La chiesa e ospedale di Santa Caterina in Santa Severina

Santa Severina (KR), il campanile della ex chiesa di Santa Caterina oggi appartenente all’edificio del palazzo comunale.

Il luogo

La chiesa di Santa Caterina era vicina alla chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista e a quella di Santa Caterinella, alla cattedrale di Santa Anastasia, e presso le “ripas S.tae Caterinae”. La sua posizione è ben descritta nella visita compiuta dal vicario Giovanni Tommaso Cerasia, cantore della chiesa cattedrale di Mileto, al tempo dell’arcivescovo Ursini, il quale, la mattina del 18 maggio 1559, dopo aver visitato con il suo seguito la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, che era “p(ro)pe et coniuncta cum archiep.”, entrò nella chiesa di Santa Caterina, che era “ex(tr)a archiep.lem eccl.am”, quindi si diresse alla chiesa di Santa Caterinella, situata p(ro)pe eccl.am metropolitanam”.

Santa Severina (KR), in evidenza il luogo in cui si trovavano la chiesa di Santa Caterinella (1) e quella di Santa Caterina (2).

La descrizione delle due chiese

Il vicario Cerasia con il suo seguito, procedendo alla visita, si recò fuori la chiesa arcivescovile, nella chiesa di Santa Caterina, che apparteneva alla confraternita laica omonima. Trovò l’altare con un altare portatile e con un quadro, dove c’erano le immagini della Vergine Maria e di Santa Caterina. Il quadro era piccolo, dorato e di legno. Vi erano una croce d’argento con il suo pomo d’argento, quattro candelabri di ottone, un altro era rovinato ed altri tre erano di peltro. C’era un calice d’argento con patena, uno di peltro con patena e corporali, ed un altro calice era di peltro, quest’ultimo era rovinato e “dissazato”.

La chiesa aveva sei tovaglie, una coperta con frange ed una di mayuto. Possedeva corporali, una pianeta nuova di damasco bianca con friso in mezzo, un cuscino di tela ed un campanello. Al campanile c’era una campana. Di qua e di là vi erano alcuni sedili di legno e due banchi di legno. Vi erano anche tre vestimenti completi, tre pianete, una paonazza e due di tela, due messali, una pianeta nera, una coperta nera, un’altra pianeta crestata e cinque cuscini. Dentro ad una cassa vi erano delle tovaglie, una lampada, e un tombolo di ottone. In un’altra cassa vi erano trentasei tovaglie di filo dipinte di diversi colori, quattro amitti, otto tovaglie di mano, sette manipoli ed un piccolo campanello. Alcuni scanni erano situati in sacrestia e nella chiesa c’erano due altari.

Uno apparteneva a Minico Archimanno. Aveva la coperta, una cona con l’immagine della Vergine ed un altare portatile. L’altare poteva contare su una rendita di quindici carlini annui, provenienti da un lascito del fu Nicola Archimanno, il quale legò tale somma ai frutti di un di terreno con l’obbligo di dire una messa alla settimana. L’altare era servito dal sacerdote Don Fabio de la Piccola, il quale era anche il cappellano della chiesa. Nell’altro altare c’era un dipinto murale della Beata Caterina. Vi erano quattro piccoli pomi, due occhi d’argento votivi ed un gonfalone, solito a portarsi per la città. In questa chiesa erano soliti radunarsi alcuni confratelli.

Il vicario ingiunse al cappellano di notificare agli appartenenti alla confraternita che, entro il termine massimo di sei giorni, essi sarebbero dovuti comparire davanti a lui nel palazzo arcivescovile, per dimostrare la loro obbedienza, e per informarlo sulla dote e sui privilegi della chiesa, e ciò sotto pena di scomunica e di estinzione della confraternita. Ingiunse, inoltre, che i beni dovevano essere ben inventariati e conservati e che sotto pena di scomunica, si doveva coprire la chiesa con tegole nei luoghi necessari.

Il vicario, nella stessa mattinata, visitò la chiesa di Santa Caterinella, che era situata accanto alla chiesa metropolitana, nella quale trovò l’altare fabbricato. La chiesa era un beneficio di collazione papale. Il vicario la trovò pulita con scope e ornata senza cura, perciò fu assai contristato. Domandò ai sacerdoti ed ai canonici, che lo accompagnavano, chi era il rettore. Costoro risposero che era il Reverendo Abate Mario Barracca. Domandò quindi se la chiesa avesse qualche dote. Questi risposero che possedeva una casa ed una gabella a “Yofari” alla “Valle di la Votte”. Allora il vicario ordinò di sequestrare le rendite della chiesa, e diede mandato al tesoriere ed al primicerio della cattedrale, di obbligare i coloni, che avevano in fitto quelle terre, di consegnare i frutti delle stesse e di venderli. Essi dovevano poi utilizzare il denaro della vendita per rifare il tetto, già in rovina, e per far dipingere le immagini della gloriosa Vergine Maria e di Santa Caterina. Comandò, inoltre, di fare nuovamente i vestimenti ed i calici per il culto dell’altare, e di intonacare la cappella. Qualora il denaro non fosse stato sufficiente per eseguire tutte queste cose, sarebbe spettato al rettore aggiungere il mancante e ciò sotto pena della scomunica.[i]

Santa Severina (KR), il campanile della ex chiesa di Santa Caterina oggi appartenente all’edificio del palazzo comunale.

La chiesa di Santa Caterinella

La visita del cantore evidenzia che in Santa Severina vi erano due chiese dedicate a Santa Caterina, ed erano situate in luoghi vicini, tanto che per distinguerle, egli una la chiama Santa Catarina, quella appartenente alla confraternita omonima, e l’altra, più piccola, Santa Catarinella, che era un semplice beneficio di collazione papale. Quest’ultima, descritta come semplice beneficio “et sine cura capella seu ecclesia Sanctae Catherinae … sita in Civ. praedicta iux.a n.ram Metrop.”, sarà concessa con tutti i suoi frutti, rendite, proventi e oneri, dall’arcivescovo di Santa Severina Francesco Antonio Santoro, alla mensa capitolare, in “vigore Decretorum Generalis Concilii”, come da atto del primo febbraio 1578, rogato “in carta pergamena” dal notaio Giacomo de Rasis.

