La presenza militare in alcuni centri del Crotonese durante i sec. XVI-XVII
Alla metà del Cinquecento, la realizzazione della fortezza di Crotone che, ancora durante il Viceregno austriaco (1707-1734), sarà considerata “la chiave di queste due Provincie e sostegnio di tutto il Regnio”,[i] oltre a condizionare pesantemente la vita della città, ebbe ricadute particolarmente importanti anche per gli abitati vicini.
Accanto all’inasprimento della tassazione, necessaria per il mantenimento dei soldati e alla depressione determinata dalla militarizzazione di Crotone, polo principale delle attività economiche del territorio, infatti, anche quest’ultimo fu interessato da una presenza militare, complementare a quella dislocata nella città che, andando a gravare sulla popolazione,[ii] determinò un impoverimento generalizzato e, in alcuni casi, portò allo spopolamento e all’abbandono degli abitati, come nei casi di Montespinello e San Giovanni Monaco spopolati agli inizi del Seicento.[iii]
Secondo la strategia adottata dagli Spagnoli, in tempo sospetto d’incursioni da parte dei Turchi, che dalla stagione primaverile-estiva durava fino a quella autunnale, il presidio di Crotone, città che contava al tempo circa 5000 abitanti, era assicurato da 600 militari di fanteria, come si ricava da una relazione al marchese di Mondesciar, viceré di Napoli tra il 1577 e il 1579,[iv] mentre quello del territorio era affidato ad alcune compagnie di cavalleria, dislocate nei luoghi maggiormente sensibili e in corrispondenza dei nodi della rete viaria principale.
La dislocazione della cavalleria nell’entroterra, oltre a consentire di poter disporre di una forza dotata di una certa mobilità e prontezza, aveva anche lo scopo di reprimere il brigantaggio e le scorrerie dei “forasciti”, intensificatesi in questo periodo a causa della depressione economica e, non ultimo, quello di tenere per quanto possibile, questi reparti lontano dai luoghi costieri, dove la malaria falcidiava gli Spagnoli privi di difese immunitarie,[v] rispetto ai locali che, invece, riuscivano a conviverci.
Il testamento del milite Diego Romero
La presenza della cavalleria leggera residente a Cirò, che interessa anche le vicine Melissa e Umbriatico,[vi] risulta correlata alla vulnerabilità di questo territorio agli sbarchi dei Turchi durante la bella stagione, ed è documentata già alla metà del Cinquecento. Un testamento stipulato il 19 agosto 1563 in Cirò, ci fornisce alcune notizie che ci consentono di farci una idea circa la vita condotta dai militi spagnoli, e di valutare i rapporti che questi intrattenevano all’interno del loro gruppo e con i locali.
Quel giorno il notaro si portava nella casa di Nicolao Barberi, posta in Cirò loco detto “sotto lo castello”, per redigere il testamento del “mag.ci didaci romero de t(er)ra Lucene pertinentiarum hyspanie militis hispani, seu equitis levis armaturae Comitive d(omi)ni Dieci carnascialis”.
Il testatore ormai ammalato e morente, istituiva propri eredi Joannes e Francisco de Romero, suoi figli “minores” leggittimi e naturali, ai quali in caso di morte, sarebbero dovuti succedere gli altri suoi figli. Nominava tutore e amministratore, tanto dei figli Joannes e Francisco, quanto delle sue robbe, il “m.co fran.co giordano spagnolo suo compari et il s.r barroso similm.te spagnolo habitantono in monopoli”.
Asseriva di aver ricevuto da Pietro Garganese ducati 4 e dal fratello di questi Dominico ducati 5, in conto della dote di sua moglie, la magnifica Hippolita Garganese, oltre a un letto di panni usato.
Come si evinceva da alcune polizze conservate nella “cascia” di sua moglie, asseriva di vantare i seguenti crediti: dal “s.r Andrea de mesa caval legiero spagnolo del midesma compagnia del s.r don dieco”, per vendita di un cavallo ducati 30; dal “s.r Ernanbrado spagnolo Contadore della detta compagnia”, ducati 21 per la vendita di un bove, oltre a carlini 7 che gli aveva prestato “q(ua)n(do) fugenno dali forasciti”; dal “s.r “jo(ann)es de poveta spagnolo e caval legiero del detta compagnia”, ducati 5 per la vendita di un cavallo “baio”; dal “s.r arcona spagnolo e caval legiero” della medesima compagnia, carlini 5 che gli aveva prestato l’anno passato; dal “s.r “joan ramos”, ducati 4 e ½ per la vendita di una casacca rossa “il che è noto ad tutta la compagnia”.
Asseriva di dover ricevire “per suo servim.to dala regia corte docati sessanta per servim.to de undici mesi che finesarano ad complirseno” alla fine del presente mese di agosto, avendo “sempre assistuto al servitio di Sua M.ta come se potia declarare per lo s.r Martin bravo Contadore de la ditta compagnia”.
Doveva invece la seguenti somme: al “s.r Martines portuese” 1 ducato, al “s.r salicato spagnolo” 1 ducato, al “s.r Ant.o perruczo” carlini 5, al “s.r Colant.o de venosa” 1 ducato “con tutto lo succurso”, al “s.r paulo capocza un tari del soccorso q(ua)n(do) forno all’auria”, al “s.r garsi lops” carlini 5, al “s.r dominico mise” 3 carlini per “la cammisa del morto ad casal novu”, al “s.r columba” ducati 11, tari 3 e grana 6, al “s.r “fichera” carlini 2, al “s.r errera” carlini 2, al “s.r vincenzo dela funtana” 1 ducato, al “s.r fran.co de vegliana” ducati 7, al “s.r jo(ann)e d’alva” carlini 5.
Asseriva di aver lasciato in potere del “s.r mataugo italiano caval legiero di detta compagnia le sue arme disguarnite”.
Disponeva affinchè il “s.r fran.co de poveta spagnolo” e il “s.r fran.co dela piaza”, insolidum, recuperassero i crediti a pagassero i debitori. Asseriva di dovere al detto “s.r plaza” ducati 3, denari lasciatigli in questa terra di Cirò “q(ua)n(do) casco ammalato”, che gli erano stati consegnati “in nome del cap.o de la compagnia” e che, al momento, si trovavano in potere del cantore di Umbriatico. Voleva che “compar vitale suo compagno” dovesse dare conto della loro “massaria”.
Lasciava a “jac.o tedesco suo servitore li stivali di esso testatore di vacca, li calzi et ogni che tiene esso testatore, uno paro di scarpe bianche, il cappello, il giuppone suo vecchio, la cappa de lana infoderata de scarlata, una casacca de lana vecchia, una cammisa la meglio di dui cammese che esso testatore tiene”.
Istituiva “exequtore” del suo testamento il cantore di Umbriatico, a cui affidava il compito di vendere un suo cavallo “liardo” che teneva in Cirò, dando del ricavato 2 ducati al detto Jacobo “per possirne andare”, al quale lasciava anche “la spada lo pugnale e la corregia”. Disponeva che il suo corpo fosse seppellito in un “tavuto fabricato ad un muro” in una chiesa scelta dal cantore di Umbriatico, il quale avrebbe dovuto impiegare 10 ducati provenienti dalla vendita del suo cavallo, nel maritaggio di una povera orfana, ed il resto l’avrebbe dato ai poveri e per farne il suo funerale “onestam.te”, rimettendosi per ogni cosa a lui come suo padre penitenziale.
Il giorno successivo veniva stipulato un altro atto, che modificava in parte le dispozioni date in merito all’utilizzo della somma ricavata dalla vendita del suo cavallo: lasciava 1 ducato alla cattedrale di S. Donato, 1 ducato al clero e capitolo di Cirò, 2 tari e 10 grana per “malo oblato incerto” e 1 ducato per riparazione della chiesa dove sarebbe stato seppellito. Lasciava anche quanto necessario per pagare “lo salario” del notaro e del giudice, per la stipula del testamento che doveva essere mandato alla compagnia e ai signori Francesco Poveta e Francesco Plaza, nonchè per altre spese eventuali.[vii]
Una spesa insostenibile
Quale fosse invece l’impatto che la presenza dei militari aveva sulla vita di Cirò, emerge attraverso un atto del 10 aprile 1581. Quel giorno davanti al notaro comparivano il magnifico Cesare Thegano, sindaco nel presente anno, e i magnifici Quintio Piccolo, Joannes Baptista Casoppero, Martio Ant.o Trusciglio, Marco Ant.o Casoppero, Georgio Guerra, Detio Casoppero, Joannes Baptista Inglisio e Cruce Thegano, eletti.
Questi asserivano che erano passati più giorni da quando era giunta nella terra di Cirò, la “societas hispanorum residens in ea”, relativamente alla quale, l’università di Cirò pativa giornalmente “maxima danna, expensas, et interesse”, in quanto non possedeva la quantità di denaro necessaria con la quale soccorrere i soldati, stabilita alla ragione di un carlino per ogni “milite”, in forza dell’ordine e mandati dell’Ill.mo Duca di Bovino, vicerè della provincia di Calabria.
Secondo gli ordini ricevuti dal governatore di Longobucco, commissario destinato da parte del vicerè della provincia “ad accommodare il repartimento, et quartieri” della detta compagnia spagnola residente a Cirò, ai soldati spettava la seguente paga giornaliera: 1 carlino per ogni soldato, carlini 5 al capitano, carlini 3 all’alfiere e carlini 2 al sergente, che tutti facevano la somma di ducati 9 e tari 2 al giorno, per una forza complessiva di 86 uomini agli ordini del loro comandante Vincentio Castellano. Somma che doveva essere anticipata dall’università di Cirò “che po se faranno boni alli fiscali per la reg.a Corte”.
Non riuscendo a sostenere quest’onere, i rappresentanti dell’università avevano deciso quindi di mandare qualche gentiluomo per “trovare dinare all’interesse”. La scelta era caduta su Francischello Malfitano al quale, in forza di una procura, fu dato mandato di reperire un mutuo di 200 ducati “all’interesse a come meglio potrà fare”, obligando il sindaco, gli eletti e altri particolari di Cirò, tanto in proprio nome, quanto in nome dell’università.
