L’industria della concia nel Crotonese
La presenza di numerose mandrie, che nel periodo invernale pascolavano nei territori presso la marina, favorirono la nascita di una industria della concia nel Marchesato.
Fin dai tempi più antichi era uso trattare le pelli scuoiate degli animali con il sale per conservarle. Questo trattamento era largamente praticato in tutti i paesi. Già a Crotone nel Cinquecento troviamo che “Adi XXVII februarii 1542 luni. Ad Petro Jacomino de Cotroni per rotola undichi de Sali serveno per salare quattro coyra deli bovi dela Corte che haveno crepato per li mali tempi 0 – 0 – 13”.[i] Lo stesso faranno i frati del monastero di San Francesco di Paola di Roccabernarda che compravano il sale dalla salina di Neto per salare i cuoi.[ii]
A Santa Severina
Tra coloro che nel 1548 e negli anni seguenti pagavano un annuo censo alla Mensa arcivescovile di Santa Severina, in parrocchia di Santo Stefano vi era “la ereda de nucio de joanni” la quale “per uno caucinaro” versava ogni anno sei grana[iii] e Federico Palazo abitante in parrocchia di Santa Maria de Puccio “per uno cacinaro alla grecia fo di marcantoni zafarana” pagava lo censo grana sei”;[iv] il cacinaro era situato in una grotta.[v]
Nei primi anni del Seicento in Santa Severina ci sono alcune botteghe dove si lavora il cuoio. Nel marzo del 1621 il mastro Salvatore Madera dichiara che dalla bottega del padre furono rubati “coirame et sole et tutti altri stigli di bottega”.[vi] Nel dicembre del 1623 Benedetto Bisanti afferma che di notte gli era stata scassinata la sua bottega e rubati “molti pari di zavatti et scarpe con tutte le forme, che tutte dette robbe importano docati quattro incirca”.[vii]
La presenza di una conceria a Santa Severina nei primi anni del Settecento è documentata da un atto notarile. Il 3 luglio 1730 presso il notaio Pelio Tiriolo di Crotone, Nicola Oliva Maranese, abitante ed accasato nella città di Taverna, dichiara che era lavorante del mastro conciatore Tommaso Madia di Policastro, il quale svolgeva il lavoro nella bottega di conciatore nella città di Santa Severina. Nel settembre 1721, quando il mastro era ammalato e si trovava nella sua casa di Policastro, Domenico Faraldo della città di Santa Severina lo denunciò, in quanto suo debitore in ducati 44 per fornitura di “coria per la conceria e danari per aggiuto della bottega”. Diventata esecutiva la sentenza, il Faraldo si pigliò dalla bottega del mastro e si portò a casa sua: “Corame pezzi quarantaquattro, sola pezzi quaranta due in due volte, agnelli seu montoni numero cento quaranta, caprine trenta tre”.[viii]
A Crotone
Alla fine del Seicento l’arciconfraternita del SS.mo Sacramento della cattedrale di Crotone possedeva tra i beni stabili “Cinque calcinari, ò vero luoghi dove s’acconciano pelli sotto le muraglia di questa città nel Baluardo detto Brianda”. L’arciconfraternita li affittava e da ogni mastro conciatore esigeva un carlino l’anno”.[ix]
L’arciconfraternita continuò ad affittare i cinque calcinai situati presso il baluardo vicino alla spiaggia del mare nel luogo detto “le sarchi” per quasi tutto il Settecento.[x] Solamente verso la fine di quel secolo, nel 1790 al tempo della Cassa Sacra, tra i beni della cappella soppressa del SS.mo Sacramento di Crotone vi era un “Calcinajo, seu vasche di fabbrica per la concia de’ cuoj, prossimo alle mura della città sud.ta”, ma le vasche, che erano passate in amministrazione della Cassa Sacra, erano inservibili, “per essersi dismessa una tale industria”.[xi]
La fine di questa attività è anche confermata dal successivo catasto della città del 1793.[xii] A ricordo della importanza che a Crotone avevano le attività legate alla lavorazione del pellame vi era nella cattedrale di Crotone la cappella dedicata ai Santi Crispino e Crispiniano, protettori dei conciatori e di tutti i lavoratori del cuoio. La cappella, fondata e dotata nel 1657,[xiii] era situata tra quella della SS. Concezione dei Suriano e quella di Santa Maria di Costantinopoli della famiglia Caparra.
