 5 e le 6 ad Angela V., delle quali si ignora il padre naturale. L’evento si ripresentò il 23 gennaio 1841: i coniugi Lucente-Brescia ebbero tre maschietti alle tre di notte. Infine il 6 dicembre 1899: i coniugi Carone-Covelli con ancora 3 maschietti, nati tra l’una e le quattro di notte.

I parti trigemellari, purtroppo, hanno avuto un infelice epilogo: tutti i bambini sono deceduti nell’arco di una decina di giorni.

Il parto trigemellare del 1813 è il primo in assoluto per Crotone in quanto, dalla consultazione dei registri ecclesiastici dei secoli precedenti risultano soltanto alcune nascite gemellari.

Quanto ai parti gemellari, erano un problema per le famiglie indigenti, che si ritrovavano con due bocche in più da sfamare. Un esempio lo si ha nel 1933, allorché un provvedimento del podestà stabiliva un piccolo sussidio per sei mesi per F. A., la cui moglie Maria aveva dato alla luce due gemelli.

In tutto il quadriennio preso in oggetto, si sono verificate anche 3-4 nascite di orfani, essendo il padre deceduto prematuramente, e ai bambini veniva dato il nome del padre.

Sempre nel quadriennio le denunce di nascita non hanno presentato grosse oscillazioni (239 – 216 – 231 – 238), e così lo è stato di norma anche negli anni precedenti. Una grossa eccezione è rappresentata dal balzo dei nati nell’anno 1800. Poiché non c’era ancora lo Stato Civile, analizziamo i dati dei battesimi dei registri ecclesiastici. Prendiamo, ad esempio la parrocchia del SS. Salvatore[iv]. Nell’anno 1799 i battesimi sono stati 22, per diventare 39 (+77%) nel 1800, e poi ridimensionarsi a 24 nel 1801. Se si esamina meglio il 1800, si nota un accentramento delle nascite nel bimestre agosto-settembre: ben 13, cioè un terzo del totale (39). È da dedursi, pertanto, che l’euforia per l’attesa del nuovo secolo nel dicembre del 1799 abbia prodotto un risveglio dei sensi e una fecondazione superiore all’ordinario, col conseguente forte incremento dei parti otto-nove mesi dopo.

Nascite illegittime

Nei registri ecclesiastici dei battesimi del XVII secolo si rileva un’alta intensità di nati da madri nubili (e “padre incerto”), con punte superiori al 25% per alcuni anni. Invece il fenomeno dei bambini abbandonati dopo il parto era pressoché inesistente. Ad esempio, nella parrocchia di Santa Maria per il 1677 i figli di donne nubili furono 5 sul totale di 19 nati, pari al 26%. E nella medesima parrocchia nel 1680 gli illegittimi addirittura superarono i nati da coppie sposate: 9 su 15, cioè il 60% del totale. Questo massimo per il 1680 è documentato anche nella continua parrocchia di San Pietro. Qui la situazione era stata regolare fino al 1678 con un’incidenza del 15-20% dei nati illegittimi. Poi nel 1679 un‘impennata al 31% (5 casi su 16), e nel 1680 l’apice col 32% (8 su 25), infine l’andamento proseguiva con delle consistenti oscillazioni nei vari anni: 19% (3 su 16) nel 1681, 27% (4 su 15) nel 1687, 9% (2 su 23) nel 1688, 32% (6 su 19) nel 1689, 23% (6 su 26) nel 1690, 6% (1 su 16) nel 1691, 16% (4 su 25) nel 1692, 22% (5 su 23) nel 1694, 15% (4 su 26) nel 1698.

Questo apice del 1680 è dovuto a fattori specifici locali, in quanto a livello governativo non c’erano tensioni: tutta l’Italia meridionale e insulare era assoggettata alla Spagna in conseguenza della pace di Cateau-Cambrésis del 1559, e la stabilità politica sarebbe durata fino al 1700-1714.

Facendo un salto di oltre un secolo e passando agli anni della Restaurazione, i nati illegittimi erano sempre superiori al 15% del totale, ma con un deciso incremento dei trovatelli. Riguardo a questi ultimi, non esistendo a Crotone una ruota degli esposti presso un monastero, si tendeva a lasciare i bambini di notte presso l’abitazione della “Pia Ricevitrice dei Proietti”: in quegli anni Elisabetta Marvasi (~1768-1847). Lei, ad esempio, durante l’anno 1831 quand’era sessantatreenne, denunciò all’Ufficio di Stato Civile il ritrovamento al mattino di due bambini e di una bambina, e ne stabilì anche il nome. Poteva anche capitare che fosse qualcun altro a fare il rinvenimento dietro la propria porta di casa, Costui allora consegnava il neonato alla Marvasi, che prontamente lo affidava ad una nutrice, per poi presentarne la denuncia. Non era difficile trovare delle balie all’epoca. Per l’alta mortalità infantile, tante donne erano in grado di allattare altri bambini. Li allevavano per almeno un anno e poi li affidavano ai brefotrofi, salvo che li tenessero presso di sé adottandoli. Tra le nutrici ci fu anche, il 10 marzo 1835, Fiore Arcuri, che poi diverrà Pia Ricevitrice.

La prima Pia Ricevitrice, che abbiamo incontrato, è stata Giuseppa Sbarra di anni quaranta, il 17 marzo 1815. Le è succeduta per molti anni Elisabetta Marvasi. Dopo una breve parentesi di Teresa Manfreda, sua figlia, è poi subentrata nel 1846 Flora Arcuri detta Fiore, che aveva una funzione istituzionalizzata, in quanto la Ruota dei proietti costruita accanto alla sua porta di casa in Via Lettieri, era riconosciuta come “Ruota del Comune per il ricevimento dei fanciulli d’ignoti genitori”. Ha operato quasi fino alla sua morte, avvenuta il 13 gennaio 1886, ed era coadiuvata dalle due figlie primogenite, anche loro affidatarie per cinque volte di neonati, quando non si trovavano altre balie disponibili. Alla Arcuri, nata in Spagna nel 1813, fece seguito Angela Greco (n. 27/10/1833), ma solo per poco tempo a causa dell’apertura del Brefotrofio Provinciale, Casa Filiale di Crotone in Strada Cavour. I bambini di conseguenza erano ora abbandonati dietro la porta del Brefotrofio, e dichiarati il mattino seguente all’Ufficio di Stato Civile dal “guarda porte” Ferdinando Alfì, di anni cinquantacinque nel 1890.

Per quanto riguarda la stagionalità dei neonati abbandonati, i mesi con più casi variavano nel tempo.

In alcuni anni erano i mesi primaverili, le cui gravidanze erano state generate nella stagione calda dell’anno precedente. Per il 1849 si sono registrati: 1 abbandono ad aprile, 6 a maggio, 1 a giugno e altri 4 nel resto dell’anno, per un totale di 12.

Per altri anni il picco era tra dicembre e febbraio, ad esempio nel 1859 se ne contano 9 su un totale di 14. Tale andamento è in linea con le nascite legittime, caratterizzate da una maggiore frequenza nell’inverno, nove mesi dopo l’inizio della primavera e il risveglio della natura, quando i concepimenti erano maggiori.

Fino agli anni Trenta del XIX secolo a Crotone era prassi dare ai trovatelli il cognome di Proietto, se maschio, o Proietta, se femmina. Abbiamo anche il caso di un matrimonio tra i signori Proietto e Proietta. Successivamente si è usato il cognome di Esposito, adeguandosi ai costumi della capitale del Regno Borbonico, per poi riprendere ancora con i Proietto/Proietta fino al 1865. Fu con l’entrata in vigore del citato Codice Civile del Regno d’Italia, che si cominciò ad assegnare dei cognomi, che non facessero riferimento alla nascita illegittima. Dal 1866, infatti, si usarono dei cognomi di fantasia, con qualche incoerenza. A due diverse bambine abbandonate, nate a tre mesi di distanza nel 1866, fu dato lo stesso cognome “Ortica”, per cui potrebbe sembrare, senza una ricerca nei registri di nascita, che fossero sorelle o gemelle fra di loro. Sempre nello stesso anno risulta registrato anche un Proietto: non è una inosservanza della legge da parte dell’impiegato nell’assegnazione il cognome, ma è un bambino nato da M. Proietta.

Per quanto concerne i nomi, normalmente variavano, salvo qualche preferenza. Ad esempio era molto utilizzato Dionisio, in omaggio al santo patrono della città. Nel 1835 quattro bambini, abbandonati tra marzo e luglio, portano tutti lo stesso nome di Dionisio Esposito. Invece per le femmine il preferito era Maria: ad esempio, si incontrano quattro Maria Proietta tra luglio e dicembre 1847. Queste omonimie tra coetanei producevano grosse difficoltà nelle ricerche anagrafiche.

Riguardo ad un successivo riconoscimento da parte di uno dei genitori dei bambini abbandonati, il fenomeno era piuttosto raro, e normalmente a distanza di anni. Un caso particolare si riscontra a fine 1861, in cui la madre di Silvia, pentitasi del gesto, dopo solo due settimane fa un atto di ricognizione presso l’Ufficio Anagrafe per tornare in possesso della “proietta”, già affidata ad un balia.

