Il casale di Ambrianiti presso il fiume Tacina

Viabilità principale nella media valle del Tacina. Particolare della carta austriaca del Regno di Napoli Sez. 12 – Col. IX (1822-1825).

Anche se a riguardo ci rimangono solo poche testimonianze documentali, è da ritenersi che il popolamento della media valle del fiume Tacina, pur mantenendo il suo carattere sparso tipico delle aree interne del Crotonese, dovette essere particolarmente importante, sia durante l’età antica, sia nel corso dei secoli altomedievali precedenti la conquista normanna e l’introduzione del feudo. Ciò in relazione alla esigenza di controllo dei passi fluviali esistenti in quest’area, che consentivano i movimenti tra il Cosentino e i diversi luoghi del Crotonese.[i]

 

Un antico casale

L’esistenza dell’abitato di Ambrianiti è documentata da un atto scritto in greco risalente all’annata 1115-1116 (a.m. 6624), IX indizione, attraverso cui “Argyros”, figlio di “Maniakès de Bonaléa”, assieme a suo fratello “Georges”, dette in enfiteusi al monastero di Santa Maria de domino Niele (Θεοτόκον τού κϋρ Νίλου), dipendente da Santa Maria della Matina, esistente vicino Roccabernarda (καστελλίου Βερνάλδου), le terre (χοράφιον) di 4 moggi (μοδίων), poste nel luogo o casale (χωρίον) di Ambrianiti (Αμβρανιτων), sul torrente “Soleo” (ριάκι τό Θολόν) vicino la vigna del loro zio “Kalouménos”, affinchè fossero piantate con viti e alberi da frutto.

Differisce sensibilmente da tale descrizione, un’annotazione latina più tarda apposta sul verso di questa “Carta de Rocca Bernardi” che, invece, non identifica le terre oggetto della donazione vicino al corso del Soleo, ma “in tenim(en)tis Roce B(er)nardi i(n) loco q(ui) d(icitu)r Ambrianitis q(uae) vocat(ur) i(n) vallone t(ur)bido p(ro)pe vinea(m) Calumeni”,[ii] luogo identificabile attualmente nelle vicinanze del torrente “Turvole” che, rispetto al precedente, confluisce più a monte nel fiume Tacina.

La presenza di vigne in località Ambrianiti risulta richiamata anche verso la fine del secolo XII, quando la donazione di una “vineam Abrianton.” da parte della moglie di “Iohannis crisis” alla cattedrale di Santa Severina, è ricordata nel privilegio concesso all’arcivescovo Meleto (1183),[iii] mentre una vigna “in fluminaria Tholii” è menzionata nella prima metà del Duecento.[iv]

Johannis “Chrysikos”, assieme ai suoi figli Galterio e Nicola, risulta tra i quindici villani (ἄνϑρώπωι) appartenenti al feudo che Ruggero di Santa Severina, figlio di “Turgis de Rota”, deteneva in San Marco avendoli ricevuti dal duca e che, il 31 gennaio 1115, donò a “Thomas” categumeno di Santa Maria della Matina.“Ursum de Chryso” o “de Chrysantho”, faceva parte del gruppo di “villanos” che “ad Sanctae Severinae agrum pertinent”, donati in feudo nel 1099 (a.m. 6607) da “Rogerius Dux Apulie, calabrie. sicilie.”, alla “ecclesia Sanctae Mariae quae in heremo sita est loco qui ab incolis turris dicitur”.[v]

Segni riconducibili ad antichi appezzamenti a vigneto in prossimità del fiume Soleo e topografia delle località “Zaccarella”, “Piano”, “Galeoto, ecc. (particolare della carta IGM 1:10.000, F. 237, Stazione di Roccabernarda Niffi II N.E. Sez. C).

 

Un “terreno” conteso

Ci fornisce qualche indicazione circa la ragione delle incongruenze rilevate dalla lettura di questo documento riguardante il casale di Ambrianiti, una richiesta contenuta nei capitoli concessi alla università di “Rocce bernarde”, da re Alfonso d’Aragona il 17 novembre 1444 VIII indizione, “in castris n(ost)ris felicibus prope predictam [terram] roccam bernardam”.