Essa apparteneva alla confraternita dei mastri calzolai o scarpari (“à Magistris Artis Calciariae quam hic vulgo nominant Scarpari”).[xiv] Sempre nella cattedrale vi erano eretti inoltre due benefici: uno di iuspatronato della famiglia Resitano, con altare e cappella sotto il titolo e quadro di San Homobono “de sodalitate sutorum”[xv] e l’altro di iuspatronato della famiglia Vitetta sotto il titolo di San Bartolomeo Apostolo, protettore dei calzolai, senza altare e cappella.[xvi]
Nel Marchesato
Concerie e botteghe dove si lavorava il cuoio erano presenti in quasi tutti i paesi del Marchesato e soprattutto nelle fiere di Mulerà e di San Janni c’era l’occasione per vendere ed acquistare pelli e prodotti di cuoio.
Da un apprezzo dei primi anni del Settecento apprendiamo che a Casabona “Vi è similmente in detta terra la comodità della congiaria da conciare pelli come anche vi è l’industria di fare il salnitro”[xvii] mentre, alla metà del Settecento a Cotronei, Anania Bruno di San Fili raccoglieva le pelli e dietro il Palazzo del Principe aveva una conceria.[xviii]
Da un altro apprezzo del 1653 sappiamo che in San Mauro, “nel mezzo di detto abitato e la strada più larga dove si dice la Piazza nella quale e la poteca lorda, diece poteche di scarpari, con due sartori, dui barberi, uno merciaro, due ferrari di tutti lavori, uno mandese, uno fabricatore, due congiarie di sole e pelle”.[xix]
Nel Catasto onciario di Mesoraca del 1746 troviamo i mastri coriari: Domenico Spinello di anni 55 ed il figlio Giuseppe di anni 18, Ferdinando Martino di anni 47, che paga “per lucro di negozio sopra la conceria, stabilita la rendita Ducati 5 e per affitto della bottega della conceria del Mag.co Matteo de Martinis annui carlini dodeci e Fabrizio Martino di anni 50.” Tutti abitano ed esercitano la loro arte nella parrocchia di San Pietro Apostolo.[xx]
Nel Catasto onciario di Policastro del 1742 vi sono i conciatori: Giuseppe Berardi, conciatore con l’industria della Conciaria, e Saverio Russo mastro conciatore e aiutante di conceria di anni 56 che abita in parrocchia di San Nicolò dei Greci. Sposato con Rosa Mannarino di anni 44, ha quattro figli. Serafino Madia è mastro conciatore sessuagenario.[xxi]
A Cutro esercitava Giuseppe Saraco, mastro concitore d’anni 48. È sposato con Angela Artona di anni 36 e ha sette figli. Fa l’industria della conceria nella quale “tiene applicati ducati 150 in frutto ducati 15”. Possiede una bottega nella Piazza affittata a Lonardo Scicchitano ed una casa palaziata in Piazza dove abita.[xxii]
A Isola vi era il mastro conciatore Antonio Polito di anni 48. Abita in casa locanda della SS.ma Annunciata, confine la bottega della medesima chiesa che paga d’affitto carlini venti. “Tiene in fitto della chiesa sud.a la sud.a bottega, e ne paga di pigione carlini trenta”. “Tiene applicati nella conciaria docati venti, stabilito il frutto in carlini dodeci”,[xxiii] ed a Cirò Francesco Antonio Chirimeli “consatore di coji” di anni 41, figlio di Vittoria Cosenza e sposato con Lucrezia Teani, possiede “nel luogo detto San Leonardo un pezzetto di terra con due concie di coji … tiene applicati sopra la concia de coj ducati 902”.[xxiv]
Le fiere