Anche nel quadriennio postunitario esposto on line, la quota di nati illegittimi superava sempre il 15%. Molti di loro erano dichiarati dal padre naturale, con l’indicazione anche della madre, prima vietata. Data l’alta natalità dell’epoca, i nomi di alcune delle coppie non coniugate si ripetono nel periodo.

Si è calcolata l’incidenza di tali nascite irregolari per il 1862, in cui le dichiarazioni complessive di nascite sono state 216, e i dati statistici non variano di molto per gli altri anni:

La composizione degli illegittimi varia rispetto agli anni preunitari, in cui era maggiore l’incidenza dei trovatelli, e meno consistenti le dichiarazioni da parte di un genitore naturale.

A proposito delle cause dell’alta percentuale di nascite illegittime, è esplicita la Relatio ad Limina redatta l’11 aprile 1856 da monsignor Luigi Laterza, vescovo di Crotone negli anni 1853-1860, che nella sezione De populi moribus disapprovava gli usi poco morigerati delle gente locale. Scriveva infatti:

I costumi dei Crotonesi quasi di tutti sono corrotti dal vizio della lussuria, che minimamente si domina nel volgo di questa Città. […] Le donne invero sposate frequentemente abbandonano i loro mariti, come anche gli uomini le proprie mogli, e così non mesi ma anni ed anni inacidire nell’adulterio; senza che le ammonizioni dei loro parroci e dello stesso Vescovo producano qualcosa di buono…

E il prelato manifestava la speranza che in futuro diminuisse il numero degli adulteri e dei concubini.[v]

Tale situazione persisteva, anche se in misura ridotta, nel nuovo secolo.

Una relazione del 1916 del vescovo Saturnino Peri (1909-1920) sosteneva:

Abbondano ancora fornicazioni, adulteri, per il cattivo esempio dei nobili, ma da pochi anni sembra che stiano diminuendo di numero in ogni classe sociale, e molte unioni illegittime non santificate dal matrimonio.[vi]

Dati anagrafici

La funzione di Ufficiale di Stato Civile competeva al sindaco, che poteva dare la delega a un assessore. I Responsabili che si sono succeduti tra il 1861 e il 1864, a volte alternandosi, sono in ordine cronologico:

– Gaetano Morelli (il sindaco del periodo); – Carlo Milelli (assessore delegato al Registro dello Stato civile); – Francesco Morrone (assessore); – Luigi Berlingieri (assessore delegato per la firma di sindaco); – D. de Mayda (assessore).

I cognomi che compaiono negli atti del quadriennio, senza considerare le ripetizioni, superano il numero di 500, e corrispondono a buona parte della popolazione presente attualmente nel territorio, salvo qualcuno che si è estinto genealogicamente. In realtà i cognomi leggibili sono oltre 480, mentre gli altri risultano poco chiari in quanto l’inchiostro si è sbiadito nel tempo, o perché trascritti in una grafia aulica di difficile interpretazione. La scrittura dell’epoca, elegante e dalle linee arrotondate, crea problemi di lettura. Così, nell’individuazione del mestiere, si è incontrato qualche volta il termine “fascemara”. Si potrebbe pensare a un’assistente del parto o a una produttrice di pannolini. Poi si è capito che occorreva leggerla come “tavernara”. Un individuo, che era “mafroso”, non aveva alcun legame con la mafia, perché in verità era un onesto “massaro”: bisognava interpretarne la scrittura.

In appendice si espone l’elenco dei cognomi chiari, e tra i più frequenti annoveriamo (in ordine alfabetico): Arcuri – Berlingieri – Bossi – Corrado – Covello – Gerace – Messina – Pugliese – Russo – Scicchitano – Vrenna – Zurlo.

Si rileva una decisa variazione rispetto ai cognomi più censiti nel catasto del 1843: Bertuccia (47 volte), Bruno (39), Cavalieri (35), Cimino (40), Gerace (36), Jannice (34), Messina (66), Puglise (34), Russo (38), Suriano (34).

Scorrendo i cognomi, se ne notano molti simili fra loro, ma non perfettamente uguali. Gli addetti alla compilazione degli atti si basavano su quanto veniva dichiarato verbalmente, e non verificavano la trascrizione esatta nei registri di nascita relativi, per cui i decenni intorno all’Unità d’Italia sono caratterizzati dalla proliferazione dei cognomi. Va considerato che oltre la metà delle denunce di nascita avveniva ad opera di delegati, che non sempre conoscevano esattamente i cognomi dei genitori dei neonati. Riportiamo in una seconda appendice i nominativi variati a causa di differenziazioni nella grafia.

Molte trasformazioni avvenivano premettendo al cognome la preposizioni “di” (Di Perri, D’Amico) o la particella nobiliare “de” (de Filippis), o un articolo (La Nucita, La Rocca, Lo Gatto).

Nelle trasformazioni dei cognomi c’è anche l’influsso del dialetto locale. Ad esempio, l’originario Lo Mare (in un atto di battesimo del 1800) si è trasformato in Lomare e poi “Lumare”, Pugliese è diventato “Puglise”, Amoroso “Amoruso”, Giorno “Jorno”, Corigliano “Curigliano” e “Crugliano”, Mesoraca “Mesuraca” e “Misuraca”.

A volte c’è l’aggiunta iniziale della vocale “a”, come per Nanìa, Rabbia e Gostinello diventati Anania, Arabbia e Agostinello; ricordiamo che “a” designa dialettalmente “una” (donna), e quindi una componente femminile del cognome. Capita però anche il contrario con Ariganello trasformato in Riganello.

 Quest’opera di “crotonesizzazione” dei cognomi è anche documentata. Nel 1847 il campagnolo Lieto Giuseppe di Catanzaro si sposa con la crotonese Macrì Elisabetta: ebbene, nelle pubblicazioni e nell’atto di matrimonio diventa Leto Giuseppe. Lo stagnaro Millino Giuseppe, proveniente da Palermo, si sposa nel 1830 anche lui con una crotonese; in tale circostanza l’impiegato lo registra come Mellino, nonostante che lui abbia apposta una chiara firma in stampatello: Giuseppe Millino.

Ma normalmente c’è una italianizzazione dei cognomi locali. Esemplificativo è “Putruno”, trovato in un atto di battesimo del 1787, diventato poi Putrone, Potrone, Patrone e Petrone.

Gli errori avvengono talvolta in fase di compilazione a fine registro dell’indice [la “tavola alfabetica”] dei nati. Allorché nel registro del 1819 è stato allegato l’indice degli anni 1815-1819, la bambina “Tricoli Benedetta Maria”, nata l’11 maggio 1815, è stata riportata come “Tricale Elisabetta Benedetta”. Altro caso: Iorno Antonio, nato nel 1818 dal deceduto Antonio, è stato riportato nell’indice come Russo Antonio, confondendo il cognome del padre con quello di Russo Francesca, la dichiarante del bambino all’anagrafe.

Meno frequentemente l’errore era fatto già alla compilazione dell’atto. Per Antonio Pollinzi, deceduto nel 1878, l’impiegato ha riportato nella colonna laterale della pagina, ove erano trascritti il numero dell’atto e il nome del soggetto a caratteri maggiorati: Antonio Pusella. Quest’ultimo è poi il nome utilizzato per l’indice. Quindi è come se l’originario Antonio Pollinzi non fosse mai nato. A tuttora è rimasto trascritto il cognome errato di Pusella. Alcune pagine dopo, l’errore si ripete: Pitaro Giuseppe diventa, nella colonna laterale: Portaro Giuseppe.

Sempre in fase di compilazione, rileviamo che il 15 maggio 1886 Pugliese Raffaele dichiara la nascita di un figlio al 17 maggio 1886: ossia sa già di diventare padre di un maschietto due giorni prima del lieto evento (!).

Gli errori sono altrettanto ricorrenti nei registri ecclesiastici, ai quali si fa riferimento per gli atti anagrafici fino al 1810, prima che fosse operativo lo Stato Civile. Si nota in particolare che non si prestava molta attenzione alla vocale finale dei cognomi, che era casuale. Così, ad esempio, nell’arco di un decennio ritroviamo per i nati di una stessa  famiglia: Levadota, Levadoto e Levadote, che poi si stabilizzeranno in Livadoti. Nella parrocchia di San Pietro il 26 dicembre 1800 vengono battezzate due gemelline; nei due atti di battesimo, trascritti consecutivamente nel registro ecclesiastico, una ha il cognome di Schipano, l’altra di Schipani.

Col passaggio dalle registrazioni anagrafiche ecclesiastiche a quelle civili, alcuni cognomi si sono trasformati.

Ad esempio il consolidato “Lupo” ha cambiato accento. Tutta la famiglia è diventata “Lupò” a partire dal 1810, salvo poi ritornare “Lupo” alcuni decenni dopo.

Il cognome “Senato” per la Chiesa, è stato variato in “Senatore” in ambito laico, e per una volta anche nel dialettale “Sonaturi”.

Quanto ai nomi, quelli più ricorrenti nel 1862 sono:

a) per i maschi: – Giuseppe (11 volte) – Antonio (9) – Raffaele (7) – Francesco (6) – Luigi (6) – Pasquale (5);

b) per le femmine (femine): – Maria (12 volte: 5 come nome singolo e 7 come multiplo) – Antonia (10 volte: 7 singolo e 3 multiplo) – Rosa (8) – Carmela (6 volte, comprese le varianti Carmen, Carmina, Carmena) – Giuseppa (5).

