Rosito in territorio di Cutro da luogo a borgo

Cutro (KR), Rosito.

Il territorio di Rosito, o Roseto, confinava con i territori di Santo Stefano, e Santo Infantino, e con le gabelle “Li Monaci” e “Frasso”. Esso era attraversato da importanti vie: “declivi Cutri – ad scalam Roseti – declivi Roseti – Santa Maria (1220); “terras de Oricella – viam de Rusito – ad planum Rusiti – Scala Rocella (1217); Finem Insulae – ad Scalam Ruseti – ad puteum de Frache (1224), ed anticamente era situato in diocesi di Isola.

In evidenza le località “Fronte di Roseto”, “C.o Rosito”, “Bosco Rosito”, “R. Rositello” e “C. Rositello”. Particolare del F. 243-IV “Isola di Capo Rizzuto”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

 

La chiesa di Santa Rosalia

La chiesa di Santa Rosalia, la “via de Rusito”, il “Planum Rusiti”, la “Scalam Rusiti”, il “tenimentum de Rosito” ed il bosco di Rosito, sono già presenti nei documenti di età normanno-sveva. L’abbazia cistercense della Sambucina, alla quale si aggregò poi quella di Sant’Angelo del Frigillo, esercitava il libero pascolo nel tenimento di Sancta Rosalia fin dal tempo dei Normanni.

Nel 1194 il re di Sicilia Guglielmo II su supplica di Luca, abbate di Santa Maria della Sambucina, confermava al monastero il libero pascolo in diocesi di Isola, del quale beneficiava fin dai tempi antichi.[i] Segue due anni dopo (maggio 1196) la conferma allo stesso abbate, da parte dell’imperatrice Costanza, del libero pascolo per gli animali del monastero, goduto fin dai tempi dei re normanni, nella tenuta di “Sanctae Rosaliae apud Insulam Cotronis”.[ii] Nel dicembre 1197 Costanza, imperatrice e regina di Sicilia, confermava i possessi dell’abbazia della Sambucina, tra i quali il tenimento presso Isola “in loco qui dicitur Sancte Rosalie”, precisandone i confini.[iii] Seguono le conferme di papa Celestino III.[iv] Nel 1199 è la volta di Federico II[v] e l’anno dopo di papa Innocenzo III.[vi]

La Madonna del Roseto di Bernardino Luini conservata nella Pinacoteca di Brera a Milano (da Wikipedia).

Successivamente la concessione del libero pascolo nel tenimento di Roseto passa al monastero di Sant’Angelo de Frigillo, grangia dell’abbazia della Sambucina. Nel marzo 1210 Innocenzo III confermava a Pietro, abate del convento di Sant’Angelo de Frigillo, situato presso Mesoraca, il pascolo del tenimento di Roseto: “tenimentum Roseti quod est in Insula in territorio terrae Castellorum, Cutri et Tacinae”.[vii] Nel Settembre 1224 Pietro de Logotheta, camerario imperiale di Calabria e di Terra Giordana, in esecuzione del mandato imperiale, lo assegna al monastero di Sant’Angelo de Frigillo per il libero pascolo dei suoi animali, aggiungendovi una tenuta in diocesi di Santa Severina, tra Cutro e S. Giovanni de Monaco, nonché due pezze di terra presso Cutro per la sosta delle mandrie del monastero.[viii]

Luzzi (CS), Santa Maria della Sambucina.

 

Il tenimento di Rosito

Ancora verso la metà del Quattrocento, i monaci di “Santi Angeli de frigilio”, mantenevano il possesso dello jus arandi nel tenimento di Rosito. Il 22 gennaio 1445, nell’accampamento regio presso Crotone, re Alfonso d’Aragona, avendo confiscato il feudo al ribelle marchese di Crotone Antonio Centelles, confermava all’abate Nicolao e al suo monastero di Sant’Angelo de Frigillo, tutti i privilegi, tra cui il “tenimentum roseti cum valle de frasso cum herbagiis et glandagiis et pertineciis suis positum in territoriis Cutri et tacine, de quo dictum monasterium ad p(raese)ntis possidet terragia.[ix]

