La parrocchiale di S. Nicola dell’Alto

San Nicola 2

San Nicola dell’Alto (KR).

Dell’esistenza del casale di S. Nicola dell’Alto e della sua chiesa, entrambi patrimonio e soggetti alla giurisdizione sia temporale che spirituale del vescovo di Umbriatico, in quanto edificati in un territorio appartenente alla detta chiesa cattedrale, abbiamo notizie fin dal Medioevo. Già all’inizio della dominazione angioina il re Carlo I d’Angiò concedeva al vescovo Alfano (1271-1276) il privilegio di tenere mercato nel luogo detto “Sanctus Nicolaus de Alto” e nella chiesa di Santa Marina (1). Il figlio Carlo II d’Angiò, accogliendo il primo giugno 1306 la supplica del vescovo Guglielmo, esentava sia gli abitanti dei casali di Santa Marina, San Nicola dell’Alto e Maratea che coloro che in seguito vi sarebbero andati ad abitare, purché non provenissero da terre demaniali, da ogni gravame di legname per le galee e dalle altre imposizioni. Tale concessione era stata richiesta per ripopolare i luoghi, in quanto essi avevano subito le distruzioni che durante la guerra del Vespro vi avevano fatto gli Almugaveri (2). Il tenimento, o feudo, rimase in potere dei vescovi di Umbriatico, anche se il luogo spopolò e rimasto feudo rustico i suoi confini furono oggetto spesso di controversie con i vicini feudatari di Casabona. Dagli atti di una di queste liti risulta che nel 1474 esisteva la chiesa di S. Nicola dell’Alto (3). I vescovi, che vi avevano il titolo di baroni, di solito davano in fitto le sue terre. Successivamente sul luogo sorgerà un casale che assumerà il nome dell’antica chiesa.

Gli Albanesi
Dalle relazioni dei vescovi di Umbriatico possiamo trarre alcune informazioni sul ripopolamento avvenuto sul finire del Quattrocento. Il vescovo Giovanni Battista Ponzio afferma che il casale di San Nicola dell’Alto è abitato da Albanesi che prima risiedevano nella provincia dell’Epiro e che vennero a spargersi nel regno delle Due Sicilie nell’anno 1480 (4). Il vescovo Zaccaria Coccopalmeri aggiunge che la formazione di questo abitato avvenne nella gabella detta volgarmente dell’Arango, che apparteneva alla mensa vescovile di Umbriatico (5).
Essendo stato fondato sulle terre di un feudo rustico della chiesa di Umbriatico, per molti anni i vescovi vi esercitarono oltre alla giurisdizione religiosa anche quella civile. La particolare posizione dell’abitato, costruito certamente sulle terre della chiesa di Umbriatico ma casale nelle pertinenze della terra di Casabona, darà oggetto a ripetute liti tra i vescovi di Umbriatico ed i feudatari di Casabona. La prepotenza baronale e l’arrendevolezza, o peggio, dei vescovi faranno sì che alla chiesa di Umbriatico rimarrà solo il titolo baronale.
Al tempo del ripopolamento il vescovo esigeva, per aver concesso ai nuovi venuti il suolo per costruire i loro pagliai ed i terreni da coltivare, alcuni censi ed il diritto di casalinaggio. Gli abitanti dovevano pagare ogni anno un tari ed una gallina per ciascun pagliaio, la decima degli animali minuti, un carlino a vitello, un ducato per ogni tomolata di terreno dove avevano piantato vigne, la decima di tutti i frutti della terra messa a coltura. A queste rendite si aggiungevano i cosiddetti diritti spirituali che erano “li mortorii, quarta ab intestato, decime di agnelli, vitelli, porci, api e capretti”.