L’anno 1862, il primo intero dopo l’Unità d’Italia del marzo 1861, è caratterizzato dall’imposizione ad alcuni bambini di nomi tratti dai personaggi del Risorgimento, normalmente come nomi multipli: Garibaldi (7 volte) – Menotti (3) – Vittorio Emmanuele (3) – Bandiera – Bixio – Cialdini – Lamarmora.

Alcuni di questi nomi storici sono stati dati a bambini trovati nella Ruota dei Proietti. Evidentemente anche chi suggeriva i nomi, probabilmente il marito di Fiore Arcuri, era avvinto dal forte spirito patriottico diffusosi tra gli Italiani dell’epoca. Notiamo addirittura che tra il novembre del 1860 e il gennaio del 1861 sono stati registrati 4 “Vittorio Proietto” e 6 “Vittoria Proietta”. Erano mesi importanti per l’Unità d’Italia: il 3 novembre 1860 furono proclamati i risultati del plebiscito per l’annessione del Regno di Napoli al Regno d’Italia, e il 27 gennaio 1861 si svolsero le prime elezioni del Parlamento Nazionale. La registrazione di 10 tra Vittorio e Vittoria era un omaggio a Vittorio Emanuele II di Savoia, ma generava anche delle difficoltà nelle ricerche anagrafiche per i tanti casi di omonimia.

Tornando al 1862, i nati maschi superavano di molto le femmine: 120 contro 96, per una percentuale sul totale del 55,56% contro il 44,44%.

Anche per i nomi, analogamente ai cognomi, si notano mutazioni fonetiche e errori di trascrizione, che portano spesso a variazioni nel tempo, come Agnesa e Agnese, Amalia e Amelia, Angiola e Angela, Baldasarre e Baldassarre, Barbera e Barbara, Biaggio e Biagio, Catterina e Caterina, Cosmo e Cosimo, Dianora, Elionora e Eleonora, Davidale e Davide, Disiata e Desiderata, Emmanuele e Emanuele, Erberto e Eriberto, Impolita e Ippolita, Luccia e Lucia, Luiggi e Luigi, Paulo e Paolo, Providenza e Provvidenza, Rafaele/a e Raffaele/a, Rosolia e Rosalia, Silvina e Silvana, Teresia e Teresa, Tomaso e Tommaso, Ursola e Ursula. La parrocchia di “Santa Margarita” si è trasformata con gli anni in “Santa Margherita”, e quella di “San Dioniggi” in “San Dionisio”.

Quando veniva assegnato un nome insolito, c’era l’anarchia nella registrazione. Nel secondo decennio del XIX secolo nasceva la bambina P. Grisolia, col nome proprio ripreso da un comune della provincia di Cosenza. Allorché la stessa da adulta ebbe dei figli, costoro, a seconda dell’interpretazione dell’impiegato, furono registrati come nati da P. Grisolia, o Risolia, o Rosalia, o Rosa.

Riguardo alla natalità, il numero effettivo degli eventi era talvolta superiore a quello delle denunce, specialmente nei primi anni della Restaurazione.

Poteva capitare, specialmente per le coppie non sposate, che i bambini erano registrati dalle parrocchie in occasione del battesimo, ma non nello Stato Civile, e che la regolarizzazione avveniva anche a distanza di anni.

Emblematico è il caso di Giuseppe A., nato fuori dal matrimonio nel 1817, e battezzato dopo 4 giorni. Quando il bambino aveva quasi 11 anni, il padre, che nel frattempo aveva sposato la compagna, si decise a portare il figlio all’Anagrafe e a fare un “atto di ricognizione” alla presenza di due testimoni.

A proposito degli atti di ricognizione da parte dei padri, avvenivano talvolta quando un figlio, prossimo a sposarsi, andava a fare le pubblicazioni per il matrimonio, e si accorgeva di essere stato registrato alla nascita col cognome della madre. È il caso di Raffaele R., nato nel 1818, riconosciuto dal padre nel 1836, due settimane prima delle sue nozze. Non risulta che il padre abbia sposato la propria compagna.

Una ricognizione sconcertante è quella dei coniugi Nicola e Rachela che nel 1837 riconoscono come proprio figlio il ventiduenne Giovanni. Costui nel 1815 era stato invece registrato col nome di Luigi, nato in costanza di matrimonio dai coniugi Rosario e Lucrezia, naturalmente anche il cognome era differente. (!)

Matrimoni

I matrimoni avvenivano in età molto giovanile, spessissimo uno o entrambi i coniugi erano minorenni per cui occorreva il consenso dei genitori, o dei nonni se questi mancavano. Ricordiamo che l’uomo e la donna acquisivano la maggiore età, rispettivamente, a 25 e a 21 anni. Alcune giovani si accasavano anche sotto i 16 anni, come Angela S. sposatasi nel 1825 a 12 anni con un ventunenne, perciò entrambi minorenni.

Normalmente lo sposo aveva un’età superiore di 2-5 anni rispetto alla donna, ma esistono anche casi in cui è la moglie ad essere più grande. Un esempio è M. F., nato nel 1785 e più giovane di 25 anni della moglie P. A.; quando questa muore negli anni Quaranta del XIX secolo a 81 anni, lui cinquantaseienne si risposa, dopo solo 10 mesi, con la ventunenne F. M.: questa volta è lei ad essere molto più giovane, e di 45 anni; da queste seconde nozze nascono dei figli. Un altro caso limite si ha con la signora M. nata nel 1876, che ha sposato A. nato nel 1921, ossia 45 anni dopo; morti a distanza di 36 anni fra di loro, riposano ora insieme in un loculo doppio del cimitero.

La differenza d’età record è documentata nel 1904. Il vedovo D., negoziante di 70 anni, si risposa con una parente della moglie defunta: R. di 23 anni orfana di entrambi i genitori, e pertanto più giovane di lui di 47 anni. Probabilmente con le nozze si mirava a garantire una sicurezza patrimoniale alla giovane nullatenente, escludendo dall’eredità gli altri parenti.

Un altro dato che si riscontra è l’alta percentuale di nozze fra cugini di primo grado e in giovane età, il che fa concludere che fossero matrimoni combinati per assicurare un marito alle ragazze che, prive di istruzione e di un lavoro, non avevano altre prospettive che fare le casalinghe.

Nel periodo preunitario il matrimonio si svolgeva in due fasi.

La prima era piuttosto una promessa di matrimonio formalizzata. Al termine di una doppia pubblicazione delle future nozze, ciascuna di una settimana, i due nubendi, accompagnati da quattro testimoni e dai genitori, o da altri avi se questi mancavano, si recavano all’Ufficio dello Stato Civile. Qui facevano una dichiarazione solenne di promessa “di celebrare il matrimonio innanzi alla Chiesa, secondo le forme prescritte dal Sacro Concilio di Trento”, il che avveniva normalmente subito dopo.

In pratica, spesso per non fare attendere in chiesa il parroco e gli invitati, l’Ufficiale di Stato Civile si limitava a fare apporre le firme in calce al modulo prestampato di promessa ai quattro testimoni, in quanto gli sposi e i genitori erano normalmente analfabeti. Poi tutti si recavano in chiesa per il matrimonio religioso e un rinfresco.

Il funzionario del Comune completava la compilazione del modulo in un secondo tempo o il giorno dopo, commettendo spesso degli errori, generalmente nello scrivere i nomi dei partecipanti all’atto.

Doveva avere la memoria corta pertanto il funzionario che nel 1813 trascrisse a posteriori la promessa di matrimonio tra Vincenzo I. di Giovanni e la sua futura sposa Lionora P. Il nubendo è diventato nell’atto Francesco I. di Giovanni. Ancora più gravi le inesattezze in sede di compilazione dell’indice a fine registro al termine dell’anno. Risulta:

“Francesco I. di Andrea promesso ad A.T”, anziché:

“Vincenzo I. di Giovanni promesso a Lionora P.”.

A proposito, A.T. era il nome della madre di Vincenzo-Francesco. Praticamente il figlio avrebbe sposato sua madre.

Una situazione analoga si è ripetuta nel 1819. L’Ufficiale dello Stato Civile aveva scritto a marzo sul modulo soltanto i nomi dello sposo e dei suoi genitori, omettendo quello della nubenda: probabilmente se ne era dimenticato il nome. Quando a fine anno è stato compilato l’indice a fine registro, l’impiegato, leggendo velocemente e senza riflettere l’atto incompleto, ha indicato nuovamente come sposa il nome della madre di lui.

Un bontempone direbbe che nell’allora Comune di Cotrone si era legalizzato l’incesto!

Non sempre le nozze religiose erano immediate dopo la promessa di matrimonio. Trascorrevano a volte alcuni giorni, eccezionalmente alcuni mesi come in un caso del 1828: promessa a febbraio e nozze a ottobre a oltre 8 mesi e mezzo di distanza; evidentemente i due fidanzati avevano qualche perplessità sul grande passo.

Data l’alta mortalità dell’epoca era frequente il caso di seconde e terze nozze.