In questa occasione, si dava mandato al detto procuratore anche di comparire davanti al viceré della provincia, per cercare di ottenere la grazia di “disgravare” l’università dall’alloggiamento, o almeno, di ordinare alle terre “convicine”, “le quali non pateno peso d’alloggiam.to alcuno”, come ad esempio la città di Strongoli e la terra di Melissa, di contribuire “pro rata” tanto in denaro per pagare i soldati, quanto con “carne” alla “grassa” della terra di Cirò. Per svolgere il proprio mandato, il Malfitano fu provvisto di cavalcatura e di denaro per le spese necessarie ad espletatare il suo compito nella città di Cosenza, o in altri luoghi dove si fosse reso necessario andare.[viii]
La paga dei soldati
L’occasione di rientrare in possesso del denaro speso dall’università di Cirò per assicurare il mantenimento della “societas militum hispanorum” capitanata dal magnifico Vincentio Castellano, si presentò circa due mesi e mezzo dopo, quando, il 15 giugno di quell’anno, per ordine del Duca di Bovino e da parte della “R.a scrivania de ratione”, la compagnia ricevette la “patentem et mandatum discendendi” dalla terra di Cirò, per recarsi nella città di Taverna “a pigliare la paga”. In questa occasione ai soldati si unì anche un procuratore dell’università di Cirò che si recò con loro a Taverna per farsi consegnare il denaro precedentemente prestato.[ix]
Nel luglio successivo, invece, un ufficiale della regia scrivania de ratione venne a Cirò per prendere “mostra” della compagnia spagnola residente in detta terra “et far fare lo pag.to” dovuto. Come riferisce però una “protesta” del detto ufficiale stipulata il 22 di quel mese, il suo soggiorno a Cirò fu alquanto scomodo e travagliato.
Dopo due giorni dal suo arrivo, infatti, questi accusò il sindaco Cesare Thegano di aver contravvenuto alla patente e ordini ricevuti in merito al suo alloggiamento e a quello dei suoi servitori, non avendo trovato “ne stantia, ne letto, ne cosa alcuna”, mentre “le scripture r.e sonno state a risico de perderse et non sa si sonno perse”, e tutte le sue richieste erano cadute nel vuoto, in quanto il sindaco “ch’è sordo e non sente, et che cossi non l’have inteso”.
Da parte sua quest’ultimo si giustificò, asserendo di avergli assegnato una “Cartella” relativamente alla casa del nobile Simone Alboccino e che, comunque, in Cirò non c’era altro di meglio, in quanto “per la compag.a son tutte pigliate”, mentre lui non avrebbe potuto agire diversamente per “l’impotentia et imp.to dela compagnia spagnola che have rovinata d(ic)ta t(er)ra”. Si offriva quindi di fornirgli un alloggio comodo nella camera del castello, dichiarandosi prontissimo a soddisfare tutte le sue richieste, secondo però quelle che erano le proprie possibilità.[x]
Due giorni dopo, per ordine del Duca di Bovino, l’“Ex.te D(omi)no Scipione Caputo R.o pagatore”, consegnava ai rappresentanti dell’università di Cirò ducati 556 carlini 9 e grana 2 in moneta usuale del regno, “a pagis, et solutionibus per ipsum facti boni nudives tertius societati militum hispanorum Ill.i D(omi)ni Cap.ei vincenti Castellani”,[xi] compagnia che continuerà ancora a risiedere a Cirò per qualche tempo.
È del 20 aprile 1583 un atto attraverso cui, per provvedimento della “R.ia scivania et R.ia thesaureria del thesorieri magiori”, si disponeva la restituzione presso la “R.ia Banca de cosenza”, di ducati 281 in favore dell’università di Cirò, relativamente “de inpresto fecimo alla compagnia spagnola residio in questa terra del capitan vincenti castellani”.[xii]
Altri atti successivi documentano invece che, oltre a provvedere al mantenimento dei cavalleggeri residenti sul proprio territorio, in questo periodo l’università di Cirò dovette anche soccorrere le fanterie in transito lungo la via costiera, e contribuire all’anticipo della retribuzione dei soldati stanziati a Crotone.
Un atto del 7 marzo 1586 ci informa che il capitano di fanteria Don Arias de Sylva, in transito da Cirò proveniente da Strongoli, gravato dai malati, dalle masserizie e dalle armi, dovendo far fronte anche alle inclementi condizioni atmosferiche, chiedeva ai rappresentanti dell’università di Cirò, che gli fossero forniti i muli e i somari (“le bagaglie”), per come previsto nelle regie pragmatiche. Chiedeva, inoltre, che gliene fossero venduti altri 12 o 15 che però avrebbe pagato con il suo denaro, perché “come è notorio, et se vede, è invernato, et li fiumi son grandissimi, et pericolosissimi de passarse, et le strade fangosissime, et malissimo camino, et la pioggia sopravene assai”. Il giorno successivo, fuori la porta “de Mavilia” di Cirò, il detto capitano provvedeva a restituire al magnifico Blasio de Sunnica, deputato della città di Strongoli, le cavalcature che gli erano state fornite dai cittadini di quella città.[xiii]
Il 24 agosto 1594, si dava mandato ad un procuratore eletto dall’università di Cirò, al fine di recuperare il denaro prestato nell’anno 1593, dietro mandato di “suae excell.ae”, alla “fanteria sp(agno)la in Cotrone”,[xiv] mentre un atto del 9 febbraio 1595, documenta che l’università di Cirò aveva spedito una istanza alla Thesaureria Generale, con la quale chiedeva l’escomputo di ducati 130 sui propri pagamenti fiscali, parte di un mutuo fatto da detta università per pagare il mantenimento della “societati militum hispanorum Capit.i Aloisi Arneda residenti olim in Civ.te Crotonis”.[xv]
Segnali di rivolta
A questo punto, l’oggettiva situazione di grave difficoltà generata dalla presenza dei soldati, determinò i cirotani che, in tutti i modi, si adoperarono cercando di rendere quanto più difficile la loro permanenza a Cirò, con l’intento d’indurli a sloggiare.
Il 26 agosto 1593 in Cirò, il magnifico Cesareo Casciaro “ferriero della compagnia di Cavalli dell’Ill.mo S.r Conte di Melissa”, compariva davanti al notaro per formalizzare una “protesta” nei confronti del sindaco di Cirò, asserendo che, per ordine dell’Ill.mo “S.r priore d’ongaria loc.te g(enera)le dell’ecc.a del regno”, si dovesse “d’aggiotare” la detta compagnia “al n.o di soldati quaranta in circa”, nelle terre di Cirò e Melissa, mentre, fino alla data odierna, questi erano stati costretti a convivere assieme ai “soldati” terrazzani di Cirò.
In relazione a ciò, l’alfiere e il ferriero della compagnia, avevano chiesto “più et più volte” al magnifico Gio: Pietro Spolitino sindaco di Cirò, di provvedere “d(ic)ta compagnia a farla alloggiare confor.e la patente” datagli dal detto S.r priore, con gli “stabilimenti che in quella se concedono per la r.a prag.ca”, ma questi aveva “recusato, et non consentito de farlo”, anzi in “dispreggio” degli ordini superiori, “in ser.o della m.tà divina, et del re n(ost)ro S.re”, aveva dato loro le “cartelle” di “persone, et Case delli più impotenti, et inhabili” della terra di Cirò, “tractando franchi et immuni le case, et persone delli p(rincipa)li senza farne alloggiare nessuno”, tutto per “far nascere rumore, et tumulto fra li terrazzani ragazzi, et soldati.”
Il sindaco inoltre, a dire del protestante, oltre a ignorare le dette richieste, aveva “trattato inreverentem.te con Cappello in testa senza reverenza all’off(icia)le di s. m.tà et precise al S.r Alfiero” di detta compagnia, “con parole coleriche aggiotandose con esso da pecto a pecto”. Da quanto accaduto era evidente che ciò costituiva “segno de rebellione, et inobedienza evidentiss.a”, così il protestante “per Caminar maturam.te”, dichiarava che avrebbe fatto ricorso ai suoi superiori.
Chiedeva comunque ancora una volta al detto sindaco, di voler disporre quanto necessario per fare alloggiare la detta compagnia, “con provederla di stantie, strame, et letto habile come se recerca, far loro magazeno, et provederli del vitto necess.o”, intimando che se fosse successo “rumore et tumulto fra li ragazzi soldati, et terrazzani”, ciò sarebbe stato solo colpa del detto sindaco, il quale, spalleggiato dal capitano della terra di Cirò, aveva ordinato ai cittadini che “a pena diano acqua ai soldati”, “tutto per excusare il suo malo ministrato governo”, e affinchè “se disloggi” la detta compagnia.
La risposta del sindaco
Proclamatosi obbediente a Dio, al re, al viceré e ai suoi ufficiali, e dichiarandosi sempre prontissimo a provvedere i soldati della compagnia, conforme la ragione e le le regie pragmatiche, il sindaco affermò invece, che aveva fatto “le Cartelle secondo dalle r.e prag.ce stà ord.to, et secondo la possibilità dell’un.tà del Cirò”, ma che “ha mancato per lo S.r Alfiero, et suoi soldati”, che, volendo alloggiare “a loro discretione” e rifituandosi di accettare “li magazeni, et altri stabilimenti” concessi, non si erano attenuti alle regie pragmatiche, avendo “domandato cose che non stanno ordinate per dispositione di ragg.ne”.
Essi inoltre, “con giocare di bastonate, et daghate alli ho(min)i et donne” di Cirò, fedelissimi vassalli posti sotto la protezione di Sua Maestà, avevano stracciato “li strami” consegnatigli per parte del detto sindaco, il quale aveva consegnato loro in mano le cartelle “con l’apprezo et nota de Case et Cittadini”, “non lasciando per malitia persona alc.a franca”, solo quelli provvisti di privilegi e “non soliti alloggiare, tanto per solito, come per dispos.ne de rag.e et privilegii”. Quindi se il “m.co ferriero” affermava che fossero state date ai soldati solo le cartelle di persone “impotenti”, ciò era avvenuto per la “impotentia” dell’università, e per non esserci in questa altre persone più “habili”, come appariva per evidenza ed era notorio al capitano di Cirò e agli altri ufficiali della terra.
Secondo la valutazione del sindaco, invece, la protesta del ferriero serviva a coprire “l’excessi et delitti” perpetrati dai soldati della compagnia nei confronti dei cittadini di Cirò e delle loro famiglie. Come era stato durante un episodio avvenuto nel castello, quando l’alfiere “aggiotato con uno squadrone di soldati”, tutti armati di “spade, et daghe”, con “animo irato, et apprensato”, in presenza del S.r Detio Perrone, luogotenente dell’Ill.mo et Ecc.mo Marchese di Cirò e del S.r capitano della terra, avevano preso “per forza” detto sindaco, “per maltrattarlo di pugnalati, et si non fosse stata per la pre(se)ntia di d(ic)ti S.ri et altri genti indubbitatam.te l’haviano ammazzato”.