La chiesa senza cura, rimasta vacante per morte dell’ultimo possessore del beneficio Mario Baracha, era stata infatti incorporata dall’arcivescovo alla mensa arcivescovile. Lo stesso arcivescovo l’aveva poi donata al capitolo con le sue rendite ed oneri, per aumentare la devozione divina, con la condizione di conservarvi il culto e di provvedere alla “fabrica ac necessaria reparatio”. Tutto ciò è anche descritto nella platea del capitolo del 1580: “Item d(et)to ven. Cap(ito)lo tiene et possede la ven(erabile) chiesa di S. Caterina muro coniunto con l’archivescoval chiesa, et palazzo con una gabella concessali da Mons. Ill.mo Francesco Antonio Santori arcevescovo di S(anta) S(everi)na dalla quale se ne percipe t(omo)la dieceotto di grano”.

La chiesa di Santa Caterinella è richiamata anche nella relazione dell’arcivescovo Alfonso Pisano del 1603: “Il Capitolo possiede un altro beneficio di docati dodeci incirca l’anno contiguo alla chiesa Arcivescovale detto di S.ta Caterina”,[ii] ed in una platea successiva del capitolo: “De più tiene un oratorio sotto il titolo di S. Caterinella consistente in una cabella nominata Percetta concessa in emphiteusim per tum.la dieceotto di grano l’anno portata in questa Città esistente vicino la terra di S. Mauro. Oggi posseduta da D. Nicolò Maria Godino e Francesco Antonio Visciglia. Vi è di peso una messa al mese”.[iii]

Col passare del tempo, essa fu incorporata al palazzo arcivescovile, rimanendo un semplice beneficio, come risulta dalla “Nuova Platea “del capitolo dell’anno 1782: “Dalla succennata massa delle Distribuzioni quotidiane annui D. 1.20 per dodeci messe l’anno per l’obligo del benef(ici)o sotto il tit(ol)o di S.a Catarinella sopra la gabella di Percetta giusta la unione fattane al Capitolo in aumento delle Distribuzioni dalla b.m. di m.s arciv.o D. Franc.o Ant.o Santoro …”. Ancora oggi a ricordo rimangono alcuni graffiti su uno dei muri perimetrali superstiti della chiesa, in una delle stanze che ospitano il locale Museo Diocesano di Arte Sacra (Nicola / us ger / manus ANNO D(OMI)NI M.o CCCC.o LXXVIII / Die xiii 10bre xij.e Ind.e).

Santa Severina (KR), iscrizione graffita pertinente alla chiesa di Santa Caterinella.

Lasciti all’ospedale di Santa Caterina

Nella visita del vicario Cerasia vi è una descrizione particolareggiata della chiesa, ma non vi è alcun riferimento all’ospedale. Dobbiamo attendere alcuni anni per avere le prime notizie. Negli atti del notaio Marcello Santoro ci sono numerosi riferimenti alla presenza dell’ospedale. Tanti piccoli lasciti in denaro, ma anche in grano, con i quali i testatori beneficiarono l’ospedale, con la condizione che i confratelli accompagnassero il defunto in processione all’ultima dimora, o per la celebrazione di messe in suffragio.

Il primo luglio 1570, Luca Muscedera “lassa per l’elemosina di sua anima … doi altri (carlini) all’hospitale di S.ta Caterina”.[iv] Il 26 settembre 1570, Donna Granata de Donato, moglie di Antonino Novellisi, dona all’ospedale di Santa Caterina e per esso, al priore Francesco Baglione, una casa situata in parrocchia di Santo Stefano. La casa faceva parte delle doti promesse al suo primo defunto marito. La donazione è motivata per la salute della sua anima e per quella del suo defunto primo marito.[v] Il 4 gennaio 1571, Francesco Trayina di Policastro è “ad domos Hospitalis S.tae Caterinae”. In fin di vita egli fa testamento e vuole che “lo corpo suo sia sepellito nella ven. chiesa di S.ta Caterina con li funerali piacerà alli confrati di detto hospitale … dixit havere una bestia somerina … et vole sia di s.ta Caterina et di dicto hospitale … dixit dovere recipere docati sette da fran.co filocamo … vole … siano di detto hospitale …”.[vi]

Il 10 novembre 1571, il reverendo Vincenzo deli Pira “lassa allo ven. hospedale di S.ta Caterina carlini cinque”.[vii] Il 17 maggio 1574, Nardo de Martino “lassa uno carlino al hospedale di S.ta Cat.na.[viii] Il primo di luglio 1574, il nobile Alessandro Infosino stabilisce “che a morte sua sia tutta la robba alla q.le se trovera allo ospedale de S.ta Sev.na, alla santiss.ma annunziata et alla cappella de santo lorenzo iuspatronato dello detto mag.co alesandro et che si labbia spartire pro rata parte et since fosse alcun debbito che appare per scritture lo detto spitale santiss.ma anuntiata et s.to lorenzo hanno di pagare et che siano obligati far dire una messa lo di per lanima di esso alesandro da lo spitale quanto santa anuntiata et quanto santo lorenzo et mancando che di fatto sia di lo corpo di cristo con la midesima obricazione”.[ix] Il 6 agosto 1574, Alexandro de Martino “lassa a santa chaterina per lanima sua ducati cinq… lo corpo suo vole che sia sepellito alla cappella di s.to marco suo iurepatronato vestitoli uno abbito di s.ta chaterina”.[x]

Il 23 luglio 1575, il m.co Scipione Angeriano “lassa allo hospitale di S.ta Caterina doi tumula di grano alla grossa l’anno in pp.um sopra le robbe sue … vole che tanto li confrati del s.mo sacramento come di l’hospedale possano in pp.um esigersi lo sup.to legato sopra tutte le robbe sue mobili et stabili”. In seguito, il lascito di grano è ristretto ad una sola volta.[xi] Il 12 agosto 1577, Andrea de Casovono che è ammalato nell’ospedale, fa testamento e, poiché non ha alcun erede legittimo, istituisce suo erede l’ospedale di Santa Caterina “sopra tutte sue robbe mobili e stabili denari vocali suppellettili di casa …”. Inoltre “vole che s’habia di sepellire il corpo suo intro s.ta cat(eri)na cola ponpa funerale che piacerà alli confr(at)i dell’hospitale”.[xii] L’11 ottobre 1581, Matteo Leone “lassa all’hospedale de s.ta caterina uno tari”.[xiii] Il 23 dicembre 1581, il nobile Jacobo de Martino “lassa … all’ hospedale un carlino pur con li confrati che vengano con la processione”.[xiv] Il primo settembre 1589, il tesoriere Francesco Caruso lascia “al ven. Hospidale di Santa Caterina di d.a Città docati diece”.