In questa occasione i cittadini di Roccabernarda facevano notare al sovrano che, “per li anni antiquissimi”, avevano posseduto “uno terreno nominato de torbule” ma, successivamente, per l’imbroglio degli “homini de policastro”, ne erano stati privati da Antonio Centelles che lo aveva dato a questi ultimi. Chiedevano quindi al sovrano di essere reintegrati nel loro possesso, anche perché ciò sarebbe stato anche nel suo interesse, ottenendo così il beneplacito del re.[vi]

Il “vallonum turbidum” risulta tra i confini del “Feudum Crotoneorum” riportati nella reintegra dei feudi del conte di Santa Severina Andrea Carrafa, fatta da Francisco de Jasio nel 1520.[vii] Attualmente la località risulta identificabile presso il confine tra Cotronei e Roccabernada,[viii] alla confluenza del torrente “Valle Turvole” con il fiume “Tàcina”, dove in territorio comunale di Roccabernarda sussiste ancora il toponimo “Cas.o Ambi”.

 

“Ambi”

Le scarne informazioni giunte sino a noi, accanto al fatto che Ambrianiti non compare nei dettagliati elenchi relativi alla tassazione delle terre del regno, redatti agli inizi della dominazione angioina,[ix] sembrano evidenziare una precoce scomparsa del casale, la cui antica esistenza, evidentemente, dovette concludersi con l’affermazione della nuova organizzazione feudale.

Testimoniano in questo senso le tracce superstiti riconducibili a questo abitato, che emergono in un’area abbastanza vasta dove esistono i principali passi di questa parte del fiume, comprendendo luoghi tanto alla sinistra che alla destra del corso del fiume Tacina, in prossimità dei confini tra la nuova realtà di Roccabernarda e quella dell’antica Policastro.

A tal proposito possiamo evidenziare che, pur ricadendo in territorio di Roccabernarda, il luogo detto “Ambi” seguì le vicende feudali della terra di Cotronei fino agli inizi del Settecento, quando Cotronei, Policastro e Roccabernarda furono detenute dai Filomarini. Già al tempo di Fabrizio Morano, infatti, sappiamo che il barone di Cotronei possedeva la gabella di Ambi con i mulini e il suo giardino “in la Rocca Bernauda”,[x] come rileviamo anche in seguito per i suoi successori.

Nel contratto riguardante l’affitto del feudo di Cotronei stipulato il 21 agosto 1634, in Cotronei, il cap.o Fran.co Valasco, procuratore generale delll’Ill.mo D. Berardino Montalvo marchese di San Giuliano, locotenente della Reg.a Camera della Summaria, balio e tutore di D. Horatio Sersale, “Baronis Cotroneorum”, affittava per ducati 1750 il casale di Cotronei a D. Alterio Capisciolto della città di Cosenza. Detto affitto si stipulava per due anni, iniziando dal primo di settembre prossimo entrante, per finire all’ultimo di agosto del 1636, prorogabile di un altro anno con scadenza ad agosto 1637, “et sic prout tenuit et possidet” la quondam D. Auria Morana. Tra i beni compresi in detto affitto, figurava “il molino, et gabella di ammi Con le fronde di Celsi, et terraggi poste nel terr.o della Rocca bernarda di tacina. ”[xi]

Il 19 febbraio 1647 D. Oratio Sersale duca di Belcastro e “Sig.re della Terra delli Cotronei”, essendo debitore per la somma di ducati 1400 nei confronti di Tomaso Caracciolo “de forino” della città di Napoli, per causa della dote della quondam D. Vittoria Sersale, “olim” moglie del detto Tomaso e sorella del duca, assegnava al Caracciolo e, per esso, ad Alfonso Campitello di Policastro, suo procuratore, la detta somma di ducati 1400 sulle sue entrate della terra di Cotronei, tra cui ducati 700 dovutigli da Salvat.e Virga e Laurenzo de Mauro delle terra delli Cotronei, “affittatori del molino d’Ambi, della fronda delli Celsi, de tutti le giardina, e decime”.[xii]