Le repliche
Il magnifico Cesare Casciaro replicò che il sindaco affermava con ragione, cio che “con lo effecti” però non eseguiva, e che “il soldato non ha de stare, ne dormire mezo la strada”, ma che gli si sarebbe dovuto dare l’alloggiamento previsto, mentre a loro erano state date solo cartelle “inhabile et fallite”. Per tale situazione i loro cavalli si erano ammalati, cosa per la quale i responsabili avrebbero dovuto pagare i danni così causati.
In merito al fatto contestato all’alfiere e ai suoi soldati, di essere penetrati armati nel castello, violando le pragmatiche, e di aver avuta una condotta delittuosa e violenta, replicò che non c’era stato alcun eccesso da parte loro né alcun ferito, e che i soldati portavano le armi secondo quello che era il loro servizio, considerato poi che essi non erano più che quaranta in circa, mentre la terra di Cirò “a minimo Cinno caccia quattrocento combattenti”.
Affermò poi che l’alfiere e i suoi soldati erano entrati nel castello solo perché lì, aiutato dal Perrone e dal capitano di Cirò, si era rifugiato il sindaco per non farsi raggiungere dall’alfiere, e che tanto il sindaco, quanto i terrazzani e gli ufficiali della terra di Cirò, non avevano voluto ascoltare le loro giuste ragioni, ma pretendevano di trattarli come “scolari”. Disse quindi che “esso ferrieri è soldato, et li altri sò soldati et non portano Doctore in compag.a ne altro che faccia respondere”, mentre “esso S.r sin.co se ritrova nella t(er)ra, dove sonno Doctori et può respondere, dire et proponere”.
Richiese ancora una volta un alloggiamento adeguato, “per quanto serà de bisogno, scomputandose quello nelle paghe haveranno d’havere, o nelli r.i pag.ti fiscali che hanno da dare alla r.a Corte”, minacciando che la responsabilità di ogni delitto che fosse accaduto in seguito per tale ragione, sarebbe stato solo attribuibile alla “colpa, defecto et malitia” del detto sindaco.
Quest’ultimo, accettata la protesta e la replica fatte dal ferriero, replicò a sua volta, ripetendo di aver fornito ai soldati della compagnia tutte le “commodità” previste dalle pragmatiche, e “lo magazeno d’orgio, pane, vino et altre cose necess.e”. Tutte cose che essi non avevano inteso accettare.
Circa la malattia dei cavalli, replicò poi “che procede per lo molto orgio, et biada che se han fatto et fanno dare da particolari Cittadini, per non essere assuefatti a tal governo, et non per defetto dele stalle”, come affermato dal ferriero, in quanto erano state fornite ai soldati le migliori che esistevano a Cirò, e quindi la colpa era solo loro “che non li sapeno Governare”.
In merito alle sue vicessitudini personali affermò infine, che egli si era rifugiato nel castello per sfuggire al suo sequestro da parte dell’alfiere, sopraggiunto “con uno squadrone di soldati per occiderlo”, e c’era andato per chiedere “soccorso dalli suoi” per non essere “assassinato come l’intervenea”.[xvi]
Il saccheggio di Cirò
Secondo quanto ci riferisce il Pugliese, la compagnia del Conte di Melissa Giovanni Battista Campitelli, risiedeva ancora nel territorio cirotano durante l’anno successivo quando, il 13 settembre 1594,[xvii] i Turchi sbarcati di giorno in forze sulla costa, dopo aver assalita la torre posta al capo Alici, s’inoltrarono nell’interno saccheggiando e devastando Cirò, che era stata precedentemente abbandonata dagli abitanti.
Nell’occasione dovettero molto pesare sui fatti le dure contrapposizioni dell’anno prima, come dimostra la condotta tenuta dal conte e dai suoi soldati che furono apertamente complici degli assalitori. Quest’ultimo infatti, dovendo assolvere il compito di presidiare i luoghi minacciati dalla presenza della flotta turca che scorreva la costa, “il giorno 11 settembre temporeggiò su’ colli di Torre Melissa, ed il giorno 12 si recò in Melissa ove dimorò fino al giorno seguente quando Cirò gli offriva lo spettacolo miserando della desolazione e dell’incendio.” Poi “freddo in vece di correre dalla parte marittima, e tagliare a’nemici la ritirata, sorprendendoli col bottino, e perciò impacciati, calcolò le ore per le quali il saccheggio avrebbe potuto durare, e lentamente avviatosi giunse direttamente al paese quando i Turchi già già n’erano usciti.” Sempre secondo il cronista riportato dal Pugliese, “Entrato questo crudele co’ suoi soldati dentro questo svaligiato paese, non solo fecero l’uffizio di soldati, ma peggio d’infedeli, predando e saccheggiando quelle poche reliquie rincresciute a’Turchi da portarsi.”[xviii]
Al valico di Cutro
Posto in posizione dominante la marina, lungo la strada militare che per Cropani, collegava Crotone a Catanzaro, Cutro costituiva il luogo ideale per il controllo di questa importante direttrice, come dell’ampio tratto costiero che, comprendendo i promontori di Isola e quello di Le Castella, giunge fino alla foce del fiume Tacina.
Per tali ragioni Cutro fu residenza di compagnie di cavalleria pesante destinate ad intervenire in questo ampio settore, come registriamo già nella seconda metà del Cinquecento. Anche qui la presenza dei militari non poteva che generare le insofferenze già viste da parte della popolazione, considerato il peso dell’alloggiamento dei soldati.[xix]
Il 16 agosto 1586, in Cutro, davanti al notaro compariva, da una parte, il magnifico Bartolo Ferraro “de t(er)ra de livano”, procuratore del magnifico Petro Jacobo Caruso, “alferes sociatatis militum gravis armature Ill.mi domini ducis de bovino”. Dall’altra parte compariva il magnifico Joannes Tronga di Cutro. Quest’ultimo consegnava al detto procuratore ducati 34, a complimento di ducati 54 per un’annata e mezza “di allogiamento del m.co vinc.o Stizano de napoli Comperatore di allogiamenti”.[xx]
A questo peso poi si aggiungevano le prepotenze dei militari. Il 21 settembre 1577, in Cutro, il magnifico Joannes Ber.no Ballatore della città di Belcastro ma abitante in Cutro, protestava nei confronti dell’Ill.mo S.or Don Fran.co de Castro, “locotenente” della “compagnia deli homini darmi del’Ill.mo s.or principe dela Scalea” residenti a Cutro, affermando che doveva conseguire dal magnifico Benedetto de Martino, “homo darmi” della detta compagnia, ducati quattro prestatigli, così avendo inteso i bandi pubblici che annunciavano la partenza odierna della detta compagnia per ordini superiori, ed essendo già stata fatta esecuzione di un “somarro” del detto Benedetto, chiedeva che tale escuzione fosse data in potere della Corte di Cutro o di un altro cittadino della detta terra, in quanto “esso non può andare appresso la compagnia per detto effetto”.[xxi]
In altri casi invece, la popolazione locale subiva furti e sottrazioni di beni, come registriamo per esempio a Santa Severina. Il primo maggio 1620, il sindaco e l’università di Santa Severina facevano richiesta all’arcivescovo, affinché venissero pronunciate le monizioni di scomunica, per cercare di recuperare un materasso di lana del valore di circa 8 ducati, che Gio: Battista de Orlando aveva prestato alla detta università “per ser.tio della comp.a spagnola allogiata in questa città”, ma che era andato perso,[xxii] mentre, nel dicembre 1628, Gio. Domenico Arrichetta del castello di S. Mauro, ricorreva all’arcivescovo di Santa Severina, contro quanti gli avevano tagliato molti alberi fruttiferi come querce e “agromoli” nelle sue terre del Visciglietto, contro quanti gli avevano rubato il lino tanto dall’acqua, quanto “dallo mangano”, e contro quelli che gli avevano rubato due capre dal “timpone delle pagliare” e porci da dentro le sue grotte, oltre ad una “frisinga”, al tempo in cui partirono i “soldati ordinarii di cavallo”.[xxiii]
La compagnia di Gravina
La presenza di compagnie di cavalleria leggera acquartierate a Policastro, è documentata già nell’estate del 1606, quando risulta che, l’11 agosto di quell’anno, Joannes Baptista Zunica “locutenens societatis levis armature Domini ducis gravine residentis in terra policastri et Civitatis s.te severine”, a seguito dell’ordine spedito da Catanzaro il precedente 27 luglio, da parte dell’Ill.mo Don Loisio de Mongada “Gubernatoris et lucutenentis generalis sue Ecc.e in p(rese)nte provintia”, ricevette da Joannes Dom.co Juvenis “ordinarius sindicus terre Cropani”, per parte dell’università di Cropani, un mutuo di 50 ducati in “moneta spagnola” d’argento del regno e “filippini”, “pro sustentam.to militum et equorum ditte sociatiatis”.[xxiv] Essendosi impegnato a restituire il denaro “alle prime paghe che haverà”, il 17 ottobre seguente il detto luogotenente restituiva all’università di Cropani i detti 50 ducati.[xxv]
La compagnia di Gravina risulta stanziata tra Santa Severina e Policastro ancora sul finire di quell’anno. Il 27 dicembre 1606, in Policastro, davanti al notaro, si costituivano, da una parte, Gio: de Olimpia, Gio: Petro de Mattio e Valentino del Duca, tutti della terra di Rotigliano, provincia Terra di Bari, soldati della “Compagnia di gravina”, in qualità di tutori di Antonio Caporiccio “olim soldato di detta Compagnia” mentre, dall’altra, compariva Petro Ant.o Pagano di Sant’Agata delli Goti, “similm.te soldato di gravina”, per la vendita di un cavallo “di pilatura baio Castagno Gambi nigro mercato a destro”, appartenuto al detto Antonio, che era stato venduto al detto Petro Antonio per la somma di ducati 41 e ½, come risultava dalla “polissa” stipulata in Santa Severina il 23 novembre 1606. Tra i testimoni dell’atto risultano: Cesare Gannone soldato, Stefano Andolfo soldato, And.a Candito soldato, Stefano Forleo soldato e Cesaro Famuso soldato.[xxvi]
Denaro in prestito
Con l’arrivo della primavera, ai cavalleggeri italiani del Duca di Gravina, subentrò una compagnia spagnola con il suo capitano. Il 24 maggio 1607, davanti al notaro si costituivano: Joannes Alfontio Cerasaro e Scipio Cavarretta, sindaci, Petro Paulo Serra e Vespasiano Pantisano, eletti, Fabritio Argisio mastrogiurato, e Joannes Furesta, Nicolao Guidacciro e Agostino Spano, “eletti ò de regimine ditte terre”, in presenza di Laurentio Zapate regio capitano, per redigere un atto relativo alle deliberazioni assunte dai detti rappresentanti della terra di Policastro eletti nel presente anno, congregati “in publico regimine ad sonum Campane, et vocationem servientis”, “in domibus Curie Regii Capitani”, dove erano convenuti anche i seguenti particolari: Dottor Gio: Dom.co Venturi, dottor Geronimo Poerio, Camillo Campana, Ferrante Cerasaro, Ferrante Rizza, Mutio Campana, Gengnacovo Torres, Lelio Tronga, Fabio Rotundo, Marcello Leusi, Marco Ant.o Cavarretta, Gio: Dom.co Caccurio, Gugliermo Coliccia, notar Horatio Scandale, Scipione Gardo, Nardo Spinello, Ottavio Accetta, Flaminio Zurlo, Salvatore Lamanno, Fabritio Cepale, Fabritio Caivano, Gio: Loise Martulotta, Stefano Capozza e Juliano Zagaria.
