Il castello e l’abitato di Le Castella dagli Aragonesi ai Borboni
Le Castella assediata
Nel sec. XIII “Castellum ad Mare”, nei secc. XIII-XVI “Castellorum Maris”, o “Le Castelle”, alla fine del sec XV anche “Torre delle Castella”.
Terra del ribelle marchese di Crotone Antonio Centelles e della moglie Errichetta Ruffo,[i] Castellorum Maris nel dicembre 1444 fu assediata dall’esercito di Alfonso d’Aragona. Dopo lunga resistenza, il re la ebbe a patti.[ii] Confiscata, fu posta in regio demanio. Per la sua importanza strategica il re nel 1453 ne nominava come castellano e governatore Maso Barrese, già suo falconiere, ricordato per la sua crudeltà e ferocia.[iii] Alla morte di Alfonso, si ribellò nuovamente. Nell’autunno 1459, bombardata da mare e da terra,[iv] dopo essersi opposta strenuamente si arrese a re Ferdinando che aveva accolto le richieste dell’università.[v] Rimase in demanio finché il re, accogliendo il 24 giugno 1462, la richiesta di perdono di Antonio Centelles e della consorte Errichetta Ruffo, non li reintegrava nei feudi confiscati.[vi] All’inizio del 1466, dopo la cattura del marchese di Crotone, ritornò al re.
La terra fu amministrata dalla regia corte tramite capitani e governatori,[vii] finché il re non la concesse a Giovanni Pou, feudatario anche di Torre dell’Isola e di Torre di Tacina (1483),[viii] che la mantenne fino alla “Congiura del baroni”, quando a causa della ribellione del Pou la terra nell’agosto 1486 ritornò in regio demanio.[ix]
A quel tempo l’abitato di Le Castella era circondato da mura, la riparazione delle quali era a cura dell’università, e vi era un castello, proprietà feudale, passato per confisca in demanio regio. Infatti, nell’ottobre 1486 la castellania delle Castelle era stata concessa dal principe di Taranto a Francesco De Miro, che custodiva il castello con undici compagni, scesi poi dal mese successivo a quattro. In precedenza, avevano ricoperto la carica di castellano Petro Pou e Stifano Puglisi.
Lavori alle fortificazioni della Torre delle Castella
All’inizio del marzo seguente, come da ordine di Alfonso d’Aragona, duca di Calabria, diretto al tesoriere Vinceslao Campitello, si provvede “la torre dele castella che se trova nelle nostre marine”. Tra gli interventi “multo necessari” vi erano quelli di approvvigionarla e di rifornirla di: carrate XXV di legna, salme XII di grano, tomoli XXV di “fave et orcziri”, L tavole e di una “aczecta grande, di una “virgara” grande, di una “virgarella” e di un “tabano de arbaso” e, inoltre, si dovevano compiere speditamente questi lavori: “consar lo centimulo et la porta dela torre et fare consar et cambiar li baliste et far lo astraco a la torre de lo spirone delo castello”.
Per tale scopo il duca ordinava al tesoriere Vinceslao Campitello e al tesoriere di Calabria Ultra Martino Peres di utilizzare le entrate provenienti da Torre dell’Isola, Le Castelle e Torre di Tacina, terre confiscate al Pou ed amministrate dall’esattore Antonio de Jacobo de Florentia, nominato a tale incarico fin dall’ottobre 1486 dal principe di Taranto. I lavori al castello proseguivano ancora nel giugno di quell’anno 1487.[x] In tale periodo mentre Battista de Vena, luogotenente e poi sostituto del tesoriere di Calabria Ultra, su ordine del tesoriere Martino Peres e di Don Petro de Aragona, provvedeva ad assicurare il soldo al castellano ed ai suoi aiutanti, “per la monitione de lo castello dele castella” si acquistavano una “pignata” grande di ferro da Andrea Paglaro, cinquanta “taboli” dal mastro ferrero Sibio Tabernisi, dieci travi, che servono per la fabrica da farsi in “lo astraco dela turri delo spiruni delo castello” ed una “verrina” grande di ferro dal mastro Paulo Marino, da più persone venticinque carrate di legna ed inoltre si pagava il mastro Antonio de Marsico, per aver fatto “uno astraco alla turri delo sputuni delo castillo dele castella”.
Poco dopo, nell’aprile 1491, l’università delle Castelle chiedeva a re Ferdinando di poter riparare le mura della città, continuamente rovinate dalle mareggiate, utilizzando il denaro proveniente dall’esenzione del pagamento di un carlino a fuoco per le fabbriche del regno e da altre entrate.[xi] Sempre in questi ultimi anni del Quattrocento, al tempo della spedizione contro il Regno di Napoli del re di Francia Carlo VIII, è ricordato il castello di “Torre delle Castelle”, che è sede di una guarnigione regia.[xii]
Le Castella ribelle ad Andrea Carrafa
Re Federico d’Aragona nell’ottobre 1496 vendette Castellorum Maris con altre terre ad Andrea Carrafa.[xiii] Il conte di Santa Severina non riuscì ad entrarne in possesso per l’opposizione degli abitanti, nonostante l’aiuto promessogli da Paolo Siscar, conte di Ayello, governatore della provincia di Calabria.[xiv] Con l’arrivo degli Spagnoli, Consalvo Ferrante, gran capitano, consegnò al conte la terra delle Castelle e Santa Severina.[xv]
Il Carrafa fu riconfermato nel possesso dal re Ferdinando il Cattolico[xvi] ma gli abitanti nella primavera del 1512 gli si rivoltarono. Dopo la cruenta repressione condotta da Bernardo Villamarino, conte di Capaccio, il Carrafa nel 1517 ottenne dal re che, poiché per le “mala tempora”, molti diritti e beni erano stati illecitamente sottratti, o occupati da secolari ed ecclesiastici, si procedesse a fare la reintegra dei suoi feudi. L’anno dopo il viceré Raymondo de Cardona ordinava al giustiziere Francesco Jasio di Taverna di procedere alla verifica dei beni e dei diritti feudali e alla compilazione di un inventario.[xvii] Nel 1520 il commissario regio consegnava due copie del documento: una per l’archivio pubblico di Napoli a cautela della Regia Corte, l’altro per la corte della terra di Le Castelle e del conte.[xviii] Dal manoscritto si possono rilevare importanti notizie sulla vita economica e sull’assetto urbanistico della terra che allora era tassata per 202 fuochi.[xix]
Ricostruzione delle fortificazioni
L’abitato “intus ditta terra” era circondato da mura, alcune di antica costruzione ed altre edificate di recente. Esso era composto per la maggior parte da case palaziate, da alcune case terranee e da qualche “domuncula seu capanna”. Vi era la chiesa di Sant’Andrea, situata presso le mura nuove nei pressi del porto piccolo, il luogo detto la “Scarpa Grande” vicino al porto grande, una piazza pubblica, la chiesa parrocchiale di Santa Maria de Castellis, con sacristia, cimitero e campanile con tre campane, il luogo detto “Curtilio dela Corte” ed una “virdisca” presso le mura antiche.