La “Gabella, et Molendinum de Ambi, sitas in pertinentiis T(er)rae Roccae Bernardae”, ovvero la “Gabella, seu Terr.o d’Ambi. Et un’ Molino nel medemo terr.o”,[xiii] risultano tra i beni burgensatici che, agli inizi del Settecento, passarono da Fabio Caracciolo duca di Belcastro, nonché signore di Policastro e Cotronei, al figlio primogenito Carlo suo successore, e che furono apprezzati in occasione della vendita “della Città di Policastro, e della terra di Cotronei”, fatta dal detto Carlo a D. Gio: Baptista Filomarino principe della Roccadaspide (1711).[xiv]

Nella seconda metà del Settecento la Camera Principale della terra di Roccabernarda possedeva “la gabella di ambi”, sulla quale pagava un censo di 5 ducati all’Annunziata di quella terra,[xv] che confinava con quella di “S. Brancazio”,[xvi] e si trovava vicino alla gabella di “Molerà vecchio”[xvii] e al corso del fiume Tacina.[xviii]

La località “Cas.o Ambi” evidenziata sulla carta IGM 1:50.000 F. 570 Petilia Policastro.

 

I “Copati”

Accanto alle indicazioni che ci fornisce la toponomastica, alcuni segni rivelatori di una presenza umana legata alla esistenza di un antico abitato riconducibile al casale di Ambrianiti, emergono nell’area del “feudo di Copati dove gli fiumi di Soleo, e Tacina s’uniscono”,[xix] da cui provengono reperti antichi sin dalla fine del Seicento, come riferisce l’avvocato Giuseppe Domenico Andreoni, visitatore di Policastro per parte del granduca di Toscana (1686) e dove, in epoca moderna, sono stati portati alla luce vasi, ampolle e altri oggetti antichi in località “Donnu Ianni” in territorio di Roccabernarda e da quella prossima appellata “Siettu du trisuoro”.[xx]

Notizie analoghe relative alla scoperta di favolosi tesori legati alla presenza di un antico casale,[xxi] ci fornisce anche il Mannarino agli inizi del sec. XVIII,[xxii] secondo il quale il toponimo greco “Copati” sarebbe da riferire all’esistenza di un’antica necropoli o “Cimiterio”,[xxiii] come sembrerebbe confermare anche la qualità del materiale emerso che è stato conservato.

Reperti rinvenuti in località “Donnu Ianni” di Roccabernarda (foto E. Covelli in Sisca D., Petilia Policastro, 1964).

 

Il feudo di Copati

Dopo essere stato detenuto da Annibale Pisciotta e dai suoi eredi,[xxiv] sul finire del Cinquecento “il fego deli Copati et lo vignale de Sotto l’acquaro deli Copati”, nell’occasione affittate da parte della Regia Corte (1599), fu incantato per 3 anni a Jo: Paulo Catanzaro per ducati 43,[xxv] e detenuto dal conte di Ayello.[xxvi]

In seguito le entrate del feudo di “Copati”, assieme a quelle di altri corpi feudali di Policastro furono acquistate dall’abate Gaspare Venturi di Policastro che però, successivamente, ne subì il sequestro per i suoi debiti verso il Fisco. Fu così che nel 1625 la baronessa Aurea Morano comprò per 12.000 ducati i corpi feudali che erano stati dell’abate Venturi, compreso il “Feudo di Copati” che, “dall’anno 1627 a tutt’agosto 1631”, diede tutti in affitto ad Alfonso Campitelli di Policastro per ducati 700. Alla morte della baronessa, avvenuta il primo giugno del 1630, i suoi beni passarono a D. Orazio Sersale “pronepote et herede universale della qm D. Auria Morano olim padrona delle terre di Cotronei e di Scarfizzi”, che fu affidato all’Ill.mo marchese di S. Giuliano, in qualità di balio e suo tutore.[xxvii]

Alla morte di Francesco Sersale (2 marzo 1676), successore di suo fratello di Orazio,[xxviii] “Copati”, assieme alle altre entrate feudali di Policastro, passò a suo zio D. Fabio Caracciolo dei principi di Forino,[xxix] duca di Belcastro e signore di Cotronei e di Policastro, da cui pervenne al figlio Carlo. Il “Feudo detto delli Copeti”, risulta elencato tra le entrate feudali di Policastro, in occasione della vendita di Cotronei e Policastro, fatta da Carlo Caracciolo a Giovan Battista Filomarino, principe di Roccadaspide (1711).[xxx]

Le terre o gabella che costituivano il feudo detto “li Copati”, confinavano con il luogo detto “Zaccarella”,[xxxi] la località “galioti”, “lo fiumme di tacina”, le terre del SS.mo Sacramento, il “flumen Solei” e il giardino appartenuto al quondam dottor Antonino Guarano che, alla metà del Seicento, era detenuto da Delia Callea.[xxxii]

Prese d’acqua per i mulini alla confluenza dei fiumi Soleo e Tacina (1910).

