Tra taverne e bettole, storia del vino a Crotone
Il vino
Anche se il poeta crotonese Giano Pelusio (1520-1600) decantava i vini deliziosi, ricavati dalle copiose vigne della valle Lamposa: “Vallis Empusae decorata tellus,/ Arborum foetu, variis et uvis/ Grata, quae praebent populo Crotonis/ Vina quotannis. /Per tuos Baccus Iovis alma Proles/ Semper it campos viridi revinctus/ Pampino, dives sequitur bonorum/ Copia cornu …”,[i] il vino rappresentò in età moderna, un prodotto secondario nell’economia crotonese, dove primeggiavano il grano ed il formaggio.
Prodotto più per un consumo interno, che per l’esporto, il commercio del vino, infatti, trovava ostacoli nel basso prezzo imposto dalle tasse,[ii] nella deperibilità del prodotto e nelle spese di trasporto, che avrebbero annullato ogni guadagno. Rari sono i documenti che riguardano l’esportazione di vino dalla città.[iii] Per tali ragioni il vino a Crotone fu più che esportato, più volte importato, per rifornire in particolari annate scarse, le numerose osterie e taverne della città. A tale scopo l’università, essendo il vino di genere primario, si premuniva bandendo aste per appaltarne il rifornimento, in modo che la città non ne rimanesse priva.
Non mancarono tuttavia tentativi di sviluppo e valorizzazione della vitivinicoltura nel Settecento con l’arrivo dei Borboni. Allora si allargò il vigneto nell’ampia vallata e nel piano a sinistra del torrente Lampuso. Alla valorizzazione contribuirono numerosi “vignieri” forestieri, ma nonostante le innovazioni e lo sviluppo, si puntò più sulla quantità, che sulla qualità[iv] Alla fine del Settecento il Galanti di passaggio per la città, poteva affermare che “I vini sono generosi, ma mal fatti e senz’arte alcuna.”[v]
Il prezzo
Il prezzo del vino variava a seconda del tempo e delle annate. In annate normali esso era più basso alla metà di dicembre quando arrivava il vino nuovo, per poi salire, dapprima lentamente fino alla metà di giugno, successivamente con l’arrivo del caldo e con la facilità di diventare acido, il prezzo raggiungeva e manteneva il suo massimo dalla metà di giugno fino alla metà di dicembre, cioè al nuovo vino nuovo. Questo andamento del prezzo era costante nel tempo e oscillava in aumento o in diminuzione, a seconda dell’andamento delle annate.[vi] Il rialzo del prezzo nei mesi estivi era dovuto alla difficoltà di reperire vino buono, all’aumento del consumo da parte dei cittadini, che lo bevevano come sostituto dell’acqua malsana dei pozzi, e alla presenza in città dei numerosi mietitori provenienti dai paesi silani. Ricercato al tempo del raccolto da mietitori e ligatori, il consumo ed il prezzo del vino aumentavano velocemente.[vii]
Questo andamento dei prezzi è convalidato anche dagli appalti che il governo cittadino bandiva per assicurare, specialmente nel periodo da maggio ad ottobre, il vino alla città: “Adi 15 Maggio 1692 in Cotrone. Chi vole pigliare il partito del Vino da hoggi avanti per tutta l’ultima d’ottobre prossimo compara che se libera alli melioria offerta. Ciccio Luppino offerse mantenere questa Città di vino buono per tutto 8bre cioè per tutto Maggio a cavalli sedici la Garaffa, Giugno Luglio a tre tornesi la Garaffa, agosto settembre et ottobre a cavalli venti la Garaffa con che venendo altro vino forastero haverente a vendere un tornese meno.[viii]
Il ciclo della vite e del vino mal si adattavano al territorio crotonese. La natura del terreno per lo più piano, argilloso e arido, era soggetta a forti oscillazioni climatiche, a lunghi periodi di siccità, a caldi estivi persistenti, ad improvvisi freddi primaverili, e a violente piogge invernali. Non è raro quindi trovare annate scarse, come evidenzia l’economo della Mensa Vescovile nell’annata 1711/1712: “Mi fo introito d’altri ducati 12.3.15 pervenuti da cinquant’uno Barili di musto che imbottato con tutta diligenza si guastò, come generalmente è sortito in tutti li musti di questo territorio. Venduto a grana venticinque per farsi l’aquavita.”[ix]
Il consumo
Nel Settecento, l’aumento della popolazione, e la presenza di una folta guarnigione nel castello, favorirono l’aumento di consumo di vino e di acquavite. Aumentarono anche le osterie e le taverne in città, e si aprirono i primi caffè. Produttori locali di vino furono soprattutto i possessori dei feudi, i nobili[x] e gli ecclesiastici, i quali concedevano a censo o affittavano vigneti, facendosi pagare dai censuari al momento della vendemmia in mosto o in denaro.