Normalmente, quando un coniuge moriva, i parenti del superstite si attivavano per trovargli un nuovo sposo o sposa, specialmente in tutela dei figli orfani. Spesso si trovava il sostituto nella stessa famiglia. Così nel 1835 Luigi, rimasto vedovo, si risposa con una propria nipote, figlia di suo fratello. Se la ricerca in famiglia risultava vana, si creava un passaparola per trovare un nuovo coniuge, superando anche i limiti territoriali del comune. Così la vedova Angela nel 1846 si risposa con un cosentino; la vedova Maria nel 1861 ha per secondo marito un celibe di Satriano (CZ); Ciro da Vico Equense (NA), vedovo di una tarantina, si risposa nel 1865 con una crotonese; ecc.

Alla morte del marito, la vedova doveva rispettare il periodo di 300 giorni del lutto vedovile per risposarsi. Al contrario, in caso del decesso della donna, il vedovo poteva contrarre il nuovo matrimonio senza limiti temporali. Si hanno casi estremi di nuove nozze affrettate. Nella seconda decade del XIX secolo Michele restava vedovo il 30 maggio. Il 23 luglio, meno di due mesi dopo, si presentava con Laura all’Ufficio di Stato Civile, portando tutta la documentazione necessaria per le pubblicazioni del nuovo matrimonio, che avvenne il 22 agosto.

Mortalità

Nel quadriennio considerato, come nel resto del secolo, la mortalità era abbastanza elevata. Per averne un’idea, basti pensare che al censimento del 1861 furono conteggiati 7168 abitanti a Crotone, le nascite furono 239 e i decessi 268. Questi ultimi erano pertanto superiori alle nascite, e incidevano per il 3,74% della popolazione. Anche nel 1862 i morti (242) superavano i nati vivi (216), mentre l’inversione di tendenza inizierà nel 1863.

La mortalità era in realtà ancora superiore, in quanto vanno considerati anche gli aborti, registrati separatamente all’Anagrafe: 15 nel 1862, che incrementano il tasso di mortalità annuo al 3,95%, quasi il 4% della popolazione. Esaminando i soli casi dei nati morti, la percentuale di quelli illegittimi era del 26,67% (4 casi su 15), superiore alla media dei nati illegittimi che, si è visto era pari al 15,74% sempre per lo stesso anno.

Per il 1862 la vita media era all’incirca di 25 anni e 5 mesi e 20 giorni.

La probabilità di morte entro il primo anno di vita superava il 28%, e il 48% dei nati non sopravviveva oltre i 10 anni (104 bambini morti sui 216 nati del 1862). Vale a dire: un bambino su due non arrivava alla pubertà. Meno del 10% dei nati arrivava ai 60 anni d’età. Erano pochissimi coloro che superavano gli 80, e i casi di ultranovantenni si contano sulla punta delle dita. Praticamente inesistenti gli ultracentenari.

Tra i Crotonesi più longevi del secolo XIX citiamo:

– Filippello Teresa, vedova di Adamo Giuseppe, deceduta il 29 settembre 1844 a 95 anni;

– Fratto Faustina nata a Chiaravalle Centrale (CZ), morta il 19 febbraio 1836 a 96 anni;

– Misoraca Luigi, campagnolo e vedovo di Lumari Elisabetta, morto il 30 dicembre 1842 a 96 anni;

– Errighi Serafina, celibe, decesso dell’11 febbraio 1848 anche lei a 96 anni;

– Lamanna Elisabetta, vedova di Arabia Nicola, morta il 16 agosto 1848 sempre a 96 anni;

– Citino Paolo, vedovo di Milito Teresa, pescatore, morto il 28 novembre 1819 a 97 anni;

– Bonanno Tomaso, marito di Petruzzi Anna, bettoliere deceduto il 7/11/1833, anche lui a 97 anni;

– Lumare Caterina, vedova di Bruno Pietro, spirata il 1° novembre 1872 a 98 anni;

– Mascianza Isabella, vedova di Francesco Branco. Il 13 novembre 1839 la signora moriva alla venerabile età di 102 anni, un vero record: oggi l’equivalente di 120 anni. Probabilmente erano deceduti anche i figli oltre al marito, e nessuno si ricordava chi fossero i suoi genitori. L’impiegato dell’anagrafe scriveva sconsolato, nel modulo dell’atto di morte n. 180 compilato lo stesso giorno: “nata a: Crotone, domiciliata a: Crotone, figlia di: non si sa”.

Riguardo alla variazione della mortalità nella prima metà del XIX secolo, emerge che normalmente i decessi si attestavano sotto le 200 unità annue. Vi sono degli scostamenti e delle punte in alcuni anni dovuti ad epidemie, disastri ambientali o eventi bellici.

I periodi interessati dagli incrementi, con il numero dei morti in parentesi, sono:

1810 (212)/1811 (272)/1812 (223) – 1829 (224)/1830 (239) – 1844 (218)/1845 (210) – 1848 (297).

Approfondendo l’esame del biennio 1844/1845, un morbo locale deve avere funestato la città, in quanto non è documentato a livello nazionale: i morti sono incrementati dai 165 del 1843 ai 218 del 1844 e ai 210 del 1845.

Dopo avere interessato la popolazione civile, il virus è entrato nel 1845, quando l’epidemia cominciava a perdere colpi, anche nel Real Castello, con una coda nel biennio successivo. Vi era di stanza la 1a Compagnia del 1° Battaglione “Reali Veterani” con militari prevenienti da altre regioni italiane e soprattutto dall’estero, in particolare Svizzera e Francia. Ad agosto del 1845 il primo caso: Gullo Serafino di Avellino morto l’11 agosto. Tra agosto e dicembre 1845 si annoverano 10 decessi; nel 1846 5 decessi; nel 1847 4 decessi, per un totale di 19. Le vittime avevano un’età compresa tra 32 e 58 anni, salvo due casi limiti di 26 e 76 anni. Solo 4 decessi avvennero nel Real Castello: gli altri 15 nello “Spedale Civile” a seguito di ricovero. La composizione era di: 14 soldati Veterani, 4 caporali e 1 sergente. Erano tutti celibi.

Il morbo aveva risparmiato gli ufficiali, ma non le loro famiglie che vivevano nel castello. Verso la fine del contagio, a dicembre 1846 e a gennaio 1847 morirono due fratellini di 7 anni e di pochi giorni, figli di un ufficiale; poi a maggio 1847 fu la volta di Casimira di pochi giorni, figlia di un altro ufficiale. I tre bambini morirono tutti nel Real Castello. Un quarto decesso del 29 agosto 1847, Francesco di 17 anni figlio di un tenente, forse non è legato all’epidemia.

Curiosità ed errori

Due cuginetti nati a distanza di nove ore l’uno dall’altro e battezzati insieme nella stessa parrocchia.

– 19/9/1862 – l’ostetrica Maria Salatino denuncia la nascita di Vincenzo Matteo, nato da Caterina Carnovale e Giuseppe Matteo il 17/9/1863 alle ore 13; il battesimo è officiato dal parroco gerente Alfonso Cavaliere il 20 successivo (Atto 155);

– 19/9/1862 – di nuovo Maria Salatino denuncia la nascita di Giuseppe Adamo, nato da Barbara Carnovale e Cosimo Adamo il 17/9/1863 alle ore 22; il battesimo è officiato dal parroco gerente Alfonso Cavaliere il 20 successivo (Atto 156).

Un caso ancora più estremo. Altri due cuginetti nati lo stesso giorno e alla stessa ora, e battezzati entrambi nel medesimo giorno ma in parrocchie diverse.

– 24/9/1857 – Puglise Gregorio, bettoliere di anni 46, dichiara la nascita del figlio Raffaele avvenuta alle tre di notte del 23 settembre nella sua abitazione in parrocchia Santa Margherita. Battesimo somministrato giorno 24 (Atto 150).

– 24/9/1857 – Puglise Dionisio, muratore di anni 30, dichiara la nascita del figlio Giovanni avvenuta alle tre di notte del 23 settembre nella sua abitazione in parrocchia San Pietro. Battesimo somministrato giorno 24 (Atto 151).

Il caso limite è di due bambini omonimi Nunziato D., nati lo stesso anno, da due padri anch’essi omonimi fra loro (Giovanni D.). I due piccoli, cresciuti, facevano entrambi i campagnoli, e morirono a soli 21 anni di età nel 1831, il primo a marzo e l’altro a luglio. Avevano tutto uguale, anche la residenza in parrocchia “San Dioniggi”, fuorché: il nome della madre, il giorno e il mese di nascita.

Comunque, se all’epoca fosse stato in vigore il Codice Fiscale, sarebbe stato differente per i due, divergendo giorno e mese di nascita. Non così per i due neonati omonimi Vincenzo Gerace, non parenti stretti fra di loro, nati entrambi il 19 febbraio 1825 da genitori diversi. Il loro Codice Fiscale ufficiale sarebbe stato lo stesso, salvo che per l’ultima lettera, quella di controllo. Ma i vari programmi di calcolo automatico del Codice, non sapendo dell’omonimia completa, avrebbero assegnato ai due lo stesso codice.

Per tradizione consolidata, il figlio primogenito portava il nome del nonno paterno se maschio, o della nonna paterna se femmina. Poiché era altissima la probabilità che il primogenito morisse in tenera età, anche al bambino dello stesso sesso nato successivamente veniva riassegnato il medesimo nome, e ciò poteva ripetersi più volte. Si hanno pertanto, per la stessa famiglia, anche più figli registrati con lo stesso nome.