 

Il giardino “delli Copati”

Testimonianze significative circa l’esistenza di un importante insediamento in quest’area, emergono alla fine del Cinquecento, quando nel “loco ditto li copati”, esistente “in tenim.to terrae p(raedi)ttae policastri”, confinante, da una parte, con il “feudum nominato delli Copati” e dall’altra con la via pubblica, l’acquaro che alimentava i “molina delli Copati”, il fiume Soleo e il “planum salvatoris”, esisteva un giardino con alberi da frutto, viti e palmento, in cui sorgeva un “palatio magno” e diverse case terranee.[xxxiii] Il “territorio” detto “Zaccarella, e Palazzo”, risulta richiamato ancora verso la metà del Settecento.[xxxiv]

Il giardino esistente in loco detto “li Copati”, confinante con il “flumen solei”, la gabella di Jo: Baptista de Ruggero e il “feudum Curiae”, che era appartenuto al quondam Alfonso Masso e che, alla fine del Cinquecento era stato acquistato da Antonino Guarano di Roccabernarda, passò successivamente ai suoi figli ed eredi: Marco Ant.o, Laura e Aloysio Antonio Guarano. Morto quest’ultimo, il 15 giugno 1637 il detto Marco Ant.o lo vendette a sua sorella.[xxxv]

Il bene era gravato da un censo risalente al debito contratto da Antonino Guarano che, il 16 ottobre 1639, fu acquistato da Jacinto e Cl.o Joannes Andria de Cola di Policastro,[xxxvi] e poi passò ai loro eredi.[xxxvii] Nel 1653 apparteneva ancora a Delia Callea, vedova del quondam U.D. Marco Antonio Guarano, che possedeva il “Viridarium vulgo Jardino delli Copati”, alberato con “sicomis, fiquibus, vitibus”, “Citrangulorum” e altri alberi fruttiferi, posto nel territorio di Policastro, confinante con il “flumen Soleum” e le terre di Joannes Baptista Rogerio.[xxxviii]

Traccia delle antiche vicende medievali di questa località, rimanevano ancora durante la seconda metà del Settecento, quando troviamo che, in relazione all’antica donazione ricevuta, la Mensa Arcivescovile di Santa Severina[xxxix] esigeva un censo enfiteutico perpetuo dalla Mag.ca D. Maria Ceraldi della città di Santa Severina, vedova del quondam D. Vincenzo Infusino, che possedeva un “giardino detto Soleo” posto in territorio di Roccabernarda, confinante con il fiume Tacina[xl] e la località “Taverna”.[xli]

La località “Copati” circoscritta sulla carta IGM 1:50.000 F. 570 Petilia Policastro.

 

Note

[i] Rende P., Per vie, passi, trazze e carrere del Crotonese, www.archiviostoricocrotone.it

[ii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, pp. 154-157.

[iii] “Ex dono mariae filiae Ioh(ann)is de Eugenia uxoris Ioh(ann)is [crisis vineam] Abrianton.” AASS, Pergamena 001, 22A f. 75v.

[iv] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 360-361.

[v] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, pp. 149-153. Trinchera F., Syllabus Graecarum Membranarum, 1865, pp. 85-86 n. LXVIII.

[vi] “Item pete la dicta universitate che per li anni antiquissimi la dicta universitate havea et possidea uno terreno nominato de torbule E operante li homini de policastro con certo veneracgio che dedero ad messer piccirlo livaro dela potestate n(ost)ra a donarolo in policastro Supplicano la m. v. che ve piaccia reducerene lo dicto terreno in n(ost)ra potestate como era da primo Et la v. m. de havea anno per anno grandissima utilitate essendo in n(ost)ro dominio piu che anno delo li homini de policastro et omne uno se gaudino loro terreni placet Regie magestati.” ACA, Cancillería, Reg. 2903, f. 183r.

