Il casale scomparso di Santo Giovanni di Massa Nova in territorio di Cutro
Ai confini del territorio di Cutro, tra Isola e Crotone, su di una collina dominante la pianura, dove scorre l’Esaro e si intravedono la città di Crotone e la marina, ancora oggi sono visibili i ruderi del casale di Massanova.
La zona molto ricca di sorgenti, che attraverso valli e valloni (vallone di Pudano, vallone di Sant’Anna, valle Cupa, valle Carbonara, valle dei Miccisi) fluiscono nei torrenti Farcusa e Magliarello e poi vanno a formare il fiume Esaro, assieme al nome denotano l’origine agricola dell’abitato, quasi certamente un nuovo insediamento o ripopolamento in età alto medievale. Nella vicina località “Manche della Vozza” sopra un vallone dove sgorgano alcune sorgenti che fluiscono nell’Esaro, era situato un ricco santuario di età greca (VI–V sec. a.C.), legato al culto delle acque.[i]
La “Massa”, una vasta estensione di terreno, formata da un insieme di fondi e poderi, messi a coltura da villani e servi, legati alla terra, tanto da farne parte, ma senza possederla, è ottenuta dal disboscamento di un “ager publicus” o foresta pubblica (il vicino “Bosco” ancora nel Cinquecento è aperto agli usi civici degli abitanti di Isola e Crotone).[ii]
Il casale era situato lungo un percorso importante detto la via traversa, che così è descritta in un documento del Cinquecento: “è strada pp.ca che vene da verso la torre de tacina et altre bande et va verso Cotrone”.[iii] Questa via pubblica va “ad irto verso lo casale di Cutro et in lo deritto in verso lo casale di massa nova”. Il casale era inoltre collegato con la via che proveniva dal casale di San Pietro di Tripani come evidenziano gli antichi confini di questo casale: “ab oriente vallonis Tripani et ferit ad viam euntem ad casalem Massanovae …”.[iv]
I privilegi del vescovo di Isola
Dai primi documenti risulta che proprietario di questo nuovo insediamento agricolo è il vescovo di Isola, o Asila, diocesi suffraganea di Santa Severina, creata e dotata nel sec. IX dai Bizantini all’interno del territorio crotonese.
Il casale o “pagus” e le sue terre furono poi concesse dal vescovo ad un conduttore o enfiteuta che, in quanto feudatario investito dal vescovo di Isola, lo governerà e lo metterà a coltura da “dominus”, cioè con pieno dominio sui beni e sulle persone, con obbligo però di migliorare i fondi e di pagare un censo in natura ogni anno alla chiesa isolana.
Tra i privilegi, confermati il 19 luglio 1397 dal papa Benedetto XII al vescovo di Isola Petro Amuloya, che godeva la chiesa di Santa Maria di Isola e che i vescovi facevano risalire al periodo del duca Ruggero, di re Ruggero II e dei papa Eugenio III e Alessandro III, c’era il possesso del monastero o chiesa di Santo Giovanni di Massanova, con le case, i terreni e i suoi privilegi, della chiesa di Santo Nicola di Massanova e del casale di Massanova con i suoi possessi.[v]
Il monastero di Santo Giovanni di Massanova aveva un territorio così limitato: “a principio venae descendente usque ad acquam labricam et deinde vadit per cristam cristam fundentem usque ad ecclesiam Sactae Annae et similiter per cristam usque ad vallonum et deinde descendit per vallonum ipsum usque ad molendinum et deinde transit per vallonum siccum qui quidem vallonus vadit per ante ianuas Sancti Joannis praeditti et deinde ascendit usque ad piricum et deinde vadit ad fossatum magnum veterum et vadit per ipsum fossatum usque ad caput praedittae venae.”[vi]
La terra di Santo Giovanni di Massanova
L’abitato di Santo Giovanni di Massanova, detto anche Massanova, è già documentato durante il periodo normanno. Nel 1194 Ioannes, figlio di Luca de Massanova, con la moglie Irene e il figlio Bartolomeo, vende a Basilio Baimundo un vigneto posto nelle campagne di Catanzaro.[vii] Il casale, sorto molto probabilmente attorno al monastero di Santo Giovanni, nel 1276 è un piccolo villaggio, abitato da 4 o 5 famiglie, e come “Sanctus Ioannes de Massanova” è tassato per tar.2 e gr. 8.[viii] È presente durante il periodo angioino quando, nelle decime del 1326, compare “Dominus Thomas o Thomasio de Massanova che versa un tari.[ix]
Dal 1390, assieme a Isola e altre terre, è in potere di Nicola Ruffo, marchese di Crotone, di cui seguì le alterne fortune. All’inizio del Quattrocento la zona è incolta e spopolata. Nel 1410 durante la lotta tra Ladislao di Durazzo e Luigi II D’angiò, il vescovo di Isola, Petro Amuloya, eletto dall’antipapa Clemente VII, è spogliato dei redditi e dei frutti della sua chiesa da Ladislao.[x] Poco dopo, durante il regno di Giovanna II, nel 1422, Isola e le terre vicine, ritornate in potere del marchese di Crotone, risultano abbandonate dai cittadini e abitate solo da pochi pastori: le proprietà della chiesa, che ammontano ad una rendita annua di circa 50 fiorini, sono incolte e devastate, ed il vescovato è vacante per il trasferimento di Pietro a Catanzaro.[xi]
“Cutri, Santi Iohanni de Monacho, Papanichifori, Cromiti, Apriliani, Mabrocoli, Misicelli, Lachani, Crepacorii, Massanovae, Turrisinsulae” e altri luoghi vicini sono richiamati fra le terre abitate in possesso del marchese in un atto del 1426.[xii] Portato in dote il Marchesato da Enrichetta Ruffo ad Antonio Centelles, alla metà del Quattrocento, Massanova dà un’entrata annua di 15 tari.[xiii] Dopo le vicende del Centelles la terra fu amministrata dalla Regia Corte.