Si arriva al caso estremo di una coppia di genitori che ha avuto due figli con lo stesso nome nello stesso anno. Ai coniugi P. negli anni Trenta nasce un figlio l’8 gennaio, chiamato Salvatore e deceduto il successivo 23 febbraio. La signora P. resta nuovamente incinta e dà alla luce un altro bambino il 22 dicembre, cui viene dato nuovamente il nome di Salvatore: due figli con l’identico nome, coetanei e non gemelli.

Nel caso che un nome era particolarmente gradito, i genitori, oltre a darlo singolarmente, lo riassegnavano ad altri figli abbinandolo ad altri nomi. Si riscontra il caso limite del nome Saveria, con cui i genitori T. G. e L. F. nella prima metà dell’Ottocento hanno chiamato una figlia, confermandolo per altre quattro in abbinamento ad altri nomi; solo una ulteriore figlia, forse per “dimenticanza”, non si chiamava Saveria.

Questi accavallarsi degli stessi nomi, ricorrenti anche nella prole di parenti prossimi, costituiscono una grande difficoltà per chi vuole ricostruire genealogie per la prassi di non indicare la data di nascita, ma il nome del padre, e non sempre, negli atti di Stato civile.

Nelle registrazioni anagrafiche viene di solito indicata l’età, ma con molta approssimazione. Per le dichiarazioni di nascita può capitare che, in successive denunce di altri figli, il padre e la madre risultino “ringiovaniti”: la signora M. Guerrieri ha 30 anni nel 1821, 28 anni nel 1823, 24 anni nel 1825; la medesima, dopo essere ringiovanita, torna ad avere 28 e 30 anni nei parti del 1827 e del 1834!

Si riscontra, specialmente nei primi decenni del secolo XIX, un arrotondamento dell’età dei deceduti al decennio (50 – 60 – 70…), oppure al quinquennio (55 – 65 – 75…), segno che non si faceva alcun controllo dell’età effettiva, fidandosi dei dichiaranti, che tendevano a indicare un’età arrotondata. Per esempio, per i 68 deceduti nel 1828 con età superiore a 39 anni, si hanno: 29 soggetti morti con un’età arrotondata al decennio, 11 al quinquennio e altri 28 con altre età. La quantità di persone con un’età terminante per 0 o 5, era pertanto del 64% del totale dei deceduti, mentre sarebbe dovuta essere del 20%.

Poiché non bisogna fare affidamento alle età dichiarate, nelle ricerche anagrafiche i casi di omonimia vengono risolti spesso confrontando i coniugi. Purché non si abbiano casi estremi come i coniugi Carolei Giovanni e Riga Laura che abitavano a Crotone contemporaneamente a un’altra coppia con gli identici nomi e cognomi, e quasi coetanei fra di loro. I capifamiglia erano nati, l’uno nel 1853, l’altro nel 1856.

Ancora nella prima metà dell’Ottocento, si usava l’ora italica. Ossia il giorno iniziava al tramonto della giornata precedente, così come avveniva ai tempi della nascita di Cristo. Questo poteva creare lo sfasamento di un giorno rispetto al sistema attuale.

Il 31 dicembre 1851 “alle ore 16.00”, pertanto alle 8 del mattino, Francesco Tricoli, “marinaro” di anni. 32, dichiarava la nascita del figlio Antonino avvenuta lo stesso giorno “alle ore otto di notte”. In pratica il parto era avvenuto verso le 24 del 30 dicembre, ma per l’anagrafe il bambino risulta nato l’ultimo giorno dell’anno.

Nelle statistiche demografiche si nota che il mese di gennaio presenta solitamente un indice di natalità superiore a quella del precedente dicembre in quanto si tende a posticipare le dichiarazioni degli ultimi nati dell’anno al mese successivo. Ciò può comportare qualche vantaggio. I maschi venivano iscritti nelle liste delle leva obbligatoria dell’anno successivo, e perciò erano chiamati al servizio militare un anno più tardi. Per le donne c’era invece il vezzo di apparire più giovani di un anno calcolando l’età dall’anno di nascita.

Così, ad esempio, si nota che è nato un solo bambino nella settimana tra il 26 dicembre 1836 e il capodanno del 1837, mentre per il solo 2 gennaio 1837 vengono dichiarate ben tre nascite.

Un esempio di come la superficialità operativa degli addetti all’anagrafe possa creare variazioni nei cognomi, è la trasformazione da Puglise in Pugliese.

Il cognome Puglise, con la variante Puglisi, è molto comune potendo vantare una lunga tradizione nella città. Nel 1853 il bettoliere “Puglise” Gregorio di anni 42 [già citato sopra per la contemporanea nascita di un figlio e di un nipote] e la moglie Covello Carmela hanno un figlio registrato come Antonio “Puglise”. In quegli anni giunge a Crotone l’Usciere Regio Pugliese Giuseppe, che ha dalla moglie Teresa nel 1854 un figlio, dichiarato come Ferdinando “Pugliese”. È questa la prima volta che viene trascritto questo cognome negli atti di nascita cittadini. Il 4 febbraio 1855 il bettoliere Puglise ha un nuovo figlio e ne viene fatta la denuncia. Ma l’impiegato scrive, forse avendo in mente il nuovo personaggio arrivato in città, che da “Pugliese” Gregorio di anni 43 e da sua moglie è nato Francesco “Pugliese”. Così il bettoliere Pugliese si è ritrovato col cognome cambiato e patriarca di due generazioni diverse: Puglise e Pugliese.

Oramai “si è aperta la caccia al Pugliese”, parafrasando un vecchio film di Lino Banfi, ed il nuovo cognome tende a prendere il posto di quello storico. Così il mese dopo, il 7 marzo 1855, risulta agli atti che: Giovanni “Pugliese” dichiara che dal ventottenne Dionisio “Pugliese” è nato Nicola “Pugliese”. Invece, andando a verificare negli archivi, si può appurare che il padre si chiamava in realtà Dionisio “Puglise”, nato il 7 settembre 1826.

Per quanto riguarda il bettoliere Puglise, gli hanno restituito il suo cognome originario quando è andato a dichiarare la nascita del figlio Raffaele, avvenuta il 23 settembre 1857 in contemporanea con quella del nipote Giovanni, come si è visto. Ma fu breve gloria, presto tutti i “Puglise” diventarono “Pugliese” e del termine originale non vi era più traccia nei registri comunali di fine secolo.

Storia diversa per l’originale “Gustinello” diventato “Gostinello”, che è sopravvissuto in esemplari limitati, mentre una nuova variante “Agostinello” è stata soppiantata dal definitivo “Agostinelli”, ma non definitivamente. Negli ultimi anni del XIX secolo i due primi figli maschi del contadino Agostinelli G. ne hanno mantenuto il nuovo cognome, mentre nel secolo seguente le due femmine più piccole sono tornate ad essere “Agostinello”. “Gostinello” (già “Gustinello” nel catasto onciario del 1743) ha avuto una storia tormentata anche nelle trascrizioni negli indici di fine anno: “Castinello” nel 1816, “Tostinello” nel 1817, “Agostinilli” nel 1876.

A volte qualcuno si accorgeva dell’errore di registrazione, ma la rettifica non era a costo zero, in quanto occorreva rivolgersi ad un legale per istruire una pratica presso il Tribunale Civile di Catanzaro. Così all’atto di nascita n. 59 del 16 marzo 1878, relativo ad “Agostinelli” Giuseppe, veniva apposta un’annotazione della sentenza del 10 agosto 1878, che rettificava il cognome in “Gostinelli”. Un’altra sentenza del 1899 correggeva i cognomi Ferraro e Ferrara, apposti ai figli del sig. Ferrari, in quanto errati. Nello stesso anno si variava dall’errato Piperis a Piperissa, e nel 1897 da Gallucci a Galluccio.

Potevano trascorrere anche venti anni prima che si scoprisse l’errore: Francesco “Corigliano”, nato nel 1883, otteneva nel 2003 la modifica del cognome nell’originale “Crugliano”. Nella quasi totalità dei casi si accettava la variazione del cognome, in quanto diventava generalizzata anche per gli altri parenti.

Capitava anche di indicare il sesso errato. Nel solo 1899 ben tre sentenze stabilivano un sesso diverso da quello trascritto nell’atto di nascita.

Gli errori negli atti anagrafici aggiungono nuove difficoltà alle ricerche:

– il bambino R. Giuseppe, nato a fine agosto 1825, è riportato nell’atto di morte di tre giorni dopo come femmina: R. Giuseppa;

– il 7 settembre 1829 è registrata la morte a 2 anni di R. Giuseppa, di cui non risulta però la nascita nel 1827; probabilmente si tratta di R. Maria Concetta Virginia Giuseppa, nata ben 6 anni prima nel 1823, oppure di R. Margerita nata nel 1826: hanno tutte gli stessi genitori;

– nel 1830 a una bambina vengono dati 3 nomi: Antonia, Rosa Giuseppa. Otto mesi dopo ne è registrata la morte ma con un altro nome: Teresa. Considerando che i nomi dei genitori e il periodo di vita corrispondono, se ne è fatto l’abbinamento. Se il decesso fosse avvenuto a distanza di anni, sarebbe stato impossibile risalire alla sua vera identità date le approssimazioni con cui vengono indicate le età, le inesattezze nei nomi, le ripetizioni degli stessi nomi tra più fratelli.