[vii] “vadit et ferit ad serram de Sprolverio, et ca[la]ndo da Rivioti a p.e meridei et vadit ad vallonum turbidum et ferit ad collem Grotti et concludit ad dictum locum de Ponte veteri”. Mannarino F. A., “Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro” (1721-23), f. 93.

[viii] Nell’ottobre del 1923 i limiti del demanio Rivioti in contestazione tra il Comune di Cotronei e il barone Barracco, risultavano: “Il fondo Rivioti posseduto dal Barone Barracco confina: col vallone Turvolo dal limite delle quote di Spartini al limite territoriale col Comune di Roccabernarda, col fiume Tacina, con le quote di Pantani e col Comune di Cotronei.” Alla data del settembre 1940, “registrate le quotizzazioni, le legittimazioni, e le alienazioni regolarmente autorizzate”, “Turvolo” faceva parte dei “demani civici ex universali” in possesso del Comune di Cotronei. Oliveti L., Istruttoria Demaniale per l’accertamento, la verifica e la sistemazione del demanio civico comunale di Cotronei 1997, pp. 25-27.

[ix] Minieri Riccio C., Notizie Storiche tratte da 62 Registri Angioini dell’Archivio di Stato di Napoli, 1877. Reg. Ang. XIII, p. 267. Reg. Ang. XVII, pp. 57-58.

[x] “Fabritio Morano barone di Cotronei, Rivioti et Carficzi per lo pascolo de suoi animali in detti lochi. Detto per le molina, giardino e gabella che possiede in la Rocca Bernauda, non sia accatastato” (1579-1581). ASN, Regia Camera della Sommaria, Segreteria, Inventario.

[xi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 301, ff. 124v-128.

[xii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 13-16.

[xiii] 23 novembre 1648. I “molendini de Ambi siti in territ.o Terrae Roccae Berardae”. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 101v-107.

[xiv] ASN, Fondo Notai del Seicento, Notaio Giuseppe de Vivo, scheda 714, prot. 18, s. n.

[xv] La chiesa della SS.ma Annunziata di Roccabernarda “Esigge da q.a P(rincipa)l Cam(er)a per Censo sopra la Cabella di Ambi d. Cinque son on(ce) 16=20.” ASCZ, Catasto Onciario di Roccabernarda, 1768, f. 211.

[xvi] La Camera Principale della terra di Roccabernarda possiede “la gabella di ambi Confine quella di S. Brancazio, di terra rasa ed aratoria, di Capacità tt.e settanta, di ren. Franca d. Cinquanta, on. 166:20.” ASCZ, Catasto Onciario di Roccabernarda, 1768, f. 245v.

[xvii] Nell’inventario dei beni della chiesa di Santa Maria la Magna di Roccabernarda, troviamo che possedeva un terreno “nella Gabella di Molerà vecchio, e propr.o dove si dice La Serra di Scinà, di Capacità di tomolate quattro in Circa aratorie, iuxta la Gabella di Molerà vecchio, la Gabella di S. Brancati, e le terre di S(an)to Andrea”. AASS, 80A, Inventario dei beni della chiesa di S. Maria la Magna di Roccabernarda, s. n.

[xviii] Il Mag.co D. Antonio Vetere di Roccabernarda, possiede “Di vantag.o un Giardino denomintato Ambi, Confine il fiume Tacina, e la Colla di Ambi di q.o R. C. via publica mediante, di terra aratoria, alberato di diversi alberi fruttiferi, e sottoacqua, di sua estenz.ne moggia sette”. ASCZ, Catasto Onciario di Roccabernarda, 1768, ff. 18-18v. Il Clero di Roccabernarda tra le “Annue Esazioni”, che esigeva dalle gabelle che rimanevano non seminate “per ragione di Camera Chiusa”, introitava “Dal m.co D. Antonio Vetere d. ventiuno son on(ce) 70.” Ibidem, f. 197v.

[xix] “Come voleresi quel del feudo di Copati dove gli fiumi di Soleo, e Tacina s’uniscono situato; detto poi dal nome, o pur Cognome della Persona, che longomente lo possedi Donna Dialta. Mannarino F. A., “Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro” (1721-23), f. 84.

[xx] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, pp. 26-27.