Santa Severina (KR), locali del Museo Diocesano di Arte Sacra, resti della chiesa di Santa Caterinella.

Le Indulgenze

La possibilità di commutare le penitenze in denaro ed in lasciti, indussero i confrati a cercare di poter amministrare il privilegio delle indulgenze, per tale motivo “interessarono” e sollecitarono il vescovo di San Marco, il napoletano Gio. Antonio Grignetta, un loro vecchio conoscente che, nel passato, era stato vicario generale degli arcivescovi di Santa Severina, i fratelli Santoro.

Con una lettera da San Marco in data 15 novembre 1578, diretta al procuratore e confrati di S.ta Caterina di Santa Severina, il vescovo Grignetta li informava del suo interessamento per ottenere quanto prima da Roma le indulgenze per la chiesa: “Molto Mag.ci Sig.ri. La lettera delle SS.VV. mi è stata car.ma se ben non era necessaria per ricordarmi di procurare le indulgentie à cotesta chiesa di S. Catharina perche ne ho sempre havuto particolar pensiero, e sto tuttavia aspettandole di Roma, ove per ordinario li negotii non così presto si spediscono per il che non è da meravigliarsi se tardano a venire, subito giunte che mi saranno le invierò alle SS. VV. alle quali se in altro ancora voglio à far qualche servitio ne diano aviso che in ogni occorrenza loro sempre mi trovaranno prontissimo conche me li raccomando, e prego dal S.re ogni felicità, e contento. Da S. Marco a XV di Novemb. 1578. Al serv.o delle SS. VV. Il vescovo di S. Marco.”

Santa Severina (KR) il campanile della cattedrale e quello appartenuto alla ex chiesa di Santa Caterina.

La confraternita alla fine del Cinquecento

L’arcivescovo Alfonso Pisani nella sua prima relazione scrive: “Nella chiesa di S. Catarina si celebra ogni dì messa, et in certi giorni due. I fratelli essercitano l’hospidalità à poveri peregrini, et infermi, e si trovano pronti a portare i defonti in chiesa. Ha di entrada diece docati, ma con l’elimosine si supplisce al tutto. È aggregata all’archiconfraternita della SS.ma Trinità di Roma, e vi si fa in certi tempi l’oratione delle quaranta hore. I detti fratelli cantano ogni Domenica matino l’ufficio della Beata Vergine, ogni venerdì di Quaresima la compieta, e litanie del nome di Giesù, et il venerdì santo andando a visitare i santi sepolchri, vanno con le discipline battendosi. Ivi Mons. Arcivescovo ha istituita la compagnia della Dottrina Christiana, la qual si insegna conforme alli libretti fatti dal S.r Cardinal sudetto (Giulio Antonio Santoro) per uso di quella chiesa, e Provincia e l’istesso si fa per tutta la Diocese non solo tra latini, ma anco tra Greci con li libretti pur stampati in lingua greca per ordine del detto S.r Cardinale”.[xv] E ancora: “tutti li venerdi di marzo escono per la Città in processione battendosine gran parte con discipline à sangue visitando le chiese di d.a Città, e massime il Venerdì Santo visitando li santi sepolcri. Nella d.ta chiesa Mons.r ha istituita la compagnia della Dottrina Christiana la quale se insegna conforme alli libretti fatti stampare p.a dall’ll.mo S.r Card.le e poi ristampare da S. S. R.ma per uso di d.a chiesa Diocese e Provincia”. La confraternita e l’ospedale erano visitati dall’arcivescovo “senza contradditione alcuna et a gli amministratori si vedono i conti anno per anno”.[xvi]

Santa Severina (KR), in primo piano il campanile appartenuto alla ex chiesa di Santa Caterina.

Luogo di assistenza e di culto

Nell’ospedale si accoglievano gli ammalati e, oltre ai pellegrini ed ai forestieri, anche gli abitanti poveri della città, sia uomini che donne.[xvii] Nella chiesa di Santa Caterina, oltre i poveri, gli indigenti ed i forestieri, si seppellivano anche coloro che appartenevano alla confraternita. Il 25 luglio 1570, Gio. Antonino Vaccaro fa testamento e stabilisce “che quando a Dio piacerà fossi morto … che lo corpo suo sia seppellito in S.ta Caterina come confrate … lassa … carlini vinticinque allo ven. hospitale … et vole che li confrati de dicta confrateria s’l’habino à recoglere … lassa allo ven. hospitale de S.ta S.na uno avante lecto di maiuto fatto a rosa per l’anima sua et de soi parenti et che i p.ti confrati di detto hospidale ci havino di donare uno habito per seppellirse così vestito”.[xviii]

Attraverso lo spoglio dei libri dei morti superstiti, conservati ancora nell’Archivio Arcivescovile di Santa Severina, apprendiamo che: “A diece di febraro 1595 morì stefano Iemmo e fu sepellito in S. Catarina”. “Adi 18 di febraro morì beatrice Iemma e si sepellì in S. Catarina”. “Adi 9 di Aprile 1602 morì Marsilio Marano … e fu sepellito nella chiesa di S.ta Caterina”. “Adi 29 di Xbre 1606 morì Cornelia Iemma … e fu seppellita nella chiesa di S. Caterina”. “Adi 16 di maggio 1608 morì Gio. Berardino Rizzo … fu seppellito nella chiesa di S. Caterina”. “A 20 di 7bre 1620 morì Gio. Francesco la Padula … fu sepolto nella chiesa di S.ta Caterina dove era confrate”. “A 8 di marzo 1621 morì Giulia Leone … fu seppellita nella chiesa di S. Caterina”. “A 25 d’Aprile 1621 morì Iacinto Carnopoli … fu seppellito in S.ta Caterina”. “Adi 12 di Agosto 1640 passò da questa vita fran.ca Coco dello zirò … fu sepolta nella chiesa di S.a Catarina”. “A 3 Ap.le 1644 passò da questa vita Vittoria Scaccia di capistrano … fu sepolta per l’amor di Dio nella chiesa di Santa Catarina”. “A 24 settembre 1652 Filippo Sisca forestiero … per esser morto subito fu sepolto christianamente nella cappella di S.ta catherina”. “A 17 settembre 1653 Francesco Sisca di caccuri … fu sepellito nella cappella di S.ta Catarina”. Ecc.