Rosito compare anche in una lista eseguita il 20 ottobre 1465 da Marino Marincola, magistro razionale di Antonio Centelles, principe di Santa Severina, marchese di Crotone e conte di Catanzaro. Nel descrivere i Beni feudali “In terra Tacina” il Maricola, dopo avere affermato che, di alcuni territori, si erano perse le tracce a causa dello spopolamento e per gli avvenimenti bellici (“Item in eadem terra sunt certa terragia que declarari non possunt propter depopulationem ipsius terrae et guerras”), così nota: “Item in eadem terra est medietas tenimenti de rosito quod vendi solet totum tenimentum in untiis sex et tarenis viginti de quibus competunt eidem mag.co domino Antonello unc. tres et tar. decem sunt unc. III tar. X.”[x]

In un documento degli stessi anni si legge: “In terra castellorum maris sunt infra Jura (…) Item in eadem terra est tenimentum unum nominatum de rosito quod ad presens tenet medietates mag.cus miles antonius de caivano medietas autem tenet curia domini et valere solet anno quolibet de fertili ad infertilem omnibus comfutatis in unty sex et tarenis decem quando plus et quando minus et pro portione curie domini un. III tr. X”.[xi]

Cutro (KR), Rosito.

 

Da feudatario a feudatario

Nel 1483 la baronia fu venduta dal re Ferdinando a Giovanni Pou. Durante la Congiura dei Baroni il Pou, nell’agosto 1486, fu catturato e rinchiuso in Castelnuovo, dove rimase per molti anni. I feudi, che gli erano appartenuti, furono allora amministrati per conto della regia corte da Antonio de Jacobo de Florentia, il quale era stato nominato dal principe di Taranto, esattore delle entrate del Pou di Isola e Tacina, con lettera del 2 ottobre 1486 del notaio Micho Cimpano, “regio commissario et factore de messer pou”.

Nel 1487 re Ferdinando emanava delle istruzioni per coloro che dovevano amministrare i beni sequestrati ai ribelli passati in potere della regia corte. Al regio percettore e commissario nelle province di Calabria Domenico Lettere, fu affidato il compito di amministrare i feudi di Isola e di Le Castella, confiscati al Pou, mentre la terra di Torre di Tacina, confiscata al Pou per la sua ribellione, fu dallo stesso re rivenduta nel 1487 a Paolo Siscar conte de Ayello. A Paulo Siscar seguì Antonio Siscar (1530) e quindi Alfonso Siscar (1552).[xii]

Cutro (KR), Rosito.

 

Rosito alla fine del Quattrocento

L’undici novembre 1487, re Ferdinando, per le necessità della difesa del regno, poiché deteneva e possedeva la Torre di Tacina, Tacina ed i feudi di Campolongo e Ferulusello, per la ribellione di Giovanni Pou, la torre predetta ed i feudi (“cum castro seu fortellitio hominibus vaxallis vaxallorumque reditibus feudis feudatariis subfeudatariis”), vendette a Gio. Paolo Siscar, conte di Agello per ducati settemila (“cum mero et misto imperio super hominibus et vaxallis ipsius ac etian servata forma juris super omnibus delinquentibus in territorio”), con erbaggi ed altro, secondo la forma comune e con clausula separativa.[xiii]

In un inventario della terra di Tacina, fatto al tempo della vendita del feudo, il commissario regio Antonio de Jacobo de Florentia, annota le entrate provenienti dalla fida del bestiame del tenimento di Rosito; entrate che riscuoteva dai proprietari delle vacche, dei buoi e delle giumente, i quali dovevano pagare per ogni animale grana 15 o 10, mentre di cittadini di Le Castella pagavano solo grana 5. Tra i possessori di vacche sono ricordati Jesualdo Manchino e Bartulo Tinganello (vacche 120 a grana 15), Filippaczo (vacche 31 a grana 15), Andruczo Rubino (vacche 92 e mezza), Antonuczo Papasodaro (vacche 20), Joanne Antonio Sanasi (vacche 33), Cola de Terranova (vacche 22), Andrea Foresta (vacche 19), m.s Gasparro de Sorrento,(jumente 4o), Candileri dela Russa dele Castella (vacche 19 grana 5 per herba), Francesco lo Compangno dele Castella (vacche 56 a grana 5 per herba), Silvestro Sarago, Carlo e Johanni Piricto, Richardo Xuxa (vacche 43 e meza a grana 15), Bellino e Adusso Cocza, donno Petro de Ruglano, ed i Castellesi Carlo Michese, Petro Paulo de Nastase, Johanni de Yofali, Nuntiato Gangucza, Fran.co Spagnolo e Jacono Joanne. Nel periodo estivo (“fida de stati”) poi il prezzo della fida calava a 3 o 4 grana per animale per la minore quantità di erba, e a grana uno per porco.[xiv]

Cutro (KR), Rosito.