[xxi] A riguardo di Giovanni Ruffo, il Mannarino afferma: “Costui fù il quarto Signor di Policastro, e delli suoi Casali Cotronei San Demetrio, e Copati appunto nell’anno mille trecento e nove.” Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723, pp. 58-59.

[xxii] “Di questo Calabrese però parli per me bocca di quell’urna famosa aposta gli anni adietro nel feu[dal] Territorio detto Li Copati, oggi posseduto dalla nobil famiglia Girifalco Tronca, sito appunto nelle Pianure sudette; La do[ve] volendosi tagliare un albero sopra l’urna assai cresciuto ed’intonando quel vacuo, vi sia scoperto sotto due gran sa[ssi] accozzati un gran Tesoro. Vero è che D. Sebastiano di Mena Milanese Giudice di Tropea, e delegato per sua Eccellenza di Napoli, venuto mesi dopo sopra la faccia del luogo, non ritr[ovò] più le monete, e vocze d’oro”. “ma scolpiti in argento ed attorno di quest’ultima classe si ne ritrovò uno in Policastro al luogo detto li Copati, dove descrissi quell’urna in cui si conserva da me qual Reliquia di venerand’antichità.” Mannarino F. A., “Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro” (1721-23), f. 13v e sgg. s. n.

[xxiii] “Copetos è parola Greca KOΠΕTO lo stesso che Cimiterio”. “addurrò in testimonio lo stesso Greco nome che ancor vi dura di Copati”. Mannarino F. A., “Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro” (1721-23), ff. 14 e 78.

[xxiv] “Difatti, il 30 maggio 1596 gli eredi di Annibale Pisciotta furono condannati in contumacia perché alla morte del detto Annibale non avevano denunziato le entrate e i feudi di Copati e di Enrico.” Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 134 e nota n. 6, dove si cita: “Licterarum Curiae 63 – anni 1596 – 3 n° 154.

[xxv] ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 550/4154, ff. 121-123v.

[xxvi] “per l’affitto del feudo di Cupati di d.e intrate di d.o anno” ducati 43 (1600-1601, XIV indizione). ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 550/4154, f. 117.

[xxvii] Maone P., Notizie storiche su Cotronei, Historica n. 2/1972, pp. 104-107.

[xxviii] Pellicano Castagna M., Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, II, 1996, p. 182. 3 giugno 1655. Joannes Angelo Gangario della terra di Cotronei, procuratore di D. Francisco Sersale duca di Belcastro, vende a Fabritus Rattà di Policastro l’annuo censo di ducati 63 per un capitale di ducati 700 sopra le entrate di alcuni beni stabili “feudalia” appartenenti a detto duca, tra cui il feudo chiamato “delli Copati” in territorio di Policastro, confine il “flumen Solei”, le terre di Scipione Tronga e il “Viridarium” di Delia Callea. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 78v-83v.

[xxix] “Copati”. Feudatario: “Fabio Caracciolo” (1676). ASN, Relevi e Informazioni, Volume 392, Fascicolo 2. Mazzoleni J. Fonti per la Storia della Calabria nel Viceregno (1503-1734) Esistenti nell’Archivio di Stato di Napoli, p. 198. “Alla morte del Sersale (2 marzo 1676) il duca don Fabio Caracciolo denunzia le seguenti entrate feudali policastresi: Portulania, i feudi di Enrico soprano e sottano, Copati, Andreoli, i censi dovuti per detti feudi, le gabelle di Mangiacardone e di Mustacchio, Pizzicatina, Pellecchia, del Solito, i vignali di Furcina e Carrara, la vigna di Coco, la valle dei Pinoli, il castagneto della Corte, il palazzo del Comune.” Sisca D., Petilia Policastro, 1964 p. 133.

[xxx] ASN, Fondo Notai del Seicento, Notaio Giuseppe de Vivo, scheda 714 prot. 18, ff. s. n.

[xxxi] Un atto del 18 febbraio 1612, riferisce che un pezzo di terra posto nel territorio di Policastro loco detto “Zaccarella”, confinava con “le terre della Corte verso li Copati”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 288, ff. 12v-14. 20 gennaio 1623. Giulia Campana di Policastro rinuncia ai propri diritti su alcuni beni in favore di Gio: Dom.co, Gio: Vittorio e Gio: Fran.co, tra cui la terza parte delle terre di “Zaccarella” poste nel territorio di Policastro, confine “lo fiunme di Soleo”, “la gabella di copati”, “la gabella di torres”, la gabella di “donno Gianni Liotta” e altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 067v-069.