Il 6 settembre 1574 “in foro Mulerà”, il mastro Scipione Tuscano di San Mauro consegnò a Pelegrino Mirabello di Scigliano carlini 36 a saldo di ducati 46 per l’acquisto di “tot corios” fatto nell’anno precedente.[xxv]
Vi è poi la protesta di Giovanni Domenico Gallello di Cutro, il quale denuncia che durante la fiera di Molerà del 1653 Gioseppe de Squillace, come sostituto arrendatore, lo aveva maltrattato e lo aveva fatto carcerare e ciò per non “haverli conservato uno pezzo di sola et d’haverlo minacciato di voler far vendere l’altre sole che esso Gio. Domenico teneva per comprarsino esso Gioseppe una bona”. Minaccia che poi era stata eseguita, creando gravi danni al Gallello.[xxvi]
Tra le voci portate in uscita da Gio. Andrea Pugliesio, procuratore dell’aristocratico crotonese Lelio Lucifero, troviamo che, il 13 maggio 1586, viene anticipato del denaro a Giovanni Monteleone per andare a S.to Ianni per comprare “carrarizzi, corde, sole, coirame” e altre cose per la masseria e per quelli che vi lavoravano.[xxvii]
Particolarmente esperti in questo lavoro erano i “conciatori di Mesoraca” come risulta dal “Conto dell’amministrazione della tutela della Sig.ra Anna Suriano”, dove nell’entrate del 1714 troviamo: “Coria Bufalini n. … venduti al R.do D. Gio. Bart.o Visciglia dal Sig.r D. Domenico Suriano. Dati à conciare alli conciatori di Mesuraca li sud.ti coire, come per obligo delli med.mi”.[xxviii]
Mastri conciatori operavano anche a Roccabernarda. Tra le elemosine fatte al monastero dei Minimi troviamo che il 2 aprile 1705 “per 4 messe 0 – 2 – 0. Il giorno di S. Francesco dalli mastri consatori e calzolari carlini 16.”[xxix]
Un contratto
Il 22 ottobre 1574 in Santa Severina presso il notaio Marcello Santoro il nobile Arcangelo Infosino stipulava una convenzione con Marcantonio Guertio e Aniballo Picciarello di Santa Severina.
“… che lo pred.to m.co Arcangelo dona in presentia nostra alli predicti Marcantonio et Aniballo presenti docati doi cento de carlini d’argento a guadagno che ne possano comperare così bovi crape et altre sorte de bestiame et mercantia a comune utile et danno per tucti li octo de septembro p.o futuro 1575 et promecteno dicti Marcantonio et Aniballo in solidum convertere dicti docati doi cento in dicti animali et mercantia et al fine de dicti octo de septembro rendere chiaro conto allo p.to m.co Arcangelo et restituirli li p.ti docati doi cento et la metà dell’utile et guadagno che ne pervenerà di detta mercantia et de più promectono li p.ti Marcantonio et Aniballo portare recetta et polissa ad esso m.co Arcangelo ogne volta che comperanno et vendeno dicta mercantia da quelli che vendeno et comperanno con la nota di quanto se vende et compera per cautela et chiarezza dela verita di esso m.co Arcangelo et venendo ditto Marcantonio et Aniballo o che loro piacerà corradare et conciare li pelli deli animali che compereranno che siano tenuti così come promectono conciarli et corredarli a tutte loro spese et fatiche et che detto m.co Arcangelo non sia tenuto ad altro che alla metà deli denari che se comperera la mortilla terra et non altro nec alio modo q.a sic et così ancora di donare esso m.co Arcangelo la metà de li denari delo corradare et zogna che bisognara allo corradare per la metà sua.