In questa occasione, “in palatium ubi solitum est regi Curiam ubi Uni.tas ipsa congregari solet pro negotiis publicis perficiendis”, i sindaci avevano esposto a tutti i presenti, la difficile situazione dell’università a seguito del fatto che, il 22 dello stesso mese, era “gionta in questa terra la compagnia spagnola del Capitan d. Marchion derriga competente della scrivania di Ratione” che, secondo gli ordini superiori, era stata alloggiata in Policastro.
Allo scopo, i sindaci avevano concordato il pagamento dovuto dall’università, secondo la seguente ragione giornaliera: carlini due per ciascun soldato “e duppio le piazze che sogliono essere duppie”, ducati quattro per il capitano, ducati due e mezzo “all’alfero”, carlini sedici al “sargente” e carlini dieci al “ferrero”.
Considerato però che l’università non aveva la “comodita di un carlino”, ma doveva una “grossa somma de denari alla Reg.a Corte et particolari che tengono comperati fiscali oltre del debito de milani che ci soprasta con comissario della Camera ad imponere Collette”, i sindaci proponevano di reperire il denaro necessario al “soccorso” della compagnia spagnola “che resiede in questa t(er)ra”, oltre alle spese “di legna, Candele, oglio, acqua et altre cose nicessarie”, prendendolo in prestito “da chi troveranno danari ad inpresto”, in particolare da Fabritio Oliverio di Cutro, che si era offerto di fornire all’università di Policastro i 1000 ducati necessari per tale bisogno.
Secondo il progetto dei rappresentanti universali, la somma sarebbe stata resa al creditore dall’università, attraverso una “colletta” “supra l’untiario con l’assenso reg.o”, alla ragione di carlini 25 per oncia o anche meno, secondo la valutazione dei sindaci, comunque sufficienti a pagare i 1000 ducati e le spese di “soldati et offitiali”. Colletta che sarebbe stata imposta alla popolazione di Policastro subito dopo la partenza della compagnia, considerato anche che non era possibile utilizzare l’imposizione di “uno altro carlino sopra la macina o farina”, poiché l’università aveva venduto questa gabella per due anni a Gio: Antonio de Martino, con il patto che durante i detti due anni, non si potesse imporre ingiunzione alcuna sopra detta gabella.
Risolvere la questione risultava della massima urgenza, considerata le condizioni in cui versavano i cittadini di Policastro: “la magior parte di essi sfrattati per li tanti pesi di allog.to che hanno sopportato questo anno, et per la gran Carestia”, e che “si sfratteriano tutti come gia haviano incominciato a sfrattare”, senza contare che il non aver potuto ancora dare esecuzione alla procura di Serafino Cavarretta, destinato ad andare a Napoli con le scritture relative all’imposizone della colletta, determinava una “tardanza” che gravava di ducati 100 al giorno le casse dell’università.[xxvii]
I soldati del battaglione
La difficile situazione in cui versavano le sue casse in questo periodo, misero l’università di Policastro nelle condizioni di non poter onorare anche gli altri pagamenti necessari alla difesa del territorio, come quello dovuto ai soldati di fanteria che componevano la locale “squadra” appartenente al “battaglione”, determinando sollevazioni popolari legate al malcontento generale per l’innalzamento delle tasse, ed esponendo gli amministratori alle ritorsioni degli ufficiali regi decisi a far rispettare l’ordine.
Il 23 settembre 1608, considerato che l’università di Policastro non aveva ancora versato “la contributione che si deve alli soldati del battaglione della istessa terra di policastro”, per ordine del suo capitano Ant.o Jocares, “interterito di sua maestà et Reg.o Governatore di policastro”, il “sargente, et Com.rio” Pietro Mazzaccaro, prendeva carcerato il sindaco di Policastro Fabritio Argise nella “porta della terra”, mentre stava recandosi dall’Ill.mo Sig. Marchese, governatore della provincia e della Regia Udienza provinciale, in relazione alle numerose incombenze che opprimevano l’università e anche “per informare quanto occorse per sollevam.to di questa Un.ta”, conducendolo e consegnandolo in potere del detto governatore. Questi a sua volta, ordinava al sergente di catturare anche l’altro sindaco e gli eletti, in maniera da costringere l’università e i particolari di Policastro ad onorare la contribuzione dovuta.[xxviii]
Le difficoltà dell’università, relative al mantenimento dei soldati del battaglione e della cavalleria leggera, risultano confermate anche in seguito, come risulta nel corso del 1616 quando soggiornò a Policastro la “Compagnia del prencipe di Avellino”.[xxix]
Il 18 ottobre 1616, Ferrante Cerasaro e Geronimo Poerio, sindaci di Policastro nel presente anno, protestavano contro Gorio Bruna, Gio: Paulo Accetta e “compagni” di Policastro, comperatori della “gabella della farina”, asserendo di aver fatto due mandati in loro favore, affinchè fossero pagati a Gio: Geronimo Blasco “Caporale della squadra del Battaglione di questa p(redi)tta Città”, ducati 19 per “succorso di loro subsidio”, in quanto, per ordine dei suoi superiori, il caporale con i suoi “soldati” dovevano andare “nel presidio nella Città di lisola”, mentre ducati 10 si sarebbero dovuti pagare “alli soldati Cavalli leggeri di detta Città per loro giornate”, ma i detti Gorio, Gio: Paulo e compagni, non avevano inteso ottemperare a tali disposizioni.[xxx]
La partenza del soldato
Il primo maggio 1617, Berardo Lomoijo di Policastro, dovendosi assentare dalla sua terra per prestare il suo servizio di “soldato nella Compagnia di Cap.n Baltasarro Gariano”, nell’incertezza del suo ritorno, lasciò disposizioni scritte in merito al sostentamento dei propri familiari.
Negli anni passati egli aveva preso in moglie Minica Rocca, che gli aveva portato in dote i gelsi posti in territorio di Policastro loco detto “Vesperello”, per un valore di ducati 60. Con la vendita dei detti gelsi il detto Berardo aveva comprato un paio di buoi per il prezzo di ducati 40, “quali sonno ferrati del ferro di donno Aniballe Callea di pilatura folina Curta, et l’altro bianco Costellino” mentre, con gli altri 20 ducati, aveva comprato una bestia sumerina di “pilatura bianca”.
All’attualità cedeva questi animali a Gio: Thomaso Curto suo cognato, che s’impegnava a corrispondere alla detta Minica il prezzo d’acquisto pagato dal marito, impegnandosi anche, rimanendo in vita detto Berardo, a ridarglieli indietro al suo ritorno allo stesso prezzo. In caso di morte del detto Berardo, la cessione, invece, doveva considerarsi definitiva.
Al fine di garantire durante la sua assenza gli alimenti a sua moglie Minica e a sua figlia Vittoria, il detto Berardo lasciava al detto Gio: Thomaso anche alcuni seminativi di “grano germano”: uno posto nel territorio di “scardiati”, sei tomolate di “germano” nel loco detto “le castagne delli Napoli” e 4 tomolate di “carusa” alle “castagne di donno mattio rocca”, due in dette “castagne” e altre due “in fronte il germano”. Gli lasciava anche altri tre tomolate di “germano” che il detto Berardo deteneva in comune con Lucretia Zagaria sua madre.[xxxi]
I soldati fuggiti
Il 9 settembre 1618, Lelio Montalcino “alfero della Compagnia del battaglione della Città di Cotrone”, nonché commissario delegato di Sua Ecc.a il Duca di Nocera, faceva sequestrare le vigne di alcuni policastresi che, in qualità di “soldati fugiti”, si erano allontanati dal loro “presidio”: la vigna di Lelio Panevino posta in loco detto “Cucolli”, la vigna di Scipione Misiano loco detto “santo dimitri” e la vigna di Gio: Petro Levato loco detto “gorrufi”, consegnandole a Mattio Fasolo, sindaco di Policastro per il presente anno, in attesa di conoscere nel merito le disposizioni del detto duca.[xxxii]
Il rifiuto del sindaco
Il 27 agosto 1617 in Policastro, innanzi al notaro Joannes Battista Guidacciaro e al regio capitano di Policastro, comparivano il mastrogiurato Gio: Thomaso Tronga e gli “eletti In questo p(rese)nte anno” Gio: Vittorio Fanele, Gio: Dom.co Faraco e Alfonso Jerardo, asserendo che “nella Elettione Ultimam.te fatta per Esso R.o Cap.o per ord.e di s.a E.a”, era stato eletto sindaco Fabio Rotundo “come persona atta et esperta a tale esercitio, et off.o”, anche se quest’ultimo aveva rifiutato di assumere la carica adducendo il fatto di essere “sargente di soldati”.