– G. Giuseppe di Antonino, morto nel 1838, diventa nell’indice: G. Francesco di Antonio;

– sempre nel 1838, Esposito Antonio di anni 40, che ha acquisito il cognome di Sxxx dalla famiglia adottante, è tuttavia riportato nell’indice con un terzo cognome: Proietto Antonio;

– la neonata G. Antonia del 1842, al decesso avvenuto due mesi dopo, è registrata come G. Angela, che era il nome della madre;

– la figlia di G. Liberto, nata nel 1846, è trascritta col cognome di Libretto;

– Truncé Virginia nasce il 2 dicembre 1852. A fine mese viene registrata il decesso di Cecilia Manfreda dell’età di un mese. Approfondendo, le due bambine sono la stessa persona, Truncé Virginia. Per l’errore commesso, dai registri risulterebbe una persona nata e mai deceduta, ed una persona morta ma mai nata. Per inciso, Cecilia era il nome della nonna materna di Virginia, e Manfreda il cognome della sua bisnonna;

– nell’indice dei nati del 1864 i coniugi Squillace sono i genitori di Pietro. Se si consulta l’atto, risulta invece nata una bambina, Adele, e Pietro è invece il nome della loro parrocchia (San Pietro);

– a volte gli errori si sommano. La neonata L. M., nata dalla signora C. “Rosa” nel 1856, al decesso nel 1876 ad oltre “20 anni”, è riportata nell’atto di morte con l’età di “19 anni” e come figlia di C. “Veneranda”, che era invece il nome della sua parrocchia e non della madre.

E si potrebbe continuare con tanti casi simili.

Numerosi errori si riscontrano nelle lapidi, spesso per disattenzione degli addetti all’anagrafe, che forniscono alle imprese funebri dati di nascita inesatti dei defunti.

– Ad esempio, tra i loculi più antichi del cimitero di Crotone, quello di Giovanni D.L. contraddistinto col numero 33, porta come anno di nascita il 1847, mentre in realtà è nato l’anno precedente, giorno e mese sono esatti.

– Sempre nel cimitero storico, la cripta n. 317 reca come data di nascita di Lauretta T. 12 aprile 1896. Invece il mese è “marzo” e lei si chiamava Carmela, essendo Lauretta un nome d’affezione. È comunque esatto il nome del marito inciso sulla lastra.

– Nel settore dell’Immacolata, Francesca T. nata nel “1890”, è stata ringiovanita di un anno e reca sulla lapide “1891”, con giorno e mese corrispondenti.

– A volte sono le registrazioni di persone parenti fra di loro, a creare confusione, se lette frettolosamente. Nel 1834, a distanza di due mesi esatti, sono state dichiarate le nascite di due cuginetti:

1) 27/5/1834 – Giglio Luigi        di “Gaetano” e di Sinopoli Raffaela

2) 27/7/1834 – Giglio Antonia di “Antonio” e di Sinopoli Maria

Quando alla morte di Antonia sono stati presi i suoi dati di nascita, l’incaricato ha fatto confusione nella paternità delle due registrazioni. Per cui sulla lastra, tuttora presente nel settore storico del cimitero, è stato inciso erroneamente: “Giglio Antonia fu Gaetano, nata il 27/7/1834”.

– L’errore più ricorrente nelle lapidi è il giorno di nascita, successivo a quello reale. Ciò si spiega col fatto che la formula più antica dell’atto di nascita iniziava pressappoco così:

“Il giorno …. è comparso X. Y. che ci ha presentato un/una bambino/a, ed ha dichiarato essere nato/a il… da… e da…”

Quando avveniva un decesso, l’impiegato comunale forniva come data di nascita quella posta all’inizio dell’atto, ossia il giorno (posteriore) della dichiarazione, e non andava a cercare la data effettiva di nascita, trascritta all’interno dell’atto.

Un altro errore riscontrato, per fortuna di rado, è la confusione dei cognomi dei soggetti interessati, avvenuta durante la compilazione dell’indice. Ad esempio, nel 1818 la neonata Maria Pxxxxx, nata dalla madre nubile C. Pxxxxx, è riportata nell’indice come Maria Sxxxxxxx, ossia col cognome della signora che ne ha fatto la dichiarazione di nascita. Si è creduto che Sxxxxxxx fosse il cognome del padre. Questa bambina risulterà pertanto sconosciuta all’anagrafe, in caso di successive ricerche, salvo che qualche impiegato scrupoloso si armi di pazienza per sfogliarsi tutti gli atti di nascita dell’anno interessato, sempre che questo fosse ricordato esattamente.

Si rileva anche un caso di una registrazione precisa, ma che poi è stata modificata rendendo il nominativo introvabile. Nel 1834 veniva compilato l’atto di nascita di T. Galluccio di Vincenzo, e riportato nell’indice a fine anno quasi esattamente, con la sola paternità errata (di Dionisio). Qualcuno ha poi corretto il cognome in “Tallarico”, che all’epoca aveva una grafia quasi identica, rendendo pertanto vana un’eventuale ricerca sul predetto soggetto che, da T. Galluccio di Vincenzo, è diventato T. Tallarico di Dionisio.

C’è chi è registrato con tre cognomi contrastanti.

Vincenzo “Trigano” figlio di Giovanni, dichiarato il 7 maggio 1837, cambia ben due volte il proprio cognome e una volta il nome della madre già alla nascita. Abbiamo le varianti:

Vincenzo “Trigano” figlio di Giovanni e di Gaet.a Lamana, nell’atto di nascita;

Vincenzo “Tricoli”  figlio di Giovanni e di Cat.a Lamanna, nell’indice;

Vincenzo “Varano”, nell’annotazione dell’avvenuto battesimo.

Per inciso, i dati corretti sono: Vincenzo Tricoli di Giovanni e Gaetana Lamanna.

Intere famiglie si sono ritrovate con i cognomi storpiati.

Nel 1839 ai coniugi Carrapetta Francesco e Tancrè Domenica è nata una bambina, per i cui adempimenti anagrafici se ne occupa l’ostetrica, come si usava all’epoca. Costei dichiara la nascita di Caterina, figlia di Calabretta Francesco e di Tancredi Domenica, variandone così i cognomi di entrambi i genitori. Quando la bambina diventa adulta, si sposa ed ha dei figli, nei relativi atti anagrafici ritorna ad essere Carrapetta, a volte con altre variazioni: Carrabetta e Carabetta.

Stessa sorte per sua sorella: Francesca Carrapetta, il marito R. Cusano e la nuora C. Corramo; nel tempo diventano: Francesca Calabretta o Carrabetta, R. Cusato e C. Corrado.

Infine una curiosità. Il sig. Vincenzo G., morto a 43 anni, ha avuto 6 figli: il primogenito e gli ultimi tre, li ha dichiarati come nati da Beatrice C., il secondo nato da Francesca C., e il terzo nato da Cecilia C. Il cognome e le età delle tre donne corrispondevano fra di loro, per cui sembrerebbe che Vincenzo nella sua breve vita abbia avuto un harem, costituito da tre sorelle gemelle, nate all’incirca nel 1805! Poiché per tale annata non esistono i registri di nascita, solo i registri ecclesiastici (in via di consultazione) potranno fare chiarezza se sia stata battezzata un’unica bambina con tre nomi, che il marito usava alternativamente a suo piacimento quando dichiarava le nascite dei figli!

Negli anni della restaurazione il numero dei morti è in linea di massima costante, anche se ci sono a volte consistenti scostamenti da un anno all’altro. Un balzo si rileva, però, nel 1848: da 188 a 297. Nel decennio precedente si andava da un minimo di 136 a un massimo di 219, con una media annua di 179,5. La causa forse risale a un’epidemia di colera sviluppatasi in Francia nel 1847, ed estesasi al Nord Italia. Il Regno di Napoli ne fu toccato in misura ridotta. Conseguentemente nell’anno successivo, il 1849, le nascite calarono da 226 a 206. I decessi nel 1849 ritornarono ai livelli ordinari: 197.

Alcune curiosità.

Nel trascrivere i numeri, dopo il sedici si usava elencare: diecisette, dieciotto, diecinove.

Gli ultimi 4 mesi erano indicati con le cifre, ma in modo diverso da oggi. Settembre, ottobre, novembre e dicembre erano abbreviati in 7mbre, 8bre, 9mbre, Xmbre. Ad esempio, la data “19/11/1812” sarebbe stata scritta: “diecinove 9mbre 1812”.

In tema di date, si usavano alcune espressioni consolidate: “nel dì primo andante” significava “il giorno 1 del mese corrente”, il 29 “spirante” si riferiva al corrente mese giunto al termine, e “il ceduto anno” stava per “l’anno scorso”.

Tra i nomi curiosi, quello dato a una neonata: “Bambina Grazia Achiropita”, con riferimento al culto di Maria Santissima Achiropita di Rossano (CS).

Un’altra bambina si chiamava “Bertuccia Fortunata”, e una sua ascendente “Bertuccia Rosa”.

Una coppia di sposi, forse dediti alla floricoltura, erano i coniugi Splendente-Giardino.