Tra tutti un posto importante occupava la Mensa Vescovile di Crotone, la quale, già nella seconda metà del Cinquecento, dai “censi de musti in Cotrone” ricavava da nove censuari: “salme vintitre, li quali sono soliti parte di essi de pagarnosi alcuni anni per consuetudine in tanti musti, et parte pagharlo in danari a prezzi correnti”.[xi] A questi si aggiungeranno i quaranta barili di mosto, che ogni anno incamererà “per raggione di affitto”, dalle vigne piantate nel territorio di Buciafaro “dell’istessa Mensa Vescovile”.[xii] Così all’inizio del Settecento il vescovo poteva contare sulla vendita di cinquantuno barili di mosto.[xiii] Oltre al vino prodotto dai locali, bisogna aggiungere quello proveniente dai fornitori esterni.[xiv]
Le frodi
La difficoltà di conservare il vino a lungo facilitava l’adulterazione. Con l’arrivo del calore estivo il vino diveniva acido, e sovente il vino buono, divenuto raro, scompariva ed era sostituito con vino acido. Accadevano vere e proprie frodi a danno dei cittadini, attuate per la collusione tra il sindaco dei nobili ed i partitari che rifornivano le osterie, che invece di dare il vino buono, come previsto per appalto, lo sostituivano con quello guasto di incerta provenienza.
Nella mattina del 9 settembre 1711 il sindaco dei nobili Cesare Suriano, già incolpato per aver taglieggiato i macellai e di aver permesso il commercio di carne guasta, dichiarava al notaio Stefano Lipari, che due ore prima il sindaco del popolo Francesco Galasso Spina, aveva ordinato ai partitari del vino, “che non ne vendessero più sotto pretesto d’esser guasto, al quale ordine detti partitari non ubidirono, ma seguirono il vendere, stimando esserli stato fatto per intimorirli, ma saputolo detto Francesco (Galasso) voleva ponerli carcerati”.
I partitari allora, si erano lamentati con il sindaco dei nobili (dal quale “vengono protetti per haverne havuto le sue convenienze”). Il sindaco dei nobili “per far ritrovare mancante” il sindaco del popolo, di nascosto fa aprire ed estrarre dal magazzino del vino buono, poi assieme ad alcuni cittadini si reca “nella publica piazza di questa Città , e proprio nel magazino sotto le case del Signor Mutio Manfredi, dove si steva vendendo il vino del partito, et ivi gionti detto Signor Cesare fatto pigliare da Vitaliano Zanchi un vaso pieno di vino di quello steva vendendo, lo fece assaggiare a Dorastante Favara, Gaetano Covello, Giacinto Campagna, Francesco di Falco, Giulio Cavarretta, Pietro Cola Squillace, Marc’Antonio Sacco, Giuseppe Macrì, Giovanne Cadeda, Antonio Donato, Antonio Costantino, Salvatore Gargano, et ad altri bevitori di vino, quale assaggiatolo con giuramento risposero, confessarono esser buono”.
Il sindaco del Popolo Francesco Galasso Spina, venuto a conoscenza dell’intervento del sindaco dei Nobili e dell’inganno a favore dei partitari del vino, non si dette per vinto e nella stessa mattinata, dichiarò che “l’erano state fatte molte istanze da più e diversi cittadini, che il vino si vendeva era guasto”. Egli si recò nel magazzino dove si vendeva il vino del partito, “dove gionto all’improvviso fattosi porgere un bicchiero di quel vino steva vendendo attualmente Vitaliano Raneli vinaro, lo ritrovò esser di quella conformità l’era stato riferito”. Egli perciò aveva ordinato a Vitaliano Zanchi “venditore del detto vino del Partito”, che non ne vendesse più, in quanto era guasto e che ne trovasse di buono. Ma lo Zanchi continuò a venderlo e perciò il sindaco del Popolo aveva ordinato di carcerarlo, ma egli si sottrasse alla cattura nascondendosi. Il sindaco del Popolo assieme al giudice ad contractus Domenico Asturi ed a testimoni, si recò allora “innanzi il magazzino del vino del partito”. Lo trovarono chiuso ed alcuni parenti dei partitari dissero che era chiuso, perché non vi era vino. “Ma ciò fu fatto per non fare assaggiare il vino”. Pertanto, il sindaco del popolo protesta per il “mal oprare e mal governo” del sindaco dei Nobili, il quale con il suo comportamento è causa della mancanza di vino per i cittadini.[xv]
La taverna e il lupo di San Francesco
La presenza di una taverna a Crotone è documentata già nel Cinquecento. Alcune testimonianze raccolte nel giugno 1594 dal notaio di Crotone Gio. Francesco Rigitano, ci informano su un fatto accaduto ad alcuni calderai di Dipignano, che erano giunti a Crotone per vendere la loro mercanzia. Dai documenti risulta che in Crotone vi era una taverna con “camare”, anche se senza chiave, ed in certi periodi dell’anno con la “commodità di paglia per mangiare le mule”.