Pacto expresso che in casu q.d absit et dio non voglia che se venesse a perdere in detta mercantia, che detti Marcantonio et Aniballo siano tenuti et così promectono restituire li p.ti docati doi cento salvi, et integri al p.to m.co Arcangelo non obstante che no se guadagnerà ma guadagnando l’utile sia comune. Et che dicto m.co Arcangelo sia tenuto et così promecte pagare la metà dela rata sua che li tocca dela dohana dela mercantia che li p.ti faranno.”[xxx]
Pelli da pelliccia
La presenza di numerosi animali selvatici favorì anche una certa esportazione di pelli da pelliccia, come si rileva a Policastro agli inizi del Seicento, dove si mandano a Napoli 199 “pelli di Zaccarelle”[xxxi] e, successivamente nel porto di Crotone dove, nel libro del credenziero del regio fundaco e dogana di Crotone è notata nel 1718 l’estrazione di pelli di volpi, di martore e di gatto.[xxxii]
Note
[i] ASN, Dip. Som. Fabbriche e Fortificazioni, Fasc. 196, f. 200v.
[ii] 2 marzo 1740. “Per quindici r.la di sale per salare i cojri a grana sei il r.lo grana novanta”. ASCz, Libri antichi e Platee, Roccabernarda, Fasc. 80/12, f. 35.
[iii] AASS, 003A, Libro delle Entrate de S.ta Anastasia, ff. 72v, 99r.
[iv] AASS, Libro delli censi de S.ta Anastasia delo anno 1555, f. 42v.
[v] AASS, 003A, Libro delle Entrate de S.ta Anastasia, f. 67.
[vi] AASS, Memoriali di scomunica, 003D.
[vii] AASS, Memoriali di scomunica, 003D.
[viii] ASCz, Not. Pelio Tiriolo, Fasc. 663, f.lo 1730, ff. 76v-77.
[ix] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Illmo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama. A.D. 1699 confecta, f. 86v.
[x] Nel 1720 l’arciconfraternita del SS.mo Sacramento esige un canone di carlini 5 sopra li cinque calcinari (AVC, visita del vescovo Anselmus de La Pena, 1720, f. 47). Nel catasto onciario del 1743 la cappella del SS.mo Sacramento possiede dei “Calcinari seu concia de coja vicino al lido del mar logo detto le sarchi” (ASN, Catasto Onciario dell’università di Cotrone del 1743, Vol. 6955, f. 237).
[xi] ASCZ, D. Aragona Reg. Aminin. Cotrone. Lista di Carico, 1790, f. 27v.
[xii] La Cappella o arciconfraternita della sopp.a Cappella del SS. Sagramento, eretta, e fondata entro la Cattedral Chiesa di questa città di Cotrone esige sopra i calcinari grana 50. Quali non si esiggono. Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 172.
[xiii] ASCz, Not. Hieronimo Felice Protentino B. 229, an. 1657, ff. 45v – 46r. Crotone 8 marzo 1657. Leonardo Vetero, Josepho de Oppido, Carolo Terranova e Matteo Buda, procuratori della Confraternita dei SS. Crispino e Crispiniano ed il diacono Didaco Mazzulla.
[xiv] Confraternita fondata “à Magistris Artis Calciariae quam hic vulgo nominant Scarpari”. Occupano il quinto posto nelle processioni solenni, indossando “saccis colori rubri caputiatis, quorum Rector et Prior insignitur Almutio albo, et virga erigit crucem cum velo serico, nec ei denegatur vexillum”. Festeggiano il 25 ottobre festa dei SS. Crispino e Crispiniano. Hanno l’onere di due messe la settimana dalla fondazione per il benefattore Gio, Francesco Mazzulla. Nel 1699 è procuratore Rutilio Emanuele Escobar. Il loro altare gode di 8 censi annui per un valore di circa ducati 20 annui (AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Illmo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama. A.D. 1699 confecta, ff. 46, 101). Il vescovo di Crotone Anselmo de la pena nel maggio 1720, dopo aver visitato l’altare della SS. Concezione della famiglia Suriano, andò all’altare dei martiri Crispino e Crispiniano “de sodalitate calciariorum” e poi all’altare di Santa Maria di Costantinopoli della famiglia Caparra (AVC, visita del vescovo Anselmus de La Pena, 1720, f. 4).