 

Pascolo e semina

Territorio della baronia di Tacina, Rosito confinava con il territorio di Cutro e con quello di Le Castella. Da una lite intentata nel 1533 dal conte di Santa Severina e gli “homines” della terra di Castellorum Maris contro il conte di Agello, così è descritto: “Roseto confina con lo territorio delle Castelle detto la cruciata, confina con santo fantino territorio di detta terra, confina con lo cariglietto territorio di cutro detto ferosello maxanova confina con lo territorio detto li monaci et con lo territorio di cutro detto ferosello.”[xv]

Durante la prima metà del Cinquecento Rosito fu in parte disboscato per allargare i terreni seminativi ed a pascolo. L’erario del conte di Ayello di solito affittava le rendite ed i frutti del feudo di Rosito, membro della baronia di Tacina, all’asta pubblica, quasi sempre per la durata di cinque anni con pagamento in agosto di ogni anno. Data l’estensione ed il costo dell’affitto di Rosito, coloro che partecipavano all’asta si associavano ad un garante, di solito un nobile benestante. Si trattava quasi sempre di pecorai/mandriani dei casali silani. Il pagamento dell’affitto era in denaro. Il grano, l’orzo e il formaggio provenienti dall’affitto di Rosito, erano conservati in un magazzino di Torre di Tacina, Cutro o alle Castella, in attesa di essere venduti.

Non mancano in questi anni i litigi tra i massari che affittano le terre per seminare, ed i pastori che le utilizzano per il pascolo. A volte i pastori dei casali silani “con li auni e pecuri et muli”, “disbarrano” e dannificano le terre dei massari, affittate per farci “mayisi”. Le pecore e le capre ed i muli rovinano e radono l’erba: così diminuisce il valore della gabella, che serve per il pascolo dei buoi, e viene messa a rischio l’aratura.[xvi]

Cutro (KR), Rosito.

Cosenza 20 settembre 1542. Costituiti personalmente il m.co d.no Jo. Laurentius de Cavalcantibus U.J.D. di Cosenza, Vincislaus Russus et Jacobus de Butonto de Petraficta, da una parte, ognuno dei quali stipulante per sé stesso, mentre dall’altra compare il nobile Jo.es Franciscus de Butonto di Petraficta.

Joes Franciscus Butonto nei giorni passati ha acquistato ad incantum candela nella città di Isola, tutti i frutti, entrate, proventi e rendite del feudo detto “Rosito”, membro del feudo, o baronia della terra di Tacina, dall’Ecc.te Domino Conte di Agello, e per lui dal suo procuratore il nobile Camillo Crescente della città di Crotone. La durata dell’affitto è stabilita per cinque anni, ad iniziare dal settembre 1542 fino alla fine di agosto 1547, per ducati annui 440, da pagarsi ogni anno nel mese di agosto e con certi patti e condizioni, come appare nell’atto stipulato dal notaio Joannis Paulo Sculerio di Crotone.