Nella chiesa si celebravano le messe legate ai lasciti. “D. Fabritio Burdana tiene per obligo del Capitolo una messa in S.ta Caterina”. “D. Leonardo Coluccio … due messe la settimana in S. Caterina da parte di D. Angelo de Luca”. Ecc.[xix]

Santa Severina (KR), in evidenza il campanile appartenuto alla ex chiesa di Santa Caterina.

Attività censuaria

Fin dalla seconda metà del Cinquecento i confrati della chiesa e ospedale di Santa Caterina esercitarono una florida attività creditizia. Si tratta di prestiti di somme modeste a piccoli proprietari del luogo. Il denaro proveniente dalle indulgenze, dai lasciti e dai censi, era investito in tanti piccoli prestiti, al dieci per cento nel Cinquecento e all’otto alla fine del Seicento, dati ai coloni, che le ricorrenti carestie, causate dai frequenti raccolti scarsi, spingevano verso il fallimento e la fame.

Il capitale dato a censo era infisso su chiuse, orti, oliveti, vignali, vigne, gabelle, case, ecc. Il debitore si obbligava al momento del prestito, a versare un annuo canone alla metà di agosto al procuratore della chiesa e ospedale. A volte i beni ipotecati, per insolvenza dei debitori, erano confiscati, passando in proprietà dell’ospedale. Spesso il bene acquisito, previo il consenso dei confrati e della curia arcivescovile, era messo all’asta nella pubblica piazza “ad exstinctum candelae”, ed i procuratori pro tempore si incaricavano di stipulare il contratto di cessione con l’ultimo licitatore, quasi sempre un proprietario terriero del luogo.

L’attività creditizia, già esistente nel Cinquecento, diventò l’attività economica predominante nel secolo successivo. Il 10 agosto 1570, Gio. Domenico de Girardo per testamento, stabilisce “che dicta thomasa se possa tenere durante sua vita una casa sua posta à s.to petro … dove habita al p.nte esso testatore et che ne paghi lo censo che rende à S.ta Caterini”.[xx] Il 26 settembre 1570, Mario Infosino, essendo malato e trovandosi in difficoltà per procurarsi gli alimenti e le medicine per curarsi, si accorda con i procuratori dell’ospedale e confraternita di Santa Caterina, Francesco Baglione e Giovanni Bernardino Sacco. L’Infosino dà in pegno due case terranee, che egli possiede vicino alla sua casa palaziata, in parrocchia di San Giovanni Battista, in “loco dicto la scalilla”, ed ottiene dai procuratori dieci ducati di carlini d’argento.[xxi]

Il 20 ottobre 1573, il diacono Antonino dela Mendula, dichiara di possedere una casa in parrocchia di San Giovanni Evangelista, gravata da un censo dovuto alla chiesa di Santa Caterina.[xxii] Il 3 gennaio 1585, il chierico Giovanni Cosentino afferma che, l’anno prima, ebbe a censo dal procuratore dell’ospedale di Santa Caterina Minico L’Abbate, ducati sessanta al 10 per cento, i quali erano pervenuti all’ospedale dalla vendita dei beni lasciati dalla fu Giubilia Nigro.[xxiii] Il 5 aprile 1589, il chierico Giovanni Cosentino ottiene un prestito di ducati 25 al dieci per cento, da Antonio L’Abbate, procuratore dell’ospedale di Santa Caterina. Il Cosentino si obbliga a pagare un annuo censo di carlini 25 sui primi frutti delle sue proprietà, che consistono in un territorio in località “Turrotio” ed in un vigneto a “Laghane”.[xxiv]

Il 26 giugno 1686, il chierico Giovanni Domenico Mancuso afferma di essere debitore verso la confraternita di Santa Caterina per ducati 20, per le terze decorse dall’anno 1683 a tutto agosto 1685. Il debito è così ripartito: ducati 8 e mezzo sopra la sua casa in località Santa Maria la Grande, per un capitale di ducati 100, ed annui tomoli otto di grano, cioè tomoli 3 sopra la gabella “Li Catusi”, e tomoli 5 sopra la gabella “Il Visciglietto”. Non avendo denaro contante per estinguere il debito, il Mancuso si accorda con Giuseppe La Manna, “procurator V.lis confraternitatis S.tae Chatarinae erectae intus Civitatem et proprie ubi dicitur il Campo”, e per i ducati 20, che la confraternita deve avere, si impegna a pagare ogni anno carlini 19, che egli deve riscuotere dagli eredi di Mutio Curcio, e che gravano sopra una casa “ubi dicitur la Piazza”.[xxv]

Il 15 febbraio 1688, il chierico Giovanni Gerardi ottiene da Antonio Tigano, procuratore della chiesa e ospedale di Santa Caterina, previo l’espresso consenso e beneplacito della curia arcivescovile, un prestito di ducati 25 all’otto per cento. A cautela del capitale il Gerardi obbliga i primi frutti del suo viridario che, tra annata fertile ed infertile, frutta annui ducati venti.[xxvi] Il 19 maggio 1688, Giuseppe Melea ottiene dal procuratore della chiesa e ospedale di Santa Caterina, un prestito di ducati 25 all’otto per cento. Il Melea si obbliga a versare i carlini venti annualmente nel mese di agosto, ed obbliga le entrate di tutti i suoi beni, consistenti in un oliveto a “Grottari”, una vigna a “Monastria”, un vignale a “Le Carra” ed una casa palaziata dentro la città in località “Porta Nova”, che rendono annualmente ducati dieci.[xxvii]

