Estrazione e commercio di sale nelle miniere di Miliati e di Neto

La confluenza dei fiumi Neto e Lese presso Altilia di Santa Severina (KR).

La salina di Neto

La salina di Neto era situata nel tenimento di Neto, in territorio di Roccabernarda e, precisamente, tra il fiume Neto e la collina, sulla quale si trovava l’abbazia di Santa Maria di Altilia, che era in territorio di Santa Severina. Così troviamo descritta la sua posizione nella ricognizione dei confini del tenimento di Neto, appartenente all’abbazia di Santa Maria di Altilia: “… esce allo timponello delli scini delle mezze coste, et esce all’altro timponello di più sopra sempre confinando da man manca quando se va alla salina de neto, e si vene dalla Città di S.ta Severina confinando de d.e terre di d.o Ill.re S.r Giovanni e ferisce alle timpe, e delle timpe timpe ferisce allo galice dove l’acquicella de femina morta, e de detta acqua ferisce al fiume di Neto …”,[i] e tra i confini del corso di Casale Novo in territorio di Santa Severina, appartenente alla Mensa arcivescovile: “… descende alla via dello mercato, e la via dell’Abbatia di Altilia, e esce al pizio della timpa, e descende lo cristone abbascio sopra la Salina, et il Bosco detto Cincifroni, e descende alla Colla affacciante alla Salina vicino il fiume di Neto …”.[ii]

La “Salinella” presso Altilia di Santa Severina (KR), in un particolare del Foglio N. 570 Petilia Policastro della Carta 1:50000 dell’IGM.

Le decime

Le saline erano di proprietà del re; esse erano messe all’asta pubblica ed appaltate, o arrendate, al maggior offerente, il quale, a sua volta, di solito, le affittava assieme, o singolarmente, ad altri. Quasi sempre le regie saline di Neto, Lepore e Miliati, situate in diocesi di Santa Severina e di Cerenzia, erano affittate assieme. Le saline erano gravate da censi. Già durante il Medioevo le abbazie di Calabro Maria e di San Giovanni in Fiore, e la Mensa arcivescovile di Santa Severina, esigevano la decima della salina di Neto, situata nel distretto di Rocca Bernarda. In seguito, dalla mensa arcivescovile di Santa Severina tale diritto passò al capitolo che, quindi, passò ad esigere la decima della salina di Neto, in vigore di privilegi e concessioni fatte alla chiesa arcivescovile.

Privilegi dell’abbazia di Altilia

In una platea del 1582 sono descritte alcune gabelle e entrate del tenimento di Neto, appartenente all’abbazia di Altilia: “Item in d.to tenimento ce sta situata la salina chiamata di Neto de la quale sua maestà et suoi ministri pagano annuatim a detta Abatia d.ti cinquanta et tari due quali si esigono per li Padri di d.to monasterio in conto della loro mensa. Item uno prato per commodità di d.ta salina et fuoculieri il quale sta confinato sin come per adietro apparerà”.

L’abbazia vi godeva anche alcune prerogative, tra le quali: “Item che li fuocolieri che veneno in d.ta salina uscendo dal prato de essa salina bisogna fidarsi mezzo car(lino) o meno secondo il tempo che se haverà da fermare in d.to luogo per ogni testa de animale et trovandosi pascolando senza esser fidato, si ponno pigliare per disfidati et se paga quindici carlini per patronale tanto de bovi, quattro cavalli o altro animale grosso tanto se quello patrone ce ne havesse una quanto se ce ne havesse molti animali, et la medesima pena si esige da ogni altro sfidato. Item S.r Abbate può in essa salina haver sale quanto ad esso parerà conforme a N.ri privilegii”.[iii]

Localizzazione della salina di Neto alla confluenza dei fiumi Neto e Lese.

I privilegi della chiesa di Santa Severina

In un documento del Cinquecento conservato nell’archivio arcivescovile di Santa Severina, troviamo elencati i numerosi privilegi che godeva la chiesa di Santa Severina sulla salina:

“Un privilegio spedito dalla Regina Giovanna dell’anno 1366 dove si fa mentione della concessione di detta Decima fatta da Re Carlo primo. Item Un Privileggio spedito nell’anno 1382 di Re Carlo terzo dove ordina seli paghi l’integra Decima predetta stante che per informatione presa dalla Regia Camera della Somaria d’ordine della Maestà sua li costa della possessione d’essigere detta Decima dal tempo di Re Catolici insino a detto anno 1382. Item un altro Privileggio spedito dall’istesso Re Carlo terzo in confermatione degli altri nell’anno 1383. Item Un Privileggio di Re Jacovo et Regina Giovanna Seconda che confermano li detti Privileggi nell’anno 1425, dove asseriscono costarli della possessione pred.ta ancorche in quel tempo li fusse stata interrotta la possessione. Item Un privileggio di Re Lodovico terzo et Regina Giovanna sua madre spedito in Cosenza à 15 di 7bre nonae Ind.nis 1430 et un altro dell’istesso sotto li 24 di Maggio 1431; Nelli quali commettono al Portolano et altri Officiali di Calabria che costandoli della possessione dal tempo di re Catolici ancorche à tempo dell’arcivescovo Antonio Stricagnolo per le guerre per qualche statio di tempo non l’avesse posseduto li facci continuare l’essattione della Decima et à 10 di Giugno di detto anno 1431 constito ad plenum de possessione fu reintegrato nella sua possessione. Item Un Privileggio di Antonio Vintimiglia alias Centiglia Luogotenente di Re Alfonso di Ragona spedito à 17 di Aprile 1440 che conferma tutti li pred.ti Privileggi. Item Due altri Privileggi dell’istesso Re Alfonso spedito l’uno à 20 di Novembre 1444 et l’altro à 6 di Febraro 1446 in Napoli in Castel novo dove confirma detti Privileggi di Decima in virtù delli quali principalmente havendo essatta.”.[iv]