Crotone 16 giugno 1594, testimonianza di Philippus de Capocasale di Dipignano. “Heri mercordì che furo li quindici del p(rese)nte mese di Giugno innante mezo giorno esso t(estimo)nio gionse in questa città con caldare, et altre robbe di rame per venderli con carrico di una mula sua prop(ri)a et con esso ci venne Bastiano Caldarazo di Dipignano suo compagno pure con certe caldare, et altre robbe di rame per venderli, carricate sopra una mula di esso t(estimoni)o che al detto Bastiano ce l’have allogato, et insieme con essi ci venne pure Petro Antonio Caldarazo di Dipignano con certe caldare et robe di rame per venderle et con una mula di pilatura baja allogatasi da Scipione de Franco di Dipignano, che tutti tre erano partuti insieme dala casa per venire a vendere le robbe p(redit)te et come fu hersera à tardo ad hore 23 incirca, mangiato che hebero se pigliaro li manti tutti tre; et esso t(estimoni)o et lo detto Bestiano andaro per adunarse dele mule, le quali haveano lasciato fuori la porta dela città per pascere et trovaro le mule tanto quella di esso t(estimoni)o quanto quella di detto petro Antonio, et quella che have allogata allo detto Bestiano, et le pigliaro tutte tre, le abeveraro allo bevere di questa città, et li portaro ad uno luoco fora questa città dove se dice Sanfran(ces)co vecchio che è luoco vicino detta città, tanto che dali mura di detta città allo detto luoco ci è assai manco de uno tiro di scopettata, et giontam(en)te con esso t(estimoni)o et detto Bestiano, et loro mule ci fu Gio. Berardino de Lessi de li Cellara con una mula sua molto fiacca, et lenta; et come che in detto loco di Sanfran(ces)co vecchio viddero che ci era buon pascolo de ristucciate, come si usano alla marina, et se informaro che era loco solito di pascerci de notte et de giorno bestiami tanto di forasteri quanto di cittadini, et ci viddero che ci pascea una giomenta con li fergi che non sa de chi fusse stata, et altri animali boini, et perche il luoco era vicino, come ho detto alla terra, et anco vicino il bevere ci lasciorno le mule tanto di esso t(estimoni)o, quanto del detto Bestiano, et del detto Petro Antonio , et del detto Gio. Berardino Delessi per pascere questa notte passata, et esso t.o, detto Bestiano, et detto Gio. Berardino se curcorno in detta ristucciata in lo mezzo dele dette bestie per guardarle, stando sempre vigilanti in guardarli, però lo detto Petro Antonio si restò in detta notte alla taverna in guardia dele robbe di tutti essi compagni, perche essi recommandorno al detto Petro Antonio le robbe, et esso petro antonio recomandò à loro la mula; et come fu a meza notte incirca intesero sbruffare la giomenta, et si levo tanto esso t(estimoni)o quanto lo suo compagno Bestiano per adunarse dele mule, et le trovaro tutte in detto loco che pasceano, et non ci viddero cosa alcuna, et si tornaro ad curcare; et questa matina con due hore di matino essendose levati per pigliare le mule et portarle ad abeverare et alla terra che pensavano partire, non vi trovaro la mula baja di detto Petro Antonio, et suspettaro male, cioè che non fusse stata cavalcata et arrobata, et havendo cercato bene la trovaro puoco discosto dal bevero morta scannata da lupi: et questa è la verità, che al detto petro antonio caldararo linde have dispiacuto et dispiace assai, che sinde have ammazzato, che sinde havesse potuto morire dela colera, nde haveria morto. Int.s perche causa portaro le dette mule in detto luoco; dix.t che celi portaro per commodità dele mule, perche era ristucciata bona, vicino la città et allo beveri, et se informaro che era luoco solito de starci et pascervi Animali tanto de cittadini quanto de forasteri, et ci viddero, boj et una giomenta con li fergi, come la detto, et alla taverna lo tavernaro non havea commodità di paglia per mangiare le mule in detta notte proxima passata …”. “… domandaro allo tavernaro se havea comodità per le mule et se paglia seni era fatta, et quello li rispose che paglia non ne havea perche ancora non se ne era fatta ma che le mule le poteano cacciare de fora a pascere, et cossì fecero, che scaricate tutte le robbe … lo detto petrantonio restò alla taverna a guardare le robbe … tanto più che alla taverna non ci è luogo securo di alcuna cammara con chiave”.[xvi]
