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capo colonna ruderi

Crotone, ruderi nell’area archeologica di Capo Colonna.

Città e cittadinanza

Il periodo che comprende all’incirca il primo secolo e mezzo di vita della città è sicuramente quello che, da un punto di vista delle cronache, ci fornisce i minori elementi per valutare gli avvenimenti che videro protagonisti i Crotoniati. Trovarci di fronte a questo sostanziale silenzio, non deve portarci a ritenere che il periodo, del resto così lungo, sia stato privo di avvenimenti importanti o che sia impossibile risalire a loro seguendo altre strade. Possediamo, infatti, una serie di informazioni, che ci consentono lo stesso di avere a disposizione un contesto abbastanza delineato. Esso riguarda, in primo luogo, la costituzione della città ed i rapporti che essa seppe creare con la sua realtà circostante.

“..la città resta una creazione storica particolare; non è sempre esistita, ma è cominciata a un certo momento dell’evoluzione sociale, e può finire, o essere radicalmente trasformata, in un altro momento. Non esiste per una necessità naturale, ma per una necessità storica, che ha un inizio è può avere un termine.” [1]

I Crotoniati, come del resto gli altri Greci che realizzarono la colonizzazione dell’Italia meridionale, furono tra i primi uomini che vissero in occidente secondo un’organizzazione cittadina, rendendosi autori della trasformazione del territorio da una situazione pre-urbana, fatta di villaggi, alla situazione urbana della città. Questo passaggio è molto sostanziale e non si esaurisce negli aspetti legati alla dimensione dell’abitato, ma riguarda essenzialmente la sua nuova organizzazione. In origine, tale organizzazione prese l’avvio dalla conquista del territorio, con la conseguente suddivisione del terreno coltivabile e di quello edificabile, in lotti uguali assegnati a ciascun componente della spedizione. Ciò con un preciso riferimento alla condizione d’uguaglianza dei coloni all’atto della fondazione, che si lega alla prerogativa greca che identifica la città con la sua cittadinanza, cioè con la comunità dei suoi cittadini. Ciò non vuol dire che i cittadini fossero tra loro uguali nel senso letterale del termine e che non esistessero differenziazioni. La loro uguaglianza era principalmente espressa dalla volontà di riconoscersi in una legge, che riassumeva le regole della loro convivenza ed andava a “costituire” una sorta di patto sociale, attorno al quale si strutturava la città. I Greci erano molto orgogliosi di quest’organizzazione, che definivano in qualche modo, come la loro libertà. Seppure non è difficile evidenziare in tale presa di posizione una notevole componente retorica, è comunque abbastanza utile tenerne conto, perché in essa si manifesta lo spirito che determinò la nascita della città. In ogni caso, ciò prescinde da principi di uguaglianza, intesi nel senso di una più ampia giustizia sociale, ma riguarda una serie di rapporti, essenzialmente di tipo economico, che un gruppo abbastanza ristretto di individui, seppe creare al suo interno e nei confronti di una discreta massa di sottoposti. Essere cittadino, godere cioè del diritto di cittadinanza, era una condizione che non riguardava tutti gli abitanti di una città, ma era riservata ad un gruppo più o meno ristretto rispetto a tutta la popolazione residente e che naturalmente riguardava solo gli uomini, con la esclusione delle donne e di quelli che non avevano ancora raggiunto l’età adulta. In ogni città greca gli abitanti erano essenzialmente appartenenti a tre gruppi distinti: gli individui di condizione libera, gli schiavi ed i meteci. Questi ultimi erano stranieri, ai quali potevano essere accordati alcuni diritti da parte della città che li ospitava e nella quale risiedevano più o meno stabilmente. Gli schiavi, invece, erano individui completamente privi di diritti e, seppure questa loro condizione li ponesse ai margini della società, dobbiamo sforzarci di pensarli attraverso una visione diversa da quella che ci porta alla mente i negri che, nel secolo scorso, lavoravano nei campi di cotone degli stati americani del sud. Sappiamo, infatti, che quando essi svolgevano il duro lavoro dei campi, lo facevano al fianco dei loro padroni, per i quali questa attività rappresentava la principale occupazione. Oltre a rappresentare una forza lavoro a servizio dei padroni ed a costituire una loro proprietà, gli schiavi, assieme ai meteci, costituivano la maggioranza della classe degli artigiani e dei commercianti, alla quale solo marginalmente aderivano i cittadini. Possiamo quindi affermare che la condizione di schiavo non era tanto legata alla possibilità di subire forme di brutalità (che potevano benissimo verificarsi), ma al fatto di vivere in stato di completa sudditanza e con l’esclusione da qualunque forma di partecipazione alla vita pubblica. Se questa era la condizione dello schiavo, naturalmente opposta era quella di chi viveva in piena libertà. Tale prerogativa era alla base della possibilità di ottenere il godimento dei pieni diritti politici (il diritto di cittadinanza), ma non era da sola sufficiente. Nell’epoca più antica, la condizione di cittadino era attribuita tra i Greci secondo requisiti diversi a seconda delle città, tra i quali il principale era comunque il possesso della terra. I cittadini erano dunque i proprietari terrieri che lavoravano direttamente la terra con l’aiuto degli schiavi e che, in caso di bisogno, si impegnavano a difenderla costituendo l’esercito. Possiamo quindi identificare i primi Crotoniati, come del resto tutti gli antichi cittadini greci, come dei contadini militarizzati, ruoli che, a ben vedere, rappresentano due facce di una stessa medaglia. Solo i possessori della terra, in virtù del diritto conferito da questo possesso (la cittadinanza), erano legittimati ad avere la parola e a poter influire sulle scelte comuni. Tale potere che si manifestava sia nei confronti degli altri abitanti della città che, eventualmente, verso altri gruppi sociali esterni ad essa, aveva bisogno di essere mantenuto contro indesiderate intromissioni, e ciò implicava che la forza militare della città fosse costituita essenzialmente dalla sua cittadinanza. Ne consegue che le dimensioni di questa cittadinanza erano necessariamente contenute e rigidamente mantenute, perché i detentori di questo potere, per motivi naturali ed intuibili, avevano poca voglia di dividerlo con altri.

 