“In Marittima”, presso la riva del mare, nelle località “la Porta de fora”, “ripas dittas la timpa dela porta de fora”, “ripas dittas le timpe delo casale” e “lo canalicchio”, sorgevano “magazeni”, “apoteghe” (spetiaria, calcinario, calemario, bucciaria, ecc.), “casaleni” ed alcune “domuncule”; nelle vicinanze si trovavano anche l’ospedale e la chiesa di San Nicola. Sempre fuori delle mura cittadine, davanti alla porta principale, vi era il “Burgo” dove abitavano i braccianti.
Dal documento si ricava che nei primi anni del Cinquecento, le fortificazioni erano state rifatte. Parte della cinta muraria cittadina era stata rinnovata e mutata nella sua estensione.[xx] Il vecchio castello era stato dismesso e ne era stato costruito uno nuovo, in un luogo diverso. Esso era “formatum cum fortelitiis et eius monitionibus armaturiis et aliis castro necessariis ad eius defensionem”. A ricordo della antica fortificazione la chiesa parrocchiale arcipretale di Santa Maria de Castellis è descritta come situata dentro le mura dell’abitato “in loco ditto et pp.e nominato Lo Castello Vecchio ubi antiquitus erat Castrum vetus dittae Terrae”.
La chiesa, che era stata da poco ampliata utilizzando il suolo di una casa confinante, era di juspatronato del conte ed era la maggiore di Castellorum Maris, confinava dalla parte della porta principale con la via pubblica che andava verso il “curtilium dittum dela Corti”, e dalla parte dell’ala destra, dove vi era la porta piccola e della “tripona”, con le case di Salvo Succurra e di Domenico De Pace, che erano poco distanti dalla riva del mare, e dalla parte dell’ala sinistra, dove c’era il battistero, con la sacristia ed il cimitero.[xxi]
Durante la spedizione del Lautrech contro il Viceregno di Napoli 1525/1528, Le Castella si ribellò agli imperiali e resistette tenacemente. I filospagnoli la riconquistarono solamente dopo un lungo e cruento assedio al quale dette un valido aiuto il feudatario di Isola, Gio. Antonio Ricca.[xxii]
L’assalto turco
Nel frattempo, morto il conte di Santa Severina Andrea Carrafa, il nipote Galeotto subentrava nei beni feudali, tra i quali vi era la terra di Castellorum Maris con il castello che, in quanto “è esposto ad la marina et a’ danni deli Turchi et altri pirati”, era custodito da un castellano, un bombardero e dieci compagni.[xxiii]
Il ritorno sotto il dominio spagnolo non tranquillizzò gli abitanti, i quali vivevano nel timore di una imminente incursione turca. Dalla rilevazione dei fuochi fatta nell’ultima settimana del maggio 1532, i compilatori, oltre a stabilire che la terra era popolata da circa mille e duecento persone, annotavano che nel borgo, fuori mura, vi erano quattordici case vuote ma abitabili, i cui proprietari dichiaravano di risiedere dentro le mura della terra e di utilizzare le dimore site nel Borgo solo durante il giorno, perché di notte si rifugiavano dentro la cinta muraria per la paura ed il sospetto dei Turchi.[xxiv]
Le nuove fortificazioni cinquecentesche della città tuttavia davano sicurezza. “Quando vi era nova de Turchi li preti et gente dell’Isula salvavano la gente et robbe in la terra delle Castelle perché nella città dell’Isula non ci era mura”, ma “nel 1536 i Turchi pigliarono tutte quelle persone che si ritrovavano dentro detta terra … (che) … fu saccheggiata et brusciata tutta di maniera che si abbrusciarono et si persero tutte scritture et protocolli de notarii”, tra i quali i privilegi originali del vescovato di Isola che erano in una cassa nella sacristia della chiesa di Santa Maria de Castellis.[xxv] Non passarono molti anni che, nonostante il potenziamento delle fortificazioni, la città dovette subire un nuovo assalto turco nel novembre 1545. Numerosi abitanti furono fatti prigionieri e portati via per ottenerne il riscatto, molti furono uccisi, altri trovarono rifugio in luoghi più sicuri.[xxvi] La città decadeva: dai 275 fuochi del 1532, nel 1545 non ne rimanevano che 183.[xxvii]
Continuavano le incursioni turche. Per prevenire la distruzione della città e l’abbandono da parte degli abitanti, il feudatario della vicina città di Isola, Io. Antonio Ricca, dopo che l’abitato aveva subito il saccheggio dell’armata di Dragut, fa costruire a sue spese nel 1549 il castello e nuove mura cittadine.[xxviii]
Smantellamento delle mura
Se Isola si muniva per sostenere i sempre più frequenti assalti dei pirati, ben altra sorte attendeva Le Castella. Due anni dopo nel 1551, “la terra delle Castelle con il suo castello seu fortelezza”, veniva venduta da Galeotto Caraffa a Ferrante Caraffa, duca di Nocera. Così, mentre il feudatario di Isola fortificava per non spopolare il suo feudo, il nuovo feudatario di Le Castella all’opposto, si adoperò per renderla disabitata, in modo da impossessarsi dei diritti e delle proprietà dei Castellesi.