Le taverne
I catasti del 1743 e quello successivo del 1793, documentano l’aumento delle taverne a Crotone durante il Settecento. I lavori del porto con l’immigrazione di marinai napoletani, l’aumento di militari presenti nel castello e della popolazione, favorirono l’esigenza di nuove taverne. Dai tre tavernari e sei venditori di vino, censiti nel catasto del 1743,[xvii] si passò ai quindici censiti cinquanta anni dopo.[xviii]
Coloro che gestirono questa attività risultano di condizione economica precaria, quasi tutti dichiarano di non possedere cosa alcuna. Essi abitano in case – taverne prese in fitto, composte da una sola stanza terranea.[xix] Oltre che di taverne la città si arricchì anche delle prime caffetterie.[xx] L’apertura di nuovi esercizi pubblici si sviluppò soprattutto nell’area compresa tra la porta principale della città, nelle vicinanze della piazza principale, nell’area gravitante la piazza lorda, e nel quartiere popolare della Pescheria. Non mancarono proteste e chiusure per il disturbo, che la loro presenza arrecava.[xxi] Mancavano tuttavia ancora nella città luoghi adatti ad accogliere degnamente i viaggiatori forestieri che vi passavano.[xxii]
Dalla fila degli Scarpari o Calzolai, alla fila dei Tavernari
L’apertura di nuove taverne tra la cattedrale e la piazza Lorda modificò anche la toponomastica di questa parte dell’abitato. Questo avvenne nei primi anni del terzo decennio dell’Ottocento. Da “fila delli scarpari” o “de’ calzolai”, la via divenne “fila de’ tavernari” (1822), nome che manterrà per molto tempo.[xxiii]
Il viaggiatore scozzese Ramage nella primavera del 1828 visitò Crotone: “Quando misi piede a terra nella piazza fui oggetto di curiosità per i paesani che stavano godendosi il fresco della sera davanti al caffè. Il mulattiere trovò una casa dove mi avrebbero dato alloggio per la notte e sebbene non fosse pulita, non dubitavo che vi avrei dormito saporitamente (…) Tornando dalla mia padrona di casa mi accorsi che avrei dovuto arrangiarmi da me. Le ombre della sera erano già calate quando entrai nel locale, una stanza dal soffitto basso, le cui tenebre erano accentuate dalla luce tremolante di poche lampade (…) La stanza era ammobiliata con alcune rozzissime panche e i tavoli erano singole assi poggiate su quattro pezzi di legno, ai quali non era stata tolta neppure la corteccia. In un angolo stava seduto un marinaio il cui desinare si limitava a un piatto di insalata, guardava sconsolato il fiasco di vino che aveva già scolato; dalla parte opposta c’era un contadino mezzo sdraiato sulla panca, questi si levò al mio entrare e pagò il conto con due grane. La padrona mi offrì dei maccheroni e delle triglie, (…) se le sue pentole fossero state un poco più pulite, non avrei trovato da ridire riguardo alla cena. Il vino era pessimo ma che altro c’era da aspettarsi quando tutto il conto ammontava a otto soldi ?”[xxiv]
Dal manoscritto di Nicola Sculco[xxv] sappiamo che, poco dopo la metà dell’Ottocento, a Crotone vi erano: la locanda Asteriti detta anche Locanda Pitagora,[xxvi] addossata alle mura che dal Largo Suriano vanno alla Porta della città, il Caffè dei Nobili in Piazza Duomo, la locanda Messina in Piazza Duomo, la trattoria gestita da Francesco Manfredi e la locanda Zurlo, che era Castellani, in Pescheria.
Note
[i] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 58.
[ii] Nel 1491 l’università di Crotone chiese al re di poter esigere, come per il passato, il dazio sul vino delle vigne del feudo “deli pissini”. Il feudo era appartenuto a Ioannocto de Comestabulo e l’università, dapprima aveva esatto il dazio sul vino dai censuari delle vigne, poi dallo stesso feudatario. Passato il feudo in potere della figlia Lucia, moglie del tesoriere Campitello, questa rifiutava di pagare. Trinchera F., Codice aragonese, Napoli 1874, Vol. III, pp. 33-37.
[iii] I Regi Vicesecreti e Credenzieri del Regio Fondaco e Dogana Salvatore Messina e Silvestro Cirrelli, dichiarano che nel 1718, si estrassero da Crotone: “Adì diece Giugno Ciccio Polia vino carra due; Adi cinque luglio Domenico Giardino vino carra due.” ASCz, Not. Pelio Tirioli, B. 661, f.lo 1721, ff. 256v-257r.