Ora Jo. Laurentius de Cavalcantibus, Vincislaus Russus, Jacobus de Butonto e Jo. Francescus de Butonto dichiarano che l’affitto di detto feudo, i suoi frutti, proventi e rendite, sono comuni a tutti e quattro, in quanto ognuno ne ha una quarta porzione, ed a ciascuno di loro spetta pagare la quarta parte dell’annuo affitto. I detti Jo. Francescus, Vinceslaus e Jacobus, promisero e si obbligarono a raccogliere tutto il frumento e l’orzo e le altre vettovaglie, che perverranno in detto feudo di Rosito. Una volta fatto il raccolto, nel mese di luglio di ogni anno, per la durata dell’affitto, essi dovranno portare il raccolto nel magazzino della terra di Tacina, o nel casale di Cutro, o nella terra di Castellorum, secondo il volere del nobile Jo. Laurentius de Cavalcantibus, a suo arbitrio, come a lui meglio piacerà. Inoltre, essi non potranno vendere anche parte del raccolto senza espresso consenso del de Cavalcantibus e, qualora ciò avvenga, a lui si deve consegnare il denaro riscosso. Inoltre, si dichiara che lo stesso de Cavalcantibus è obbligato in proprio e principale nome, ad assolvere e consegnare detti ducati 440, ogni anno per tutta la durata dell’affitto, a favore del conte nel mese di agosto; se poi le entrate della vendita saranno superiori ai 440 ducati annui, il guadagno rimanente sarà diviso: metà al nobile e garante Jo. Laurentius de Cavalcantibus e metà a Jo. Francescus, Jacobus e Vinceslaus, e lo stesso valga per il danno.[xvii]

Cutro (KR), Rosito.

Devoluta la baronia di Tacina nel 1586 alla regia corte, questa ne fece l’alienazione in beneficio del Duca di Nocera Francesco Maria Carafa, come disabitata, e solamente gli concedé il feudo la giurisdizione, come pure tutti i fondi gli vendé in allodio (liberi dagli obblighi feudali) colla facoltà anche al compratore di poterli alienare: considerando che detta baronia sia separata e distinta dall’ex feudo di Cutro, e solo per la vicinanza sono i beni accatastati in Cutro.[xviii]

Venduta al Duca di Nocera, questo nel 1595 la rivendette ai Doria, che ebbero il titolo di Baroni di Tacina e Massanova. Alla metà del Settecento la gabella di Roseto di tomolate 2000, solita ad affittarsi per ducati 920, è situata nella Baronia di Tacina ed appartiene al barone Gio. Francescantonio D’Oria “genovese Barone della Baronia di Tacina dissabitata confinante al Territorio di questa Università” di Cutro.[xix]

All’inizio dell’Ottocento Giuseppe Maria d’Oria genovese, barone di Tacina e Massanova, possiede “la cabella detta roseti di tt. 2000, suole affittarsi annui ducati 920”.[xx] In seguito Rosito come parte della Baronia di Tacina e Massanova, fu venduto nel 1834 dal principe d’Angri Marcantonio Doria a Luigi Barracco. Ai Barracco rimase fino al 1954/1955, quando i fondi Rosito (Ha 261.69.41), Rositello (Ha 332.73.97), Serra Rosito (Ha 296.35.12), e Vallone Rosito (Ha 104.15.75), furono espropriati dall’OVS e quotizzati. Sempre in tali anni, l’Opera Valorizzazione Sila procedette al totale disboscamento, costruendovi un borgo formato da una chiesetta con sacrestia, da una scuola elementare con 3 aule ed abitazione, e da un edificio pubblico con botteghe ed abitazioni. Il borgo era provvisto di un ambulatorio con abitazione e da una palazzina direzionale. Esso avrebbe dovuto servire una popolazione valutata in circa 1900 unità, ed essere di supporto ad una superfice agricola di circa Ha. 3200. In seguito la Cassa per il Mezzogiorno costruì la strada Cutro – Rosito – Campolongo e la strada Sant’Anna – Rosito.

Cutro (KR), le case coloniche costruite a Rosito dall’OVS.

 

Il bosco di Rosito

Il bosco di Rosito era situato all’incrocio della via che da Crotone, per San Pietro di Tripani, si congiunge con quella che, da Cutro, va a Le Castella e al fiume Tacina. Tra gli usi civici dei cittadini di Cutro, vi era quello di legnare, acquare, pascere, far calcare ed aprire le terre nel tempo dello sbarro. La strada che da Cutro andava a Le Castella attraversava parte del bosco di Rosito. Nel passato utilizzando il legno del bosco e la presenza di “cavamenti di pietra”, alcuni Cutresi fecero delle calcare. La presenza del bosco inoltre diede la possibilità ai Cutresi di fare legna, raccogliere i frutti e cacciare.[xxi]

Popolato da cinghiali, caprioli, volpi, lupi, lepri, beccacce e altri uccelli, era frequentato dai cacciatori di Cutro, i quali nonostante il divieto del Barracco, erano soliti andare a cacciare anche i caprioli, che erano stati immessi e protetti dal barone, il quale li aveva fatti venire da fuori regione. All’atto delle espropriazioni il bosco era pressoché intatto. Le vaste zone fortemente cespugliate e boschive furono completamente disboscate, spietrate, rese atte alla coltura ed assegnate. In seguito, le quote furono arate e seminate con cereali.