Il 2 febbario 1691, Antonino Ungaro, figlio ed erede di Gio Battista Ungaro, poiché non ha pagato diverse annualità e non ha i soldi per saldare il debito, deve cedere al procuratore dell’ospedale e chiesa di Santa Caterina, il chierico Petro Catanzaro, la sua chiusa alberata con alberi fruttiferi detta “l’impisi”. L’ospedale vantava un credito di ducati 30 all’otto per cento con numerose annualità pregresse, concesso a suo tempo al padre Gio. Battista Ungaro, che aveva obbligato la chiusa. Nello stesso giorno il procuratore dell’ospedale rivende la chiusa al regio giudice Rocco Podino per ducati 44. Il Podino consegna subito al procuratore 14 ducati, mentre, per i rimanenti 30, si impegna a consegnare annualmente nel mese di agosto carlini 30. Obbligando la chiusa acquistata ed i suoi beni.[xxviii] Il 22 agosto 1691, Filippo del Piris, già indebitato con il capitolo, deve ricorrere ad un altro prestito. Egli ottiene da Petro Catanzaro, procuratore della chiesa e ospedale di Santa Caterina, ducati 15 all’otto per cento, ipotecando il suo viridario in località “Il Passo”. Il De Piris si impegna a versare al procuratore ogni anno nel mese di agosto carlini 12.[xxix]

Si mette all’asta nella pubblica piazza, “ad estinctum candelae”, un vignale alberato con alberi fruttiferi in località “Armo seu Favatu”, della chiesa e ospedale di Santa Caterina. Esso è aggiudicato come ultimo licitatore e maggiore offerente, a Geronimo Borrello. Il 24 gennaio 1692 il procuratore della chiesa e ospedale, il chierico Petro Catanzaro, e Geronimo Borrello, stipulano l’atto di cessione. Il vignale è venduto per il prezzo di ducati 25 all’otto per cento, ed il Borrelli si impegna a versare carlini 20 sopra tutti i suoi beni alla metà di agosto di ogni anno.[xxx] Il 17 febbraio 1693, i figli e la vedova di Giovanni Mancuso, ottengono un prestito di ducati 25 all’otto per cento, dal procuratore della chiesa e ospedale di Santa Caterina Petro Mancuso. I Mancuso si impegnano a consegnare ogni agosto carlini 20, gravando le entrate dei loro beni, costituiti da due oliveti: uno in località “Serretta” e l’altro “sotto le timpe della Grecia”.[xxxi]

Anna Cartuccio, moglie di Leonardo Gangale di Policastro, e Claudio Vecchio, indebitati, si rivolgono al chierico Pietro Catanzaro, procuratore della chiesa e ospedale di Santa Caterina, per ottenere un prestito. La Cartuccio possiede un oliveto in località “S. Nicolò”, gravato da un censo di carlini sette annui, ed il Vecchio una vigna a “Grottari”, gravata da carlini quattro dovuti alla chiesa e ospedale di Santa Caterina, ed una casa palaziata nel luogo detto “la Piazza”. Il 15 aprile 1694 è rogato l’atto notarile col quale il procuratore concede il prestito di ducati 10 all’otto per cento, ed i due debitori si impegnano a versare annualmente carlini 8 alla metà di agosto, ipotecando tutti i loro beni.[xxxii]

Il canonico Filippo de Peris possiede un “viridario” in località “Favatu seu della Conicella”, ed un vignale a “cerasia”. Egli deve pagare un annuo canone di ducati nove, quattro al capitolo per aver avuto in prestito ducati 50, e cinque al beneficio di S. Antonio di Vienna, per un capitale di ducati sessanta. In difficoltà economiche, egli ottiene, come da atto notarile in data 15 giugno 1696, un prestito di ducati 15 all’otto per cento sulle sue proprietà, dal procuratore della chiesa e ospedale di S. Caterina, il chierico coniugato Petro Catanzaro. Il capitale sarà affrancato il 29 settembre 1751 dal nipote, il canonico D. Bartolo di Rosa.[xxxiii]

Santa Severina (KR), il palazzo comunale con il monumento ai caduti, sul luogo in cui si trovava la chiesa di Santa Caterina.

Amministrazione dell’ospedale

Nei “Memoriali di scomunica di particolari publicati in diversi tempi dal m.co R.do Cantore”, troviamo una supplica presentata alla fine del luglio 1622 all’arcivescovo Alfonso Pisano, dai procuratori della chiesa di Santa Caterina, che fa luce sulla cattiva amministrazione dei beni, sui furti e sullo stato precario dell’ospedale. La supplica, inoltre, ci informa che, in quello anno, nella chiesa e nell’ospedale erano in corso lavori di riparazione del tetto degli edifici, ma che una parte dei “ciaramidi” e dei legnami era stata trafugata.

“Molto Ill.e e R.mo Sig. Li procuratori della venerabile chiesa di S.ta Caterina di q(uest)a Città di S.ta Severina supp(lica)no V. S. Ill.ma e Rev.ma di concedere loro monitione di scomunica contro chi da d(ett)ta Chiesa e suo hospitale havessero pigliato robbe mobili come scritture publiche e private, tovaglie, lenzoli et altri pannamenti, significatorie, o che havendoli pigliate tanto in bona fede quanto in mala e non l’hanno restituite vogliano rivelare ò restituire. Item chi sapesse ò tenesse occupati terre ò vignali, censi non pagati, legnami, ciaramidi, et ogni altra cosa occupata vogliano quelle restituire ò rivelarlo in scriptis che oltre esser giusto et opera di carità si riceverà a gra(tia) Da V. S. Ill.ma Rev.ma. ut Deus.”[xxxiv]

A metà Seicento l’ospedale ha rendite più che sufficienti, ed oltre ai pellegrini ed agli infermi forestieri, cura anche i cittadini, anche se sono poverissimi.[xxxv] La crisi economica favoriva l’accumulazione, tanto che, secondo l’apprezzo del 1687, la confraternita può giovarsi delle rendite di un capitale di ducati. 200, dei quali metà è infisso sopra beni stabili e metà sopra territori, che il procuratore concede in fitto ai coloni con pagamento in grano alla raccolta.[xxxvi] La fiorente attività speculativa, a volte condotta in maniera fraudolenta ed evasiva, era favorita dal fatto che i procuratori rimanevano in carica più anni; è questo il caso di Pietro Catanzaro che fu procuratore almeno dal 1691 al 1696. Spesso le frodi a danno dell’ospedale erano commesse dai procuratori con la complicità dei priori, i quali si accordavano con coloro ai quali era venduto un bene, o dato un prestito. Essi non facevano comparire negli atti di vendita la somma pattuita ma una di molto inferiore, intascando la differenza.