Durante il viceregno del duca d’Alba (1556-1558), dopo l’incursione turca su Cariati (27 luglio 1557), per paura e col pretesto che i Turchi potessero farne base per le loro scorrerie si decise di abbattere le mura.[xxix] Nell’aprile 1558 per ordine della Regia Corte, la città fu smantellata e “sfrattarono tutti de dicta terra”.[xxx] Le mura furono aperte e gli abitanti superstiti dovettero andarsene, rimasero solamente una quindicina di famiglie all’interno del castello feudale.[xxxi] Gli edifici cominciarono a rovinare e nel 1566 Le Castelle è tassata per solo undici fuochi, quelli all’interno del castello, mentre la terra risulta “dishabitata”.[xxxii]
L’abbandono
Le proprietà dei Castellesi divennero subito preda e motivo di lite tra il vescovo di Isola ed il feudatario di Le Castella. Il duca Ferrante Carrafa “tenne per officiale in la detta terra uno nominato pietro de velanzola homo di mala vita et qualita lo quale attendeva a non far pigliar le terre del detto vescovato, spaventando et carcerando sotto diversi coloro, le persone che contro la sua volonta pigliavano le dette gabelle”.[xxxiii]
Il duca estese le sue mani sui corsi di Campolongo, Soverito e San Fantino,[xxxiv] facendo pagare la fida ai Castellesi come se fossero dei forestieri.[xxxv] Costretti ad abbandonare l’abitato, i piccoli proprietari cedettero le proprietà, così i cittadini non più residenti, persero i diritti universali sui corsi. Il venir meno della popolazione e l’accumulazione dei terreni in poche mani, col passare del tempo resero selvatico il territorio, non più arato, perchè “son pochi habitatori et terre molte”.[xxxvi]
Dalla visita fatta nel 1568 dal vescovo Annibale Caracciolo (1562-1605),[xxxvii] sappiamo che le tre chiese di Santa Maria, San Nicola e Sant’Andrea godevano di distinte e sufficienti proprietà e rendite, ma dopo lo smantellamento di Le Castella, i loro beni furono incorporati parte al capitolo e parte alla mensa vescovile di Isola.[xxxviii] Lo stesso vescovo, recuperate con “magno labore et impensis”, togliendole al feudatario, due delle campane delle chiese abbandonate, se le fece trasportare nel suo campanile di Isola.[xxxix] Distrutte le chiese di San Nicola e di Sant’Andrea, rimase solo quella arcipretale di Santa Maria, ma l’arciprete di Castellorum Maris passò per quinta dignità nel capitolo di Isola, fintanto che non si fosse ripopolata la distrutta terra.[xl]
Feudatari e vescovi
Poiché i terreni che erano stati posseduti dalle chiese erano situati in diverse parti del territorio delle Castella, per evitare le liti che di continuo nascevano per la loro coltura tra il vescovo di Isola ed il barone delle Castella, “si convennero di dover cedere il barone altri territori tutti in una continenza a favore della mensa vescovale, e del clero della città d’Isola per compenso delle terre delle chiese destrutte, che furno assignate, e date al barone”. Avendo stimato che le terre della chiesa di Santa Maria in territorio delle Castella, cedute dal vescovo al barone, rendevano annualmente tomoli sessanta di grano, il vescovo pose la condizione che, se “la chiesa predetta di Santa Maria delle Castella, che adesso è deserta e senza clero, ritornasse al pristino stato. In tal caso esso Monsig. vole, dechiara et stabilisce, che dette tomole sessanta de grano siano et vadino in beneficio di detta chiesa, da distribuirsi fra esso Mons. e detto clero per quella parte che se distribuiva priache detta terra fusse dishabitata”.[xli] Mentre si accendevano fiere liti tra i grandi proprietari terrieri,[xlii] i beni dei Castellesi passavano nelle mani del vescovo di Isola ed in quelle del feudatario.[xliii]
Durante il periodo in cui Le Castella fu feudo di Alfonso Carrafa (1558-1583) e di Ferrante Carrafa (1583-1593), la maggior parte del suo territorio passò in potere del feudatario. Costretti dalla violenza degli ufficiali del duca, tra i quali spiccarono Pietro de Velanzola ed il castellano e baiulo Domenico Gaitano,[xliv] dai raccolti scarsi e dalle rendite sempre più incerte, gli ecclesiastici cedettero i terreni in cambio di un censo annuo in grano sicuro e prestabilito.[xlv]
Le Castella a fine Cinquecento
A fine Cinquecento pur spopolata, Castellorum Maris conservava ancora i resti delle fortificazioni ed alcuni magazzini per il grano. Il vicario del vescovo di Isola, il decano catanzarese Nicolao Tiriolo, nel dicembre 1594 entrò nel castello dalla porta, “ben inferriata doppia con quattro sbarre di ferro, doi all’una et doi all’altra porta con la serratura et masco grandi sotto una lamia”,[xlvi] e visitò la chiesa di Santa Maria che era “quasi in totum derelicta et despoliata”.[xlvii]
Le quindici famiglie che abitavano nel castello, di cui era castellano Giulio de Bona, se ne erano quasi tutte andate a Cutro e ad Isola per paura dei Turchi.[xlviii] Nel castello, dove a ricordo del costruttore c’era “una effigie di Andrea Carrafa guasta un poco al naso”, e nella torre erano riposti un “falconetto” e alcuni “smerigliotti”, “archibuscioni”, “alibardi” e “archibusci”,[xlix] rimanevano solo il castellano ed i suoi aiutanti che d’estate quasi sempre se ne stavano a Cutro.