“La badia di Altilia” (14), “La timpa di Altilia” (15), “Il colle della Salina” (16) ed “Il fiume Neto” (2). Particolare di una carta conservata all’Archivio Arcivescovile di Santa Severina.

Organizzazione della salina

Le saline erano concesse dal re ad un “arrendatore” che, ottenuto l’appalto, poteva gestirle direttamente, o tramite un suo sostituto; molte volte le subaffittava, sempre comunque con l’approvazione della Regia Corte e della Camera della Sommaria. Oltre all’arrendatore, a cui spettava informare la Camera della Sommaria degli eventuali danni che subivano le saline, vi erano alcuni ufficiali di nomina regia, che costituivano la struttura burocratica della salina. Ricordiamo il “credenziero”, il “casciero”, il “bilangiero”, il “doganiero” ed il “guardiano”. Alle loro dipendenze vi era quindi la forza lavoro, costituita dai mastri, dai lavoratori e dai “fatiganti”.

Nel 1640 Anello Antonio de Urso di Napoli, era regio arrendatore delle saline dei monti delle Province di Calabria, e Marcello Tosardi era affittuario delle regie saline di Neto, Lepore e Milioti. Il 3 marzo 1640, in Badolato, l’abbate Francesco Tosardi di Napoli, a nome di Marcello Tosardi, affittuario delle regie saline di Neto, Lepore e Milioti, si impegnava a consegnare a Giulio Dolce, procuratore del Principe di Satriano, “sale bianco, recettibile, netto di creta, sale per sale et ben conditionato cantara cento cinq(uan)ta allo sottile, consistente ogni cantaro r(otol)a cento, et ogni rotolo onze 33 parte in pietra et parte minuto ad elettione di d(ett)o S.r Giulio”. Il prezzo era stabilito in ducati tre per cantaro, per un totale di ducati 450 da consegnarsi in due rate, cioè ducati 200 nel mese di maggio, ed il rimanente nel mese di agosto. Il sale dovrà essere consegnato settimana per settimana nella salina di Neto, a partire dal 20 marzo e finendo all’ultimo di giugno, ed il Dolce “dovera da pagare la rag(ion)e che spetta per la cacciatura et tagliatura di detto sale”.[v]

Il 16 luglio 1640 in Montespinello in presenza del notaio Giacinto Amoruso e del regio giudice Gio. Vincentio Sollatio, il regio arrendatore delle saline di monti delle Province di Calabria, il napoletano Anello Antonio de Urso, dichiarava che giorni prima aveva carcerato delle “bacche contrabanne”, apparteneti a Filippo Fioriti dei casali di Cosenza, di Flaminia Barbaro e di altri. Egli faceva presente “che in tempo di notte sono state scassate le saline di Neto et Lepore et rubbato molte quantità di Sali et costa molto bene che la mandra di dette bacche ha partecipato di detto furto”. Del fatto e del danno subito egli aveva informato la Regia Camera della Sommaria dalla quale aspettava giustizia. Nell’attesa però era giunto il mastrodatti Paulo Martiri, che aveva portato un ordine della Regia Udienza di Cosenza, che gli ingiungeva di scarcerare le vacche. L’arrendatore protesta perché vuole aspettare la decisione della Camera della Sommaria, ma il mastrodatti risponde che egli ubbidisce agli ordini ricevuti e se le vacche non saranno subito liberate l’arrendatore risponderà “del numero di dette bacche si viene mancando et latticini et altre robbe”. Udite queste parole l’arrendatore si dichiara “pronto a consegnare tanto le bacche quanto li latticini ma forzosamente”. Sono testimoni: Antonio Migali e Cola Grillo di Santa Severina, Franco Baccaro di San Mauro, Dieco Biamonte di Cropani e Gio. Domenico Murano di Cotronei.[vi]

Il primo giugno 1646, nella salina di Neto in distretto di Rocca Bernarda, in presenza del notaio Giacinto Amoruso, del regio giudice Gio. Vincentio Sollatio, del cassiere della salina Francesco Caiato, dei lavoratori della salina Paulo Garetta, Simeoni Verzino, Alfonso Verrina, Joanne Garetto e di altri ufficiali e lavoratori della regia salina di Neto, Marco Antonio Veneri di Rocca Bernarda esibisce alcune lettere provvisionali fatte il 10 maggio 1646 dal conte Caranzi, marchese di Casalicchi e presidente della Regia Camera della Sommaria. In virtù di tali lettere, per commissione e nome del regio arrendatore Anello Antonio de Urzo, il Venneri prende possesso dell’ufficio di arrendatore della salina, aprendo e chiudendo la porta della salina, prendendo le chiavi e passeggiando. Sono testimoni i napoletani Felice Ferraro e Gennaro Ferrigna, ed i lavoratori della salina Marco Castagnino, Gio. Battista Aminò, Alfonso Verrina, Simeone Verzini ed altri.[vii]

L’estrazione del sale.