Istituzioni e forme di governo – le basi di una società aristocratica

Se quelle che abbiamo descritto, possono essere considerate solo delle caratteristiche generiche che individuano un tipo di organizzazione che poteva articolarsi anche in forme molto differenti, particolari condizioni si rendono manifeste nella realtà che portò alla formazione di Crotone e delle altre colonie greche d’occidente. In primo luogo, come abbiamo sottolineato, ci troviamo di fronte ad una serie di nuove fondazioni da parte di individui che, a prescindere dalla loro patria di origine, avevano costituito delle nuove comunità, politicamente autonome e sganciate da quest’origine. Tale evidenza presenta aspetti molto particolari proprio nel caso di Crotone perché, come è stato posto in evidenza[2], la fondazione della città fu realizzata da individui che provenivano da un’area (l’Acaia peloponnesiaca) dove, al tempo, non solo non si era ancora realizzata una realtà urbana, ma dove tale realtà si affermerà solo diverso tempo dopo. Questa constatazione ci permette di porre in corrispondenza diretta colonizzazione e nascita della realtà urbana, permettendoci di affermare che quest’ultima, in definitiva, appare come una conseguenza della prima. La natura stessa di questa fondazione e della complessa impresa che i suoi autori dovettero realizzare, ci permette poi di affermare che i coloni costituirono necessariamente un gruppo sociale di individui di pari condizione (la prima cittadinanza dei Crotoniati), in virtù del fatto che ciascuno aveva partecipato e combattuto per la conquista e la costituzione della nuova patria. Tale prerogativa fondamentale spettante ai fondatori, veniva in seguito ereditata dai discendenti, che ricevendo la proprietà terriera dei padri, ne ricevevano naturalmente anche tutti i diritti derivanti. In questo modo, attraverso le generazioni future, la cittadinanza aveva la possibilità di perpetuare se stessa, costituendo una vera e propria casta dominante della quale facevano parte solo gli aristocratici, gli aristoi, che significa letteralmente “i migliori”. Questa cittadinanza si riuniva in un’assemblea dove le decisioni venivano assunte a maggioranza e che, secondo la tradizione, sarebbe stata composta da mille individui[3]. Quest’organismo escludeva gli elementi subalterni dell’organizzazione cittadina (gli schiavi ed i meteci), ma allo stesso tempo limitava anche i diritti di chi era di condizione libera visto che la discendenza coloniale manteneva una serie di privilegi e precludeva ad altri di entrare nel numero chiuso dell’assemblea, che andava a configurarsi come un vincolo della costituzione della patria[4]. Oltre ad entrare nel merito delle questioni che riguardavano la vita della comunità, l’assemblea aveva anche il compito di designare al suo interno una serie di magistrati, relativamente ai quali esistono alcune indicazioni generiche in un frammento di Timeo tramandato da Ateneo[5]. Come comunque avveniva in altre realtà del mondo greco, possiamo immaginare che esistessero a Crotone diverse figure di questo tipo che su mandato della città e per un certo tempo, svolgevano diverse funzioni di interesse pubblico. In maniera individuale, oppure collegialmente, essi potevano essere incaricati di amministrare la giustizia, di occuparsi della gestione dei santuari e di attività d’interesse pubblico o, in caso di bisogno, di assumere il comando della guerra.

 

L’area urbana

La città greca non era qualcosa di paragonabile ad una moderna. Essa, a differenza di quelle nelle quali oggi viviamo, non costituiva la provincia o la capitale di una nazione, essa era tutta la nazione, tutto lo stato: dicendolo in greco era una polis. Ciò è maggiormente comprensibile se si pensa che la polis, oltre a comprendere generalmente un’area urbana principale (asty), associava allo stesso tempo tutto un territorio (chora), dove potevano esistere una serie d’insediamenti minori e di fattorie e dove comunque si trovavano i campi coltivati. Accanto a quest’estensione territoriale, per le esigenze più diverse, la città estendeva la sua influenza e quindi un suo controllo, su di un’area più vasta che comprendeva i pascoli e i boschi, le vie di comunicazione, le aree di approdo o quelle dove si realizzava il reperimento delle materie prime. Dalle indagini ed in base agli scavi realizzati, sappiamo che l’area urbana della città greca occupava lo stesso luogo di quella moderna. Sappiamo anzi che l’area antica era sensibilmente più vasta, estendendosi tanto alla destra che alla sinistra del fiume Esaro, che la divideva a metà[6]. Quest’area non deve essere considerata come una superficie coperta da costruzioni sin dal periodo più antico, ma solo come suscettibile di diventarlo. Gli Achei, infatti, pianificarono la sua realizzazione attraverso una definizione dello spazio che tenesse conto di un possibile sviluppo nel tempo ed in considerazione di una serie di precise destinazioni d’uso, dimostrando come nella loro mente fosse ben chiaro non solo l’assetto dell’abitato, ma anche il ruolo che la città avrebbe dovuto svolgere nel tempo a venire. Ciò risalta dalla stessa ubicazione che gli Achei individuarono per il loro nuovo insediamento. Crotone fin dalla sua fondazione si gioverà di una posizione molto felice, più volte ribadita[7] e testimoniata dall’antica frequentazione del luogo che è proseguita fino ai giorni nostri. Le ragioni di questa frequentazione così lunga ed ininterrotta, sono da ricercare nelle caratteristiche del luogo che, per la sua posizione, permette un controllo strategico dei movimenti costieri lungo l’arco ionico ed allo stesso tempo, di quelli terrestri verso il Tirreno. Crotone si poneva in connessione diretta per i navigatori che provenivano da oriente e si muovevano lungo la rotta occidentale e disponeva di un retroterra dalle numerose risorse che potevano certamente assicurare il pieno soddisfacimento delle esigenze della nuova comunità. Per realizzare le loro case, gli Achei prescelsero la pianura costiera dominata da alcune alture attorno alla foce del fiume Esaro. Tenendo conto delle caratteristiche del luogo, l’abitato fu organizzato attraverso un sistema composto da alcune strade principali parallele alla linea di costa, incrociate a distanze regolari, da strade d’ordine secondario. Questo reticolo di vie delimitava gli isolati, all’interno dei quali trovavano posto le costruzioni. Tale sistema consentiva di definire gli ampliamenti futuri che sarebbero poi avvenuti lungo i prolungamenti degli assi stradali principali, ed in vista di ciò ampio spazio rimaneva quindi libero senza costruzioni. Seppure l’indagine archeologica non ci permette ancora di conoscere nel dettaglio molti aspetti particolari di quest’abitato, è possibile avere un’idea dei suoi limiti osservando la localizzazione delle aree destinate alla sepoltura dei morti (necropoli). Per esigenze di culto, esse si trovavano al di fuori e nelle immediate vicinanze dello spazio urbano, in corrispondenza delle vie e degli accessi principali. A riguardo dell’individuazione topografica dell’area urbana della città, sono da considerare molto importanti le testimonianze secentesche del Nola Molise[8]. Le sue indicazioni insistono nel riconoscere tre nuclei principali ricadenti nel tessuto urbano della città: il colle Caudino (l’attuale collina della batteria), il colle la Rotonda (Cimone Rapignese) ed il colle della Cappellina sul quale sorge oggi la parte più elevata del centro storico, identificabile con la timpa della Capperrina. La sostanziale coincidenza tra l’area identificata dal Nola Molise e quella delimitata dalla localizzazione delle necropoli, consente di poter circoscrive l’area urbana della città. Tenendo conto della natura e delle caratteristiche dei luoghi, gli Achei pianificarono l’impianto della loro città, in maniera tale che essa soddisfacesse le esigenze abitative del singolo prevedendo per tempo una serie di spazi pubblici funzionali alla collettività. Ciò non significa che fin dai primi momenti i coloni realizzassero le imponenti opere che caratterizzeranno la città nelle epoche successive, ma solo che essi pianificarono lo spazio disponibile. Si trattava di quello destinato alle sepolture dei morti e di quello relativo ai santuari delle divinità cittadine, alcuni dei quali sorsero in un grande spazio aperto (la piazza o agorà) che era posto in una posizione centrale e rappresentava il luogo di mercato e di incontro destinato agli scambi ed alle riunioni. In posizione dominante rispetto alla campagna ed alla marina[9], sorgeva l’acropoli che, con funzioni analoghe a quelle rintracciabili in altri casi, rappresentava una rocca munita in vista di una difesa estrema. Essa occupava le alture che attualmente ospitano la parte più elevata del centro storico, mentre in prossimità dell’Esaro[10] si trovava il porto che sfruttava il tratto costiero tra la foce del fiume ed il promontorio[11].