I comparenti erano quindi ricorsi al signor “Vicerè della Prov.a”, ottenendo da questi un provvedimento che obbligava il neo sindaco ad accettare la carica nonostante l’impedimento addotto. A seguito di ciò, dopo “aver pigliato il solito giur.to dalle mani di esso R.o Cap.o”, il Rotundo aveva inizialmente esercitato per alcuni giorni la sua carica ma, successivamente, “havendo visto alcune renditure di guerre, e per soi disegni particolari”, si era “ritirato di continuarlo”. A questo punto vi era stato un nuovo ricorso e un nuovo provvedimento da parte della Regia Udienza, attraverso cui si ordinava al capitano d’intervenire con gli opportuni rimedi nel caso il Rotundo si fosse ancora rifiutato.
All’attualità quest’ultimo però continuava ostinatamente a non obbedire con grave danno per l’università di Policastro, così i comparenti, considerato che, ritrovandosi senza sindaco, l’università non poteva provvedere alle istanze necessarie, “et in particolare per il cotidiano servitio delli Soldati che stanno in presiddio”, e non sapevano proprio cosa fare, si rivolsero al capitano affinchè l’obbligasse con tutti i mezzi ritenuti necessari. In una propria nota, il capitano Jer.mo Yuanne dichiarava che in merito al detto Rotundo, eletto insieme “con un compagno che sta in Napoli perche si mancava il compagno haveria l’altro esercitato” sarebbe intevenuto cercando di fare “il possibile”.[xxxiii]
Chiarisce meglio l’atteggiamento tenuto dal neosindaco un atto successivo del 28 ottobre 1619. Quel giorno l’università di Policastro esponeva a S. E. il Duca di Nocera la situazione di estrema povertà in cui si ritrovava, per i debiti verso la Regia Corte e verso particolari creditori, che non le permetteva di adempire alla contribuzione di un grano e mezzo a fuoco, richiesta per il “soccorso” della fanteria spagnola. Si faceva però notare che c’erano in Policastro alcune persone facoltose debitrici nei confronti dell’università, non avendo provveduto ai pagamenti fiscali da molti anni, relativamente ai quali erano già stati emesse significatorie e ordini da parte della Regia Camera.
Seguiva l’elenco dei “debituri”: Gio. Alfonso Cerasaro non pagava i fiscali da quattro anni e doveva circa 700 ducati, Gio. Ferrante Cerasaro per lo stesso motivo doveva 220 ducati, il “sergente” Fabio Rotundo doveva per “significatoria” 600 ducati e per i pagamenti fiscali 100 ducati, mentre per un’altra “significatoria” risultava debitore di circa 70 ducati.
Il duca rispose autorizzando i sindaci e gli eletti di Policastro a procedere con l’esecuzione e la vendita all’incanto dei beni dei morosi, sia nei confronti di quanti avessero già ricevuto significatoria, sia nei confronti di coloro che l’avessero ricevuta in futuro.[xxxiv]
Cittadini e università
Altri atti successivi ci consentono di seguire le travagliate vicende dell’università di Policastro durante questo periodo, che si adoperò cercando di ottenere un alleggerimento del peso fiscale troppo opprimente. Già il 15 luglio 1618 questa era ricorsa alla Regia Camera della Sommaria per ottenere lo sgravio delle tasse, tra cui il donativo riguardante il mantenimento della fanteria spagnola, chiedendo la detrazione di 40 fuochi dalla propria numerazione “per altrettante case vuote in quanto molti cittadini si erano allontanati per sfuggire ai pesi fiscali”. Pur essendo stato emesso un decreto di sgravio il 24 maggio 1619, questo rimase però inevaso, mentre attraverso un nuovo decreto del 31 maggio 1620, fu riconosciuto il ricorso e ordinato il discarico richiesto.[xxxv]
Tali vicende s’intrecciano con quelle di alcuni policastresi, che cercarono di mettere a frutto il momento, approfittando dello stato di difficoltà dell’università. Il 28 marzo 1620 in Policastro, davanti al notaro compariva il magnifico Peleo Pantisano della città di Crotone, “locumtenente” del regio tesoriere del “Marchionato Cotronis”, in nome della Regia Corte in quanto, dovendo l’università di Policastro a detta Regia Corte circa 6000 ducati per i pagamenti fiscali, e non essendo stato possibile esigere somma alcuna, si era provveduto a una “colletta” imposta sui beni dei cittadini, “conforme l’aprezzo, et catasto generale di essa Un(iversi)tà”, con vendita all’incanto in maniera da soddisfare in parte il debito.
Per la necessaria deliberazione, il 5 marzo ultimo scorso, congregati “in domibus Curie” al suono della campana, si erano riuniti i sindaci, gli eletti e alcuni particolari di Policastro, alla presenza dello stesso luogotenente “pro assentia Regii Capitanii”: dottor Mutio Giordano e Gerolimo Poerio, sindaci, Fabritio Accetta, Antonio Lanzo e Marco Ant.o de Aquila, “eletti” (più avanti nel documento si cita tra gli eletti anche Gugliermo Coliccia), Gegnacovo Torres, Marcello Leusi, Petro Paulo Serra, Serafino Cavarretta, Fran.co Antonio Fanele, Gio: Dom.co Falcune, Gorio Bruna, Sanzone Salerno, Ferrante Cerasaro, Gio: Vittorio Fanele, Gio: Berardino Blasco e Renzo Cervino “particolari”.
Considerato che, dopo aver effettuato diversi “banni” per incantare “li pagam.ti fiscali et Cedole della Un(iversi)tà” di Policastro alla ragione del 5 %, non si erano trovate persone che l’incantassero, “ne tanpoco Cittatini che pigliassero dette Cedole”, in ragione del grosso debito maturato dall’università, e anche perché la terra di Policastro si era molto impoverita “per havere portato il peso delle contributioni, et allogiam.ti di dui anni continui che al p(rese)nte correno”, non avendo l’università altro modo di soddisfare un tale debito, fu deliberato di vendere all’incanto l’“aprezzo, et untiario” cittadino.
Fatti i consueti bandi, il 25 di marzo, festa della SS.ma Annunziata, all’asta così disposta era comparso Joannes Thoma Curto di Policastro che, per esigere “li fiscali” dal primo settembre 1619 a tutto agosto 1620, in conformità ai capitoli stabiliti nel passato per ordine dal dottor Gio: Gerolimo Trombatore (1615), si era aggiudicato l’incanto per la somma di ducati 2500. Tale aggiudicazione prevedeva metà dell’incanto a carico di detto Gio: Thomaso, e l’altra metà “per persona nominanda”, che questi nominò nella persona di Gio: Fran.co Rizza.
I due arrendatori si obbligavano a pagare subito nelle mani del luogotenente del regio tesoriere, ducati 1250 e a corrispondere gli altri 1250 ducati, metà all’ultimo di giugno primo venturo, includendo “la partita” di Gio: Alfonso Cerasaro e quella del dottor Horatio Venturi, e l’altra metà all’ultimo di agosto primo venturo. Volendosi però cautelare da questi due grossi debitori, nell’atto si precisava che, relativamente ai propri 1250 ducati, il detto Gio: Thomaso, avrebbe comunque trattenuto la metà di quanto spettava pagare ai detti Alfonso Cerasaro e dottor Horatio Venturi.[xxxvi]
L’esecuzione dei beni di Gio: Alfonso Cerasaro
Come era da attendersi, l’insolvenza reiterata di Gio: Alfonso Cerasaro, determinò l’esecuzione di alcuni suoi beni da parte dell’università. Il 31 maggio 1620, davanti al notaro comparivano Gio: Dom.co Cappa, serviente ordinario della Regia Corte di Policastro, assieme al dottore Mutio Giordano e a Gerolimo Poerio di Alfonso, “sin.ci della medesima citta” nel presente anno, asserendo che, nei mesi passati, dovendo provvedere a pagare “per soccorso della fanteria spagnola”, la contribuzione di cavalli 15 imposta da Sua Ecc.a il Sig. Duca di Nocera, “logutenente generale di guerra in calabria”, avevano sequestrato e aggiudicato all’incanto a Fran.co Ant.o Fanele di Policastro, alcuni beni di Gio: Alfonso Cerasaro, debitore nei confronti dell’università.
Quest’ultimo doveva all’università la somma di oltre 700 ducati relativamente ai pagamenti fiscali di alcuni anni relativi ai propri beni, e anche per altre imposizioni, contribuzioni e alloggiamenti, più altri 3000 ducati circa, per una significatoria fatta il 9 agosto 1619 da Gio: Battista Anel, rationale della Regia Camera della Sommaria, relativamente alla “compra” dei “fiscali” fatta dal detto Gio: Alfonso nell’anno 1616.
I beni del detto Gio: Alfonso incantati in questa occasione furono: la “possessione arborata” con più e diversi alberi fruttiferi e viti, posta nel territorio di Policastro loco detto “paternise”, nonchè un vignale detto il “vignale del Castello” della capacità di una tomolata circa, con un “pede di fico”, sito nel territorio di Policastro, loco detto “fora la porta del Castello”, confine “la timpa della serpe, et la via publica che si va a santa lucia”.[xxxvii]
Solo un anno dopo, il 23 maggio 1621, Julio Maccarrone vendeva a Petro Paulo Serra di Policastro, procuratore del dottor Horatio Venturi assente nella città di Napoli, una continenza di terre appartenuta a Gio: Alfonso Cerasaro, posta nel territorio di Policastro loco detto “la timpa della Serpe, la pietra dello trono, et di retro santa lucia confine la difisa di donno Gianni liotta, la chiesa preditta di santa lucia”, le terre di Goro Mazzuca e la via pubblica, di cui era stata fatta l’esecuzione e l’incanto per “lo supp.to della Colletta”, comprata da detto Giulio a carlini 4 per ducato, e per la contribuzione imposta per “per lo soccorso della fanteria spagnola” alla ragione di cavalli 15 a fuoco.[xxxviii]
La relazione del Cenami
L’organizzazione dell’apparato difensivo stanziato nel Crotonese, basato sul presidio di poche e sicure piazze in punti strategici, e sull’impiego della cavalleria leggera che, alloggiata e mantenuta a spese delle università del luogo,[xxxix] d’estate si portava presso la marina, risulta confermato anche in questo periodo.