L’undici agosto 1686, il procuratore della confraternita e ospedale di Santa Caterina, Giuseppe La Manna, si accorda con Leonardo Sagace, figlio ed erede di Giuseppe Sagace di Rocca Bernarda. Giuseppe Sagace ed altri presero in prestito dalla confraternita ducati 200 per annui ducati 20 sopra tutti i loro beni. Poiché mancarono di pagare diverse annualità, il procuratore della confraternita Antonino Curcio fece sequestrare i beni sui quali gravava il debito. Questi furono sequestrati e messi all’asta, ma l’asta andò deserta ed i beni rimasero alla confraternita. Allora il procuratore si accordò con Leonardo Sagace e cedette i beni sequestrati al padre per ducati 40 all’otto per cento. Il sagace si impegnò a consegnare ogni agosto carlini 32 gravando tutte le sue proprietà.[xxxvii]

Il capitale di cui godeva la confraternita era molto superiore a quello dichiarato nella platea, che era annualmente presentata all’arcivescovo, e continuerà a crescere anche quando il tasso di interesse calerà. Infatti, nel catasto onciario del 1743, l’“ospedale sito nella Città di S. S.na sotto il titolo del SS.mo Salvatore et S. Catarina, retto dal cl.co Rocco Godano”, dichiarava una rendita annua di circa 100 ducati, che equivalevano a circa 500 ducati di capitale. Di questi, il 57% proveniva da censi enfiteutici e redimibili, il 33% da affitto di terreni (una gabella e tre vignali) ed il rimanente 10% da affitto di case.[xxxviii]

Santa Severina (KR), chiesa del SS. Salvatore, oggi detta di Santa Lucia.

Trasferimento dell’ospedale

Ancora alla metà del Seicento: “Accosto il Seminario vi è l’Hospitale dove si Ricettano Peregrini infermi forastieri e Cittadini a spese di detto Hospitale quale tiene d’Intrata annui d.ti 80 nell’quale e la Cappella sotto titolo di Santa Catherina Vergine e Martire con la confraternità nella quale si Celebrano quattro messe la Settimana dal Cappellano eletto da detta confraternita”.[xxxix] Pochi anni dopo, l’arcivescovo Francesco Falabella (1660-1670) trasferì ed ampliò l’ospedale amministrato dalla confraternita di Santa Caterina, utilizzando il piccolo convento dei minori conventuali, situato appena dentro la porta della piazza che, per bolla di Innocenzo X, era stato soppresso nel 1652. Lo spostamento dell’ospedale avvenne poco dopo l’insediamento dell’arcivescovo, come mostra questa particola: “Die 21 Xbris 1662 fr. Jo. Batt.a Belvedere Cariaten. Dioecesis, eremita hospitalis huius Civitatis Sanctae Severinae omnibus ecc. Sacram.tis refectus, ultimum clausit diem eiusq. corpus humatum fuit in ecc.a SS.mi Salvatoris”.

Il Falabella così descriverà alcuni anni dopo lo spostamento ed i lavori, che “ampliarono” la capienza dell’ospedale da uno a tre letti: “Reperitur in d.a Civitate Hospitale pro recipiendis Peregrinis, et curandis aegrotis sub administrat(io)ne confraternitatis S.tae Catharinae, quae domum profanam ad hunc usum conducebat, fuit translatum ad parvum convenctum suppressum ordinis Minor. Conventualium, annexum eccl.ae S. Salvatoris in quo erant tria cubicula, quae minabantur ruinam cum uno tantum lectulo, quae curavi reaptanda, et tribus lectis provideri”.[xl]

Nell’occasione anche la chiesa di Santa Caterina, che era di proprietà della confraternita, fu dalla stessa abbandonata ed i confratelli si trasferirono nella chiesa del SS. Salvatore presso l’ospedale. La chiesa di Santa Caterina, rimasta priva della confraternita, fu annessa dallo stesso arcivescovo al vicino seminario. Così lo stesso presule si esprime: “Ac etiam adiuncta per me ecc.a S.tae Catherinae contigua d.o Seminario, destituta a Confratibus, qui se transtulerunt ad mentionatam ecc.am S.ti Salvatoris cum Hospitale, in qua ecc.a d.i Alumni quotidie recitant officium, et tertiam partem Rosarii B.tae Mariae”.[xli] La chiesa fu in seguito utilizzata dai seminaristi e dai convittori: “Li clerici … si esercitano ogni sera per mezz’hora all’esercitii spirituali nella cappella sotto il titolo di Santa Caterina Vergine, e Martire, attaccata a detto seminario, quale è contigua alla chiesa cathedrale”.[xlii]

L’ospedale rimase nel soppresso convento dei conventuali: “Extat Hospitale in Civitate pro infirmis egenis et peregrinis, cuius redditus sunt valde tenues … ad praesens situm est in ecc.a SS.mi Salvatoris conventus suppressi sancti francisci conventualium in ingressu Civitatis, translatum ex alia domo et ecc.a p.tta S. Catarinae, cuius antiqua confraternitas laicalis fuit etiam annexa cum hospitali dictae ecc.ae SS.mi Salvatoris”.[xliii]

Santa Severina (KR), chiesa del SS. Salvatore, oggi detta di Santa Lucia.