 

Il territorio della città

Aver tratteggiato, pur sommariamente, la dimensione urbana della città, non rende pianamente evidente l’impatto che la sua fondazione determinò nella nuova realtà. Con i loro arrivo, infatti, gli Achei non solo si impadronirono del suolo che serviva come residenza, ma dovettero reperire nelle vicinanze dell’abitato il terreno coltivabile necessario alle loro esigenze. Bisognava poi controllare adeguatamente le vie di comunicazione terrestri e marittime, le aree di pascolo e, non ultime, quelle dove venivano reperite le materie prime (pietra, legname e metalli). La nostra premessa apre dunque alcuni interrogativi. Quale estensione ebbe questo territorio durante la fase che stiamo trattando? Quali forme i Crotoniati utilizzarono per controllarlo ed in che modo essi vi si distribuirono? Ed inoltre, con quale o con quali rapporti essi attuarono la loro convivenza con i loro vicini? Per risalire a questo contesto, in primo luogo, prenderemo o, meglio, riprenderemo in considerazione i culti cittadini più antichi. Tale aspetto è veramente determinante per capire gli avvenimenti pertinenti a questa fase, sia perché nella società greca gli aspetti religiosi erano intimamente legati a quelli politici, sia perché la nascita della civiltà urbana determinò una rielaborazione dell’immaginario religioso dei Greci che fu adattato e modellato sulla nuova realtà sociale appena costituita. Dato che ogni città aveva una propria organizzazione politica ed un suo ambiente sociale e naturale, aveva di riflesso anche una propria organizzazione della vita religiosa. Ogni città aveva un pantheon, un gruppo particolare e complesso di divinità, che rifletteva le caratteristiche della comunità che lo aveva immaginato e quelle del luogo che l’aveva accolta.

 

Hera, divinità poliade degli Achei

Per quanto riguarda il pantheon dei Crotoniati, possiamo dire che il culto più importante e più antico di cui abbiamo notizia è quello di Hera, che può essere riconosciuta come la divinità poliade (protettrice) della città. Ciò si evidenzia anche nel caso di altre colonie achee come Sibari e Metaponto, dove il culto di Hera si lega alle origini di queste città. Nel caso di Poseidonia l’avvento della divinità è posto, addirittura, in relazione alle vicende degli Argonauti, ai quali la tradizione fa risalire la costruzione del tempio di Hera Argiva alla foce del Sele, con un riferimento al patrimonio religioso degli Achei dell’epoca micenea. Per quanto riguarda la sua antichità, possiamo dire che questo culto, così come lo conosciamo in epoca storica, ha una sua ascendenza in una religiosità più remota, che si riferisce ad una divinità femminile ancora più arcaica. Tale divinità può essere identificata nella figura della dea Madre che non rappresenta un aspetto esclusivo della religiosità dei Greci, ma si ritrova nelle mitologie di diversi popoli della terra. L’importanza della dea Madre è comunque evidente nelle antiche culture del Mediterraneo, dove essa si pone come una delle divinità principali, attraverso cui si rappresenta il principio universale della fecondità e quindi la terra con le qualità generative e si rende conto del racconto mitologico dell’origine dell’uomo e del suo primo apparire nel mondo. Nelle civiltà di tipo agrario, la dea Madre s’identifica dunque con la terra con l’essenza stessa della natura, la rigenerazione ciclica, l’origine delle piante e dei frutti che consentono la sopravvivenza degli esseri umani e degli animali.

 

Il santuario di Hera sul capo Lacinio

Il santuario di capo Lacinio è sicuramente uno dei luoghi sacri più antichi e più importanti legati alla presenza di Hera sul territorio della città, come ci è testimoniato dai richiami della tradizione[12] e dalla stessa ambientazione dei miti di fondazione. Quest’importanza, abbondantemente testimoniata anche dalla ricerca archeologica e riferibile ai primi momenti di vita della città, è in relazione al controllo strategico che il promontorio Lacinio realizzava sul percorso della rotta occidentale, ed a una serie di significati che cercheremo di evidenziare, facendo tesoro degli aspetti del culto di Hera che abbiamo già cominciato a scorrere e soffermandoci su alcune caratteristiche degli edifici che lo componevano. Diciamo, innanzi tutto che, parlando del santuario, dobbiamo sforzarci di spostare la nostra attenzione dai resti del tempio al quale appartiene la colonna superstite, a tutta l’area che oggi accoglie i ruderi che coprono la punta estrema del promontorio. Un santuario, infatti, era sostanzialmente un’area consacrata ad una o più divinità che poteva prevedere la presenza di un tempio e di altre costruzioni o, più semplicemente, solo una delimitazione del terreno che s’intendeva dedicare alla divinità. Tale area (temenos) era nettamente distinta da quelle pertinenti ad ambiti diversi, attraverso confini sacri che erano tracciati molto precisamente sul terreno. Da un punto di vista religioso, ma anche sociale e politico, ogni santuario rappresentava la meta delle feste che si realizzavano in onore delle divinità ed era il luogo dove si svolgeva il rito in loro onore. A differenza delle situazioni che ci sono più familiari, tali riti avvenivano nello spazio aperto e non all’interno del tempio che, se presente, faceva bella mostra solo con la sua architettura esterna. Quest’ultimo era considerato la casa della divinità cui era dedicato, nella quale veniva conservata una statua o qualche altra sua rappresentazione. Questo simulacro era riposto nella parte più interna del tempio che era inaccessibile ed interdetta a chiunque, salvo in occasione della festa quando era esposto. Il rito iniziava con un corteo nel quale trovavano posto tutti i cittadini e dove le autorità e le personalità più importanti avevano un posto chiaro e visibile. La cerimonia era una riunione collettiva e costituiva un’occasione nella quale ciascuno affermava ed esibiva il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione cittadina. Essa serviva, inoltre, a rappresentare il legame che i cittadini avevano con il loro territorio e con le divinità che ne garantivano la tutela. Tale rappresentazione trovava il suo culmine all’interno del santuario dove, al termine del corteo, si predisponeva e si realizzava il sacrificio: la parte fondamentale del rito. Il sacrificio consisteva nell’uccisione di un animale su un altare posto all’aperto (nelle occasioni più importanti uno o più bovini), dove alcune parti venivano bruciate ed in questo modo offerte alla divinità, mentre il resto veniva cucinato e mangiato dai partecipanti. Dato che tutti i cittadini partecipavano a questo pranzo in comune, diciamo che ciò ribadiva e rappresentava il legame che li univa come comunità nell’ordine politico della città. Ritornando alle caratteristiche del santuario di Hera al capo Lacinio, e facendo riferimento alle epoche più antiche, gli archeologi individuano nell’edificio B, il primo ed originario luogo di culto della dea (primo quarto del VI secolo)[13]. Gli importanti e preziosi ritrovamenti hanno permesso di evidenziare il suo ruolo particolare che, comunque, è possibile mettere in luce anche attraverso scoperte di minore valore oggettivo, ma di notevole importanza in relazione alla possibilità di ricostruire la fase più antica di occupazione del promontorio da parte dei coloni. In particolare, esse riguardano un “cippo” e ciò che è stato chiamato “il basamento quadrato”, quest’ultimo interpretato come la base sulla quale avrebbe trovato posto il simulacro della dea[14]. La presenza di questo cippo preesistente all’edificio[15], e il fatto che il basamento risulti eccentrico rispetto all’asse mediano di quest’ultimo, rispettando, con piccoli adattamenti, dei limiti posti sul terreno in precedenza[16], stanno a significare che nella realizzazione dell’edificio B, costruito successivamente attorno a questi elementi, gli Achei tennero in debita considerazione una serie di punti limite che hanno fortemente condizionato la sua realizzazione. Questi limiti che, considerato il contesto, devono essere riconosciuti come limiti sacri, sono relativi ad una fase precedente all’organizzazione monumentale del santuario. Essi rappresentano dei segni riferibili alla sacralizzazione dell’area conseguente alla fondazione che, per quanto abbiamo detto in precedenza, vanno a ricalcare la tomba (vera o presunta) degli eroi fondatori che legittima l’avvenuta conquista. Il processo di acquisizione che investe questo luogo, al quale sono riferiti i miti di fondazione che vedono protagonista Ercole e al quale la tradizione lega la morte di Crotone e di Lacinio e la tomba di Achille, si articola in più fasi. Secondo uno schema consueto, successivamente, il terreno che ospita la tomba dell’eroe diviene punto di riferimento per il culto delle divinità olimpiche. La tradizione relativa al Lacinio[17] riferisce, infatti, che esso sarebbe stato dato in dono ad Hera da Theti, madre di Achille, sottolineando, in questo modo, il passaggio tra la fase eroica degli eroi fondatori e il sorgere dei culti civici della città. In sostanza, possiamo quindi dire che i segni ritrovati dagli archeologi nell’edificio B, testimoniano un’operazione di marcatura del territorio che è possibile far risalire all’epoca di fondazione della città e che si realizzò attraverso la sacralizzazione di un’area, la cui importanza è da mettere in relazione al controllo del territorio. In questo senso è possibile identificare altre aree con caratteristiche simili a quella descritta.