[iv] Pesavento A., Paesaggi crotonesi: la valle Lamposa, La provincia KR n. 37-42, 2005.
[v] Galanti G. M., Giornale di viaggio in Calabria, Rubettino 2008, p. 68.
[vi] “Libro di esito dal 15 agosto 1691 fino à 15 agosto 1692; A 16 Agosto per tutti li sidici di Xbre per mano di D. Antonio Zupo speso per comprar vino dal Rev. Sig. D. Lelio Manfredi carafe due e mezo il giorno ducati sei e mezo 6 – 2 – 10; dalli 16 xbre insino à 16 Gen.ro una carafa e mezo di vino il giorno 0 – 2 – 15; da 16 gen.ro a 16 feb.ro per vino 0 – 3 – 5; da 16 febro à 16 marzo per vino 0 – 3 – 10; da 16 marzo à 16 aprile per vino 0 – 3 – 10; da 16 aprile à 16 maggio per vino 1 – 0 – 0; da 16 maggio à 16 giugno per vino 1 – 1 – 0; da 16 giugno à 16 luglio per vino 1 – 1 – 0; da 16 luglio à 16 agosto per vino 1 – 2 – 10. AVC, Platea del Capitolo del anno 1691 e 1692.
“Libro di esito da 15 agosto 1692 fino à 15 Agosto 1693: Comp.to vino da 16 Agosto per insino à 16 7bre due caraffe di vino il di alla rag.ne di gra. 2 e mezo duc. 1 – 2 – 10; da 15 7bre sino à 15 8bre per due caraffe di vino alla rag.ne come di sopra 1 – 2 – 10; dal 15 8bre fino 15 9bre per altri tanto vino come di sopra 1 – 2 – 10; da 15 9bre fino à 15 xbre comp.to vino come sopra 1 – 2 – 10; da 15 xbre fino a 15 Genro per vino 0 – 2 – 12 ½; da 15 Gen.ro per tutto li 15 feb.ro per vino 0 – 3 – 0; da 15 feb.ro fino a 15 marzo per vino 0 – 3 – 0; da 15 Marzo fino à 15 Aprile per vino 0 – 3 – 7; Da 15 aprile fino a 15 mag.o per vino 0 – 3 – 15; da 15 mag.o fino à 15 giugno per vino 0 – 4 – 10; Da 15 Giugno fino a 15 luglio per due carrafe di vino il di alla rag.e di grana due la carafa 1 – 1 – 0; da 15 luglio fino à 15 agosto per due carafe di vino il di alla ragione di grana due e mezo 1 – 2 – 10.
“Libro di esito 1693 e 1694: Da 15 Agosto per tutto li 15 7bre per due carafe e mezo di vino à grana due la carafa 1 – 2 – 10; A 15 7bre fino a 15 8bre come di sopra per vino 1 – 2 – 10; da 15 8bre fino à 15 9bre per vino 1 – 2 – 10; da 15 9bre fino a 15 xbre da S.e D. Carlo C.e Scarnera per vino à grana 4 la carafa 2 – 2 – 0; da 15 xbre fino à 15 gen.ro 1694 comprato dal S.r Giulio Varano per vino due carafe il giorno à ragione di tornesi tre 0 – 4 – 10; da 15 gen.ro fino à 15 feb.ro per vino dal detto Varano 0 – 4 – 10; da 15 feb.ro fino à 15 marzo per vino dal detto Varano 0 – 4 – 10; dal 15 marzo fino al 15 aprile per due carafe di vino alla rag.ne di grana due 1 – 1 – 0; dal 15 aprile fino al 15 maggio per due carafe di vino alla rag.ne di grana due 1 – 1 – 0; dal 15 maggio fino al 15 giugno per due carafe di vino alla rag.ne di grana due 1 – 1 – 0; da 16 giugno fino a 16 luglio per due carafe di vino il di alla rag.ne di due grana e mezo 1 – 2 – 10; da 16 luglio fino a 16 agosto per due carafe di vino il di alla rag.ne di due grana e mezo 1 – 2 – 10. AVC, Platea del Capitolo anni 1691-92, 1692-93 e 1693-94.