Il doganiere

L’ufficio di doganiere era messo all’asta pubblica ed offerto al maggior offerente per bando della Regia Camera della Sommaria. In caso di assenza dell’ufficio, per morte, o altra causa, la Camera della Sommaria, su istanza dell’arrendatore, confermava un sostituto ad interim, finché non si fosse proceduto a nuova nomina. Durante questo periodo il guardiano ad interim aveva diritto a metà della provvigione e “dei lucri, gaggi et emolumenti” spettanti a tale ufficio.

Il 30 aprile 1641 nella regia salina di Neto, in presenza del notaio Giacinto Amoroso di Rocca Bernarda, del regio giudice Gio. Vincentio Sollazzo, del mastro tagliatore e guardiano Marcello de Bona, e del sostituto ufficiale Antonio Pacileo di Napoli, Gio. Domenico Pedace di Rocca Bernarda dichiara che, essendo morto nei mesi passati Marcello Barracca, doganiero della regia salina di Neto, su istanza di Anello Antonio de Urso, regio arrendatore delle saline di monti, egli è stato nominato il 14 marzo precedente dalla Regia Camera della Sommaria, doganiere ad interim della regia salina di Neto. Egli rimarrà nell’incarico finché dalla Camera della Sommaria non sarà emanato il bando di vendita dell’ufficio. Nel frattempo egli ha il diritto di godere della metà della nuova solita provvigione e metà dei “lucri, gaggi et emolumenti” spettanti a detto ufficio. Fatta la dichiarazione e presentato l’atto di nomina, il Pedace prende corporale possesso dell’ufficio con “aprire le porte et serrarle, notar li sali in libri”, ecc. Sono testimoni Antonino Migale di Santa Severina, Marco Castagnino della Rocca Bernarda, il mastro forgiaro della salina Stefano Rillo, Ciccio Parise, Salvatore Barberi di Altilia, e Antonio Lifreri di Altilia.[viii]

I doganieri, oltre ad interessarsi della conduzione della salina, erano soliti esercitare anche altre attività, che spesso davano adito a liti e controversie. È il caso dell’università di Rocca Bernarda che, il 16 ottobre 1532, chiede l’aiuto del feudatario, il conte di Santa Severina Galeotto Caraffa, contro gli eredi di un doganiere della salina di Neto:

“Ulterius lo quondam m.s magalotto deputato dohanerio in la salina de netho extra suo offitio contraxe diversi negotii cum li cittadini de questa terra … in parte in lo affictu de le molina dela corte de Calabrone fando maxarie [cum] alcuni di questa terra iuntamente fando compere de grani et multi altri negotii contrahendo non pertinenti ad dicto suo offitio de dohanerio et al [presente] sui heredi divendo consequire da alcuni recercano justitia in questo tri[bunale] et essendo citati ipsi da alcuni per alcune cause et debiti allegano non [volere] alt.o judice ad ipsi competente excepto la camera de la summaria p(rese)ntando certo ordine de ipsa camera taliter vexando li subditi de V. S. I. … supp.mo per suo servitio se degni fare expedire ordine de dicta summaria et provi[dere] che dicti heredi de magalotto per tutte le cose de ipso geste ext[ra] dicto suo offitio et non pertinenti ad ipso offitio se possano conveni[re] in questo tribunale de V. S. I. perche inter alia sensa pagare dece [tomola] de grano per la quarta parte delo affictu de dicte molina de Netho.”[ix]

Salinaro (da pinterest).

Il credenziere

Il 3 luglio 1640 nella terra di Montespinello, il notaio Aloisio Serafino del casale di Serra Pedace stipula un albarano. Giovanni Battista di Roggiero di Roccabernarda, che possiede l’ufficio di regio credenziere della regia salina di Neto, per privilegio e provvisione della Regia Camera, si impegna a cederlo per ducati 150 a Pietro Mascambrone di Crucoli. In precedenza, il credenziere si era impegnato a cederlo all’abbate Francesco de Masi di Napoli, il quale, tuttavia, promette di rinunciare all’ufficio. Secondo l’accordo il pagamento avverrà quando da Napoli, arriverà la notizia dell’avvenuta rinuncia, accettata dalla Regia Camera della Sommaria. Restano tuttavia a carico di Pietro Mascambrone, tutte le spese necessarie per ottenere le spedizioni della rinuncia e dell’accettazione. Egli dovrà pagarle con propri denari senza “difalcarne cosa alcuna dalli predetti ducati cento cinquanta”. Il 22 luglio seguente nella terra di Rocca Bernarda, “e proprie in gabella dicta La Foresta”, il notaio Giacinto Amoruso perfeziona l’accordo, stipulando il relativo atto pubblico.[x]