Nell’estate 1623 il governatore di Calabria Ultra, Lorenzo Cenami, descrive l’apparato difensivo pronto ad attivarsi, in caso di una incursione turca sulle marine del Marchesato. Esso è costituito dalle due compagnie di cavalleria della milizia di Catanzaro, di cui una, all’occasione, si acquartierava a circa quattro miglia dalla costa, a Simeri e a Cropani, mentre l’alta presidiava Cutro, radunandosi in quella piazza d’armi difesa da un capitano a guerra, alle quali si aggiungeva la cavalleria dei duchi di Gravina e Zagarolo, che era pronta a Papanice e Stalettì.[xl] Alla cavalleria, che poteva “manovrare assai bene”, essendo “questa regione terreno assai piano e arenoso”, si affiancavano la compagnia di fanteria spagnola stanziata di presidio nella piazzaforte di Crotone,[xli] il castello di Isola, “ben messo e provveduto di molti pezzi e munizioni” dal barone Ricca, ed i “castelli che sono alla marina di Cutro” (Le Castella).
I soldati della Regia Udienza
Oltre al mantenimento dei cavalleggeri, l’università di Policastro era tenuta ad assicurare vitto e alloggio anche alla comitiva dell’uditore provinciale, nelle occasioni in cui quest’ultimo dimorava nella terra per svolgere le sue funzioni. Come riscontriamo il 9 luglio 1636, quando Jacinto Misiano, Hijerolimo Salerno e Gio: Dom.co Falcone, tutti di Policastro, asserirono che, nei mesi passati, il “sig.r Auditore” provinciale Salgado, assieme al suo “mastrodatte” Giuseppe Arcudi, scrivano ordinario della Regia Udienza, e a dieci soldati, aveva dimorato per otto giorni in Policastro, prendendoli carcerati assieme a Gio: Fran.co de Aquila di Policastro e che, per liberarli, aveva voluto ducati 90 oltre le spese.[xlii]
In alcune occasioni, troviamo questi militari coinvolti nei regolamenti di conti dei locali, che coinvolgevano anche le autorità e i principali personaggi di spicco del luogo. Il 6 febbraio 1644, dietro richiesta di Fulvio Rizza di Policastro, il notaro Gio: Matteo Guidacciaro si recava nella casa di Livia Caccurio, madre di detto Fulvio, posta nella terra di Policastro nel convicino di Santa Maria “l’oliva”. Qui, il detto Fulvio asseriva che, nei giorni precedenti, dietro la “soduttione, et forza” del magnifico dottore Gio: Battista Fichi, governatore di Policastro, e di altri, aveva reso una “dichiaratoria seu testimoniale” per atto pubblico, attraverso cui aveva asserito il falso.
In quella occasione, infatti, il detto Fulvio aveva fatto istanza “all’officiale della Corte di detta Città”, affinchè fosse carcerato Matteo Cavarretta “contumace della Reg.a Aud.a”, dichiarando che questi si trovava con D. Filippo Vigliegas nella casa del dottor Mutio Giordano, così mentre i due stavano uscendo dalla porta del “Cortiglio” di detta casa, i soldati avevano sparato al detto Matteo, uccidendo per errore il detto Filippo. Considerato, invece, “che il fatto camina d’altra maniera”, il detto Fulvio si era presentato nella corte arcivescovile di Santa Severina per essere assolto dal giuramento prestato e revocare la sua originaria dichiarazione.[xliii]
Policastresi in armi
Gli atti dei notari di Policastro della prima metà del Seicento ci consentono di conoscere i nomi di alcuni policastresi che, durante questo periodo, servirono militarmente il loro sovrano. È il caso di Philippo Arcomanno, i cui proventi guadagnati esercitando il mestiere delle armi, però, andarono in beneficio soltanto dei suoi eredi.
Il 21 gennaio 1634, Joannes Andrea e Vittoria Arcomanno, figli ed eredi del quondam Philippo Arcomanno, dovendo conseguire dalla Regia Corte in virtù della “liberanza” di ducati 444, fatta dalla “Reg.a scrivania di ratione” per ordine di S. E. Sig.r Conte di Montanei, al presente viceré di questo Regno, e spedita al loro padre “per lo servitio” prestato durante tutto il tempo che aveva servito come “homo de arme” nella compagnia del Principe di Cariati, non potendo essere presenti in Napoli, nominavano procuratore il loro fratello Jacobo Arcomanno.[xliv]
Per altri, invece, abbracciare la vita militare fu una sorte obbligata per sfuggire ai debiti. Il 22 novembre 1643, Joannes Mancaruso di Policastro, essendo debitore nei confronti del chierico Francesco Caccurio di Policastro per la somma di ducati 12 e carlini 6, di cui si era servito per estinguere altri debiti: ducati 6 a Gio: Jacovo Cervino per causa di dote, carlini 20 che gli erano serviti per pagare i diritti della causa civile contro il detto Jo: Jacovo, nonché ducati 4 e carlini 6 al dottor Mauro Antonio Tornelli, olim regio capitano di Policastro, debito per il quale “fù pigliato in quel tempo per soldato a forza”, vendeva al detto Francesco, suo vicino, la “possessionetta” alberata con “olive”, “pera” e altri alberi, posta in territorio di Policastro loco detto “Gorrufi”.[xlv]
Tra coloro che giunsero a Policastro per svolgere il loro servizio e finirono per accasarvici e rimanerci, oltre a Francesco “ettore” o “dettere”,[xlvi] di Papaniceforo[xlvii] ma abitante in Policastro, che compare in qualità di “Alfiero” in atti del periodo (1635-1637), risultano aver militato con questo grado anche Gio: Antonio Costantio (1638),[xlviii] e “Remolo d’ettere Neapolitano”, ma abitante in Policastro con “domo et familia” da più anni (1648).[xlix]
La “squadra” cittadina
Numerosi altri policastresi ottennero una paga militando nelle file del “Battaglione”. Un atto del 9 ottobre 1641 ci fornisce alcuni dei loro nomi. Quel giorno davanti al notaro comparivano il dottor Mutio Giordano, “Sindico” di Policastro nel presente anno e Fran.co Ant.o Jerardo, “Caporale della squadra del Battaglione di detta Città”, con i seguenti “sold.ti”: Gio: Jerardo, Giando Lamanno “alias bellusaro”, Fabio Rocca, Antonio Caputo, Stefano Apa, Andrea Venturino, Biasio Launetto, Francisco Galati, Giuseppe Carvello, Santo Jerardo “per nome, et parte di Gio: Curcio soldato prò quò promisit”, Giando Launetto, Salvatore Lamanno “alias Bellusaro”, Nardo Caccurio di Cella, Gio: Thomaso Cuchijenti, Giulio Jerardo, Salvatore Acciardo, Fabritio Cirisano, Antonino Pollaci, Paulo Vallone, Luca Cavallo, Gio: Domenico Schipano, Antonio Ligname, Gio: Battista Campa, Gio: Domenico Ceraldo, Masi Jacometta, Fran.co Campana, Nardo Spinello, Gio: Domenico Caruso, Santo Mascaro, Masi Rotundo, Fran.co Scalise, Antonio di Strongolo, Fabio Ceraldo, Fran.co Maratia, Fran.co Cavarretta di Battista, Minico Jannici, Gio: Simone Renda e Gerolimo Cavarretta.
In ottemperanza all’ordine ricevuto dal Sig. preside D. Michele Branciforte di Catanzaro e da S. Ecc.a, che comandava alla predetta “squadra” di conferire nella terra di Santa Eufemia “a ritrovare la loro bandiera”, il detto sindico versò la paga anticipata di giornate 20 per ogni soldato, alla ragione di 1 carlino al giorno, ai “Moschettieri” alla ragione di grana 15 al giorno, e al “Caporale” di 1 tari al giorno, consegnando ducati 85: carlini 20 per ogni soldato, carlini 30 per ogni moschettiere e ducati 4 al caporale. Il sindaco, inoltre, considerato “che alli preditti soldati mancorono le sottoscritte Arme”, provvedette ad armarli di tutto punto pagando, in nome dell’università, a ogni soldato quanto necessario: a chi “la spata” (carlini sette), a chi “la spata et Arcabuggio” (carlini 27), a chi “la spata, Arcabuggio, et fiaschi” (carlini 37), in maniera tale che i predetti soldati, “si esibirono impresentia nostra armati una con l’altre Arme necessarie al complim.to perfetto”, impegnadosi ad usarle per il servizio di Sua Maestà e ad esibirle a ogni richiesta dell’università.[l]
Dal “bilancio” di Policastro dell’anno 1647, risultava che era a carico dell’università la somma di ducati 117 per l’approvvigionamento di 3 soldati a cavallo, 2 armigeri e 17 fanti. I cinque soldati a cavallo (compreso gli armigeri) percepivano annualmente ducati 15 ciascuno, mentre quelli appiedati 25 carlini. Tutti erano esenti da ogni tassa, e reclamano nei confronti degli ufficiali a guerra, “di essere provveduti perché, in caso di bisogno, non vi sono cavalli, armi e munizioni.”[li] Questa consistenza della forza militare cittadina sembra confermata nel 1687, quando risulta che i 17 soldati di Policastro erano esenti dal foro baronale, e pretendevano l’esenzione anche dalle cause criminali.[lii]
Note
[i] ASV, Fondo Albani Vol. 56, f. 65.
[ii] Crotone, 18.6.1583. L. Consiede, “contatore” della compagnia di cavalli leggeri della nuova milizia di Pirro Garraffa, protesta contro Guglielmo Piczuto, compratore del dazio della macina della città, in quanto “i soldati et cavalli leggeri de detta compagnia et suoi contatori deveno trattarsi franchi et immuni in gratia dela regia prammatica non solo dela meta de tutti i soi robbi ma anco per meta deli pagamenti de datii et gabelle della citta et anco del datio dela macina”. ASCZ, Busta 15, anno 1583, f. 28.
[iii] Pesavento A., La scomparsa del casale di San Giovanni Monaghò, www.archiviostoricocrotone.it
[iv] Porzio C., La congiura dei baroni, Napoli 1964.