Concessa dapprima da Ferdinando I nel 1467 al castellano di Crotone Francesco Monaco, nel 1473 passò al cognato Bernardo Materdona, al quale seguirono Cola Tommaso (1507), Ferrante (1513), Giovan Bernardo (1530). Giovan Bernardo Materdona la vendette a Marco Antonio Rocca.[xiv] È del 1531 l’assenso regio alla concessione dei proventi di Massanova fatta da Bernardo Manterdona, barone di Massanova, a favore di Giovan Battista Campitelli, barone di Melissa, per il matrimonio di Lucrezia Campitelli e Matteo Materdona.[xv]
Ripopolato con Albanesi: nel 1541 sono contati a Massanova 4 fuochi di Greci e 27 fuochi di Italiani,[xvi] con la costruzione delle nuove fortificazioni di Crotone presenta una certa vitalità economica legata alla produzione di sporte. Le sporte, fatte con i salici che crescevano folti nei luoghi paludosi e negli stagni che attorniavano la collina (ancora oggi nelle vicinanze persistono i toponimi “Li Salici” e “serre del Salice”), erano usate per togliere la terra dagli scavi di fondazione. Pagate a 2 grana l’una, erano prodotte in gran quantità nel casale dagli “sportari” Minico de Stilo, Genu Casentino e altri, ed erano trasportate a Crotone da Battista Yozo de Massanova con le sue bestie. Sono ricordati anche Cosimo Brancati de Massanova, “Catterini mugler dello sportaro” e “Susanna mugler de cola turcho de massanova”, che vende “una cane femme per la guardia deli bove dela regia corte”.[xvii]
Massanova censita successivamente dai contatori in venti fuochi, nel 1565 risulta tra le “terre disabitate”.[xviii] Ma dopo poco risulta popolata; evidentemente all’avvicinarsi dei contatori la popolazione, per non essere tassata, aveva fatto perdere le tracce e poi era ritornata. Da alcuni documenti di questo periodo siamo a conoscenza che per non pagare i fiscali dovuti alla Regia Corte e per sfuggire agli esattori “li habitatori di detto casale vanno fugendo”.[xix]
La Baronia
Nel 1559 esercitando il diritto di ricompra il feudo ritornò a Giovan Bernardo Materdona, il quale nel 1559 lo rivendette a Scipione Firrao. Passò quindi nel 1572 a Diana di Tarsia, vedova di Pietro Antonio Firrao, che lo acquistò all’asta. Poi passò in potere di Ottavio Lucifero, marito di Porzia Firrao, per acquisto fatto per ducati 14.000 da Diana di Tarsia.[xx]
Ottavio Lucifero Barone di Massanova
Come baronia nella seconda metà del Cinquecento è possesso di Ottavio Lucifero, che assume il titolo di barone di Massanova. Nel 1573 il barone paga un censo enfiteutico di 11 salme di grano al vescovo di Isola, che vanta diritti e proprietà conservati fin dai tempi normanni (“Instrumento di cenzo emphiteotico di salme undici di grano, che paga il Barone di Massanova al vescovo dell’Isola in anno 1573”). Il censo è ripagato l’anno dopo dal barone e da Giovanni Ferdinando Barricellis e riguarda le gabelle di Sant’Anna e di Santo Giovanni di Massanova (“Instrumentum differentiae cum Alberano inter Ottavium Baronem Massanovae et Joannem Ferdinandum Barricellis pro censu salmarum undecim de frumento di cenzo enphiteotico ep.i super Gabella nominata S.ta Anna e S.to Jo.ne de Massanova in anno 1574”).