Il “bilangiero”

Il giorno 11 aprile 1692, nella regia salina di Neto, in presenza del regio giudice a contratto Rocco Godino, del notaio Antonio Ceraldi e di testimoni, Ignatio Petra della città di Napoli, “bilangiero” della salina di Neto, ritira ogni accusa contro “il Sig.r Diego di Rose luogotenente generale del Arr(endamen)to de sali di monti di Calabria circa il governo di d(et)to arrend(ame)nto sempre ha proceduto con ogni esatezza e puntualità, ne mai esso Ignatio ha fatto dispositione o attestato alcuno contro il medemo Sig. Diego, con tutto che in tempo si ritrovava carcerato nelle carceri di Monte Spinello dove più volte andò il Sig. D. Pompeo Cavalcante cognato del Sig. Angelo Biscardi anche governatore di d(et)to arrend.to per istigarlo che havea fatto depositione contro il sud(det)to Sig. Diego al qual fine l’haveva fatto carcerare e non volse farla per non esser di giusto et in caso che in suo nome si trovasse fatta qualche accusatione o atto contro il sud.to Sig. Diego dichiaro mai averlo fatto ne saperne cosa alcuna come anche dichiaro non aver fatto accusatione alcuna contro li mag.ci officiali di d(ett)a Regia Salina di Neto li quali attestò aver proceduto con esatta diligenza circa il loro carico ne li e pervenuto a notizia che detti Mag.ci officiali avessero commesso fraude alcuna in danno di detto Arrendamento.”[xi]

Operai della salina di Lungro (CS), mentre provvedono alla pesatura del sale (da tiscalinet.it).

I lavoratori della salina

I lavoratori della salina erano divisi in tre grandi categorie: i mastri (tagliatore e forgiaro), i tagliatori ed i “fatiganti”. Essi provenivano dai paesi della bassa valle del Neto e dai paesi vicini (Altilia, Rocca Bernarda, Santa Severina, Verzino, Belvedere Malapezza, Strongoli, Montespinello). Il 9 novembre 1640, essendo priore del monastero di Santa Maria di Altilia il P. D. Eugenio di Mauro, alcuni lavoratori della regia salina di Neto sono citati, per essere interrogati sull’uccisione con un colpo di archibugio di una vacca del monastero. Il fatto era accaduto due giorni prima nel prato vicino alla chiesa della salina.

L’inquisitore incaricato a svolgere il processo, il delegato apostolico e abate Don Tomaso Segreto, interrogò dapprima Salvatore Barberi dell’età di circa trenta anni, abitante nel casale di Altilia con la mansione di “magister iustitiarius et locumtenens” del casale, ed “incisor salis” nella salina di Neto. Il Barberi, che da 15 anni svolge la mansione di tagliatore nella salina, dichiarò di aver udito dal “casciero” della salina Martio Cimino, che il bovino era stato ucciso da Andrea Morano. Egli affermò che erano presenti ed udirono, anche altri lavoratori della salina, tra i quali: Antonio Migale, Mauritio Barberi, Gio. Pietro e Giando Garetti ed altri. Il Barberi fa anche il nome dell’attuale arrendatore, che è Antonello di Guido alias d’Urzo, e del precedente “casciero” Ponfilio Parandelli. Il Barberi poi afferma, che il sale della salina di Neto è situato nel centro del terreno e, per poterlo estrarre, bisogna cavare grande quantità la terra. Egli quindi non poteva vedere ciò che accadeva nel bosco.

Finito l’interrogatorio del Barberi è la volta di altri lavoratori. Sono citati Gio. Pietro e Giando Garetti, Mauritio Barberi, Ciccio Parise, Alfonso Verrina e Giuseppe Amoruso. Alfonso Verrina della terra di Rocca Bernarda ha circa 35 anni ed è un “laborator assiduus” della regia salina di Neto. Interrogato dall’abate, anche lui dichiara di non aver visto niente, in quanto “ero dentro il fosso della salina, che ligava seu scioglieva certo sale, che Gio Pietro Garetto et Fran.co Parise melo porgevano ch’era romasto fora la salina”.

Seguono poi le dichiarazioni ripetitive degli altri ufficiali e lavoratori della salina: quella di Gio Lorenzo de Vona, del napoletano Mario Cimino, di Andrea Morano, del “laborator assiduus” Francesco Parise abitante nell’abbazia, del “mastro forgiaro” Andrea Morano, del sostituto officiale della salina Antonio Pacileo e del regio casciero Martino Cimino. Tutti erano dentro il fosso della salina e nessuno ha potuto vedere niente.