Essendo la terra “ruinata et dishabitata”, l’arciprete, che godeva di una decorosa prebenda, non vi faceva residenza per paura dei Turchi e dei banditi, e vi si recava solo nei giorni festivi per celebrare la messa ed amministrare i sacramenti ai marinai che vi capitavano ed ai pochi abitanti che erano nel castello.[l] L’abbandono ed il degrado delle campagne, con la rovina delle numerose chiese sparse sul territorio, è così descritto dal decano Tiriolo: “Inveni in itinere plures ecclesias rurales quae per continuam turcar. invasionem reparari non possunt”, mentre il vicino territorio di Tacina non aveva chiese da visitare “cum sit iam penitus destructum”.[li]
Un tentativo di rinascita ben presto è stroncato: una razzia[lii] arreca ulteriori danni e rapimenti.[liii] Poiché gli abitanti non sono in grado di difendersi, per ordine del re Filippo IV la terra nel 1644 è abbandonata.[liv] La chiesa, o piccola edicola, di Santa Maria de Castellis, o della Visitazione, continuò ad esistere fuori dal castello feudale; mancante di tutti gli arredi sacri ed in parte distrutta, fu ripristinata dall’arciprete Geronimo Zurlo.[lv] Così nel 1648 essa si presentava in ordine e con l’altare maggiore decentemente ornato.[lvi]
La chiesa di Santa Maria della Visitazione
A ricordo del luogo “Castello vecchio” e delle mura della città, così annotarono i vescovi di Isola che la visitarono la chiesa di Santa Maria de Castellis, o della Visitazione: “Eccl.a sub invocat. Sanctissime Visitationis est extra fortilium sub fornice quodam antiquor. muror. Castri”.[lvii] Essa sorgeva ormai “in aperto”, “sub fornice antiquor. muror. oppidi extra arcem constructa rudis et angustae formae”.[lviii] Il vescovo di Isola Francesco Megale nel 1680 così si esprime: La chiesa è fuori del castello spero tuttavia di erigere una edicola dentro il castello se mi asseconderà il principe di Cutro che ne ha il dominio.[lix] L’intento del presule non si realizzò e così il nuovo vescovo, Francesco Marino, alla fine del Seicento, poiché la terra cominciava a ripopolarsi,[lx] cominciò a ricostruirla ampliandola.[lxi]
Contribuì alle spese l’arciprete di Le Castelle Gio. Domenico Crocco che, per testamento, nel giugno 1697 lasciò 50 ducati “per complire l’intempiata ed altre cose necessarie che bisogneranno”.[lxii] La chiesa matrice, che prima era una piccola edicola, ingrandita e finita, fu benedetta dal nuovo vescovo Domenico Botta (1717-1722).[lxiii] Si verificavano così le condizioni a suo tempo poste per la reintegra e l’università delle Castella, richiamandosi alla convenzione stipulata nel 1578, tra il vescovo Caracciolo ed il Duca di Nocera, per le terre di Santa Maria delle Castella, si rivolse all’arcivescovo di Santa Severina, affinché intervenisse a favore della matrice, ordinando al vicario capitolare e al clero della città di Isola: “che rilascino d.ta annua entrata a favore della chiesa matrice delle Castella non potendone essi litigare avanti a giudici ordinarii per la povertà”, restituendo i tomoli sessanta di grano che ogni anno, il barone dava alla mensa vescovile ed al clero di Isola, “perché oggidì s’è fatto il caso d’essersi rimessa, e ritornata in pristino stato la chiesa matrice sud.a con essersi augumentato il populo in d.a t.ra sopra il numero di 600 anime, che si danarebbero”.[lxiv] Verso la metà del Settecento “fuori del castello c’è la parrocchiale della B.V.M. che prima era una semplice edicola ora in verità è una nuova chiesa con tre altari”,[lxv] essa è decentemente ornata e provvista di paramenti sacri.[lxvi]
Il vescovo Giuseppe Lancellotti (1749-1766) riesce finalmente a porre fine bonariamente alla lunga controversia che oppone il clero di Le Castella al capitolo di Isola, ed il 24 febbraio 1757, fa stilare una convenzione che definisce le condizioni per l’assegnazione dei sessanta tomoli di grano che annualmente versa il feudatario.[lxvii]
Nel 1771 Le Castella conta 28 fuochi, “gente tutta campagnola, che miseramente vive”. La chiesa arcipretale è nell’imminente pericolo di rovinare, “situata sopra uno scoglio, che viene continuamente battuta dal mare, con un pontone, o sia pilastro a mano sinistra dalla porta che minaccia imminente rovina, giachè oltre di trovarsi il pedamento del tutto lesionato, perché sta situata sopra un picciolo scoglio il quale comparisce fragolo, o sia aperto in guisa tale nel solo rimirarsi fa conoscere non solo il pericolo imminente della rovina ma anche quello de cittadini. Per tal causa le mura della chiesa sono lesionate ed aperte”.
La costruzione della nuova chiesa
Essendo morto nel febbraio di quell’anno l’arciprete Arcangelo Affittante (1724-1771), i Castellesi, non essendo in grado di riparare la vecchia parrocchiale, poiché sarebbe stata necessaria una “esorbitante somma di danaro, colla quale s’edificarebbero più e più chiese”, supplicarono la Santa Sede di non nominare per alcuni anni l’arciprete ma di usare le rendite dell’arcipretura vacante per costruire un nuovo edificio in un luogo più sicuro. La supplica fu accompagnata dall’assenso del vescovo di Isola Monticelli, il quale pose la condizione che, terminata la nuova chiesa, i cittadini di Le Castella avrebbero dovuto edificarne un’altra fuori dell’abitato a Ritani, nelle sue terre, per favorire i suoi lavoranti ed affittuari.