Sempre riferito a questo periodo è un atto relativo alla permuta della “gabella de lo prato”, posta nella baronia di Massanova, confinante con le terre dette della “manca della vozza”, con la gabella “la Ferrara”, posta in territorio di Crotone tra Ottavio Lucifero, barone di Massanova e Giovanni Berardino Barricellis di Crotone (“Instrumentum Permutationis gabellae nominatae delo Prato, positae in tenimento Massanovae iuxta terras nominatas della Manca della Vozza, cum quidam Gabella nominata La Ferrara in tenimento Crotonis inter D.num Octavium Luciferum Baronem Massanovae et Jo.em Beraredinum de Barricellis de Civitate Crotonis”). Una vertenza tra il barone di Massanova ed il vescovo di Isola, conclusasi nel 1599, è a favore del vescovo Anibale Caracciolo “pro pasculo animalium in territorio massanovae”.[xxi]
Morto nel dicembre 1592 Ottavio Lucifero, ereditò il figlio Giovan Paolo Lucifero, il quale vendette nel 1594 il feudo a Violante Firrao, figlia di Diana di Tarsia. Seguirono Marcello Firrao (1612) e poi nel 1618 Marco Antonio Doria.[xxii]
Una visita al Casale
Devastato dalle incursioni turchesche, alla fine del Cinquecento il casale è già da tempo spopolato. Del monastero di Santo Giovanni e della chiesa di Santo Nicola non rimaneva che la memoria; l’unica chiesa esistente nel casale era quella dedicata alla SS.ma Annunziata.
Il vicario generale del vescovo di Isola Anibale Caracciolo, il decano catanzarese Nicolaus Tirolus, nella visita del 12 dicembre 1594 annotò che nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Annunziata posta nel “pagus”, non vi trovò il rettore e la chiesa era chiusa. Nel casale non vi erano uomini ma solo donne, una delle quali interrogata rispose volgarmente “che il cappellano no facea residentia continuamente in detto casale, e da tempo in qua non ci dorme sibene sta in cotrone quale è vicino de detto casale et li giorni de dominica et alcuni festi solemni vene ad celebrare a detta chiesa”. Fattosi dare da una donna, che aveva in custodia anche il calice d’argento dorato con la patena simile dentro una cassa di cuoio e un purificaturo, la chiave della chiesa il vicario vi entrò. Fatta l’orazione visitò l’altare sopra il quale trovò alcuni oggetti ed i vestimenti sacerdotali: “Una pianeta di damasco bianco con la croce di raso car.no con stola e manipolo del med.o, uno cammiso con amitto e cingolo, uno messaletto, uno altare portatile, uno avante altare de oropelle usato, tre tovagli de altare, una carta di Gloria, una pace di legno, quattro candileri di legno vecchi, una croce di legno, uno crucifisso, una figura dell’Annuntiata in tela grande vecchia, un’altra figura piccola di carta con li cornice di legno, uno cuscino di pelle vecchio, uno paro di corporali vecchissimi li quali foro strappati, una campanella.”
Trovò i corporali che erano indecenti e perciò li strappò. Dalla parte dell’Epistola dell’altare vi era una finestrella chiusa a chiave con dentro un vaso di stagno con tre piccoli vasi di stagno, dove erano conservati gli oli sacri. Il fonte battesimale era di pietra ma senza l’acqua battesimale e senza copertura. Interrogata una donna, questa rispose “che quando si baptizava alcuno figliolo lo nostro cappellano pigliava l’acqua de lo canale perche non havea altra acqua benedetta che sapessemo noi”. Annotò che l’edificio minacciava rovina sia nell’arco vicino all’altare che in molte altre parti. Il vicario ordinò che la chiesa doveva essere riparata a spese dell’università, affinché si potesse celebrarvi senza pericolo.