Dalle dichiarazioni risultò che la vacca era stata uccisa dal forgiaro della salina Andrea Morano insieme al casciero Martio Cimino, per ordine dell’arrendatore Anello Antonio d’Urzo. Il Morano “pigliò il zoffione di Gio Lorenzo de Vona” e colpì la vacca, che ferita, dal prato della salina se ne fuggì nel bosco del monastero. Essendo stata ferita mortalmente alla testa da due palle “proprii nelli gargarelli”, e considerato che non poteva essere curata, fu scorticata. Conclusa l’indagine, seguono i segni di croce dei lavoratori della salina, che sono tutti analfabeti (idioti): Salvatore Barberi, Alfonso Verrina, Andrea Morano, Francesco Parise, Gio. Fran.co Dattilo, Giuseppe Amoruso, Aurelio Sproviero, Roggiero d’Obbita. Firmano invece gli ufficiali della salina Antonio Pacileo e Martio Cimino.

Operai della salina di Lungro (CS) agli inizi del Novecento (da wikipedia).

Un infortunio

“A 20 feb. 1714 S.ta Sev.na. Passò da questa vita per una cascata nella salina di Neto Giuseppe Jacometta senza potere havere sagram(en)ti solo l’assolut(io)ne per segni dall’arcip(ret)e di Altilia per testimonio del P. Priore del Ven.le Convento di S. Dom(eni)co di questa città sud.ta col quale il fu Jacometta era andato e fu sepolto per l’amor di Dio nell’istesso convento coll’assistentia di alcuni Rev. del Cap(ito)lo e clero di me sott.o paroco. D. MarcAnt.o Seminara.”[xii]

Trasformazioni del paesaggio

Durante il Seicento e nei primi anni del Settecento, con l’aumento dell’esportazione del grano e del formaggio verso l’area napoletana, molti territori della bassa valle del Neto furono diboscati e messi a semina ed a pascolo. In un processo per i confini della badia di Santa Maria di Altilia celebrato nel dicembre 1724, troviamo alcuni documenti riguardanti la trasformazione del paesaggio nei pressi della salina di Neto.

Su mandato di Tommaso Gervasi, abate e superiore del monastero di Santa Maria di Altilia, furono citati alcuni abitanti del casale di Altilia. Dalle loro deposizioni sappiamo che, nel dicembre 1724, una morra di pecore del monastero, mentre pascolava nella parte boscosa della gabella detta La Radicchia, fu sequestrata su ordine degli ufficiali della salina Giuseppe Vetere di Figline e Giuseppe de Luca di Serra Pedace. I due ufficiali con altri armati rinchiusero poi le pecore nella salina. Per tale motivo essi furono scomunicati e condannati, oltre a rilasciare il gregge, a risarcire il monastero per averne leso i diritti, le ragioni ed i beni. Pertanto nel dicembre dell’anno dopo, essi consegnarono ciascuno ducati 15 in moneta d’argento al procuratore del monastero D. Gabriele Costarelli.

Dall’indagine condotta risultò che nell’archivio del monastero di Santa Maria di Altilia c’era un atto in carta pergamena, che riguardava una assegnazione fatta dall’abbate commendatario del monastero Marcello Barracco e confermata da papa Clemente VIII in data sette giugno 1603. In esso, tra l’ altro, era scritto che: “In ricompensa di d(ett)o cenzo, che pagano d(ett)i Padri per viam convent(ion)is, et transactionis esso Sig.r Abb(at)e seu Commend(ata)rio S(u)p(erior)e da mo e per allora dona e cede ut sup.a alla pred(ett)a Mensa monacale un pezzo di T(err)ra di tumulate venti in c(irc)a aratorie ed arborate con alcuni arbori di quercie poste nel territ.o di essa abb.a, dove si dice La Radicchia confino lo giardino di S. Angelo, la via che và alla Salina, ed al bosco di d(ett)a Salina ed altri confini”.

Più di un secolo dopo così sono descritti gli stessi confini della gabella: “da una parte confina con S. Angelo gabella del monastero, dal lato verso la montagna confina col vallone che viene da S. Angelo e va al fiume Neto, e dal lato verso la marina confina col prato della salina, media la via che da Altilia va alla salina”.

Dal confronto tra queste due descrizioni si vede che il giardino di S. Angelo era divenuto una gabella ed il bosco della salina un prato. Il disboscamento era già iniziato nei primi decenni del Seicento. Il tagliatore della salina Salvatore Barberi, citato nel processo del 1640, parlando del bosco della salina, affermava: “Da quindici anni incirca la maggior parte del tempo ci hanno pascolato molti animali d’ogni sorte da diverse persone come al presente vi ne pascolano li bovi di Gio. Tristaino vendutoci dall’arrendatori pro tempore sono stati et in particolare del presente Arrendatore Sig. Anello di Guido alias d’Urzo sino all’arrendamento passato come nel presente et fattoci fare ancora il d(ett)o massaria con fare tagliare tutto il bosco et poi postoci il foco accio li rendesse d(ett)o bosco utile a produrre le masserie di grani”.