Cutro (KR), operai al lavoro al tempo dell’OVS.

 

Note

[i] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, Città del Vaticano, 1958, p. 102.

[ii] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, Città del Vaticano, 1958, p. 111-112.

[iii] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, Città del Vaticano, 1958, p. 124.

[iv] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, Città del Vaticano, 1958, p. 118.

[v] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, Città del Vaticano, 1958, p. 134.

[vi] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, Città del Vaticano, 1958, p. 149.

[vii] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, Città del Vaticano, 1958, p. 244.

[viii] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, Città del Vaticano, 1958, p. 333.

[ix] ACA, Cancillería, Reg. 2906, ff. 141v-142.

[x] AVC, Processo Grosso di fogli cinquecento settanta due della lite che Mons.r Ill.mo Caracciolo ha fatto con il S.r Duca di Nocera per il detto Vescovato nell’anno 1564, ff. 64v-65.

[xi] AVC, Quinterno intitulato lista data per Ecc. et Ill. principem S.te Severine, marchionem Cutroni, comitem Catanzarii de juribus et membris eius Curiae vigentibus, in Processo Grosso di fogli cinquecento settanta due della lite che Mons.r Ill.mo Caracciolo ha fatto con il S.r Duca di Nocera per il detto Vescovato nell’anno 1564, f. 63.

[xii] Mazzoleni J., Fonti per la storia della Calabria nel Viceregno (1503 – 1734) esistenti nell’Archivio di Stato di Napoli, Edisud 1968, p. 246.

[xiii] AVC, Processo Grosso di fogli cinquecento settanta due della lite che Mons.r Ill.mo Caracciolo ha fatto con il S.r Duca di Nocera per il detto Vescovato nell’anno 1564, ff. 69-76v.

[xiv] Cunto dele intrate de la Cita de lisola le Castelle et di tacina loro pertinentie et distritto per me Antonio de Jacobo de florentia incomenzando dali XXVIIII de decembro in fine et per tutto delo anno presente dela V.a Ind.e. ASN, Dip. Som., Fs 552 I.a Serie, fasc. 1. f. 13.

[xv] AVC, Processo Grosso di fogli cinquecento settanta due della lite che Mons.r Ill.mo Caracciolo ha fatto con il S.r Duca di Nocera per il detto Vescovato nell’anno 1564, f. 463v.

[xvi] ASCZ, Not. J. L. Quercio, Busta 13, f. 99. “alcuna gabella fosse stata pigliata per li massari per uso de massaria se faceva la sterzatura cioè, lo terzo se ne faceva maiese detto massaro, laltro terzo per li bovi aratorii et laltro terzo sella magnavano le pecore delli pecorari”. “li affittatori et pecorari del tenimento et herbagio di detta terra li donano fastidio et si hanno pasculato, et pasculano continuamente dette sue terre et non permettono che esso povero supplicante se le conci, et in essa faccia massaria per lo vitto necessario. Immo in esse hanno fatto la mandra, et prato de ayni”. Protesta di Cicco Greco della terra delle Castelle, in AVC, Processo Grosso di fogli cinquecento settanta due della lite che Mons.r Ill.mo Caracciolo ha fatto con il S.r Duca di Nocera per il detto Vescovato nell’anno 1564, f. 440v.

[xvii] ASCS, Not. Di Macchia Napoli, Vol. 14-15, ff. 165-166.

[xviii] Anastasi R., Cutro: Usi civici e abusi feudali, Ed. Il Paese, 2007, p. 48.

[xix] ASN, Cam. Som., Catasto onciario di Cutro, anno 1744, Busta 6959, f. 166.

[xx] Catasto di Cutro, 1806, f. 181.

[xxi] Anastasi R., Cutro: Usi civici e abusi feudali, Ed. Il Paese, 2007, p. 52.

 


Creato il 24 Luglio 2023. Ultima modifica: 24 Luglio 2023.

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