 

La tutela di Hera sul territorio della città

Un altro aspetto del culto di Hera che deve essere messo in evidenza (al fine di evidenziare il suo legame con la costituzione della città) è rappresentato dal fatto che, nella visione religiosa dei Greci, essa rappresenta la divinità garante del matrimonio ed, in particolare, della legittimità dell’unione matrimoniale. Tale legittimità è da porre in relazione al fatto che il matrimonio darà luogo alla nascita di figli legittimi che avranno tutti i diritti legati a tale prerogativa. Nella mitologia greca Hera rappresenta la sposa legittima di Zeus. Queste caratteristiche chiariscono ulteriormente le ragioni che determinarono l’adozione del culto di Hera da parte degli Achei. Ciò avvenne perché l’aspetto di legittimità legato al matrimonio è connesso con la costituzione della città e con la sua perpetuazione, legandosi alla nascita delle generazioni future che potranno far valere i diritti acquisiti dai coloni attraverso la conquista. In questo senso, il culto si lega alla tutela dello spazio territoriale della città, ma non solo, perché esso servì a regolare anche il rapporto di vicinato con i barbari che continuarono a vivere in alcune aree comunque esterne alla città. Ma andiamo con ordine. Da alcuni ritrovamenti archeologici, sappiamo che Hera veniva venerata al capo Lacinio come eleutheria (liberatrice). Quest’attributo è in relazione ad un aspetto molto importante legato al diritto di asilo di cui godeva il santuario. Il diritto di asilo, (asylia) faceva sì che in quest’area, consacrata alla dea e considerata extraterritoriale, si potesse godere della protezione della divinità ed essere considerati inviolabili. Bisogna pensare che, quasi fino ai giorni nostri, chiunque poteva rifugiarsi in una chiesa ed appellarsi all’inviolabilità del luogo sacro per non potere essere perseguitato dalla legge. Quest’inviolabilità garantita da Hera è rappresentata nel racconto di Livio, quando egli riferisce che, sotto la protezione della dea, tutti gli animali potevano pascolare liberamente nel suo bosco sacro senza subire attacchi dagli uomini o dalle fiere e che, alla sera, essi ritornavano ordinatamente e per ciascuna specie ai propri ricoveri[18]. Il quadro che è possibile recuperare dalla rappresentazione fornitaci da questo racconto, mette in evidenza che l’azione della divinità (la protezione degli animali), avviene in un contesto che non è quello della città. Tale azione si materializza in un ambiente selvaggio (il bosco) che allude ad un’area non abitata da Greci (e quindi selvaggia) ma da soggetti (gli animali), sui quali, in ogni caso, ricade la protezione di Hera. Il riferimento è dunque ad un’area abitata dai barbari che vivono la loro esistenza sotto tutela degli Achei che, nei loro confronti, esercitano una protezione garantita dal diritto di asilo concesso da Hera. Questa condizione che prevede l’inviolabilità dei barbari, è legata all’accettazione dell’autorità religiosa della dea che, in poche parole, sottintende l’accettazione dell’autorità politica dei Crotoniati. Chi vuole godere dell’asilo, come abbiamo detto, deve mettersi sotto la loro protezione che materialmente si realizza quando si varcano i confini sacri del santuario. Se riflettiamo, capiamo che l’autorità di Hera non si limita solo all’area sacra del santuario, ma si estende a tutto il territorio della città, perché Hera rappresenta la divinità poliade: la divinità che rende sacro l’ordine politico della città. Anzi, come evidenzia il racconto di Livio, la sua autorità supera questi limiti e raggiunge il territorio abitato dai barbari. Non a caso, i santuari di Hera che sono stati individuati si trovano localizzati sui confini della città, perché essi rappresentano dei punti di frontiera vigilati dalla divinità che sovrintende sul loro rispetto. Con la stessa funzione, infatti, anche gli altri Achei costruirono dei santuari dedicati ad Hera ai confini del loro territorio, come è stato evidenziato a Poseidonia e Metaponto. Attraverso il culto di Hera è quindi spiegabile quale tipo di strategia i Crotoniati adottarono per controllare il territorio che serviva alle loro necessità, dove si realizzavano importanti attività economiche, tra le quali la principale era la pastorizia. Gli Achei permisero ai barbari di continuare a vivere nei loro villaggi godendo di una pace garantita ma vigilata attentamente, come si desume da un altro attributo della divinità. Hera, infatti, viene anche ricordata come hoplosmia[19], la dea guerriera armata di scudo (hoplon), cosa che vale ad indicare che i Crotoniati sono pronti a scendere in guerra se l’autorità di Hera viene messa in discussione. In questo caso è possibile evidenziare che la violenza con la quale gli Achei imposero ai vicini la loro presenza, non appare circoscritta al momento del loro arrivo, ma rimase a caratterizzare il tipo di rapporto che fu instaurato successivamente, come evidenziano gli attributi di Hera. Tale rapporto non fu generalizzato, come avremo modo di vedere e come sinteticamente già si percepisce dai miti di fondazione, dove risalta la netta differenza che la tradizione riconosce alle figure di Lacinio e di Crotone. Un’ultima considerazione riguarda il sacro bosco di Hera[20] che si individua come un ambiente esterno ai confini politici della città abitato dai barbari. Tale ambiente, pertinente ad Hera, non appare limitato nei confini del santuario, ma ai suoi confini, come c’indicano le caratteristiche del culto che abbiamo evidenziato. Lo stesso Livio lo riferisce esplicitamente, quando afferma che esso era “sacro per tutte le genti della regione[21]. Ciò ci permette di individuarlo nel vasto retroterra della città ed identificarlo con la grande superficie boschiva che l’occupava un tempo[22]. In questo senso, la stessa situazione si evidenzia ad ovest della città, dove il grande bosco della Sila rappresenta un’area con caratteristiche analoghe alla precedente.