Un’attrazione fatale portò al matrimonio nel 1812 i signori Giardino e Foresta.

Sempre in campo agricolo: una Fragola in Serra, nozze nel 1859 tra Serra e Fragola.

Una coppia mista tra i primati: gli sposi Bertuccia-Mondrillo all’inizio del 1700.

Non potevano mancare fenomeni di nomen omen. Tra i militari dimoranti nel Regio Castello di Crotone annoveriamo: G. Guerriero (duce del Reggimento Wallonum Antuersia per gli anni 1784-1788), G. Battaglia (sergente della Seconda Legione Calabria nel 1801), G. Vigilanza (milite nel 1807).

Riguardo alla ripartizione amministrativa della città, dal 1866 non si utilizzarono più le “parrocchie”, ma vennero introdotte le “contrade”, circa una settantina, un cui elenco non esaustivo è riportato nella terza appendice. Le contrade hanno per nome, in linea di massima, quello delle strade e delle piazze oppure delle vecchie parrocchie. Come luoghi di ubicazione c’erano, inoltre, i Fondi, le Vigne e gli Orti in capo ai loro proprietari, per esempio: Fondo Carpentieri del barone Galluccio, Fondo Cipriani del barone Galluccio, Fondo Bucchi di Zurlo Giuseppe, Fondo Ponte di Francesco Albani, Orto dei signori Bianchi, Orto San Francesco del Marchese Lucifero, Vigna di Cantafaro Nicola, Vigna di Giglio Domenico, Vigna dei signori Morelli.

Nell’anno 1871 le case e i negozi dell’allora Cotrone vennero numerati. Si adottò un’unica numerazione per tutta la città che comprendeva oltre 1200 unità immobiliari. Si partiva dall’allora Palazzo Municipale, oggi sede della Casa della Cultura, nei pressi della Chiesa dell’Immacolata. I numeri civici più bassi erano infatti in contrada Immacolata, poi crescevano nei numerosi vicoli del Centro Storico, quindi risalivano Strada del Risorgimento, dove si è rilevato il n. 1110, giungendo in Piazza Castello. La numerazione proseguiva allora nella Discesa Fosso per terminare in contrada Giunti, dove esiste ancora l’omonimo palazzo storico, e dove è stato rilevato il numero più alto: 1223. Tuttavia l’esperimento non ebbe successo, e l’uso di riportare i numeri civici nei registri anagrafici venne abbandonato un paio d’anni dopo.

APPENDICE I

Elenco dei cognomi (leggibili) nei registri dello Stato Civile del comune di Crotone, per gli anni 1861-1864

Abate – Adamo – Agostinelli – Albano – Alfì – Aloja – Ambrosio – Ammirata – Amoruso – Anania – Apicella – Arabia – Arcuri – Arena – Assisi – Astariti – Astorelli – Asturi – Attanasio – Aura – Avarelli – Bagnati – Barberio – Barone – Barreca – Bartoli – Basile – Basta – Berlingieri – Bernardo – Bertuccia – Bianchi – Bianco – Bianconi – Bilotta – Biondi – Birelli – Bisceglia – Borrello – Bossi – Bozza – Bozzi – Brescia – Bruno – Buccarelli – Buccinà – Burza – Busciema – Caivano – Calabretta – Calagiuri – Caloiero – Calvo – Camariere – Campagna – Camposano – Cannalonga – Cannoniere – Cantafaro – Capocchiani – Capuano – Caridi – Carnè – Carnovale – Carnucci – Carrabetta – Carramo – Carraro – Carrero – Carriero – Caruso – Carvello – Casco – Castelliti – Castorino – Catanzaro – Cavaliere – Cavarretta – Celico – Cerrelli – Chiappetta – Cicco – Ciliberto – Cimino – Clemente – Colurcio – Comito – Como – Condello – Congi – Corrado – Corramo – Cortese – Cosco – Cosentino – Costantino – Costanzo – Costanza – Covelli – Cozza – Criniti – Criserà – Critella – Crocco – Crosco – Crugliano – Cufari – Cugliandola – Cundò – Cusato – Cutruzzolà – D’Amelio – D’Amico – Dardano – De Cicco – De Filippis – De Fino – De Franco – De Gennaro – De Lorenzo – De Luca – De Maio – De Marco – De Miglio – De Rossi – De Simone – De Sole – De Stengo – De Vennera – Di Perri – Di Pietro – Di Siena – Di Sole – Dianò – Dima – Di Vino – Dominianni – D’Oppido – Doria – Duranto – Elia – Esposito – Facente – Fabiano – Fanele – Faniolo – Fantasia – Faraudo – Farina – Farinello – Fedele – Federico – Ferraiolo – Ferrante – Ferrara – Ferrari – Ferrero – Ferrotti – Fico – Filippelli – Filomarino – Finizia – Fiore – Fonte – Foresta – Foti – Fragola – Franco – Franzè – Frijo – Frisenda – Frontiera – Fugino – Funaro – Fusto – Galeo – Gallo – Galluccio – Ganguzza – Gareri – Garzieri – Gatto – Gentile – Gerace – Gerardo – Geremicca – Germano – Giacobbe – Giambrone – Giannoccari – Giaquinta – Giardino – Giglio – Giorno – Giuliano – Giungato – Godano – Gostinello – Gotta – Grande – Grandinetti – Grassi – Greco – Grillo – Grisi – Gualtieri – Guarascio – Guarino – Guerriero – Gugliotta – Gullì – Gullo – Gulotta – Guzzo – Ianele – Ianni – Iannice – Iannicelli – Ielo – Ierardi – Infusino – Innaro – Ioele – Iorno – Iritale – Iuda – Iuzzolino – Labonia – Lacamera – Laino – Larocca – Laudari – Laurenzano – Lazzaro – Lechiare – Le Pera – Lepera – Leto – Levato – Liardo – Liberto – Libonati – Liguori – Liotta – Livadoti – Lofrè – Lomonaco – Longo – Lopezzo – Lopiccolo – Lorenzo – Lucente – Lucifero – Lupo – Lumare – Lusanna – Luzzarino – Luzzaro – Macrì – Maddalena – Madia – Maiorano – Majocco – Malena – Mamone – Manfreda – Mangano – Manica – Mano – Marano –  Marcianò – Marino – Marrazzo – Marrelli – Martino – Marullo – Marzano – Masia – Matteo – Maugeri – Mauro – Mazzante – Mazzotta – Mele – Mellino – Menzà – Menzano – Messina – Mesuraca – Michelizzi – Miele – Milano – Milelli – Minicò – Mirenda – Misiano – Mistretta – Molinaro – Monaco – Montalcino – Monte – Montefusco – Monti – Morelli – Morghese – Morrone – Mungari – Murano – Murgieri – Muti – Muscò – Musso – Napoleone – Napolitano – Natale – Nicolazzo – Nicoletta – Nicotera – Nobile – Novero – Oliverio – Pace – Paglia – Pagliarone – Palermo – Palmieri – Palopoli – Palucci – Pandolfo – Pantisano – Pantusa – Papaleo – Papia – Parisatti – Pascale – Pasqua – Patanè – Patania -Paternostro – Patrone – Pattinzi – Paturzo – Periotti – Perna – Petitto – Petrolillo – Petrona – Petruzzi – Perziano – Pica – Pignatelli – Pignolo – Pilato – Piperis – Pipita – Pirelli – Pirillo – Pirozzi – Pirrone – Pisani – Pitascio – Piterà – Piumati – Pollinzi – Ponticelli – Precone – Prestinici – Previte – Pristerà – Pucci – Pugliese – Puglise – Pullace – Punturieri – Punzo – Pupa – Putrone – Racco – Raimondi – Ranieri – Reale – Riccelli – Ricciardo – Riga – Riganello – Riggio – Rinelli – Rinio – Riolo – Ristagno – Rizzo – Rizzuto – Rocca – Rocco – Romano – Romito – Rossi – Rubino – Ruffo – Ruggiero – Russo – Sabia – Salatino – Salerno – Salviati – Santacroce – Santoro – Saragò – Scaccianoce – Scalera – Scalise – Scamarcio – Scandale – Scaramuzza – Scarriglia – Scerra – Schiavo – Schipani – Scicchitano – Scida – Scigliano – Sculco – Senato – Senatore – Serra – Sgrizzi -Sibilla – Siciliano – Simone – Siniscalchi – Sinopoli – Soda – Sollazzo – Sorgiovanni – Sorrentino – Spanò – Spadaro – Sperandeo – Spinelli – Squillace – Stabile – Stigliano – Stirparo – Stricagnolo – Sulla – Suriani – Talamo – Talarico – Tancrè -Tancredi – Teodoro – Teti – Timpa – Torchia – Torromino – Tricoli – Tronfio – Trotta – Truglio – Turano – Umbrello – Vaccaro – Valle – Vallies – Vallinzi – Varano – Vatrella – Veronica – Vetrano – Viola – Virelli – Visco – Viscomo – Volante -Vrenna – Zampino – Zannino – Zelante – Zito – Zizza – Zurlo (481 cognomi chiari, oltre ad una trentina poco comprensibili).