Il progetto era di completare l’opera entro sette anni. Così per sette anni i Castellesi corrisposero alla mensa vescovile di Isola le decime in grano, e dopo la Real Determinazione la congrua in denaro. A sua volta, per tutto il tempo, il vescovo di Isola mantenne a Le Castella un economo curato e si interessò al mantenimento della vecchia chiesa e alla costruzione di quella nuova. Passati i sette anni, nel giugno 1778, fu nominato il nuovo arciprete, Domenico Antonio Alessio, e la nuova chiesa rimase incompleta. Il vescovo disse ai cittadini di Le Castella che, se avessero voluto completarla, avrebbero dovuto farlo a loro spese.
Nel 1780 la nuova piccola chiesa era “edificata di rustico con piccoli cornicetti” e ancora senza pavimento; dovevano essere terminati gli altari, la sacristia ed il campanile, e bisognava stuccarla interamente. Si calcolava che per poter officiare, occorresse ancora spendere circa duecento ottanta ducati. I Castellesi, “giache passano più li giorni digiuni, che sazi per la gran miseria”, si rivolsero al re. Essi fecero presente che la mensa vescovile di Isola, oltre a possedere vasti possedimenti nel loro territorio, si era a suo tempo impadronita delle entrate delle chiese di Le Castella e non le aveva mai più restituite, chiesero perciò che il vescovo completasse a sue spese la chiesa e restituisse i beni o, almeno, si impegnasse a pagare la congrua al parroco e mantenesse la nuova chiesa di tutto il bisognevole.[lxviii]
Durante l’arcipretura di Domenico Antonio Alessio,[lxix] la nuova chiesa fu completata e riprese vita. L’università di Le Castella continuò a rivendicare le rendite delle chiese a suo tempo incamerate dal vescovo di Isola e l’arciprete, dopo il terremoto del 1783, le rendite dell’arcipretura delle Castelle che erano state date in gestione alla Cassa Sacra.
Nel 1789 la chiesa parrocchiale di Santa Maria della Visitazione risulta ben fornita di arredi sacri e vi sono, oltre all’altare maggiore, altri quattro altari dedicati a S. Antonio, S. Giuseppe, all’Assunta e del Rosario (gli ultimi due “diruti”) e la sacrestia[lxx] e tra le entrate, che la chiesa parrocchiale ed il clero delle Castella godono, vi è quella dei trenta tomoli di grano annui che fornisce la Camera Principale; “qual prestatione si divide dal clero della cennata chiesa” che è composto da due sacerdoti e l’arciprete.[lxxi] La chiesa arcipretale di Le Castella era ritornata in possesso di parte delle rendite di cui godeva[lxxii] e, pur andando soggetta negli anni a restauri e rifacimenti,[lxxiii]73, continuò ad esistere nel luogo dove è attualmente.
Note
[i] Castellorum Maris faceva parte delle terre del marchese di Crotone Nicolò Ruffo. Alla sua morte passò alla figlia Giovannella e, morta anche costei, pervenne alla sorella Errichetta che la portò in dote con le altre terre ad Antonio Centelles. ASV, Reg. Vat. 355, f. 287. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963.
[ii] Il 15 gennaio 1445 i rappresentanti dell’università si presentarono all’accampamento del re presso Crotone per l’approvazione dei capitoli. Rubino G., Le Castella in Calabria Ultra, Napoli 1970, p. 90.
[iii] Mazzoleni J., Regesto della Cancelleria ragonese di Napoli, Napoli 1951, p. 18. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 244.
[iv] Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN 1884, p. 284.
[v] Re Ferrante “in felicibus castris prope Belcastrum”, il 14 ottobre 1459 accoglieva le richieste fatte da Michele Petro a nome dell’università. AVC, Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564, ff. 415-416.
[vi] AVC, Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564, ff.74-96.
[vii] Tra il 1471 e il 1477 Ferdinando de Almeda ebbe in concessione, S. Severina, Policastro e Le Castelle di Mare. Falanga M., Il manoscritto da Como fonte sconosciuta per la storia della Calabria dal 1437 al 1710, in Riv. Stor. Cal., n. ½, 1993, p. 252.
[viii] AVC, Nota de fatti a pro della uni.ta della citta di Cotrone contro alla uni.ta della citta dell’Isola, 1743, f. 12.
[ix] AVC, Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564, ff. 416 sgg. Maone P.-Ventura P., Isola Capo Rizzuto, Rubettino 1981, p. 107.
[x] Il castellano riceveva uno stipendio di ducati otto al mese e ogni aiutante ducati due. ASN, Dip. Som. Fs. 552, I Serie, f.lo 1, 1487, Cunto dele intrate dela cita dellisola le castelle et de tacina loro pertinentie et districto administrate per me Antonio de Jacobo de Florentia, ff. 39-40.
[xi] Trinchera F., Codice aragonese, Napoli 1874, Vol. III, pp. 48-50.
[xii] Il 30 gennaio 1495 il conte di Alife comunica al tesoriere di Calabria che dal 1° febbraio si devono licenziare i compagni il cui numero superi il previsto nei castelli di Strongoli … Cotrone … Torre delle Castelle. Mazzoleni J., Gli apprestamenti difensivi dei castelli di Calabria Ultra alla fine del regno Aragonese (1494-1495), in ASPN. a. XXX (1944-46), p. 142.
[xiii] Nel 1496 Castellorum Maris era tassata per 190 fuochi e dava entrate per ducati 45. AVC, Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564, f. 475.