[v] Durante il periodo 1601-1614, nel Libro dei Morti di Crotone risulta: “A dì 8 detto morsi s(o)l.ato Jacono Rodiques spagnolo del castello, sepolto al Carmino” (aprile 1601). “A dì 14 di Agosto 1601 morse il sarg.te della comp.a del cap.o Sammadeo no(mi)ne geronimo servus de Artillaria per lo cap(ito)lo car.ni cinque, fu comuneri D. Gr(egori)o de miglio.” “A dì 21 di Agosto morsi uno spagnolo no(mi)ne Blas Garror dela compagnia di cap.o Fran.co Samudia si sepelio a San Fran.co pago al ves.o car.ni dui et fu com.ro D. Fran.co Suriano” (1601). 13 novembre “Eodem die morse Francisco soldato della compagnia di somode et si sepellio a iesus maria per lo capitulo carlini 2” (1601). “A dì 23 9bre 1601 morsi Vono rodano soldato della compagnia del capitano Fran.co Samudo et si sepellio alla …”. “A dì 2 de martio 1602 morse la figlia di Gioanne Scovares spagnolo se atterrò al vescovato gratis.” “A dì 28 morse del sopra detto morse Ipolita di Spirito figlia di yspano de spiritu et si sepellio in s.to fran.co di assisa et pago” (marzo 1602). “dì 23 morse lo figlio de petro bordoner de Costa spagnolo dello Castello et se sepellio nel monesterio de Carmino pagò” (aprile 1602). “A dì 16 di giugno 1603 morse gregorio figlio di Fran.co roderiigues spagnolo dello castello si sepellio allo vescovato e pago fran.co roderigues ut supra.” “A dì 7 del sopradetto morsi la figlia di Ant.nio Sancis spagnolo dell Castello et si sepellio all vescovato gratis” (luglio 1603). “A dì 7 del sopra detto morsi lo figlio de Gioanne Caveto spagnolo dell Castello et se sepellio nello monasterio di S.to Fran.co de assisa gratis” (novembre 1603). “A dì 23 delo sopra detto morsi la figlia de Salceda spagnolo dell Castello et si sepellio alla pieta et pago” (novembre 1603). “A dì 5 del mesi di Jennaro 1604 morse uno spagnolo della Compagnia nomine Fran.co molina et si sepellio in S.to Francesco di assisa et pago.” “A dì 6 del sopradetto morsi Cicco Cropani … soldato et si sepellio in S.to bestiano gratis” (gennaio 1604). “A dì 17 del sopraditto morsi Isabella villana moglie di giolao de rivera spagnolo del castello et si sepellio in S.to Dionisio dell’castello gratis” (gennaio 1604). “A dì 26 del sopradetto passo di questa Vita in meglio Vita Il sig. gobernatore dell’Città di Cotrone nomine Fran.co Spinosa di giraldo spagnolo et si sepellio in S.to Fran.co di assisa gratis” (gennaio 1604). “A dì 11 del mese di 8bre 1604 morsi la figlia di gavino de villa spagnolo dell castello et si sepellio nel vescovato et pago.” “A dì 22 del mese di 9bre 1604 morsi il Sig.Gio: Corqueda Capitanio della Città di Cotrone et si sepelli in S.to Fran.co de assisa et pagò.” “A dì 25 di 7bre morsi uno spagnolo nomine Pietro Puiglia de midilla et se sepelli all’spitale gratis” (settembre 1605). “A dì 2 di detto morsi uno soldato spagnolo nomine Andres de martini dell’compagnia dell’Sig. D: Fran.co de Fran.co Capitanio di detta Compagnia ut supra et se sepelli nello spitale di Cotrone gratis” (ottobre 1605). “A dì 19 detto morsi uno soldato spagnolo di detta compagnia ut supra nomine gioanne …glia et si sepelli all’spitale gratis” (ottobre 1605). “A dì 24 di 7bre 1605 morsi uno soldato di detta compagnia ut supra nomine Luca tescu et si sepelli all’vescovato et pago.” “A dì 27 di 7bre 1605 morsi uno soldato di detta compagnia ut supra nomine Colas montiera di madril et si sepelli all’spitale.” “A dì 4 detto morsi lo figlio di gio: ferranti Leal spagnolo et si sepelli nel monasterio dell’Carmine et pagò” (ottobre 1605). “A dì 13 morsi uno spagnolo del Castillo nomine S.to pietro et si sepellio all’vescovato et pago” (giugno 1606). “A dì 29 Iunii 1606 morsi uno spagnolo dell’Castello nomine bartolomeo Sancis et si sepelli all’vescovato gratis.” “A dì ditto morse uno spagnolo dell’Castello nomine valosco et si sepellio nel vescovato gratis.” “Eodem die morsi la figlia di gio: Angelo spagnolo del Castello et si sepelli in S.to Fran.co de assisa” (11 ottobre 1606). “A dì 14 ditto morsi lo figlio di Fran.co gallico spagnolo del Castello et si sepellio al vescovato et pagò” (ottobre 1606). “A dì 2 detto morsi gio: bb.a figlio di gio: de sappeda spagnolo delo Castello et si sepelli al vescovato et pagò” (novembre 1606). “A dì 7 ditto morsi lo figlio di stat.o dell’Ita spagnolo del Castello et si sepellio all’’vescovato gratis” (novembre 1606). “A dì 16 del mesi di 9bre 1606 morsi Don Fran.co figlio di Don Ant.o Vigliecas Castellano del reg.o Castello di Cotrone et si sepellio nell’monasterio del Carmine et pagò.” “A dì 23 di detto morsi Fran.co Galleco spagnolo dello Castello et si sepelli al vescovato gratis” (febbraio 1607). “A dì 21 detto morse Michel cascia de cuella capitano della Città di Cotrone et si sepelli nell’osservanza et pagò” (agosto 1607). “Eodem die morsi la figlia di gio: dios spagnolo dell’castello et si sepelli in S. Fran.co di assisa et pagò” (28 novembre 1607). “A dì 14 di detto morsi lo Sig. Pietro Spinosa spagnolo et si sepellio all’vescovato gratis” (febbraio 1608). “A dì 19 di marzo 1608 morsi Sebastiano balasco figlio del q.ondam Valasco soldato del Castello et si sepellio nell’vescovato gratis.” “A dì 26 di detto morsi uno soldato del Castello nomine Fran.co et si sepelli nell’vescovato gratis” (marzo 1608). “A dì 29 di Aprile 1608 morsi mighel sancis spagnolo del Castello de Aragonia et si sepelli al vescovato et pago.” “A dì 10 di detto morsi la figlia di Costa spagnolo dell’Castello et si sepellio nel monasterio dell’carmino et pagò” (ottobre 1608). “Eodem die morse la figlia di yspano de spiritu et si sepelli in S.to Fran.co de assisa gratis” (11 ottobre 1608). “A dì 19 di xbre 1608 morsi lo Sig. Ant.o Arghilis spagnolo Cap.o della Città di Cotrone et si sepelli nello monasterio dell’observanza gratis.” “A dì 11 di ditto morsi lo figlio di paulo Vasco spagnolo et si sepelli all’vescovato gratis” (febbraio 1609). “A dì 19 de ditto morsi uno spagnolo dell’Castello nomine Alonso et si sepellio allo spitale gratis.” (settembre 1609). “A dì 11 de 8bre 1609 morsi uno soldato nomine gio: Banos spagnolo soldato della compagnia del capitan gio: morales et si sepellio nello monasterio della observanza et pagò.” “A dì 24 di 8bre 1609 morsi la figlia di dominica scandella moglie di Costa spagnolo dell’Castello et si sepellio all’monasterio dell’Carmino et pago.” “A dì 14 di detto morsi la figlia di Casanova spagnolo dell’Castello et si sepelli all’pieta et pagò.” (novembre 1609). “Eodem die morsi uno soldato nomine baldasar peris della compagnia del capitan gioanne morales et si sepellio nello monasterio di jesus maria et pago” (novembre 1609). “A dì 27 di marzo 1610 morsi simoni siviglia spagnolo soldato della compagnia del Sig. Capitan gioanne morales et si sepellio nell’monasterio di S.to Fran.co di paula chiesia di Iesu maria gratis.” “A dì 2 de detto morsi uno soldato spagnolo nominen gioan firnandis di gelitia della compagnia del Sig. Capitan gioan morales et si sepellio nell’spitale dell’Città di Cotrone gratis” (maggio 1610). “A dì detto morsi uno soldato spagnolo della Compagnia del Sig.r Capitan Don gioan di castro et si sepelli nello monastero del Carmino et pago il nome di detto soldato ut supra si chiama don consales de donlognes” (9 agosto 1610). “Eidem die morsiro dui soldati spagnoli della ditta Compagnia ut supra del Sig.r Capitan Don gioan di Castro li nomi delli pre detti soldati si chiama Sibastian dell’vegna et lo altro Juan de valladores et si sepellirno al vescovato et pagorno” (12 agosto 1610). “Eodem die morsi Augustina moglie dell’Sig.r gioan fernandis di castiglia spagnolo dell’castello et si sepellio al monastero del carmino et pago” (12 settembre 1610). “Eodem die morsino dui soldati spagnoli della compagnia del Sig.r Capitan Don Fran.co de Leva di nome ditti sopra detti soldati si nominorno arriches de madrili et lo Altro gioan ordaquinos et forno sepelliti nell’monasterio dell’carmino” (22 settembre 1610). “A dì 26 detto morsi uno soldato spagnolo di detta Compagnia ut supra desso Fran.co di Leva et si sepellio in S.to Fran.co di paula il nome di ditto soldato si nomino gioan scimenis et pago” Settembre 1610). “A dì 27 di detto morsi uno soldato spagnolo di ditta compagnia ut supra nomine gioan sancis galitiano et si sepelli in S.to Fran.co di assisa et pago” (settembre 1610). “A dì 29 de deto morsi uno soldato espagnol lo nomene Jhoan Esteban dela Comp.a de D.ni Fran.co de Leyba ut supra et se sepelio nel monasterio de San Fran.co de la observancia y pago” (settembre 1610). “Eodem die morsi uno soldato spagnolo nomine paulo muscardino di ditta compagnia ut supra et si sepellio in S.to Fran.co di assisa et pago” (29 settembre 1610). “A dì p.o di 8bre 1610 morsi uno soldato spagnolo nomine alonso ernandes q.m luis di detta compagnia et si sepelli nello monasterio dell’carmine et pago.” “A dì 2 di detto morsi uno soldato spagnolo nomine Fran.co ernandis portoesi di detta compagnia ut supra et si sepellio in S.to Fran.co de assisa et pagò” (ottobre 1610). “A dì 5 di detto mesi d’8bre ut supra morsiro dui soldati spagnoli ut supra uno nomine gioan parienca et si sepelli all’vescovato et pago et lo altro si nomina Fran.co Fraili et si sepelli in S.to Fran.co di assisa et pagò” (ottobre 1610). “A dì detto morsi lo figlio di paulo moscardino soldato di ditta de sudetta compagnia ut supra et si sepellio in S.to Fran.co di assisa gratis il nome il nome di detto morto ut supra si chiama Fran.co” (8 ottobre 1610). “A dì 9 di detto morsi uno soldato spagnolo di detta compagnia ut supra di nomine Andria cacciapia et si sepelli in S.to Fran.co di assisa et pago” (9 ottobre 1610). “A dì detto morsi uno soldato di detta compagnia ut supra nomine gioan lopis et si sepellio