Il Cinquecento
In un foculario del Regno di Napoli del 1521 tra i fuochi degli Schiavoni, Greci et Albanesi di Calabria Citra risulta che “Sancto Nycola delalto” è tassato per 9 fuochi (6). Il casale verrà tassato per 47 nel 1545 e per 55 nel 1561. Queste tassazioni tuttavia vanno prese per difetto, in quanto era facile per gli abitanti disfare i pagliai all’arrivo dei contatori regi, per poi ricostruirli, una volta che questi se ne erano andati. Per avere un’idea di questo fenomeno basta considerare che nel 1595 gli abitanti del casale erano circa 330, mentre i fuochi rilevati saranno solo 26 (7). La popolazione, che seguiva il rito greco, era costituita da Albanesi. Essi abitavano in “pagliari”; faceva eccezione la cappella dedicata a S. Nicola, che era l’unica costruzione in fabbrica. Vi era un prete greco curato e sposato, col quale il sindaco e gli eletti dell’università del casale avevano convenuto il pagamento di uno stipendio, che consisteva nella fornitura di 36 tomoli di grano annui, una quantità sufficiente per un mantenimento decoroso. Questa prassi tuttavia era in controversia, in quanto il vescovo non permetteva che venisse applicata, perché condizionava il comportamento del curato, e si aspettava su ciò una decisione da Roma (8). La chiesa parrocchiale di S. Nicola con fonte battesimale rimarrà sotto la cura di preti di rito greco fino alla metà del Seicento.