[xxxii] 17 febbraio 1616. Alla dote di Caterina Spano di Policastro “virgo in Capillo”, che andava sposa a Laurentio de Martino di Policastro, apparteneva la metà di una “continentia di terre” posta nel territorio di Policastro loco detto “li copati seu galioti”, confine “lo fiumme di tacina”, le terre del SS.mo Sacramento, i beni degli eredi del quondam dottor Antonino Guarano e altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 081-082v. 3 giugno 1655. Joannes Angelo Gangario della terra di Cotronei, procuratore dell’Ill.o D. Francisco Sersale duca di Belcastro, vende a Fabritio Rattà di Policastro, l’annuo censo di ducati 63 per un capitale di ducati 700 sopra le entrate dei propri beni stabili “feudalia”, tra cui il feudo chiamato “delli Copati” in territorio di Policastro, confine il “flumen Solei”, le terre di Scipione Tronga ed il “Viridarium” di Delia Callea. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 078v-083v.

[xxxiii] Un atto del 21 ottobre 1604 riporta la confinazione di un “viridarium loco ditto li copati” contenuta in un atto del 18 dicembre 1590, attraverso cui D. Dianora de Russo, vedova del quondam Santello Popaianni, insieme ai figli Francischello e Joannes Matteo Popaianni, tutti di Policastro, avevano venduto al quondam U.J.D. Antonino Guarano della terra di Roccabernarda, il detto bene che risulta così descritto: “viridarium seu Iardenum cum palatio magno, et pluribus domibus terranis cum palmento arboratum sicomorum olivarum, et aliorum publicorum arborum et vitatum similiter, et posito in tenim.to terrae p(raedi)ttae policastri loco ditto li copati iusta feudum nominato delli Copati et in altera parte viam pp.m et lo acquarum delle molina delli Copati flumen solei planum salvatoris et alios fines”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 286, ff. 65-68.

[xxxiv] Morto D. Alfonso Campitello iuniore nel mese di ottobre 1740, gli erano succeduti i due figli superstiti D. Fran.co e D. Gregorio che avevano rinunciato all’eredità di loro padre, facendone istanza nella Corte Ducale di Policastro. Nella loro istanza di rinuncia all’eredità i detti Campitelli però, si erano riservati il diritto di dichiararsi “eredi fidecommisssarii” del quondam D. Alfonso seniore “di loro bisavo”, esibendo il suo testamento, dove risultava che i beni non soggetti al fidecommisso, erano un territorio “nomato furca” nel “distretto di Belcastro” ed un altro “territorio” chiamato “Zaccarella, e Palazzo” esistente nel territorio di Policastro. AASS, 10D, ff. 217-229.

[xxxv] 15 giugno 1637. Davanti al notaro comparivano lo U.J.D. Marco Ant.o Guarano e “soro” Laura Guarano sua sorella, “Virgine in capillo”, “Moniale” dell’ordine di S. Francesco d’Assisi. Essendo debitore nei confronti di sua sorella per ducati 200 di capitale, in relazione ai legati contenuti nel testamento di Diana Venturi, madre dei detti Marco Ant.o, Laura e quondam Aloysio Antonio Guarano, il detto Marco Ant.o vendeva alla sorella il “Jardenum” arborato con diversi alberi fruttiferi posto (nel territorio) di Policastro loco “li Copati”, appartenuto al quondam Alfonso Masso, confinante con il “flumen solei”, la gabella di Jo: Baptista de Ruggero, il “feudum Curiae” ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 301, ff. s.n. Busta 80 prot. 304, ff. 45v-47v.

[xxxvi] 16 ottobre 1639. Davanti al notaro comparivano da una parte, Claritia Caccurio di Policastro, vedova del quondam Vespesiano Popaijanni, madre e tutrice di Salvatore, Joannes Dom.co, Elisabetta e Julia Popaijanni e, dall’altra, Jacinto e Cl.o Joannes Andria de Cola di Policastro. I detti Popaijanni cedevano ai detti de Cola l’annuo censo di ducati 6 tari 3 e grana 15 infisso sopra “il giardino delli Copati”, per un capitale di ducati 75 che detti Popaijanni dovevano conseguire dal dottor Marco Ant.o Guarano come erede del quondam Antonino suo padre. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 306, ff. 115-117v.