Anche la vicina gabella La Radicchia appartenente al monastero di Santa Maria d’Altilia sarà successivamente disboscata. Dapprima solo una parte di essa e, precisamente, quella non confinante col prato della salina, sarà ridotta a semina. Dalle deposizioni dei testimoni di Altilia risulta che “nel passato parte era data in fitto a semina, mentre la parte che confinava col prato della salina era boscosa e serviva d’inverno per il pascolo dei buoi e per farci legna per commodo del monastero”. In seguito, su permesso dell’Abbate D. Roberto Anselmo, superiore del monastero, furono tagliate le cesine e bruciato il bosco dai cesinieri Joannes Petrus Terrioti, Pietro Bruno, Gio. Pietro Stocco e Giuseppe Lazzaro, tutti abitanti di Altilia. Quindi l’abbate mandò il massaro Gioseppe Piroto, esperto della zona, che divise la terra tra i cesinieri e determinò il terraggio, che dovevano pagare al monastero. Dopo tre anni di semina, nel terreno disboscato ed incolto ci pascolano le pecore ed i porci.

L’estendersi del disboscamento in Sila e nella vallata del Neto, unito al mutamento climatico seicentesco, con l’aumento dei nubifragi e delle tempeste autunnali ed invernali, determinerà più volte l’“annegamento” delle saline e costringerà alla costruzione di nuove saline con danni ai terreni circostanti. L’estrazione, infatti, si realizzava attraverso l’apertura di fossi vicino alle terre appartenenti all’abbazia di Altilia e, per ottenere il sale, bisognava togliere grande quantità di terra. Con il passare del tempo e con l’estendersi degli scavi, le terre dell’abbazia intorno alla salina persero di valore, anche perché le querce “sogliono giornalmente devastarsi dai forestieri nella salina”. I “travagliatori” e coloro che si recavano alla salina concorrevano a rovinare le terre dell’abbazia, perché erano soliti portarvi a pascolare il loro bestiame, così parte del bosco vicino alla salina a volte veniva tagliato, altre volte era devastato dal fuoco, per ricavare terreni da mettere a grano e pascolo.

Il territorio presso il fiume Neto con la via che “va alla Salina”.

Allagamento delle saline

La salina regia di Miliati (Milioti), che era situata nel tenimento di Cerenzia, è menzionata già nei documenti del XVI secolo. In una relazione del novembre 1589, il vescovo di Cerenzia e Cariati si lamenta perché “la Corte Regia occupa una salina in uno territorio della chiesa di Gerentia con molto pregiuditio della mensa episcopale senza haverne ricompensa alcuna”. Il 27 ottobre 1629 in Policastro, il notaio Henrico de Planis di Caccuri, regio credenziere delle regie saline di monti di Melito (Miliati) e Lepore, nomina Francesco Greco di Cropani, U.J.D. residente in Napoli, suo procuratore generale e speciale. Il Greco lo rappresenterà presso tutti gli uffici nella città di Napoli.[xiii] Le saline di Miliati e di Lepore, quest’ultima in territorio di Caccuri, erano affittate quasi sempre assieme a quella di Neto.

Le grandi piogge che caratterizzarono l’autunno e l’inverno dell’annata 1691/1692 causarono l’allagamento delle saline di Miliati e di Neto. Essendo accaduto un allagamento, alcuni lavoratori della salina di Miliati testimoniano a favore di Domenico Barberio, che ha costruito un tavolato.

Il 7 gennaio 1692 nella regia salina di Miliati, in presenza del regio giudice a contratto Antonio Cortese, del notaio Antonio Ceraldi e di testimoni, tra i quali il “regio cassiero” Gennaro Vetero e il “bilangiero” Antonio Salnuta, il mastro tagliatore Domenico Rogano della città di Strongoli ed i tagliatori Giuseppe Tristaino di Verzino, Giuseppe Palmiro di Altilia e Domenico Barbiero di Belvedere Malapezza, dichiarano: “come l’intavolato di d(ett)a salina e stato rifatto allargato di ambi i lati allungata, e coverta la sciolla dalla parte di sotto per mezzo della persona del Sig.re Bernardo Sculco, Barone di Monte Spinello e affittatore antipassato di detta salina, per mano di d(et)to Domenico Barbiero di muodo e maniera che per d(et)to tavolato e per nessuna parte di quelle puo fonder acqua che possa nocere e scorrere in d(et)ta salina come per esperienza e con li propri ochi l’hanno visto e ben considerato nelle pioggie seguite nel mentre hanno pratticato e fatigato in d(ett)a salina nella quale stanno anche in atto fatigando essendo d(et)to tavolato di tutta perfettione; asseriscono anche come avendo fatto reflessione come fatigatori di d(et)ta salina che l’acqua che insorgie dentro detta salina quando piove, li deriva d’altra parte solo che d’una fissura esistente dentro d(et)ta salina, quale si e otturata per non far scorrer acqua ad ogni muodo non sanno se possa durare tal otturatione dicendo di certo che d(et)ta acqua non viene dal sud(et)to intavolato ma d’altra parte di dentro d(et)ta salina, che per trattarsi di negotio intrinsico non ponno attestar altro che dal tavolato sud(et)to non viene causa o caggione alcuna, che possa scorrer d(et)ta acqua dentro d(et)ta salina. I tagliatori affermano inoltre che essi sono pratici del mestiere, in quanto hanno lavorato sia nella salina di Miliati che in altre.[xiv]