 

Città, territorio ed aree d’influenza

Per quanto detto, siamo finalmente in grado di abbozzare una topografia del territorio politicamente soggetto alla città (polis) che, a questo punto, coincide con il territorio protetto da Hera ed a lei consacrato. Esso comprende il tratto costiero fino al capo Lacinio, estendendosi nell’interno limitatamente ad alcune aree d’interesse strategico per il controllo delle principali vie di accesso alla città e al suo spazio agrario. Tale situazione è identificata dal santuario di Hera in località Giammiglione di Crotone e da quello di località S. Anna di Cutro[23]. A questi si aggiungono, con funzioni analoghe, il santuario di Hera di loc. Timpone del Gigante a Cotronei (prima metà del VII secolo a.C.), e quello che doveva sorgere a S. Pietro in Niffi, in prossimità del più importante guado del Tacina. Il primo posto lungo l’asse stradale interno che raggiungeva il Tirreno partendo dalla vallata del Neto, il secondo lungo la via che raggiungeva l’istmo di Catanzaro[24]. Appare dunque, come il territorio soggetto agli Achei comprendesse due tipi distinti di aree che differivano tra loro per una diversa giurisdizione operata dalla città. Le prime (polis) erano quelle dove gli Achei abitavano un nucleo urbano principale (asty) e forse una serie di insediamenti minori[25], la cui formazione è però da ritenersi pertinente ad epoche successive. Si tratta di realtà comunque ricadenti in un territorio (chora) dove si estendevano i campi coltivati e che comprendeva i principali punti di controllo delle vie di comunicazione, segnalatici dalla topografia dei luoghi e da una serie di santuari di confine. Superati tali confini che rappresentavano l’estensione politica della città, troviamo le aree dove gli Achei non realizzarono insediamenti, ma che furono poste sotto un loro rigido controllo. Ciò avvenne attraverso la creazione di uno spazio extraterritoriale, dove la presenza dei barbari fu consentita in virtù di una condizione di asilo garantita dagli Achei. Esse sono: l’altipiano di Isola, con i suoi approdi e le sue cave di pietra da costruzione così necessaria alla città e la Sila, dove si realizzavano tutta una serie di attività legate allo sfruttamento della montagna tra cui spicca l’allevamento. Sorprendentemente, tale situazione è ancora segnalata dai toponimi attuali che fanno riferimento alla condizione di asilo. Da asylia deriva l’attuale Isola C.R.[26] mentre, viste le analogie, possiamo ritenere che, anche in assenza di una citazione esplicita, la stessa origine abbia la Sila, il territorio boschivo che, assieme al precedente, circonda a sud ed ad ovest quello della città.

 

La Terra dei Choni

Anche a nord della città abbiamo un chiaro riscontro a questa situazione, anche se quest’area presenta una situazione più articolata. Partendo dalla città e proseguendo verso nord, ci addentriamo al di là dal fiume Neto, nell’area abitata dai Choni, la cui organizzazione urbana è posta in relazione al mito di Filottete. L’interpretazione degli studiosi in merito alle notizie riferite all’identificazione delle città dei Choni è stata e rimane controversa. Per quanto ci riguarda, non cercheremo nemmeno di attribuire un’ubicazione ai centri ricordati dalla tradizione letteraria. La cosa che ci sembra invece possibile è quella di stabilire il tipo di rapporto che la città instaurò con essi. Tale rapporto deve essere stato profondamente diverso da quello che abbiamo descritto precedentemente, perché in questo caso non troviamo più tracce del culto di Hera, ma appare molto significativamente quello di Apollo. Cerchiamo di capire la differenza. Le caratteristiche di questo culto sono in parte già state sottolineate, quando abbiamo cercato di analizzare il ruolo dell’oracolo delfico nella fondazione. Esso rappresenta il dio dell’intelletto e della ragione, il suo ruolo sovrintende a ciò che implica la comprensione delle cose. Quest’aspetto è radicalmente diverso rispetto a quanto descritto per Hera, che esprime una tutela unilaterale da parte degli Achei che non implica mediazioni. Questa differenza spiega il ricorso ad un culto diverso. Ciò avvenne perché in quest’area di confine giungevano non solo gli interessi dei Choni, ma anche quelli di un potente vicino quale era Sibari. Che le cose da questa parte siano andate diversamente rispetto a quanto abbiamo evidenziato nelle aree a sud e a ovest di Crotone non deve sorprendere. La tradizione, seppure deve essere interpretata alla luce di una ricostruzione greca tendente a salvare le apparenze, non solo attribuiva ai Choni una remota origine greca, ma elaborò anche degli episodi specifici per quest’area, come abbiamo potuto evidenziare a proposito del mito di Filottete e a riguardo del passo di Strabone che ambienta alla foce del Neto lo sbarco degli Achei[27]. Che la tradizione si esprima in questi termini è imputabile a precise ragioni di convenienza dato che, viceversa, sappiamo che l’argomento sarebbe stato sostanzialmente taciuto. Queste ragioni possono essere ricondotte all’interesse concomitante di Crotone e di Sibari di controllare questa vasta area senza creare attriti pericolosi. Il territorio dei Choni, interposto tra le due città achee, venne quindi utilizzato come un’area cuscinetto che, fatte salve alcune prerogative dei barbari residenti, andò a costituire un’area controllata dagli Achei ma non occupata fisicamente. Non a caso qui è stato rinvenuto il santuario di Apollo Alèo, cui allude uno degli oracoli di fondazione, i cui ruderi sono stati individuati in località Isola di S. Pietro a punta Alice presso Cirò Marina. In questo caso le caratteristiche di extraterritorialità dell’area sono evidenziate dall’epiclesi (Alèo) che evidenzia la condizione di asilo garantita dalla divinità[28] alla quale si riferisce la toponomastica medievale e quell’attuale del luogo[29]. Come vediamo, pur in presenza di una divinità diversa, la sua funzione è quella di garantire l’extraterritorialità e l’inviolabilità dell’area e dell’accordo che consentì la consacrazione e l’erezione del santuario. Anche in questo caso le caratteristiche di Apollo rispecchiano la situazione che abbiamo illustrato per Hera. Come essa ammonisce da qualsiasi violazione a proposito del suo aspetto guerriero (hoplosmia), e concede asilo a chi si mette sotto la sua protezione (eleutheria), così Apollo esprime queste due caratteristiche ma, analogamente a quanto abbiamo evidenziato nei rapporti intrecciatisi tra le colonie durante la fondazione, la sua azione coinvolge una realtà mediata che interessa i Greci. Ciò risalta dalle caratteristiche proprie di questo culto, evidenziate dagli attributi che la tradizione gli riconosce, raffigurandolo con la lira in una mano, simbolo delle sue capacità di raggiungere la mente degli uomini attraverso la ragione, mentre regge nell’altra l’arco con il quale punisce chi viola il suo volere divino. In questo caso proprio un episodio successivo che, presso il santuario, riferisce la sottrazione delle frecce di Filottete da parte dei Crotoniati[30], testimonia, come vedremo, la fine del rapporto che abbiamo descritto. Se nell’atto della consacrazione-fondazione sono simbolicamente racchiusi gli elementi relativi alla regolamentazione dei rapporti, in quello della sottrazione si evidenzia la loro rottura, attraverso il coinvolgimento dell’elemento (le frecce) che da sacralità a tutto l’avvenimento. Esso comunque, non è pertinente al momento che stiamo trattando, per i motivi che abbiamo esposto ed in relazione ai rapporti che implicavano Sibari, esso si riferisce alla fase che vedrà l’apertura di un conflitto tra Crotone e quest’ultima, e che avremo modo di valutare anche con riferimento ai fatti appena esposti.