L’ospedale e la chiesa del SS.mo Salvatore

L’ospedale fu così accorpato alla chiesa del SS.mo Salvatore ed in esso si seppellivano soprattutto i forestieri, quasi sempre pecorai che svernavano con le mandre nel territorio intorno alla città. Tra quelli che trovarono sepoltura nella chiesa del SS.mo Salvatore ricordiamo: Il 22 dicembre 1662, “Franc.cus Antonius Fignanelli à Sancto Jo. in Flore”. Il 4 gennaio 1664, “Fran.cus Stefanizzi à figline”. L’otto gennaio 1664, “Fran.cus Ant.s Drami a Belvedere … sepultus fuit in ecc.a hospitalis Sanctae Sev.nae”. Il 21 gennaio 1666, “Antonius Passanisi à Cirò”. Il 5 aprile 1666, “Dominicus Brizzi à zimbario … in ecclesia hospitalis huius Civitatis”. Il 6 novembre 1667, “Gregorius Altomare à Coriolano”. Il 24 settembre 1668, “Magister Antoninus de Antonio civ. Oppidi”. Il 19 marzo 1669, “Philippus Caruso a Dipignano”. Il 21 giugno 1669, “Salvator di Pirro casalis feruci”. Il 5 marzo 1670, “Gio. Iacino di San Giovanne in fiore e morto nella chiesa del SS.mo Salvatore hospidale di d.a Città e ivi sepolto”. “Matteo di Puccio del casale di Gagliano passò da questa a meglior vita con essersi solamente confessato con me D. Fran.co Catalano Paroco et per la morte improvvisa non fu refetto dall’altri sac.ti fu sepellito nel SS.mo Salvatore Hospidale di questa Città di S.ta Sev.na hoggi li 6 Xbre 1671”. “Adi 23 Xbre 1671 Livia Lifreri di Belcastro e morta di fora la d.ta Città e portata nella chiesa del SS.mo Salvatore dove è sepellita”.[xliv]

La chiesa del SS.mo Salvatore con l’ospedale e la chiesa di Santa Caterina, sono così descritti alla fine del Seicento: “… chiesa sotto il titolo del Salvatore … ed accosto a detta chiesa vi sono quattro stanze che servono per uso di ospedale, tanto per cittadini quanto per forestieri … Segue vicino detta chiesa (arcivescovile), e proprio all’incontro ad uno di detti palazzi (arcivescovili) il Seminario … e attaccato a detto seminario vi è la chiesa di S. Caterina Vergine e Martire, della quale si servono i seminaristi per oratorio. Detta chiesa è coperta con l’intempiatura e vi è un altare con ornamento, e colonne di ordine composto, e cona con l’immagine di S. Caterina”.[xlv]

L’ospedale al tempo dell’arcivescovo Antonio Ganini (1763-1795) utilizzava ancora il soppresso convento dei conventuali: “Hospitalis domus in hac Civitate sita in loco ubi olim conventus fuit P. P. minor. Conventualium Sancti Francisci postea suppressus ob redituum tenuitatem visitata per me fuit, et quae ad commodum peregrinorum, ac infirmorum necessaria visa sunt, salubriter decrevi”. Nella Lista di carico della Cassa Sacra così la chiesa dell’ospedale è descritta: “Vicino la porta della Città vi è la chiesa dell’ospedale, in cui vi sono due porte, una picciola che si serra con chiave di ferro, e l’altra grande che si serra con legno atraverso. Le stesse sono vecchie. Vi è l’altare con quadro dell’Immacolata, ed una finestra con vetriata e senza vetri. Vicino la stessa vii è la sagrestia, in dove vi è uno stipo che serviva per gli arredi sacri. La portella mediante è fracida ed aperta ed una finestra picciola. Lo suffitto di d(ett)a chiesa è buono”.[xlvi] In seguito, la chiesa dell’ospedale mutò il titolo ed oggi è conosciuta come chiesa di Santa Lucia.

Santa Severina (KR), chiesa del SS. Salvatore, oggi detta di Santa Lucia.

La confraternita

La chiesa di Santa Caterina rimase unita al seminario e fu amministrata e mantenuta dal procuratore dello stesso, che aveva l’onere di far celebrare due messe alla settimana.[xlvii] La confraternita, sotto il titolo di Santa Caterina, lasciata la chiesa omonima, continuò ad esistere. Essa era composta da un priore, eletto annualmente, da fratelli, da un procuratore, che stipulava i contratti, e da confrati, i quali si riunivano per deliberare sulle cose riguardanti la vita della confraternita. “Li confrati di Santa Caterina accompagnano sempre i defonti in chiesa e li portano sopra le spalle caritativamente, tengono anche un hospedale, in cui raccolgono i poveri ammalati cossi huomini, come donne, e li governano per amor di Dio”.[xlviii]

Passata la chiesa di Santa Caterina al seminario e il convento soppresso dei conventuali all’ospedale, la confraternita che, all’inizio, era nella chiesa del SS. Salvatore, in seguito si trasferì nella chiesa dell’Immacolata Concezione. Di tale spostamento ne fa fede una delibera della confraternita: “Hoggi che sono li 18 settembre 1691 S. S(everi)na. Congregati a sono de campana la magiore e seniore parte delli confrati e fratelli di d(ett)a Chiesa di S.ta Caterina et ospedale, dentro la chiesa della Concettione ut moris est  per vedere se rende commodo à d(et)ta chiesa et ospedale la vendita di detto pezzo di terra quale unanimiter et pari voto risposero essere commodo et utile alla chiesa et ospedale la vendita di detto pezzo di terra appretiando da esperti persone. D. Francesco Ant.nio Tigani Priore. Clerico Antonino Melea fratello. Clerico Mutio Le Pera fratello. Clerico coniugato Piero Catanzaro procuratore. Gio. Andrea Amese confrate. Lupo Sapia confrate. Io. Leonardo Melea confrate. Fabio Vecchio confrate. Segno di croce Andrea Telese confrate.” Alla fine del Seicento, la chiesa della Concezione era quindi utilizzata normalmente come luogo di riunione della confraternita.

Santa Severina (KR), la chiesa di Santa Filomena conosciuta anche come del Pozzoleo, nel passato dedicata a San Giuseppe con la sottostante chiesa della Immacolata Concezione.