[vii] “Adi 23 di Giugno 1586 esso m.co Gio. And.a Pugliesio olim procuratore (di Lelio Lucifero) retenutosi à se stesso docati sette e mezo per lo prezo di salme cinque di vino, dato per ser.o di detta max.ria di metitori et ligatori che metirono quella 7 – 2 – 10.” ASCz, Not. Dionisio Speziale, B. 108, f.lo 1614. “Adi 18 di giongno 1600 per vino per lo stesso metetore ho comprato quartuchi quatro che sonno carline quatro dico D. 0 – 2 – 0; adi 21 di giongno 1600 per vino per il stesso metitore quartuche quatro che sonno carline quatro dico D. 0 – 2 – 0; adi 25 di giongno 1600 o pigglato due altre quartuchi di vino per il stesse che stanno carline due dico D. 0 – 1 – 0.” Conto de la masaria, in Carte di S. Chiara di Crotone ASCz, B. 26, n. 1784/96.
[viii] ASCz, Not. Antonio Varano, B. 336, f.lo 1692, f. 90.
[ix] ASN, Dip. Som. Fs 315/2, Conto del Rev.do D. Gius.e Gaudioso Regio Economo della Mensa Vescovile della Città di Cotrone di sua Amministratione dell’anni 1711 et 1712, f, 6v.
[x] “Uva e Musto a 15 ott.e 1768 musto bar. 14 da S.r Albano 5:60. Per Passi 2 = 7.60.” AVC, 1768 et 69, Esito per il V.le Monastero di S. Chiara.
[xi] ASN, Dip. Som., Conto del m.co Giulio Cesare de Leone, Deputato sopra l’intrate del Vescovato de Cutrone = 1570 et 1571, ff. 48, 64.
[xii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama. A. D. 1699 Confectae, f. 70; Ansemus de la Pena, Visita 1720, f. 57v.
[xiii] 1711: “Mi fo introito d’altri ducati 12.3.15 pervenuti da cinquant’uno Barili di musto che imbottato con tutta diligenza si guastò come generalmente è sortito in tutti li musti di questo territorio venduto a grana venticinque per farsi l’aquavita duc. 12 – 3 – 15.” 1712. “D’altri 17. 1.14 pervenuti in mio potere da cinquant’uno Barili di musto di pastini a grana uno la garrafa à garrafe quaranta per Barile che importano duc. venti tari due da quali dedotto grana sei à barile per venditura restano duc. 17 .1.14.” 1711: “Spesi ducati quattro pagati à Pelio Triolo per conciatura delle botte et imbottatura del musto.” 1712: “Spesi ducati quattro pagati alla persona che have assistito all’imbottatura del musto pervenuti a detta Mensa in ottobre 1712 acconcio di botti Chierchi mastria e lavatura di dette Botti.” ASN. Dip. Som. Fs 315/2, Conto del Rev.do D. Gius.e Gaudioso Regio Economo della Mensa Vescovile della Città di Cotrone di sua Amministratione dell’anni 1711 et 1712, ff. 6v, 11v 13v.
[xiv] Crotone 7 giugno 1718, Francesco seu Ciccio Mascaro di Settingiano, dichiarava che nel 1717, “essendosi convenuto con il vivandiere del signor capitan tedesco baron de francheberg li portasse da detto suo paese tutta quella quantità di vino che li richiedeva, incominciò à portare il vino li veniva richiesto e dal principio fino alla fine di detta condotta si pagò da d.o vivandiero chiamato michele il jus di carlini quattro e mezo per ciascheduna carratella al datio e catapania di questa città di cotrone e per essa al catapano, qual diritto sempre è stato solito esigersi senza contrasto alcuno per esser datio della città per il quale ne corrisponde alla Regia Corte.” ASCz, Not. Stefano Lipari, B. 612, anno 1718, f. 70.
Crotone 21 Giugno 1731, Giuseppe Covello di Isola, dichiara che risiedette per più anni in Crotone, Subaffittatore dell’acquavite di Cotrone, Isola, Santa Severina, Scandale, e altri luoghi che sono compresi in questa Pranza, “sin dall’anno passato si rifugiò in Chiesa e renunciò dett’affitto stante non si fidava pagare l’annui docati ottanta si solea pagare detto affitto per li continui controbandi facevano li Tedeschi di quel tempo, di modo che si era abolito il lavoro, e quello restò per inaffittato à conto del Sig. D. Ferdinando de Nobili di Catanzaro.” ASCz, Not. Pelio Tirioli, B. 663, anno 1731, f. 160.
[xv] ASCz, Not. Stefano Lipari, B. 611, anno 1711, ff. 77-79.
[xvi] ASCz, Not. Gio. Fran.co Rigitano, B. 49, anno 1594 ff. 108 sgg.