 

Una società agraria

Avere esposto le modalità con le quali i primi Crotoniati si stabilirono nel territorio della loro città, ci consente ora di approfondire maggiormente la loro organizzazione sociale. Essa, in primo luogo, dimostra di riflettere le caratteristiche di una società di tipo agrario, in quanto, almeno durante l’epoca arcaica, i contadini erano a Crotone come in qualsiasi altra città greca, la maggioranza della società maschile e la totalità della casta dominante. I Crotoniati, come i contadini greci descritti da Esiodo nelle Opere e i giorni, coltivano la terra di loro proprietà, dalla quale traevano quanto serviva per vivere e dove erano impegnati con la loro famiglia e con un certo numero di schiavi. Accanto alla figura del contadino proprietario esisteva, comunque, anche quella del semplice lavoratore agricolo. I casi della vita portavano alcuni a dovere impegnare le proprie braccia in cambio di una retribuzione in natura, accettando una condizione che era considerata profondamente umiliante e lesiva della dignità dell’uomo. Considerando il particolare assetto delle città nella nuova realtà coloniale, il profilo dei contadini che la costituirono può essere meglio delineato, rispetto alle indicazioni generiche che abbiamo appena esposto. In primo luogo, la loro residenza in città determinava che i terreni dove si recavano a lavorare non fossero troppo distanti dalle loro case e fosse quindi possibile raggiungerli agevolmente. Non tutte le attività rurali potevano essere condotte dal singolo nel proprio podere, alcune, come ad esempio la pastorizia, imponevano spostamenti e lunghe residenze nelle aree di pascolo e per tale motivo erano affidate al personale di condizione servile. Ciò determinava che, da un punto di vista del suo sfruttamento, il territorio agrario fosse suddiviso in aree sottoposte a coltivazione ed aree non coltivate, nelle quali si svolgevano comunque una serie di importanti attività rurali. Le prime, subito fuori della città, erano state lottizzate tra i coloni al tempo del loro arrivo. L’attività principale che vi si praticava era quella legata alla coltivazione dei cereali (grano, orzo), in misura da soddisfare le esigenze della città e, nel caso si rendesse conveniente, di realizzare delle esportazioni verso altre aree dove tale coltivazione era meno redditizia o scarsamente praticabile. Si deve pensare che, per i Greci e per gli altri popoli antichi, la fertilità di una zona era legata essenzialmente alla possibilità di produrre cereali in misura adeguata, dato che questi generi costituivano la base della dieta alimentare del tempo. Essa contemplava anche l’uso di legumi e di diverse verdure, mentre altre produzioni erano legate alla coltivazione della vite e dell’olivo, oltre a diverse piante da frutto tra le quali una particolare importanza aveva il fico. Accanto a queste produzioni che ogni cittadino realizzava nel proprio podere, n’esistevano altre che si producevano in aree non coltivate e che rappresentavano una proprietà comune ed indivisa di tutta la città. Si trattava, in primo luogo, di attività legate alla pastorizia che davano la possibilità di sfruttare le grandi possibilità offerte dalle vicine aree boschive. L’altipiano silano permetteva di assicurare le esigenze di pascolo del bestiame, secondo una transumanza che, su brevi distanze, permetteva di garantire l’alimentazione degli animali a quote diverse per tutto il periodo dell’anno. Oltre a servire da pascolo, la grande foresta che si estendeva fino ai limiti coltivati del territorio della città, serviva a soddisfare le esigenze di legname per tutti gli usi e a fornire una miriade di altri prodotti (cacciagione, frutti, pece, etc.). L’articolazione di queste diverse produzioni rende evidente come i Crotoniati, anche continuando a svolgere il loro mestiere di contadini, riuscissero, allo stesso tempo, a controllare (individualmente o in maniera collettiva) attività diverse. Il fatto di avere attribuito loro un quasi esclusivo impegno agricolo deve essere considerata una generalizzazione. Seppure il contadino era capace di realizzare autonomamente gli strumenti o quant’altro necessario al proprio lavoro e alla vita della propria famiglia e solo raramente si impegnava in qualche scambio che si risolveva in un semplice baratto, possiamo dire che attorno ad esso gravitavano una serie di altre figure subalterne, greche e non (piccoli artigiani, mercanti, braccianti, pastori, etc.), i cui interessi erano in parte da esso stesso condivisi. Tale situazione traspare, per esempio, dalla capacità di questi contadini urbanizzati di instaurare, fin dai primi momenti, una serie di rapporti con realtà anche molto distanti, che rendono evidente la loro volontà di salvaguardare una serie di precisi interessi economici.

 

L’enclave achea

Oltre a considerare il territorio controllato dalla città in questo periodo, un’altra questione importante è quella di stabilire in che modo essa si rapportò con lo spazio esterno a questi confini. Non bisogna pensare che le colonie vivessero isolate nel proprio contesto ma, al contrario, le si deve immaginare capaci di affrontare, fin dai primi momenti, una serie di questioni impegnative anche in luoghi lontani. Ciò si rende evidente osservando come si sviluppò la colonizzazione in epoca arcaica, che privilegiò prima la nascita dei centri tirrenici di Cuma e Pithecussa, lo stretto e la costa orientale della Sicilia, evitando stranamente le rive dello Ionio che si trovano a portata diretta per chi proviene dalla Grecia. Tale sequenza, esattamente inversa rispetto a quanto sarebbe stato lecito attendersi, oltre a testimoniare il rispetto di direttive precise, evidenzia la volontà dei Greci di assicurarsi i punti fondamentali necessari al controllo del territorio. Tali intendimenti si rilevano anche dalle modalità con le quali si realizzò la colonizzazione dello Ionio che, da parte degli Achei, vide occupare quasi simultaneamente tutti i principali punti di passaggio terresti che conducevano al Tirreno (le cosiddette vie istmiche), in un’area abbastanza vasta che fu occupata in maniera omogenea con l’unica eccezione di Siris. Rimane evidente come gli Achei abbiano privilegiato un assetto delle loro città che, da una parte, gli permetteva, singolarmente, di occupare le aree chiave di questo ampio territorio e, dall’altra, complessivamente, di presidiarlo efficacemente nei confronti dei vicini in relazione alle opportunità di transito terrestri e marittime. Ciò dimostra ancora una volta che, al momento della fondazione, i Greci avevano un’idea ben chiara di come si sarebbero dovute inserire le loro città nel nuovo contesto. Esse sorsero in luoghi che, attraverso lo sfruttamento delle risorse agricole disponibili, permisero un pieno sviluppo delle comunità che accolsero, ottenendo, d’altra parte, il controllo delle principali vie di collegamento (cosa che presuppone anche un controllo dei traffici commerciali che vi transitavano). Ciò, ripetiamo, non avvenne per caso, ma secondo un piano preordinato mediato tra gli stati greci che, idealmente, fu realizzato nell’ambito sacro del santuario di Apollo a Delfi: la divinità che rintracceremo costantemente nei rapporti tra le colonie, sia quelli di mediazione politica riferiti alle sfere di influenza, sia quelli che sfoceranno in sanguinosi conflitti. In entrambi i casi, come vedremo, le tradizioni relative a questi avvenimenti faranno ricorso costante all’autorità del santuario di Delfi e alle prerogative di Apollo. Un così vasto controllo del territorio da parte delle piccole colonie, implicava che esse collaborassero attivamente nel mantenimento degli equilibri e giustifica gli avvenimenti successivi. Alla prima ondata coloniale, infatti, seguì molto presto un consolidamento delle posizioni conquistate che, da una parte, servì a presidiare più razionalmente il territorio e, dall’altra, a stabilire meglio i rapporti tra le diverse città. Già dai primi momenti esse si preoccuparono di garantirsi meglio le posizioni acquisite.