La chiesa della Immacolata Concezione

La chiesa dell’Immacolata Concezione è già presente nel marzo 1637, come evidenzia una supplica presentata da D. Gregorio Orlandi al vicario generale dell’arcivescovo Fausto Caffarelli, Giuseppe de Valle. L’Orlandi aveva portato da Messina due statue di stucco, una raffigurante San Giuseppe e l’altra Santo Antonio di Padova. Egli chiedeva di donarle a certe condizioni alla “chiesa sotto il titolo di S. Pancratio sita dentro la Parocchia di Santa Maria del Pozzo”, che era in stato decadente. Dalla supplica si ricava che la chiesa era costituita da due membri, uno era la chiesa di San Pancrazio e l’altro la chiesa, o cappella, dell’Immacolata Concezione. L’Orlandi, infatti, era interessato “alla parte e membro superiore che sta sopra la parte et il corpo inferiore dedicato all’Immacolata Concettione e S. Thomaso Cantuariense”.[xlix] A causa di questa donazione la chiesa di S. Pancrazio cambiò titolo: “Nel quartiero detto Pizzileo … vi è la chiesa di Santo Gioseppe e S(an)to Ant(oni)o … sotto di essa nel piano inferiore e un’altra chiesa della Congettione nella quale si celebra a devotione”.[l]

L’apprezzo del 1687, oltre alle cinque chiese parrocchiali, enumera altre sette chiese: Chiesa dell’Ospedale, chiesa della congregazione del Santissimo, S. Caterina del seminario, S. Maria la Medica, S. Maria della Grazia, S. Anna e S. Giuseppe.[li] La chiesa dell’Immacolata Concezione e la confraternita di Santa Caterina sotto la chiesa di San Giuseppe, così è descritta nell’apprezzo: “Situata nel largo in un piano detto il Campo … avanti a detto largo vi è una chiesa detta la congregazione della Concezione coperta a lamia con un altare con l’immagine della Cena di Nostro Signore. Si mantiene detta chiesa con l’elemosine, e tra confrati e fratelli sono numero 50, tiene di capitale doc. 200, cioè 100 di censi sopra li beni stabili; e 100 altri sopra territori, che si affittano; tiene una campanella piccola, una fonte di marmo, un’immagine della SS.ma Concezione e li stipi per tenere li suppellettili e le spallere, che servono per comodità de’ fratelli… Poco più avanti a destra vi è la chiesa arcivescovale”.[lii]

L’undici maggio 1695, l’arcidiacono Gio. Vincenzo Infantino procuratore del duca Antonio Gruther, presentava una supplica all’arcivescovo Carlo Berlingeri, chiedendo il permesso di fondare un semplice beneficio “sotto l’invocazione della SS.ma Concettione della B. M. sempre Vergine nella venerabile antica cappella chiamata dell’Audienza seu della Concettione construtta sotto la chiesa di S. Gioseppe della Città di S. S.na”. Lo stesso giorno, la supplica sarà accolta dal vicario generale Didaco Berlingeri.[liii] Al tempo dell’arcivescovo Ganini (1763-1795), la confraternita non c’era più, mentre la chiesa dell’Immacolata Concezione e l’ospedale erano sotto l’amministrazione del procuratore del seminario: “Ecclesia Immaculatae Conceptionis B.V.M. cum onere missarum quatuor in qualibet hebdomada. Regitur per Procuratorem Seminarii, cui reperitur unita una cum Hospitali adnexo eidem eccl.ae pro infirmis, et peregrinis, cui providetur per eumdem Procuratorem. Adsunt alia duo altaria Sactae Luciae, scilicet, et Sancti Antonii Patavini absque reditu et onere”.[liv]

Note

[i] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 16B.

[ii] “Il Capitolo possiede un altro beneficio di docati dodeci incirca l’anno contiguo alla chiesa Arcivescovale detto di S.ta Caterina”. ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1603.

[iii] Bona, iura et onera … dopo il 1663.

[iv] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1570, ff. 64-65.

[v] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1570, ff. 16-17.

[vi] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1571, f. 37.

[vii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1571, f. 23.

[viii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1574, ff. 84v-85.

[ix] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1574, f. 110.

[x] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1574, f. 137.

[xi] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1575, ff. 133-134.

[xii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1577, f. 267.

[xiii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1581, f. 38v.

[xiv] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1581, f. 67.

[xv] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1589.

[xvi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1591.

[xvii] “Habet hospitale in quo recipiuntur tam viri quam mulieres”. ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1615.

[xviii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1570, ff 75v-76.

[xix] AASS, Fondo Capitolare, volume 1C, Libro dei Morti di San Nicola dei Greci; volume 3C, Libro dei Morti di Santa Maria Magna.

[xx] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1570, ff. 83-84.

[xxi] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1570, ff. 18-19.

[xxii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. IV, ff. 26v-27.

[xxiii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. X, f. 63.

[xxiv] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1589, ff. 88-89.

[xxv] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 7D fasc. 1, 1686, ff. 4-5.

[xxvi] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 7D fasc. 1, 1688, ff. 5v-6.

[xxvii] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 7D fasc. 1, 1688, ff. 15-16.

[xxviii] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 7D fasc. 2, 1691, ff. 10-12.

[xxix] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 7D fasc. 2, 1691, ff. 50-51.

[xxx] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 7D fasc. 3, 1692, ff. 4v-6.

[xxxi] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 7D fasc. 3, 1693, ff. 15-17.

[xxxii] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 8D fasc. 1, 1694, ff. 9-11.

[xxxiii] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 8D fasc. 1, 1696, ff. 13-14.

[xxxiv] AASS, Fondo Capitolare, cartella 3D, fascicolo 1.

[xxxv] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1685.

[xxxvi] “Apprezzo dello Stato di Santa Severina fatto nel 1687”, in appendice a Caridi G., Uno “stato” feudale nel Mezzogiorno spagnolo, 1988.

[xxxvii] AASS, Fondo Capitolare, protocollo Ceraldi V. A., cartella 7D fasc. 1, 1686, ff. 8-10.

[xxxviii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, Busta 7009.

[xxxix] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 31A, f. 21.

[xl] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1666.

[xli] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1666.

[xlii] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1678.

[xliii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1675.

[xliv] AASS, Fondo Capitolare, volume 1C, Libro dei Morti di San Nicola dei Greci; volume 3C, Libro dei Morti di Santa Maria Magna.

[xlv] Siberene Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 104.

[xlvi] ASCZ, C. S., Lista di Carico n. 37- S. Severina, 1790, f. 617.

[xlvii] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1765.

[xlviii] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1678.

[xlix] AASS, Fondo Capitolare, cartella 4D fasc. 3, f. 36.

[l] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 31A, f. 20v.

[li] Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 110.

[lii] Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 99.

[liii] AASS, Fondo Capitolare, cartella 4D fasc. 3, f. 121.

[liv] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1765.


Creato il 3 Marzo 2015. Ultima modifica: 5 Aprile 2023.

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