[xv] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Illmo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama. A.D. 1699 confecta, ff. 31v, 111v.
[xvi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Illmo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama. A.D. 1699 confecta, ff. 36, 154.
[xvii] “Appretium terrae Casabonae sui casalis Sancti Nicolai del Alto et terrae Scarfizzi… anno 1714”, in Pellizzi C., Tallarico G., Casabona, Cittàcalabria Ed. 2003, p. 261.
[xviii] Caligiuri R.S., Cotronei, Laruffa Ed., p. 237.
[xix] AASS, 031A, Apprezzo di Santa Severina del 1653.
[xx] ASN, Cam. Som. Catasti Onciari, Mesoraca 1746, Busta 6979, ff. 120, 181, 182.
[xxi] ASN, Cam. Som. Catasti Onciari, Policastro, Vol. 6991, anno 1742, ff. 33v, 55v, 130v, 58.
[xxii] ASN, Cam. Som. Catasti Onciari, Cutro Vol. 6959, anno 1744, f. 78.
[xxiii] ASN, Cam. Som. Catasti Onciari, Isola Vol. 6974, anno 1745, f. 18v.
[xxiv] ASN, Cam. Som. Catasti Onciari, Cirò 1754, Vol. 6970, ff. 19v-20r.
[xxv] AASS, Not. Marcello Santoro, Vol. V, f. 3.
[xxvi] ASCz, Busta 229, anno 1654, f. 35v.
[xxvii] ASCz, Busta 108, anno 1614, f. 203v.
[xxviii] Nelle entrate della tutela del 1715: “Pervenuti dalla vendita di coera di vacche, e Bovi, et altri in diversi tempi, cioè setti di vacca, D.ti 20.20, di Bovi sette D.ti 33.25, di cinq. chencarelli D.ti 12, d’un annicchio D.ti 1.20. In tutto 66-65”. I prezzi erano: coira di toro ducati 7; di bue duc. 4.75, di vacca duc. 2.89, di jancarella duc. 2.40, di annicchio duc. 1.20. ASCz, Not. Pelio Tirioli, Fasc. 659, f.lo 1716, f. 39.
[xxix] ASCz, Libri antichi e Platee, Roccabernarda, Fasc. 80/6, f. 48v.
[xxx] AASS, Not. Marcello Santoro, Vol. V, f. 42.
[xxxi] 8 marzo 1621. Davanti al notaro compaiono il R.do D. Gio: Thomaso Faraco e Petro Paulo Serra procuratore del dottor Horatio Venturi assente nella città di Napoli. Affinchè il detto Horatio potesse recuperare i propri beni, il detto R.do D. Gio: Thomaso dichiarava che, negli anni passati, come procuratore del detto Horatio, aveva consegnato mediante la persona di Giulio Maccarrone al notaro Giulio di Vona della Rocca Bernarda, ducati 214 e grana 15, 199 “pelli di Zaccarelle” e 14 libre di “seta”, affinchè fossero portati nella città di Napoli. ASCz, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 13-13v.
[xxxii] “A venti Aprile (1718) Gio. Stadio (estrae) pelle di volpi n. quaranta, di martore n. quindeci, e di gatto n. diece”. ASCz, Not. Pelio tirioli, Fasc.661, f.lo 1721, f. 257v.
Creato il 29 Ottobre 2021. Ultima modifica: 29 Ottobre 2021.
Al dr Pesavento i mie vivi complimenti.
GP