 

La fondazione di Caulonia

Anche in assenza di una citazione esplicita, la fondazione di Caulonia nei pressi dell’attuale Monasterace Marina (RC), è fatta risalire ad un periodo iniziale e solo di poco successivo alla prima ondata coloniale degli Achei[31]. Seppure non unanimemente, le fonti storiche attribuiscono la sua nascita all’opera o comunque alla volontà dei Crotoniati. La fondazione di Caulonia da parte di Crotone è citata esplicitamente dallo Pseudo Scimno[32], da Solino[33] e da Stefano Bizantino[34], mentre Strabone[35] e Pausania[36] la indicano genericamente come fondazione degli Achei. Quest’ultimo, riferisce che i coloni sarebbero stati guidati da Tifone, un capo spedizione che i Crotoniati avrebbero espressamente richiesto alla città di Egion. Anche Licofrone[37] conferma che Caulonia fu fondata da Crotone, e c’informa del fatto che essa fu realizzata sul luogo di una città preesistente che i Crotoniati avevano distrutto. Di questa città Stefano Bizantino riporta il nome del capostipite eponimo: Caulon figlio dell’amazzone Cleta[38]. Seppure questa tradizione non ci consente di appurare con assoluta certezza l’origine di Caulonia, ci permette, comunque, valutazioni in merito allo sviluppo territoriale che Crotone realizzò in questo periodo, dato che, a prescindere dai suoi fondatori, la nascita di Caulonia rientra nel quadro di un preciso assetto fortemente condizionato dagli stessi Crotoniati, come dimostra il fatto che essa visse le principali vicende successive secondo una linea di condotta strettamente legata agli interessi di questi ultimi. E’ presumibile, quindi, che seppure non furono direttamente i Crotoniati a fondare la città, essi ebbero certamente una parte importante nella sua nascita, come rivela Pausania quando cita il loro coinvolgimento nella richiesta del capo spedizione alla città di Egion[39]. L’avvenimento rientra nel quadro di un processo di consolidamento delle posizioni iniziali degli Achei che, accanto all’arrivo di nuove spedizioni composte da Greci di stirpe diversa, vide nascere in breve tempo, altre città che andarono ad occupare punti strategici molto importanti, in un momento nel quale le prime colonie non avevano sempre a disposizione risorse umane sufficienti per tali operazioni. Sibari, infatti, poco tempo dopo la sua fondazione, fece giungere nuovi coloni Achei che fondarono Metaponto, mentre sul Tirreno arrivò con propri coloni alla costituzione di Poseidonia[40], una vera e propria testa di ponte ai confini del territorio degli Etruschi. A questo processo poi non furono estranei gli appartenenti ad altre stirpi greche come gli Zanclei che da Calcide fecero giungere altri consanguinei per fondare Reggio, mentre altri nuovi arrivi portarono alcuni coloni ionici a fondare Siri ed altri di stirpe dorica a costituire Locri. In questo quadro trova collocazione la fondazione di Caulonia, realizzata o forse più probabilmente, solo promossa da Crotone. Considerando poi che questa fondazione avviene in un’area che valica quella di accesso alla via istmica, deve significare che anche in questa direzione i Crotoniati avevano già solidi interessi da difendere. La nascita di Caulonia rappresenta, infatti, una precisa mossa di questi ultimi tesa a controllare un vasto tratto della costiera ionica che coinvolge l’accesso alla via istmica e alle importanti risorse minerarie di quest’area[41]. L’avvenimento dimostra, dunque, la concretezza di tutta la questione relativa al controllo delle vie di comunicazione, e delle risorse alle quali davano accesso, che rappresentano un patrimonio che le città ebbero bisogno di presidiare già dai primi momenti successivi alla fondazione. Se ne deduce che già dall’inizio le città avevano una chiara organizzazione commerciale. Crotone, infatti, non fondò Caulonia per reperire altro terreno coltivabile e per dare sfogo alla domanda di terra di una parte dei suoi abitanti, ma per presidiare un’area mineraria importantissima e per difendere le principali vie di transito lungo le quali si svolgevano i propri commerci. In questo quadro si assiste poi ad una serie di avvenimenti successivi che, in corrispondenza degli sbocchi tirrenici delle più importanti vie di comunicazione, videro la nascita di una serie di città che vissero un’esistenza fortemente condizionata dagli stati greci da cui avevano preso origine. E’ il caso di Lao e Scindro, per quanto riguarda Sibari, di Pixunte base commerciale di Siris nel golfo di Policastro e delle colonie tirreniche di Locri. Quest’ultima realizzò una notevole espansione sul medio Tirreno, sia mediante la fondazione di Medma e Hipponion che attraverso l’assoggettamento di Metauro. Seppure le date di fondazione di tutti questi centri sono molto controverse, e se i ritrovamenti archeologici sembrano indicare cronologie differenti ed in alcuni casi riferibili al VI secolo, è da ritenersi che si tratti comunque di aree entrate nel controllo delle metropoli di origine durante il processo di acquisizione del territorio nelle fasi immediatamente successive all’arrivo delle spedizioni coloniali. E’ il caso di altre colonie che sono ricordate nel dominio dei Crotoniati come Scylletium e Terina. Seppure la costituzione di una vera e propria realtà urbana non sembra anteriore al VI secolo per Scylletium[42] e tra la fine del VI e l’inizio del V per Terina, è comunque immaginabile che le aree in cui sorsero fossero entrambe controllate da Crotone, o comunque di suo sicuro accesso, dato che diversamente non troverebbe ragione la fondazione più antica di Caulonia. Ciò comunque, deve essere inteso come la capacità della città di interagire con la realtà circostante in maniera flessibile e diversificata, stabilendo forme di controllo del territorio che tenevano conto sia della pianificazione imposta dall’oracolo di Delfi ed in questo caso delle altre colonie vicine, sia degli articolati rapporti che fu possibile instaurare con i barbari. Esprimendo una valutazione d’insieme, possiamo dire che la società crotoniate del tempo era certamente una società agricola, nel senso che era basata principalmente sugli interessi di uomini dediti al lavoro della terra, il cui possesso risultava determinante per ottenere i diritti politici. Allo stesso tempo però, essa comprendeva classi dedite al commercio ed all’artigianato che, seppure in questo primo periodo rimasero subordinate alle volontà decisionali della classe agricola, sfruttando le grandi risorse del territorio, riusciranno ad avere un tale impulso nel corso degli anni da determinare, da una parte, la floridità della città e la sua crescita demografica e, dall’altra, una serrata lotta interna per il potere.

 

Alcune questioni di toponomastica

Soffermiamoci in ultimo sul nome della città perché, in genere, si cerca di scoprire in esso un significato collegabile con la sua storia. Senza entrare nel merito delle diverse interpretazioni che sono le più varie ed anche le più fantasiose, c’è da dire che si tratta di un nome chiaramente non greco, come rivelano i miti di fondazione, dove il toponimo viene attribuito all’eroe locale e come testimonia la lunga ed antica frequentazione del luogo da parte di civiltà pre greche. Tale frequentazione presuppone, comprensibilmente, che il luogo avesse una sua identità al pari di tutti quelli coinvolti nei viaggi che portarono a quella lunga serie di contatti sui quali abbiamo avuto tanto modo di soffermarci. Che il nome della città di Crotone abbia un’origine pre-greca e che risulti legato ai contatti stabilitisi durante le età dei metalli, non appare un’ipotesi isolata nell’ambito delle altre realtà achee. Nel caso di Metaponto, per esempio, esso è chiaramente attestato in un’epoca molto anteriore alla fondazione della città, come indicano le tavolette micenee ritrovate a Pilo. Come abbiamo già considerato, può risultare errato mettere in conseguenza la nascita di una città e l’apparire del toponimo che la rappresenta dato che, in alcuni casi, esso rende conto anche di una fase precedente a quella urbana. Tale situazione non può naturalmente essere considerata una costante, ma deve essere tenuta in adeguata considerazione, in particolare quando i luoghi interessati ricadono lungo gli itinerari più antichi coinvolti nel mito. La presenza di una toponomastica anteriore alla fondazione della città, ricollegabile alle antiche frequentazioni pre-greche, è riscontrabile anche a riguardo della via istmica tra Ionio e Tirreno. Da un capo del suo percorso, essa risultava pertinente alla città di Scylletium[43], con l’omonimo golfo sullo Ionio e, dall’altro, dopo aver raggiunto il Tirreno, conduceva al promontorio di Scilla (Scyllaeum). Anche questi toponimi, sulla cui derivazione comune si è pronunciato M. Napoli[44], non sono greci ma risultano legati ad una lingua più antica, attraverso cui fu contrassegnato il percorso più breve che, fin da epoche remotissime, metteva in collegamento le due sponde della Calabria. Che un toponimo analogo (Scilace) sia citato da Erodoto nello stesso passo dove egli si sofferma sulla lingua pre-greca dei Pelasgi (e degli antenati dei Crotoniati), sembra poi fornire una conferma veramente interessante. Non a caso la tradizione[45] attribuisce la fondazione di Scylletium a Menesteo, comandante degli Ateniesi alla guerra di Troia, con un riferimento ad una comune origine che, come abbiamo visto, voleva sia gli Achei sia gli Ateniesi appartenenti alla stirpe dei Pelasgi[46].