[xiv] Nel cedulario della provincia di Calabria Ultra dell’anno 1500 si tassò Andrea Carrafa solamente per la terra di Roccabernarda e per il feudo di Crepacore. ASN, Ref. Quint. Vol. 207, ff. 79 sgg.
[xv] AVC, Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564, f. 452.
[xvi] La conferma avvenne da Salamanca il 18.1.1506 e da Castello Novo il 20.5.1507. Nel cedulario del 1508 si tassò il conte anche per Santa Severina e casali e per la terra delle Castelle. ASN, Ref. Quint. Vol. 207, ff. 79 sgg.
[xvii] AVC, Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564, ff. 488-489.
[xviii] AVC, Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564, ff. 488 sgg.
[xix] Pedio T., Un foculario del Regno di Napoli del 1521 e la tassazione focatica dal 1457 al 1595, in Studi Storici Meridionali, n. 3 1991, pp. 264-265.
[xx] La corte possedeva presso il mare un pezzo di terra “cum certa parte vestigior. et pedamentor. Domorum”, situato fuori mura nel luogo detto “la Porta de Fora”, confinante con la via pubblica che va dentro la terra di Castellorum Maris. AVC, Reintegra delli territori e robbe del vesc.to dell’Isola di carte trenta sei nell’anno 1520, f. 19v.
[xxi] Era arciprete Bernardo de Conticello. AVC, Reintegra delli territori e robbe del vesc.to dell’Isola di carte trenta sei nell’anno 1520, f. 26 sgg.
[xxii] Lo si rileva dalla lapide sul suo sepolcro, esistente nella chiesa di San Marco di Isola. De Lorenzis M., Catanzaro, Vol. III, 1968, p. 619.
[xxiii] Il castellano riceveva 5 ducati al mese, il bombardero duc. 3 e i compagni carlini 25. Maone P.-Ventura P., Isola Capo Rizzuto, Rubettino 1981, p. 271.
[xxiv] ASN, R. C. Som. Numerazione fuochi terre Castellorum Maris, F. 133, ff. 73-110.
[xxv] AVC, Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564, ff. 413 sgg.
[xxvi] Il saccheggio fu attribuito dagli abitanti al Barbarossa. ASN, R. C. Som. Numerazione fuochi terre Castellorum Maris, F. 133.
[xxvii] ASN, Tesorieri e percettori di Calabria Ultra, Vol. 4087, anno 1564-1565, f. 14v.
[xxviii] “Draut Rais passando con l’armata da questi mari saccheggiò questa citta (Isola) la quale all’hora non era serrata de mura”. AVC, Cart. 117. L’anno di costruzione delle mura e del castello di Isola si rileva dall’epigrafe con arme dei Ricca posta sopra la Porta Magna della città.
[xxix] “Questa deshabitatione fu procurata dal Ill. Duca di Nocera loro padrone per farsi padrone delle loro terre et vigne, come chiaramente si vede esserli reuscito”. Galasso G., Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Napoli 1967, p. 387.
[xxx] Maone P.-Ventura P., Isola Capo Rizzuto, Rubettino 1981, p. 283.
[xxxi] Guarino Pantisano di circa 80 anni, nel 1594 affermava: “Sono arciprete delle Castella con cura d’anime, si bene son pochissime anime perchè dopo che li turchi pigliaro detta terra e fo anco smantellata, tutti li cittadini sene partiro”. AVC, Visita fatta per il decano di Catanzaro Nicolao Tiriolo, vicario generale di d.o Mons. Caracciolo nell’anno 1594 consistente in carte scritte cento et cinq., f. 88v.
[xxxii] Tassata per 183 fuochi nel 1545, l’undici marzo 1563 le fu aggregato un fuoco e così rimase a 184, il “X januarii 1566 in R. 7 f. 36 fuit data in taxa p. focularibus undecim”. ASN, Tesorieri e percettori di Calabria Ultra, Vol. 4087, f. 14v.
[xxxiii] “Protestatio E.pi Insulani contra pastores et officiales terre Castellorum in anno 1558.” AVC, Inventario et Nota delle scritture pertinentino al Sacro Vescovato della Città dell’Isola et al suo Capitolo.
[xxxiv] Nel 1551 Galeotto Carrafa aveva venduto a Ferrante Carrafa, oltre al diritto di ricomprare da Vincenzo Scalera per ducati 5000 la terra delle Castella, anche quello di ricomprare da Pietro Iacovo Brancaleone i corsi di Campolongo e Soverito, e da Giovanni Antonio Ricca, barone di Isola, il territorio di S. Fantino. ASN, Ref. Quint. 207, ff. 78-122.
[xxxv] I cittadini di Le Castella avevano su questi corsi il diritto di pascolo. “Affitto di Campolongo delli Castelle col Soverito con riserba di poterci pascolare li cittadini nell’anno 1549 e cum ea reasumptione in anno 1575.” AVC, Inventario et Nota delle scritture pertinentino al Sacro Vescovato della Città dell’Isola et al suo Capitolo. Nel 1564 lite tra il vescovo ed il duca sul diritto di sterzatura sul territorio di Campolongo. AVC, Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564.
[xxxvi] Relazione di Marcello Sirleto al cardinale Sirleto sulle terre di Isola della badia di S. Maria del Carra …, 26.10.1569. BAV, Vat. Lat. 6190, ff. 205-206.
[xxxvii] L’anno prima c’era stato un processo per lo juspatronato di Santa Maria delli Castella, tra il vescovo Caracciolo ed il Duca di Nocera. AVC, Processo per lo juspatronato di S.ta Maria delli Castella di carte settanta due nell’anno 1567. AVC, Inventario et Nota delle scritture pertinentino al Sacro Vescovato della Città dell’Isola et al suo Capitolo.