Ricopriva la funzione di cappellano del casale Minicus Garettus, il quale dichiarò che egli non era il rettore della chiesa del casale ma l’anno prima era stato proposto e richiesto dal barone del casale.[xxiii]
La scomparsa del casale
Spopolato a causa delle incursioni turche e delle tasse,[xxiv] e tassato all’inizio del Seicento per venti fuochi,[xxv] il villaggio in possesso del genovese Marco Antonio Doria, che lo detiene in quanto feudatario del vescovo, nel 1633 risulta abitato da 60 persone;[xxvi] pochi anni dopo, malarico e malsano, è abitato sulla sommità della collina da soli trenta abitanti: “In Diocesi adest solum unicum oppidum dictum Massanova obnoxium ditioni Principis Angli, qui eo potitur tamquam episcopi feudatarius et quoniam noxie crassoque coeli infestus est locus, continet capita ad summum triginta.”[xxvii]
Massanova che era stata ripopolata con Albanesi e dove, secondo il Nola Molise ci “sono bellissime fontane, e pascoli, con buoni territori per seminare”,[xxviii] nel 1648 risulta “diruta” e abbandonata; la piccola chiesa della SS. Annunziata è chiusa e vi è solo la torre del barone.[xxix]
Nel 1673 il vescovo di Isola Carlo Rosso così si esprime: “C’era il villaggio di Massanova con il suo parroco ma circa venti anni fa, “ob aeris intemperie, aliisq. emergentibus casibus”, fu abbandonato del tutto dagli abitanti ed al presente appena sopravvivono i suoi resti.[xxx]
I Doria principi di Angri e baroni di Massanova
I Doria mantennero la baronia di Massanova fino all’inizio dell’Ottocento. A Marco Antonio Doria (1618), seguirono Nicola (1664), Marco Antonio (1688), Giovan Carlo (1710), Giovan Francesco (1734), Giuseppe Maria e Marco Antonio (1803). Durante il decennio francese, la commissione feudale, accogliendo la richiesta del comune di Cutro, condannava il duca di Massanova a sborsare una grossa somma per bonatenenza arretrata; soldi che andarono a costituire un fondo per la pubblica istruzione e furono poi utilizzati in parte per la sovvenzione del liceo di Reggio.[xxxi]
Costretto a fare fronte ai debiti con il comune di Cutro e con il fisco, Marcantonio Doria cominciò a contrarre debiti con il Barracco, il quale, come maggiore creditore, riuscì nel 1834 a comprare la baronia.[xxxii] La contrada rimase di proprietà dei Barracco fino al secondo dopoguerra. Nel 1951, Massanova contrada di Cutro, è disabitata ed il territorio è in contestazione con il comune di Crotone. Con la riforma agraria la frazione, costituita da alcune case sparse, è abitata da una trentina di abitanti.
Note
[i] Sabbione C., in Atti del XVI Convegno di Taranto, 1976, pp. 925–927.
[ii] AVC, Nota di fatti e … a pro dell’università della Città di Cotrone contro all’università della Città dell’Isola, 1743, ff. 12–13.
[iii] AVC, Reintegra di Andrea Carrafa, s. c., f. 30v.
[iv] AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della città dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 417 e sgg.
[v] ASV, Reg. Avin. 303, ff. 556-559v.
[vi] AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della Città dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 417v–418.
[vii] Trinchera F., Syllabus Graecarum Membranarum, 1865, p. 321.
[viii] Reg. Ang., XLVI, 237.
[ix] Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 301.
[x] Russo F., Regesto II, 9334, 9335.
[xi] ASV, Reg. Lat. 221, f. 34v.
[xii] ASV, Reg. Vat. 355, f. 287.
[xiii] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, 1963, p. 277.
[xiv] Pellicano Castagna M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, vol. III L-O, 1999, p. 123.
[xv] Mazzoleni J., Fonti per la Storia della Calabria nel Viceregno (1503-1734) esistenti nell’Archivio di Stato di Napoli, p. 177.
[xvi] Maone P., Isola Capo Rizzuto, p. 239.
[xvii] ASN, Dip. Som. Fs. 196, f.lo n. 4 e 6.
[xviii] ASN, Tesorieri e Percettori Vol. 4087 (1564–1565), ff. 104v- 343v.
[xix] ASCZ, Busta 43, anno 1583-1585, f. 18 sgg..
[xx] Pellicano Castagna M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, vol. III L-O, 1999, pp. 123-124.
[xxi] AVC, Nota delle carte conservate nell’archivio vescovile di Isola. Ottavio Lucifero fece fortuna con i lavori di costruzione del nuovo baluardo del castello e con la fabbrica della Capperrina. Aggiudicatosi l’appalto di parte dei lavori, il barone è oggetto di protesta da parte dei lavoratori che “semoreno de fame” perché egli non vuole pagarli e perciò i “lavori sono fermi” (ASCZ, Busta 15, anno 1583, f. 100).
[xxii] Pellicano Castagna M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, vol. III L-O, 1999, p. 124.
[xxiii] AVC, Visita fatta per il Decano di Catanzaro Nicolao Tiriolo vicario generale di d.o Mons.r Caracciolo nell’anno 1594, ff. 43, 57v.
[xxiv] ASV, Rel. Lim. Insula., 1606.
[xxv] ASN, Tesorieri e Percettori, Fs. 558/4162, f. 100v.
[xxvi] ASV, Rel. Lim. Insula., 1633.
[xxvii] ASV, Rel. Lim. Insula, 1644.
[xxviii] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, p. 90.
[xxix] ASV, Rel. Lim. Insula, 1648.
[xxx] ASV, Rel. Lim. Insula, 1673.
[xxxi] Valente G., Le leggi Francesi per la Calabria, 1983, pp. 108, 111.
[xxxii] Petrusewicz M., Latifondo, p. 36.
Creato il 2 Marzo 2015. Ultima modifica: 13 Maggio 2021.