APPENDICE II

Elenco non esaustivo dei cognomi con variazioni di grafia, relativi agli abitanti del XIX secolo nel comune di Crotone

Albano e Albani – Aloja e Alosa – Amoroso, Amoruso e Ameruso – Anania e Nania – Arcure e Arcuri – Ardurino e Arduino – Ariganello e Riganello – Astariti, Asteriti e Astoriti – Belluccia, Bettuccia, Bertuccia e Bertucci – Borrelli e Borrello – Bozzi, Bozza e Bossi – Brindesi e Brindisi – Calagiuri, Calaciuri, Caleggiuri e Caligiuri – Camariere, Camerieri e Cammariere – Camposano e Camposani – Carrabetta, Carrapetta e Calabretta – Cantafaro e Cantafora – Caroleo e Carolei – Carrao e Carraro – Cavaretti e Cavaretta – Carrero e Carriero – Cirrilli, Cirrelli e Cerrelli – Ciccu, Cicco e De Cicco – Colurcio e Coluccio – Crugliano, Curigliano e Corigliano – Corrao, Corramo e Corrado – Cosco, Crosco e Crocco – Cosentino e Cosentini – Costantino e Castantino – Cotuzzolà, Cotruzzolà e Cutruzzolà – Covello e Covelli – Curtise, Curtese, Cortise e Cortese – Di Rafele e De Raffaele – Cufuci e Cufari – Cusano e Cusato – De Amico, Di Amico, Damico e D’Amico – De Lina e De Luna – Della Cammera, Lacammera e  Lacamera – De Sole e Di Sole – De Stengo e D’Estengo – De Zezza, Zizzo e Zizza – Di Sena e Di Siena – D’Oppido e Oppido – Dorio e Doria – Facenda e Facente – Facino e Farina – Faraudo, Faraudi, Farando e Faraldi – Ferrara e Ferrari – Filippelli e Filippello – Fonte e Fonti – Frijo e Friio – Frisenda e Fresenda – Gallo e Golla – Gallucci e Galluccio – Garari, Garace, Gerace e Ierace – Gennaro, De Gennaro e Di Gennaro – Gerardo, Gerardi, Erardo e Ierardi – Geremicco e Geremicca – Giannoccari e Giannoccheri – Giliberti e Ciliberto – Giuda e Juda – Godino e Godano – Gustinello, Gostinello, Gostinelli, Agostinello e Agostinelli – Greco e Grechi – Guarasci e Guarascio – Guerriero e Guerrieri – Gugliotta, Gullotta e Gulotta – Iaquinto, Giaquinto e Giaquinta – Iditale e Iritale – Ieli e Ielo – Iorno, Jorno e Giorno – Iozzolino e Iuzzolino – Iuncato e Giungato – Jesummaria e Lasummaria – La Rocca e Larocca – Lazzaro e Luzzaro – Le Pera e Lepera – Levadoti e Livadoti – Liardo, Leardo e Leardi – Liberto e Libretto – Lieto e Leto – Lofrè, Lufrè e Loprè – Lo Gatto e Gatto – Lo Mare, Lomare, Lomoro e Lumare – Lopes, Lopez e Lopezzo – Lupo e Lupò – Macrino, Macry e Macrì – Majoranno e Maiorano – Manfreda e Manfredi – Manica e Manna – Mano e Manno – Marello, Marullo e Marulli – Massina e Messina – Maugeri, Murgeri e Murgieri – Mezzà, Menzà, Mezzano e Menzano – Millino e Mellino – Misuraca, Mesoraca e Mesuraca – Montalcini e Montalcino – Monte e Monti – Marano e Murano – Morelli e Morello – Napolitano, Napolitana e Napoletano – Nicoletta, Niccoletta e Nicoletti – Nucita, La Nucita e Lanucita – Oliverio e Oliveri – Paluccio e Palucci – Parisotti e Parisatti – Putruno, Putrone, Potrone, Patrone e Petrone – Paturzo e Patuzzo – Peperis, Piperis, Piperista e Piperissa – Perri e Di Perri – Petruzzo e Petruzzi – Pignanello e Pignanelli – Piomati e Piumati – Pitasci e Pitascio – Pollinzi e Pullinzi – Prontera, Frontera e Frontiera – Puglise, Puglisi e Pugliese – Pullà e Pullace – Rabbia, Arabbia e Arabia – Raimondi e Raimondo – Riccelli e Rinelli – Riggi, Riggio e Riccio – Racco, Rocca e Rocco – Rugiero e Ruggiero – Sabbia e Sabia – Sangiovanni e Sorgiovanni – Scaramuzza e Scaramuzzi – Scavo e Schiavo – Scerra e Serra – Schipani e Schipano – Scida e Soda – Senatore, Serratore e Sinatora – Sibbilla e Sibilla – Spadaro e Spataro – Spinelli e Spinello – Tancrè, Tancredi, Tranchè e Truncè – Tessone e Tassone – Tete e Teti – Timpa e Timpo – Torchia e Porchia – Truglio e La Truglia – Valle e Vallo – Vallias e Vallies – Venincasa e Benincasa – Verardi e Berardi – Vetrano e Vitrano.

APPENDICE III

Elenco non esaustivo delle contrade del comune di Crotone negli anni dopo l’Unità d’Italia

c. Aragona – c. Cammariere – c. Campione – c. Cannoniere – c. Cantafaro – c. Cantorato – c. Capocchioni – c. Capocolonna – c. Cappuccini – c. Castello – c. Cavaliere – c. Cavour – c. Chianche – c. Concordia – c. Conigliera – c. Copacchiani – c. Cutetto – c. Demeo – c. De Vennera – c. Ducarne – c. (Piazza del) Duomo – c. Farina – c. Garibaldi – c. Garzieri – c. Giglio – c. Giunti – c. Grimaldi – c. Iannello – c. Iuzzolini – c. Largo Immacolata – c. Lampos – c. Lettieri – c. Lucente – c. (Francesco Antonio) Lucifero – c. Magliarello – c. Manfreda – c. Marcianò – c. Marina del Porto – c. Marina Vicina – c. Morelli – c. (Piazza della) Neve – c. Salita Orefici – c. Orfanelli – c. Orfanotrofio – c. Ospedale – c. Piazza Lorda – c. Pitagora – c. Pizzicagnoli – c. Podano – c. Poggioreale – c. Pollinia – c. (Strada) Principe Umberto – c. (Strada) Risorgimento – c. Sant’Angelo – c. Santa Chiara – c. San Giuseppe – c. San Leonardo – c. Santa Margherita – c. Santa Maria – c. San Pietro – c. Santissimo Salvatore – c. Santa Veneranda – c. Savelli – c. Scaramuzza – c. Sculco – c. Seminario Vecchio – c. Stazione – c. (Strada Giuseppe) Suriano – c. Vatrella – c. Vescovato – c. Vigna nuova – c. Villa Galluccio – c. (Piazza Bartolo) Villaroja – c. (Piazzetta) Vittoria – c. (Corso) Vittorio Emanuele – c. (Largo) Vittorio Emanuele – c. (Discesa) Zeusi – c. Zurlo

APPENDICE IV

Fac-simile del modulo (“notamento”) utilizzato per le segnalazioni al parroco per il battesimo negli anni 1861-1864

Numero di ordine …..

L’ufficiale dello Stato civile del comune di

certifica, che quest’oggi sottoscritto giorno gli è stato pre-

sentato da …………………………………………….. un… bambin…

ed ha dichiarato di esser nat… da

……………………………………………………………. domiciliati

a ……………………………………………………… nel giorno

del mese di …………….. anno 186… ……….. ad ore

a cui nel registrarsi l’atto se gli è imposto il nome

In conseguenza l’abbiamo inviato al Parroco della

Parrocchia di …………………………… per essere battez-

zato secondo il Rito della Santa Romana Chiesa Cattolica.

Fatto a ………. il dì

Firma dell’ufficiale dello Stato civile

Attesto io qui sottoscritto Parroco della parrocchia di

………………… che …l… suddett… bambin…  è stat… da

me battezzat… quest’oggi lì ………………

Firma del Parroco

Note


[i] I registri sono visualizzabili al sito web https://antenati.cultura.gov.it/search-registry/?localita=Crotone

[ii] Un esame dettagliato del catasto onciario è stato pregevolmente effettuato da Giuseppe Tallarico, CROTONE nella lettura settecentesca del catasto onciario del 1743, ed è presente in Internet al sito web https://www.archiviostoricocrotone.it/sito/wp-content/uploads/2019/09/CROTONE-nella-lettura-settecentesca-del-catasto-onciario-del-1743.pdf, URL consultato il 15/6/2021

[iii] Archivio Arcivescovile di Crotone, Libri renatorum delle parrocchie di Crotone

[iv] Archivio Arcivescovile di Crotone, Liber renatorum della parrocchia del SS. Salvatore, cart. 13, vol. III

[v] Pietro Pontieri, Un sentiero tra gli stemmi : Storia dei vescovi di Crotone durante il Regno delle Due Sicilie dal 1723 al 1860, Volume III, D’Ettoris Editori, Crotone 2019

[vi] Pietro Pontieri, Un sentiero tra gli stemmi : Storia dei vescovi di Crotone dall’unità d’Italia ai giorni nostri, Volume IV, D’Ettoris Editori, Crotone 2020


Creato il 25 Settembre 2023. Ultima modifica: 20 Ottobre 2023.

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