[xxxviii] Le distribuzioni quotidiane “quae in eccl.a pr.tta ante non erant modernus ep.s introduxit pro quarum augmento agregavit eis tria beneficia simplicia: S. Andreae, S. Nicolai terrae Castellorum Maris et Divae Mariae Magdalenae Baroniae Tacinae”. ASV, Rel. Lim. Insulan., 1600.
[xxxix] “Instrumento delle campane delli Castelle di Mons. Caracciolo nell’anno 1570.” AVC, Inventario et Nota delle scritture pertinentino al Sacro Vescovato della Città dell’Isola et al suo Capitolo. ASV, Rel. Lim. Insulan., 1594.
[xl] ASCZ, Regia Udienza di Catanzaro 479, fasc. I.
[xli] “Capitoli, patti et conventioni inhiti fra l’Ill.mo Don Alfonso Caraffa duca di Nocera et barone della terra delle Castella et l’Ill.mo R.mo Monsig. Aniballe Caracciolo vescovo dell’Isola, Neapoli die tertio m. Julii 1578.” AVC, Inventario et Nota delle scritture pertinentino al Sacro Vescovato della Città dell’Isola et al suo Capitolo.
[xlii] Nel 1570 l’affittuario dei beni del monastero di S. Maria del Carrà protesta perché il vescovo di Isola si è impossessato di parte dei beni dell’abbazia. Russo F., Regesto, 22196, 22290.
[xliii] Nel 1582 il vescovo di Isola dona a Jo. Bernardino Cochinella, un magazzino con casalino contiguo vicino alla chiesa di S. Maria di Castellorum Maris, e nel 1593 dota sei nuovi canonicati della chiesa di Isola con alcuni terreni posti nel territorio di Le Castella, che furono di Gio. Dom. Paradiso e di Ruggiero Beluomo, “affinche d.i canonici abbiano le loro prebende in grano vino e danari per poter attendere al servitio di d.a chiesa”. Nel 1601 lo stesso vescovo fonda altri due canonicati. AVC, Cart. 140. Nel 1592 fa costruire a sue spese il convento di S. Nicola e lo dà ai riformati. ASV, Rel. Lim. Insulan., 1594.
[xliv] “Processus contra Domenicum Gaitanum castellanum et baiulum Castellorum Maris in anno 1573.” AVC, Inventario et Nota delle scritture pertinentino al Sacro Vescovato della Città dell’Isola et al suo Capitolo.
[xlv] Nel 1594 il cantorato di Isola percepiva ogni anno dal Duca di Nocera tt.a 54 di grano per la gabella S.ta Helena, il tesorerato tt.a 30 per la gabella Thesaurerato ed il vescovo tt.a 240. AVC, Visita fatta per il decano di Catanzaro Nicolao Tiriolo, vicario generale di d.o Mons. Caracciolo nell’anno 1594 consistente in carte scritte cento et cinq. Nel 1588, attraverso l’accordo con il commendatario dell’abbazia di Corazzo, il vescovo di Isola Caracciolo, Ferrante Carrafa si era impadronito del territorio di Soverito, composto da undici gabelle, scambiandolo con 415 tt.a di grano da portare ogni anno a sue spese nei magazzini di Cutro. Borretti M, L’abbazia cistercense di S. Maria di Corazzo, in Calabria Nobilissima, n. 44, 1962, p. 134.
[xlvi] ASCZ, Atti Notarili, Busta 69, anno 1598, f. 56.
[xlvii] “Ecclesia ipsa est quasi in totum derelicta et despoliata cum excontinua et crebra turcar. invasione qui totam terram ipsam cum omnibus aliis ecclesiis penitus dextruxerunt”. AVC, Visita fatta per il decano di Catanzaro Nicolao Tiriolo, vicario generale di d.o Mons. Caracciolo nell’anno 1594 consistente in carte scritte cento et cinq. ff. 36-37.
[xlviii] Il castello feudale fu più volte restaurato, sia durante il periodo di Galeotto Carrafa (1526-1551), come risulta dall’iscrizione sul pavimento della cappella (1535), sia nel periodo in cui appartenne ai Duchi di Nocera (1551-1619). Il Duca aveva fatto fare “la fabrica nello castello delle Castella” con la pietra di Posteriore (ASCZ, Busta 61, anno 1601, ff. 17-25). Ancora nel 1736 si riforniva l’artiglieria del forte per proteggerlo dai Turchi (ASCZ, Busta 665, anno 1736, ff. 58-61) e nell’aprile 1755, era messo all’asta il restauro della torre secondo le indicazioni dell’ingegnere Adamo Romeo (ASCZ, Busta 1125, anno 1755, ff. 60-81).
[xlix] Inventarium Castrorum Maris et Castri. ASCZ, Busta 69, anno 1598, ff. 56-57.
[l] Nel 1594 l’arciprete Guarino Pantisano, che era succeduto nel 1579 a Colella Loriyo, affermava che “al principio io facea residentia perche nello castello vi erano da circa quindici casati, ma da alcuni anni in qua che son quasi tutti sfrattati per lo pericolo et invasione deli turchi, io me retirai all’Isola e le feste andava a celebrare”, e “al p.nte non sono piu che tre casati li quali habitano dentro il castello”. Il Pantisano nel 1545, mentre era arciprete di S. Pietro di Tripani, era stato catturato dai Turchi e liberato dopo un anno di schiavitù ed il pagamento di “cento scuti de oro”. “Cessione dell’arcipretato delli Castella, anno 1579.” AVC, Visita fatta per il decano di Catanzaro Nicolao Tiriolo, vicario generale di d.o Mons. Caracciolo nell’anno 1594 consistente in carte scritte cento et cinq. ff. 40v, 88v. ASV, Rel. Lim. Insulan., 1615-1635.