[xvii] Antonio Cundò fuoco acquisito tavernaro d’anni 50, Catarina Parise moglie d’anni 45, Cecilia Marvasi figliastra d’anni 11. Abitano in casa locanda del Pio Seminario nella Parocchia di S. Margarita. Antonio Percoco fuoco acquisito tavernaro d’anni 23, Milana Soda d’anni 45. Abita in casa locanda di D. Carlo Manfredi sita nella Piazza, nel basso della quale esercita il suo mistiero. Non possiede cosa alcuna. Angelo Dima cittadino tavernaro d’anni 20, Lucrezia Jeripino moglie d’anni 26, Francesco figlio d’anni 5, Vincenzo figlio d’anni 1. Abita in casa locanda di Gregorio Gerace in Parocchia di S. Margarita, che loca assieme non possiede cosa alcuna. Francesco Antonio Mazza cittadino venditore di vino d’anni 30, Maria d’Alvis moglie d’anni 36, Elena figlia d’anni 16, Barbara Mazza nipote d’anni 15. Abita in casa dotale di Francesco di Vennera in Parocchia di S. Margarita, che loca per ducati dodeci e mezzo, e possiede detta Barbara sorella. Giuseppe Rocca fuoco acquisito posatiero d’anni 40, Antonia Giardino moglie d’anni 30. Abita nel casino delli Ponticelli, ove tiene in affitto la posata, seu alloggiamento, ne possiede cosa alcuna. Gregorio Petrune cittadino venditore di vino di anni 24, Teresa Scurò moglie d’anni 25, Vincenzo figlio d’anni 3, Mila figlia d’anni 8, Catarina Petrune sorella vergine d’anni 27, Vittoria Calcea madre vedova d’anni 56. Abita in casa locanda di D. Giovanni Domenico Fanele nella Parocchia di S. Veneranda, che loca per ducati 7. Marco Antonio Borraggina cittadino venditore di vino d’anni 62, Teresa Borbone moglie d’anni 53. Abita in casa locanda in parocchia di Santa Margarita. Nicola Fusto cittadino venditore di vino d’anni 21, Anna Bernardella moglie d’anni 18, Vincenzo figlio infante. Abita in casa dotale in parocchia del SS.mo Salvatore. Vitaliano Grande cittadino venditore di vino d’anni 27, Teresa Firardo moglie d’anni 27, Chiara sorella vergine d’anni 19, Vittoria sorella vergine d’anni 15, Francesca Lasso madre d’anni 45. Abita in casa propria. ASN. Cam. Som. Catasto onciario dell’Università di Cotrone del 1743. Vol. 6955, ff. 14 e sgg.
[xviii] Domenico Milito Taverniere di anni 57; Dionisio di Perri di anni 41 Tavernaro; Domenico di Perri di anni 33 Tavernaro; Dionisio Fonte di anni 44 tavernaro; Francesco Milito Tavernaro di anni 37; Francesco Pepia tavernaro di anni 52 miserabile (filippo figlio di anni 22 marinaro del porto); Francesco Antonio Nicotera tavernaro di anni 58 miserabile; Giacomo Miltigrano Napoletano Tavernaro di anni 25; Giuseppe Astarita Tavernaro di anni 33; Leonardo Fonte Tavernaro di anni 52; Michele Bertuccia q.m Carlo tavernaro di anni 49; Pasquale Lampo tavernaro di anni 61; Santo Palermo Tavernaro di anni 52; Vincenzo di Perri tavernaro di anni 49; Vincenzo di Sole Tavernaro di anni 46. AVC, Catasto di Crotone del 1793, ff. 29 sgg.
[xix] Il convento di San Francesco di Paola possiede un “Magazeno, o sia taverna in Parrocchia di S. Pietro e Paolo di una sola stanza, sotto il Palazzo de’ Sig.ri Montalcini, consistente in una stanza terranea, confinante colle fabbriche del Seminario, colla casa di Vincenzo Maccarone, via pubblica, e colla bottega della cappella dell’Immacolata affittato per un solo anno a Dionisio Fonte di Cotrone per ducati 6 annui.” Così nel 1790 e nel 1791 (ASCz, Cassa Sacra – Lista di Carico del Convento di San Francesco di Paola di Crotone, 1790, ff. 50-55). Il convento di San Francesco di Paola possiede un “Magazeno, o sia taverna in Parrocchia di S. Pietro e Paolo di una sola stanza, confinante col magazeno de Sig.r Montalcini, colla casa casa di Domenico Greco e strada pubblica”, affittato a Francesco Zetera per un anno per ducati 10. Così nel 1790 e nel 1791 (ASCz. Cassa Sacra – Lista di Carico cit., f. 37).