 

Note

[1] L. Benevolo, introduzione a Storia della città, ed. Laterza 1986.

[2] M. Giangiulio, op. cit. p. 171.

[3] Val. Mass. VIII, 15.

[4] Considerando le citazioni delle fonti letterarie ed altre situazioni meglio note, gli studiosi hanno evidenziato la presenza a Crotone di diverse istituzioni pubbliche, ipotizzandone anche il ruolo ed il funzionamento. Non sembra qui il caso di approfondire la questione, sia perché si tratta d’ipotesi, sia perché, in ogni caso, la presenza dell’assemblea che riuniva la cittadinanza può essere considerata, schematicamente, l’organismo base della città greca di stampo aristocratico.

[5] Ateneo, XII 522 a-c.

[6] Livio XXIV, 3.

[7] Strab. VI, 1, 12; VI, 2, 4; Polibio X, 1, 14.

[8] G. B. Nola Molise, 1649.

[9] Livio XXIV, 3.

[10] Strab. VI, 1, 12.

[11] L’area rappresenta il principale bacino portuale durante l’epoca medievale.

[12] Livio XXIV, 3.

[13] R. Spadea, Il tesoro di Hera p. 46, ed. ET 1996.

[14] R. Spadea, op. cit. p. 43.

[15] Per quanto riguarda il cippo, viene fatto notare che si tratta di un elemento che preesisteva all’edificio stesso che individuava “….. una primitiva area sacra di grande importanza per i Crotoniati, area che fu conservata con il cippo che la delimitava in origine.” R. Spadea, op. cit. p. 43.

[16] In corrispondenza degli spigoli del “basamento quadrato” sono stati rinvenuti due frammenti di colonna ed un blocchetto squadrato la cui “…. particolare disposizione sembra segnare il “limite” sacro di un precedente impianto, da rispettare e comunque sembra aver costituito il punto di riferimento per la nuova sistemazione di cui il basamento è il fulcro.” R. Spadea, op. cit. p. 43.

[17] Licof. 856-865; Servio, Aen. III, 552.

[18] Livio XXIV, 3.

[19] Licof. 857 ss..

[20] Licof. 857; Livio XXIV, 3.

[21] Livio XXIV, 3.

[22] A. Pesavento, La foresta dell’Isola di Crotone, in la Provincia KR nr. 42-43/97; Uomini e boschi di Crotone e Isola, il caso Buggiafaro, in la Provincia KR nr. 6-7/98; Uomini e Boschi di Crotone e di Isola, le vicende di Forgiano Salica e Carbonara, in la Provincia KR nr. 11-12-13-14/98.

[23] Seppure la datazione archeologica di questi santuari viene riferita tra la fine del VII e l’inizio del VI (R. Spadea, 1983 p. 137-138), è da ritenersi che i luoghi siano sotto il controllo politico – religioso della divinità dall’epoca di fondazione.

[24] A proposito della presenza di un santuario greco in questa località vedi le considerazioni di A. Pesavento, Il Monastero di S. Pietro di Nimfi, in la Provincia KR n 31/97.

[25] La tradizione ricorda al proposito la presenza di alcuni centri minori nel territorio della città come Lampriade (Teocrito, Id. IV) e Platea (Giamb. 261; Ps. Scilace, 12).

[26] Asylorum è documentato come nome della città di Isola già alla fine del IX secolo d.C.. A. Pesavento, La chiesa di S. Maria dell’Isola, in la Provincia KR, nr. 2/98.

[27] Strab. VI, I, 12.

[28] B. Zaidman – S. Pantel, La religione greca, p. 187, ed. Laterza, 1992.

[29] Durante il medioevo sul promontorio esisteva l’abitato di Alichia che scomparirà alla metà del trecento. L’area circostante era ricoperta da una estesa foresta posta in demanio regio e nei pressi della via costiera, con funzioni fiscali, sorgeva il palazzo Alitio (attuale palazzo Sabatini). A. Pesavento, L’abitato di Alichia, la foresta ed il palazzo Alitio, in la Provincia KR, nr. 19-20/98.

[30] Ps. Arist., De Mir. Aus., 107.

[31] G. De Sensi Sestito pone la fondazione di Caulonia fin dagli inizi del VII secolo. G. De Sensi Sestito, La Calabria in età Arcaica e Classica, p. 238, in op. cit., Cangemi editore, 1987.

[32] Ps. Scimno, vv. 318-322.

[33] Solino, II, 10.

[34] Stefano Biz., Aulon.

[35] Strab. VI, 1, 10.

[36] Paus. VI, 3, 12.

[37] Licof. 1002-1007.

[38] Alla distruzione di un centro preesistente fa riferimento la tradizione relativa all’uccisione dell’amazzone Cleta, avvalorata dalla considerazione che la fondazione si realizzò in un’area probabilmente già abitata, come testimonia l’importanza strategica del luogo che sarà occupato dalla città e tutta la tradizione relativa alla fondazione della vicina Locri. Se quindi non è ancora possibile definire con sicurezza questa questione, possiamo fondatamente ritenere che la città venne realizzata in un’area sotto il controllo dei barbari che dovettero comunque tentare una resistenza. La tradizione relativa alla lotta degli Achei contro le Amazzoni è una chiara testimonianza letteraria, attraverso la quale si mette in luce il passaggio da una società barbara, rappresentata emblematicamente dal disordine di una città ipotetica di sole donne, ad una fase di ordine cittadino che come al solito viene imposto dai Greci attraverso l’uso della violenza.

[39] Paus. VI, 3, 12.

[40] Sulla fine del VII secolo a. C. i dati archeologici consentono di datare la fondazione di Poseidonia da parte dei Sibariti. G. De Sensi Sestito, op. cit., p. 239-240.

[41] I giacimenti di ferro dell’odierna area di Stilo sono stati sfruttati fino al tempo dell’unità di Italia.

[42] G. De Sensi Sestito, op. cit., p. 238.

[43] In epoca romana Scylacium ed anche Scolacium.

[44] M. Napoli, op. cit. p. 216.

[45] Strab. VI, 1, 10. Sulla fondazione ateniese di Scylletium anche Plinio, N. Hist. II, 95; Solino, II, 10.

[46] La presenza ricorrente di uccelli interpretabili come gru o cicogne accanto al tripode sulle monete di Crotone fin dall’epoca arcaica, potrebbe essere considerata una testimonianza delle mitiche origini dei coloni Achei che fondarono la città. Secondo Strabone (V, 2, 4), nel nome di questi uccelli (in greco pelargoi significa cicogne) si celerebbe quello degli stessi Pelasgi, mentre secondo Plinio essi erano gli uccelli sacri ai Tessali.