[li] Tra le chiese sparse nel territorio di Le Castella ed in stato di degrado, ricordiamo quelle di S. Giovanni Battista, già in abbandono nel 1569, la chiesa dell’Annunziata e quella di S. Antonio nella gabella omonima. Inf.o contra famulos Jois Batt.a Oliverio de prophanatione Ecc.e SS.me Annuntiate terre Castellorum Maris cum animalibus in anno 1604; Reg. Vat. Lat. 6190.
[lii] Nel 1633 i Turchi sbarcano da 8 triremi da carico. Presa la terra delle Castella, portano via in schiavitù circa 50 abitanti e poi ne chiedono il riscatto. ASV, Rel. Lim. Insulan., 1635. ASCZ, Busta 71, anno 1634, ff. 119v-120.
[liii] Nell’anno 1644 “comparsero in q.e nostre marine trentatre galere di turchi et da d.e galere descese m.ta quantita di turchi per venire a danneggiare a noi qui nella citta” (Isola). AVC, Visita del vescovo di Isola Gio. Batt.a Morra, 1648, f. 16v.
[liv] ASV, Rel. Lim. Insulan. 1644.
[lv] All’arciprete Guarino Pantisano (1579-1595) seguì Domenico Conte (1603-1606), poi Fabrizio Melione (1612-1630) e quindi, nel 1630, Hieronimo Zurlo. Russo F., Regesto, IV, pp. 374, 419; V, p. 251.
[lvi] “eccl.am illam esse sub titulo Visitationis B.tae Mariae Virginis cuius immagine ipse Archip. suis sumptibus fieri curavit cum annis retroelapsis fuisse invas. a turcis a quibus expoliatam omnibus apparatis et vestibus sacerdotalibus”. AVC, Visita del vescovo di Isola Gio. Batt.a Morra, 1648.
[lvii] ASV, Rel. Lim. Insulan. 1673.
[lviii] ASV, Rel. Lim. Insulan. 1667, 1670.
[lix] ASV, Rel. Lim. Insulan., 1680.
[lx] Popolazione di Le Castella come si ricava dalle relazioni dei vescovi e dalle tassazioni: 202 fuochi (1521); 275 fuochi (1532); 183 fuochi (1545); 11 fuochi (1561); 20 abitanti (1594); 3 fuochi (1595); 26 abitanti (1618); 20 fuochi (1625); 50 abitanti (1633-1651); 6 fuochi (1669); 100 abitanti (1673-1701), 150 abitanti (1704-1714); 43 fuochi (1742); 270 abitanti (1808); 307 abitanti (1816); 268 abitanti (1858).
[lxi] ASV, Rel. Lim. Insulan., 1694.
[lxii] AVC, Cart. 114, Testamento di Gio. Dom. Crocco, arciprete di le Castelle, del 20.6.1697.
[lxiii] “Extra castrum ecclesiam habet Parochialem, Archipresbiteratus nuncupatam, sub invocatione B.M.V. qua potius Aedicula erat. Nunc vero novam detinet ecclesiam in ampliorem formam reductam, quam inceptam reperi, eamque iam absolui, et benedixi, et in ea tria extant altaria”. ASV, Rel. Lim. Insulan., 1721.
[lxiv] AVC, Esposto dell’università della terra delle Castella a Mons. Arcivescovo di S. Severina Carlo Berlingieri, 11. 6. 1717.
[lxv] ASV, Rel. Lim. Insulan. 1741.
[lxvi] Il vescovo Giuseppe Lancellotti che, visitò la matrice nella Pasqua del 1762, trovò l’altare maggiore e la fonte battesimale decentemente ornati e la sacristia abbastanza provvista. AVC, Visitatio Giuseppe Lancellotti, 1762.
[lxvii] Il vescovo decise di assegnarne metà al capitolo di Isola e metà al clero di Le Castella, con le condizioni che, qualora il clero di Le Castella avesse raggiunto il numero di cinque sacerdoti, tutti nativi di quelle terra, essi avrebbero avuto il diritto ad usufruire di tutti i 60 tomoli di grano, mentre se il clero di Le Castella si fosse nuovamente estinto, tutti i 60 tomoli sarebbero ritornati al capitolo di Isola. AVC, Cart. 140, Vertenza tra il sacerdote D. Natale Minasi della chiesa di Le Castella ed il capitolo di Isola, Isola 25 luglio 1795.
[lxviii] ASCZ, Regia Udienza, 479, fasc. I (1780).
[lxix] Dat. Aplca. per obitum F. 200, f. 142v. Russo F., Regesto, XII, p. 367.
[lxx] ASCZ, Cassa Sacra, Segreteria Ecclesiastica, Atti di revisione, e nuova liquidazione delle rendite dell’arcipretura delle Castelle, Vol. 52, 948 (1789).
[lxxi] AVC, Cart. 140.
[lxxii] “La chiesa delle Castella dona per distribuzione all’arciprete e preti per un biennio tt.a 30 di grano ed il terzo anno Duc. 15 e tt.a 15 di grano che si contribuisce dalla Cam.a della sud.a terra. Arcipretura delle Castella: Tiene di rendita annui Duc. 40 per una gabella e Duc. 100 le si corrispondono dal R.do Capitolo di questa città (Isola) sopra i beni dei luoghi pii della med.a allo stesso capitolo aggregati”. AVC, Stato delle chiese di Isola, 1808.
[lxxiii] Dopo averla visitata, il vescovo di Crotone Cavaliere, nel giugno 1886, chiedeva al Regio Economo Generale de Benefici Vacanti di Napoli, seicento lire in quanto la chiesa arcipretale aveva bisogno di “riatti nella tettoia, nei muri e nel pavimento ed era sfornita di sacri arredi”. AVC, Cart. 81, Cotrone 6 giugno 1886.
Creato il 4 Marzo 2015. Ultima modifica: 8 Aprile 2024.