[xxxvii] 28 agosto 1643. I fratelli clerico Andrea e Jo: Thoma de Cola di Policastro, eredi dell’olim Jacintho de Cola loro padre e di Lavina Grimaldi loro madre, vendono a Dianora Coco vedova del detto quondam Jacintho de Cola, un annuo censo di ducati 6, tareni 3 e grana 15 per un capitale di ducati 75 ipotecato sopra i beni stabili dell’olim Marco Antonio Guarano e segnatamente, sopra il “Viridario” chiamato “li Copati”. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 802, ff. 74-75.

[xxxviii] 15 novembre 1644. Delia Callea vedova del quondam U.D. Marco Antonio Guarano vende al Rev.o D. Prospero Meo un annuo censo di ducati 10 infisso sopra alcuni stabili, tra cui il “Viridarium vulgo Jardino delli Copati” alberato con “sicomis, fiquibus, vitibus”, posto nel territorio di Policastro, confine il “flumen Soleum” e le terre che ancora possedeva Joannes Baptista Rogerio. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 803, ff. 117-118v. 20 gennaio 1647. La vedova Delia Callea assieme a Laura Guarano e Joannes Bernardino Accetta di Policastro, in solidum, ricevono dal Rev.o D. Jo: Jacobo Aquila di Policastro la somma di ducati 80, impegnadosi a pagare l’annuo censo di ducati 8. Tra i beni stabili dotali posti a garanzia dalla detta Delia, troviamo il “Jardenum” detto “li copati seu Donna Dialta” posto nel territorio di Policastro arborato con sicomori, “Citrangulorum” ed altri alberi fruttiferi. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 806, ff. 011v-016. 13 ottobre 1647. Il C. Andrea de Cola di Policastro anche per parte di Jo: Thoma de Cola suo fratello, vende al Rev.o Clero Secolare di Policastro e, per esso, al Rev.o Paride Ganguzza “hodierno Comunerio”, l’annuo censo di ducati 5 per un capitale di ducati 50, obbligando alcuni beni che possedeva in comune ed indiviso col detto suo fratello, tra cui l’annuo censo di ducati 7 che pagava Delia Callea sopra il “Giardino delli Copati”. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 806, ff. 110v-112v. 22 agosto 1653. La v.a Delia Callea possiede il viridario detto “li Copati”. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 053-056.

[xxxix] Tra gli annui censi perpetui che la Mensa Arcivescovile di Santa Severina esigeva nel territorio di Roccabernarda, troviamo: “Dalla Mag.ca D. Maria Ceraldi per Censo sopra Soleo, Car.ni sedeci, e g(ra)na sette, e mezo, son once 005=17 ½.” ASCZ, Catasto Onciario di Roccabernarda, 1768, f. 290v.

[xl] La Mag.ca D. Maria Ceraldi della città di Santa Severina, vedova del quondam D. Vincenzo Infusino, possiede in territorio di Roccabernarda, “Un giardino detto Soleo, giusta il Fiume Tacina, e la Chiusa di Facerella di Tomasina Facente, di capacità tt.e trenta, di terra sotto acqua, alborata di più sorti d’alberi fruttiferi” e “Paga alla R(everendissi)ma Mensa Ar(civescov)ile di S. S(everi)na per censo enf(iteuti)co sopra Soleo an. Car.ni sedeci, e g(ra)na otto son on(ce) 5=18.” ASCZ, Catasto Onciario di Roccabernarda, 1768, ff. 233-233v.

[xli] Il semplice beneficio dotto il titolo di Santa Maria degli Angeli, eretto dentro la chiesa del convento di S. Francesco di Paola di Roccabernarda, possiede “due porz.ni di querceto d.o la Taverna” di capacità tomolate 25, “giusta il giardino di Soleo delli Sig.ri di Ceraldi. ASCZ, Catasto Onciario di Roccabernarda, 1768, f. 193.


Creato il 4 Dicembre 2019. Ultima modifica: 4 Dicembre 2019.

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