In evidenza i toponimi “Salinella Ogliastro”, “Salinella Basilico” e “Salinella di Neto”, in un particolare del Foglio N. 237 I “Savelli” della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Realizzazione di una nuova salina

Il 23 giugno 1692, nella regia salina di Neto, in presenza del regio giudice a contratto Rocco Godino, del notaio Antonio Ceraldi e di testimoni, Gio Domenico Barbiero di Belvedere Malapezza “esperto di far saline … dichiara di haver fatigato di continuo nella nova salina fatta dal Sig. D. Dionisio Costinella quale alla bocca e scala di essa vi andorono cento trenta quattro pezzi di travi grossi e lunghi, quali per portarli dalla Sila vi sono andati di spesa docati quaranta e carlini due alla rag.ne di carlini sei il giorno per ciascheduno paro di bovi che l’han condotti, che vengono a pagarsi a carlini tre il pezzo dentro d.a salina di portatura, oltre di altri venti sei pezzi romasti che alla medesima ragione importano docati sette e tari quattro quali pezzi di travi romasti al  presente sono alle boche delle sciolle di detta salina e per altri bisogni di d.a salina e cento e due poncelle seu forche grandi e piccole cio e grandi n.o trenta sei e piccole trenta otto quali servirono sotto l’intavolato quali circa la portatura importano alla medesima ragione di carlini sei per paio di bovi docati venti uno e tari tre e per tagliare d.a legname vi fatigarono per quindici giorni sei persone il giorno, che alla ragione di carlini due per ciascheduno il giorno importano docati otto per assetto di d.ti travi in d.a bocca di salina e scala di essa vi fatigarono per otto giorni sei persone il giorno che alla medesima ragione di carlini due ciascheduno il giorno importano docati nove e tari due et per altre quattro persone che giorni otto tagliarono frasca alla sud.ta ragione docati sei e tari due  e per altre due persone che aggiuttarono a portare d.a legname e buttar terra sopra per giorni otto alla sud.a ragione docati sidici e per il cancello della scala carlini due e per chiodi al tavolato n.o quattro milia alla ragione di carlini venti il migliaro docati otto per portare le tavole della salina vecchia annegata alla nova e fattura di d.o tavolato giornate sei e due persone il giorno alla ragione sud.a docati dudici per otto tavole nove carlini otto.

Come anche esperto a suo giudicio testifica esser andato di spesa per cavatura di un fosso grande che e dentro il bosco sopra la salina nova che confina alla salina annegata per levar la terra dell’acque si sono spesi incirca docati novanta cinque per cavare altro fosso grande che circuisca la salina nova si sono spesi incirca docati sessanta cinque e per un altro foso a torno dove scorre l’acqua del intavolato e di fuora l’intavolato che scende a basso docati trenta per cavar la bocca e scala della salina si sono spesi incirca docati sessanta due.”[xv]

La “Salina di Migliate” e “Le Saline” di Neto in un particolare della tavola N° 29 (1789) della carta di G. A. Rizzi Zannoni.

La nuova salina non dà sale

Il 14 luglio 1692, nella regia salina di Neto, in presenza del regio giudice a contratto, del notaio e di testimoni, i tagliatori della salina di Neto: Gio. Simone di Diano, Antonio Joele, Paulino Riccio di Belvedere Malapezza, Carlo Caputo, Tomaso Catalfato e Gio. Jacometta di Montespinello, Antonio di Diano e Gioseppe Palmiero di Altilia, dichiarano che “la nova salina fatta dal Sig.r Auditore D. Dionisio Cost delegato di d.a salina non frutta cosa alcuna solo nsi taglia pietra come per il passato della quale si ni è quasi pieno il magazeno eccetto questo prossimo passato mese di aprile ci comparse un puoco di sale quale subito si perse con tutto che ci habbino fatigato due tagliatori e due fatiganti etiam in giorno di festa eccetto alcuni giorni non si ci e fatigato per mancanza di tagliatori, con dichiarazione che di d.a nova salina solo si ni hebbe un puoco di frutto per tutto il mese di gennaro prossimo passato.”[xvi]

Spese per la realizzazione di un fosso

Il 13 agosto 1692 in presenza del notaio Antonio Ceraldi, del regio giudice a contratto Rocco Godino e di testimoni (Giacomo Barbiero, Giovanni Tigani, Gregorio Vetere, Lutio de Rose, Leonardo de Rose ed altri), il regio credenziere Giuseppe Caruso elenca le spese ordinarie e straordinarie “per riparo del fosso et altri bisogni, acciò magiormente si havesse possuto scavar il sale per le sciolle che giornalmente vi cascano e per levar il pericolo tanto di tagliatori quanto di fatiganti in detta salina”.

“Mese di maggio. Per una mazza di ferro d(ucati) otto e mezzo/ per quattro barili per la moneta (carlini quattro)/ per il sterro carlini diece/ per due sporte di cacciar sterro grana otto/ per dudici litre e mezzo d’oglio carlini venti cinque/ per due persone che han tagliato legname per il manganello carlini quattro/ per fattura di detto manganello carlini due/ per portatura di detto legname carlini cinque/ per duecento chiodi carlini quattro.