[xx] 20. Crotone 14 Aprile 1761. Gregorio di Perri del fu Carlo Antonio, dichiara che il 16 dicembre 1760, “nel mentre il suo fratello Rafaele stava fabricando per uso di Cafetteria una bottega di fabrica nella strada maggiore di S. Francesco d’Assisi confine a detta casa à quella indove prima si teneva l’Archivio Universale di questa Città e dirimpetto la scala di fabrica della Casa detta della Corte ed attaccata alle muraglia della Città, passavano per la strada li bovi d’Antonio Camposano di questa città e si posero à bevere dentro il Scifo che steva pieno d’acqua per uso della fabrica della sudetta bottega, quale acqua perche piena di calce era di molto pregiudizio alli bovi, a segno tale che la mattina seguente intese esser morto uno delli detti bovi”. ASCz, Not. Theophilo Villaroya, B. 1411, anno 1761, f. 12.
[xxi] In località Mezza Ricotta territorio di Crotone, 15 giugno 1752. I coniugi Bruno Bonelli e Vennera Rizzuto, assieme a Faustina Cristofaro di Crotone si trovano nella gabella di Mezzaricotta. Essi dichiarano di ritirare i ricorsi fatti contro il priore dell’Ospedale dei Benefratelli. Il priore fra Costantino Abbramo del convento dei Fatebenefratelli, era ricorso al re e fatto mandare via i coniugi e la Cristofaro, i quali vicino al convento “teneano una taverna, e per concorso della Gente, che di notte, e giorno strillavano, ed inquietavano, nonche detti Padri del Convento, m’ancora l’ammalati, che ritrovavansi in detto ospedale”, ASCz, Not. Nicola Rotella, B. 1124, f.lo 1752, ff. 37-38.
Crotone 3 febbraio 1692. Il governatore con i suoi famigli arresta F. Rocca che di notte andava con altri cantando e suonando in luoghi scandalosi della Piscaria. Passando vicino alla cattedrale il Rocca nel tentativo di toccare la scalinata, dà uno strattone e cade assieme al famiglio che lo teneva e comincia a gridare: “Chiesa mi chiamo”. Egli rivendica il diritto di rifugio, affermando di aver toccato con un piede l’ultimo gradino del luogo sacro. ASCz, Not. Antonio Varano, B. 336, f.lo 1692, ff. 13-14.
[xxii] “Ci riposammo un giorno a Crotone; quantunque muniti di molte lettere di raccomandazione, non avremmo saputo ove passare la notte, se un onesto negoziante che non conoscevamo, e che non potemmo vedere che un momento, non ci avesse fatto condurre ad una casa che non era occupata; ebbe anche la garbatezza di farci portare tutto ciò che poteva esserci necessario”. Valente G. (a cura), La Calabria dell’abate Saint-Non, Effe Emme Chiaravalle Centrale 1978, p. 35. Federico Leopoldo Conte di Stolberg, nel maggio 1792 arriva a Crotone: “Appena arrivammo, ci venne subito indicata una casa preparata per noi. Vi alloggiava anche un ufficiale ingegnere, addetto alle migliorie del porto; si sperava in quel modo, di rendere per lo meno più sana l’aria. Eravamo appena entrati nella casa, quando giunsero tre nobili della città, che ci invitarono nelle rispettive case. Accettammo l’invito del primo: Don Antonio Marzano. L’accoglienza fu galante ed amichevole. Stolberg von Friedrich L., Viaggio in Calabria, Rubbettino, 1996, p. 23.
[xxiii] Il monastero di Santa Chiara possiede “una bottega nella fila de’ calzolai nel Pontone affittata a Titta Paglietta, o sia Gio. Batt.a La Cammara per anni tre terziaramente. Detto affitto è principiato a 13 7bre 1819 e finisce a 12 7bre 1822” (AVC, Platea del Monastero di S. Chiara 1821/1822, p. 11). Il monastero di Santa Chiara possiede “una bottega nella fila de’ Tavernari nel Pontone è stata affittata ad Antonio Pandolfo per un solo anno cioè da 13 7bre 1822 fino al 12 7bre 1823 06:50” (AVC, Platee del Monastero S. Chiara, 1822/1823, f. 10).
[xxiv] Ramage Craufurd Tait, Calabria pittoresca e romantica, Rubbettino 2014, pp. 168-170.
[xxv] Sculco N., La topografia della “Crotona” antica, manoscritto.
[xxvi] Strada dell’Immacolata (1868): “Dalle case degli eredi di Francesco Talamo, Giglio fu Aquilino, vicolo della stalla Berlingieri, casa Pirillo, stalla Morelli, stalletta Albano, casa Cavaliere, Angela Adamo, Locanda Pitagora, Botteghino Zoleo, Macelli e Forgie, Immacolata, S. Giuseppe e si riunisce alle case degli eredi fu Francesco Talamo.”
Creato il 7 Giugno 2022. Ultima modifica: 7 Giugno 2022.