in S.to Fran.co di assisa et pago” (10 ottobre 1610). “A dì ditto morsi uno soldato di ditta compagnia ut supra nomine gioan lopis della Citta di scieno se sepelli in S.to Fran.co di assisa et pago (sic)” (11 ottobre 1610). “A dì 12 di ditto morsi uno soldato di ditta compagnia nomine gioan de morales et se sepelli all’vescovato gratis” (ottobre 1610). “A dì 21 di ditto morsi uno soldato di ditta compagnia ut supra nomine gioan de leon fasciardo se sepelli in S.to Fran.co de paula et pago” (ottobre 1610). “A dì 26 mori Uno soldato di dita compagnia ut supra no(mi)ne Fran.co pajares y si sepelio in s.to Fran.co di paula Extra muros” (ottobre 1610). “A dì 27 1610 morse un soldato detta compagnia ut s.a nomine Nicolas Gomez, et sipelli a luescarioto, et pagò” (ottobre 1610). “A dì 5 di 9bre 1610 morsi uno soldato nomine gioan de midina della compagnia ut supra et sepellio all’vescovato gratis.” “A dì 6 9.e e morto el sarg.to Diego Fernandez compagniolo di dita compagnia Ut supra e se sepellio et S.to Fr.co di paula e pago.” “A dì 10 di maggio 1611 morse il Sig.r D. Antonio dela Motta Vigliegas Regio Castellano del Castello della Città di Cotrone, et si sepellio nel Monasterio del Carmeno di detta Città et pagò.” “A dì detto morsi lo figlio de gioanni Zippita soldato spagnolo del castello si sepelli all’vescovato et pago” (7 luglio 1611). “A dì 9 di ditto morsi la figlia del q.m Sig.r Don Ant.o della motta vigliecza castellano olim del Reggio castello di Cotrone et si sepellio al monasterio dell’Car:ne et pago” (luglio 1611). “A dì detto morsi uno spagnolo dello Castello di Cotrone nomine Ant.o Laida et si sepelli all’vescovato gratis” (9 luglio 1611). “A dì 7 di Augusto 1611 morsi uno soldato spagnolo nomine philippo balera della compagnia del Sig. capitan gioan morales et si sepellio nello monasterio della observanza et pago.” “A dì 22 di 7bre 1611 morsi Alonso di muntoro et si sepellio nello monasterio di S.to Fran.co di paula chiesia di iesu maria et pago.” “A dì 15 di 9bre 1611 se sepellio in S.to Fr.co de assisi philipus de valentias soldato della compagnia del Capitan Gio de morales il quale alli 14 dell’detto mese fù ucciso d’un soldato dell’istessa compagnia.” “A dì 5 di luglio 1612 morsi lo figlio del Sig.r Ant.o portoiesi spagnolo et si sepelli all’vescovato gratis.” “A dì 11 di luglio 1612 morsi la figlia del’al…nda spagnolo et si sepelli in S.to Fran.co di paula et pago.” “A dì 4 di 8bre 1612 morsi lo figlio de turrivio spagnolo del Castello et si sepellio all’vescovato et pago.” “A d’ì 13 di 8bre 1612 morsi Bartolomeo rodrighes soldato del Castello et si sepeli nel monastero di S.to Fran.co di assisi gratis.” “A dì 21 di 9bre 1612 morsi gio: cala.dio soldato di cavalli liegeri di barrile terra di vasilicata dico soldato della compagnia di Don Cesare di avalos alferi de ditta batta lione et si sepelli al monasterio di S.to Fran.co di assisa et pagò.” “A dì 14 di marzo 1613 morsi lo figlio del Sig.r gio: sipeto spagnolo et soldato ditto castello et si sepellio all’vescovato gratis.” “A dì 10 di giugno 1613 morsi la figlia dell’Sig.r Costa spagnolo del Castello et si sepelli all’monastero dell’carmino et pago.” “A dì 11 di giugno 1613 morsi gioan valasco et si sepellio all’vescovato gratis.” “A dì 24 di giugno 1613 morsi Don Arrico della motta viglica figlio del q.ondam Sig.r don Ant.o Castellano olim del reg.o castello della Città di Cotrone et si sepellio all’monastero dell’carmino et pago.” “A dì 10 di marzo 1614 morsi lo figlio del Sig.r … spagnolo et si sepellio al vescovato gratis.” “Eodem die morsi lo figlio yspano di spirito et si sepellio in S.to Fran.co di assisa et pagò” (10 marzo 1614). “A dì 30 di maggio 1614 uno soldato spagnolo della compagnia del capitan Don Fran.co de levia nomine giaymo rosel et si sepellio all’monasterio di s.ta maria dell’gratia et pago.” “A dì 16 di luglio 1614 Morse Gio: Perez de almagher soldato della Compagnia spagnola di Don Fran.co de Levia si sepelli nel Ven. Monast.o di S.to Fran.co d’assisa, et pagò.” “A dì 18 di luglio morse pietro magiar soldato della compagnia spagnola di Don Fran.co de leva si sepellio al vescovato gratis” (1614). “A dì 30 di luglio 1614 morsi mesias de estramadura soldato della compagnia spagnola di Don Fran.co de leva ut supra et si sepellio in S.to Fran.co de assisa et pago.” “A dì 3 di Agusto 1614 morsi Thoma de conpitta di sciatola valentiano soldato della compagnia spagnola di Don Fran.co di leva et si sepellio nel monasterio di s.ta maria dell’gratia et pago.” “A dì 16 di Agusto 1614 morse gio: tagliaferro valentiano soldato della compagnia spagnola di Don Fran.co di leva et si sepellio al monasterio del santissimo rosario chiesia di S.ta Maria della gratia et pagò.” “Eodem die morsi lo figlio del Sig.r Ant.o Consales soldato del castelloet si sepelli nel vescovato gratis” (16 agosto 1614). “Die p.to morsi lo figlio di uno soldato del castello nomine … et se sepelli in S.to donisio di detto castello gratis” (16 agosto 1614). “A dì detto morsi Fran.ca torres figlia di dommingo torres soldato dell’castello et si sepellio in in s.to fran.co di assisa et pago” (16 agosto 1614). AVC, Libro dei Morti, cartella 20, ad a.
[vi] 14 gennaio 1564, Umbriatico. Davanti al notaro compare Ottaviano Talarico della terra di Scigliano al presente “militis seu caporali comitive m.ci jo(ann)is petri galterii regii Cap.i”. ASCZ, Notaio Cadea Cesare Cirò, busta 6, ff. 4-5 e 5-5v.
[vii] ASCZ, Notaio Cadea Cesare, busta 6, ff. 208-210v.
[viii] ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, ff. 26v-27v.
[ix] ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, ff. 29-30.
[x] ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, f. 32.
[xi] ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, f. 32v.
[xii] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 27-28.
[xiii] ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, ff. 268-269v.
[xiv] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, ff. 468-469.
[xv] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, ff. 546v-547v.
[xvi] ASCZ, Notaio Durande G. D., busta n. 36, ff. 399-402v.
[xvii] ASCZ, Notaio Durande G. D., busta n. 36, ff. 536-537v.
[xviii] Pugliese G. F., Descrizione ed Istorica Narrazione di Cirò, Napoli 1849, pp. 141-143.
[xix] Nel 1603 l’università di Cutro affermava di non potere più sostenere il peso degli alloggiamenti militari ed era stata costretta ad indebitarsi. Pesavento A., La scomparsa del casale di San Giovanni Monaghò, www.archiviostoricocrotone.it
[xx] ASCZ, Notaio Ignoto di Cutro, busta 12 prot. 33, ff. 92v-93v.
[xxi] ASCZ, Notaio Ignoto di Cutro, busta 12 prot. 32, ff. 28-28v.
[xxii] AASS, 3D fascicolo 1, f. s.n.
[xxiii] AASS, 3D fascicolo 1, f. s.n.
[xxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 286, ff. 188-189.
[xxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 286, ff. 207-208.
[xxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 286, ff. 218v-219.
[xxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 287, ff. 20-22.
[xxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 286, ff. sciolti s.n.
[xxix] 4 gennaio 1616, Policastro. Tra i testimoni dell’atto figura Michele Valdafoco “ferrero della Compagnia del prencipe di Avellino”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 72-73.
[xxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 290, f. 145.
[xxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 291, ff. 19-19v.
[xxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 291, ff. 107-107v.
[xxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78, prot. 286, ff. sciolti s.n.
[xxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 292 ff. 31-31v.
[xxxv] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 152.
[xxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 292, ff. 18v-22.
[xxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 292, ff. 28v-39v.
[xxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 79 prot. 293, ff. 31v-32.
[xxxix] Le università del Marchesato dovevano versare 4 grana a fuoco al mese “per il soccorso della compagnia di genti d’arme et cavalleria leggera” poste a presidio. Nel settembre 1627, essendo la maggior parte delle terre renitenti al pagamento, il tesoriere ordina al tenente della compagnia di cavalli leggeri del marchese di Sant’Agata, acquartierata a Mesoraca, di inviare in quelle terre i soldati a cavallo, che alloggeranno in numero e per il tempo adeguati al debito. ASCZ, Busta 118, anno 1627, ff. 55-56.
[xl] Volpicella L., Epistolario del governatore di Calabria Ultra Lorenzo Cenami, A.S.C., a. I, pp. 596-597.
[xli] ASCZ, Busta 117, anno 1623, f. 107.
[xlii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 80 prot. 303, ff. 78-80v.
[xliii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 803, ff. 13-15v.
[xliv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 80 prot. 301, ff. 3v-4v.
[xlv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, busta 182 prot. 802, ff. 92v-94.
[xlvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 80 prot. 302 ff. 101v-103 e 129v-130v; busta 80 prot. 303, ff. 119v-120v; busta 80 prot. 304, ff. 60-61.
[xlvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 80 prot. 304, ff. 13-14.
[xlviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 80 prot. 305 ff. 17v-20, e ff. 41-43v.
[xlix] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, busta 196 prot. 875, ff. 29v-32v.
[l] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, busta 182 prot. 801, ff. 45-46v.
[li] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, pp. 153-155.
[lii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 146.
Creato il 17 Gennaio 2021. Ultima modifica: 29 Aprile 2024.