Mese di giugno. Per tagliar legname carlini due/ per portatura di due travate di legname per repare del fosso carlini venti cinque/ per quattro barili per la moneta carlini quattro/ per undici sporte di cavar sterro grana trenta sei/ per quattro litre di oglio carlini otto.

Mese di luglio. Per tagliar legname più giorni carlini quattordici/ per accomodar l’intavolato carlini due/ per sidici litre d’oglio carlini trenta due/ per portatura di venti quattro travate di legname docati sei/ per sei sporte grana diece otto.

Quale spesa in tutto importa docati venti e grana diece sette.”[xvii]

“Miliato” presso Zinga di Casabona (KR), in un particolare del Foglio N. 561 S. Giovanni in Fiore della Carta 1:50000 dell’IGM.

Il commercio del sale

Il 6 giugno 1594, Anellus Lampi della città di Reggio, patrone della barca Santo Rocco di portata di circa 330 tomoli di frumento, è ancorata nella marina e porto di Crotone. La barca noleggiata dal nobile Joanne Carnelevare della terra di Monasterace deve caricare sale.

“Detto padron Anello promette con giuramento carricare in questo porto di Cotrone la propria barca di sale a scascio per quanto detta barca cape, il suo giusto carico, et con primo buon tempo atto a navigare et seguire il suo viaggio, rectotramite et senza fare altro scaro voluntario, quello portare et condurre alli infra.tti lochi: cantara quindici incirca discarricarne allo ceuzo territorio di Stilo, et lo restante sale discarricarlo allo scuro di Stefanicze, et quello consignare della medesma qualità che icqua si sarà consignato ad esso Gioanne Carnelevare, o altro per esso sara cioè Gioanne Pileggi et a m.s Simone Patrolo o ad ciascheduno di essi, et al discarricare che fara in detto scaro di Stefanicze habbia de dimorare con detta sua barca giorni due utili, et discaricatori  fuor di quello giorno dell’arrivata, et discaricato che sarà detto sale, esso m.s Gio.e Carnelevare sia tenuto, come con giuramento promette pagare et consignare per nolo al detto padron Anello Alampi docati trenta cinque correnti alla marina alla barca, in pace altramente sia tenuto a tutti danni. Et finito detto viaggio esso padron Nello sia tenuto come con giuramento promette rectotramite et non mutato viagio retornare in questa città con detta barca et quella carricar di sale al cascio ut s.a per quanto detta barca cape il suo giusto carico, quale sale al secondo viagio celo havera de consegnare in questa citta lo s.r Gio. Andrea Puglisio”.[xviii]

Contrabbando

È dell’otto luglio 1603 un atto notarile con il quale Lorenzo Turiali della città di Amantea libera da ogni obbligo Ottavio Ferrao della città di Cosenza. Mesi prima Giulio Cesare Modio e Luca Francesco Martino, ufficiali della regia salina di Neto, avevano sequestrato 2900 “pezzi di caso” col pretesto che erano stati conciati con sale di contrabbando. Gli ufficiali avevano poi consegnato in deposito il formaggio ai cutresi Gio. Geronimo Pagano e Gio. Geronimo Ganguzza, ai quali per riscattarlo si doveva versare 2 carlini per ciascuna pezza.[xix]

Note

[i] ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de vassalli di d.a scritta a foliate numero 29, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782) 529, 659, B. 8.

[ii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 1A.

[iii] ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de vassalli di d.a scritta a foliate numero 29, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782) 529, 659, B. 8.

[iv] AASS, Fondo Capitolare, cartella 1D.

[v] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Amoroso G., Busta 179, anno 1640, ff. 33-34.

[vi] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Amoroso G., Busta 179, anno 1640, ff. 29v-31.

[vii] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Amoroso G., Busta 179, anno 1646, f. 47.

[viii] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Amoroso G., Busta 179, anno 1641, ff. 24v-25.

[ix] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 2A, f. 5.

[x] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Amoroso G., Busta 179, anno 1640, ff. 33-34.

[xi] AASS, Fondo Capitolare, cartella 7D, fasc.3, ff. 12v-13.

[xii] AASS, Fondo Capitolare, volume 3C f. 120.

[xiii] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Guidacciro G. B., Busta 79, anno 1629, 61v-62.

[xiv] AASS, Fondo Capitolare, cartella 7D, fasc. 3, f. 2.

[xv] AASS, Fondo Capitolare, cartella 7D, fasc. 3, ff. 29v-30.

[xvi] AASS, Fondo Capitolare, cartella 7D, fasc. 3, f. 30.

[xvii] AASS, Fondo Capitolare, cartella 7D, fasc. 3, ff. 30v-31v.

[xviii] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Rigitano F., Busta 49, anno 1594, ff. 98-99.

[xix] ASCZ, Fondo Notarile, Not. Campanaro F., Busta 69, prot. 220, anno 1603, ff. 43v-44.


Creato il 19 Febbraio 2015. Ultima modifica: 18 Dicembre 2023.

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