Lite secolare tra vescovi e feudatari
Sempre in questi decenni le dispute divamparono e, nonostante i tentativi di rivendica, veniva meno il potere temporale del vescovo di Umbriatico sul casale.
Il vescovo Benedetto Vaez (1622-1631) notava che il tenimento su cui era stato fondato il villaggio rendeva ogni anno ducati duecento e la chiesa vi esercitava il pieno diritto ed aggiungeva che il marchese di Casabona Eleonora Pisciotta non cessava di perturbare il possesso (9). Il successore Antonio Ricciulli (1632-1638), poco dopo la sua elezione, informava che una lite verteva tra la mensa vescovile ed il marchese di Casabona. Essa aveva per oggetto il territorio e la giurisdizione del casale, che era abitato da greci. La lite iniziata trenta anni prima non cessava. Secondo il vescovo la mensa vescovile si trovava nel quasi pieno possesso del territorio, mentre il marchese pretendeva di trovarsi nel quasi pieno possesso della giurisdizione civile e criminale. La questione era in discussione amichevole tra le parti; nel frattempo però la mensa si difendeva nel quasi possesso del territorio e si cercavano le scritture che potessero aiutarla sulla giurisdizione (10).
Ben presto la contesa si inasprì anche perché il Ricciulli fin dal maggio 1633 era stato chiamato a Napoli per esercitare l’ufficio di Ministro Generale per la Santissima Inquisizione e lo scontro divampò dentro e fuori i tribunali. I fatti sono così descritti dal vescovo: Il marchese di Casabona Scipione Pisciotta, meditando di usurpare il casale e le decime degli agnelli, che la mensa vescovile esigeva sui territori di Bufalarizzo, Serangelo e Militino, aveva ottenuto già nel 1604 dal Regio Consiglio un regio presidio. Secondo il vescovo questi funzionari di consueto giudicavano contro gli ecclesiastici, favorendo il laico. Questo organismo fu successivamente rinnovato nel 1614 e nel 1625. In vigore di ciò, mentre cresceva la perfidia e l’ingordigia del marchese, i diritti della chiesa andavano inesorabilmente scomparendo. Per porre un freno alle usurpazioni del feudatario, il vescovo fu costretto ad intraprendere una dura lotta contro il marchese, ammonendolo a non osare la violenza contro la chiesa, ma, se pretendeva qualcosa, di far valere i diritti davanti ad un giudice competente, in caso contrario avrebbe proceduto contro di lui. La lite non trovò soluzione in quanto uno si appellava al tribunale ecclesiastico, l’altro a quelli laici. Il feudatario, confidando nella forza delle decisioni regie, proseguì nel suo comportamento, ma fu ben presto scomunicato. Il Ricciulli ottenne anche che fossero revocati i presidi regi. Irato per questa decisione, il marchese si accanì nel molestare i diritti della chiesa. Per allargare i suoi interessi, inviò da Napoli il fratello uterino Roderico Sotomaiore e Vincenzo dell’Armi, uomini che il vescovo ritenne malvagi e disonesti, in quanto spacciandosi per commissari del Regio Consiglio, cominciarono ad infierire contro alcuni abitanti del casale ed a commettere molti attentati all’immunità ecclesiastica. Informato dei fatti che stavano accadendo dal suo vicario, il Ricciulli li dichiarò scomunicati ed inoltre ottenne dal Regio Consiglio, che fosse inviato un commissario ad indagare sul loro operato. Accertati i misfatti, mentre il Sotomaiore fu citato e, non essendosi presentato, fu condannato in contumacia , il suo complice fu colpito da ordine di arresto, che tuttavia non potette essere eseguito, in quanto Vincenzo dell’Armi era già morto avvelenato. Il Sotomaiore, nonostante che il Dell’Armi fosse morto in stato di scomunica, riuscì con la violenza a farlo seppellire nella chiesa del monastero di S. Francesco degli osservanti di Casabona. Il vescovo, venuto a conoscenza del fatto, comandò che il cadavere fosse riesumato e che fosse gettato lontano dalla chiesa in un letamaio, dando ordini rigorosi che da lì non fosse mai rimosso. Quasi nello stesso tempo morì anche il nipote del marchese, Antonio Pisciotta, il quale era pubblico concubinario e per tre anni non si era comunicato, in quanto scomunicato perché più volte ammonito a restituire al legittimo marito la donna con cui conviveva. Egli morì colpito da una scure al capo e fu dal vescovo privato della sepoltura ecclesiastica. I suoi parenti ricorsero al metropolitano di Santa Severina Fausto Caffarelli, il quale accolse le loro suppliche e decretò diversamente. Il vescovo tuttavia non cedette e ricorse alla Sacra Congregazione, ottenendo la sospensione del decreto arcivescovile.
Mentre succedevano questi fatti, S. Nicola dell’Alto era abitato di circa 400 abitanti con quattro chierici ed altrettanti diaconi selvatici ed al vescovo di Umbriatico era rimasto solo il diritto di esigere il casalinaggio. Tutto il resto era in lite. S. Nicola dell’Alto, pur costruito sulle terre appartenenti alla chiesa, era casale della terra di Casabona e come tale fin dalla fine del Quattrocento sarà soggetto ai feudatari di questa terra (11). Per porre fine alla lunga ed aspra controversia il nuovo vescovo Bartolomeo Criscono (1639-1647), ottenuto il 20 dicembre 1641 l’assenso di papa Urbano VIII, il 30 giugno 1642 cedeva in fitto ad annuo canone per 29 anni la giurisdizione temporale sul casale a Pompeo Campitello ed alla moglie Eleonora Pisciotta, marchesa di Casabona, trattenendosi solo i diritti spirituali ed ottenendo il pagamento di una annua pensione di ducati 150 (12). Con questo accordo i censi, i diritti di casalinaggio ed il diritto delle decime del grano, che si seminava nel territorio dell’Arango, passarono in potere del feudatario (13). Questa cessione in enfiteusi, che doveva placare la lite, si rileverà invece occasione per riaccenderla ad ogni scadenza.

Dal rito greco al latino
Durante il vescovato di Vitaliano Marescano (1661 -1667) il rito latino è ormai dominante: “Da alcuni anni è amministrato da un parroco di rito latino. Ci sono circa 400 abitanti . Solo alcuni, in verità pochi, seguivano il rito greco a riguardo del digiuno e dell’astinenza, ma lo abbandonarono ed abbracciarono il latino dopo le paterne ammonizioni vescovili. Vi sono inoltre un altro sacerdote e quattro chierici, ma sia per la povertà, sia per la loro natura di contadini, non intraprendono alcun studio delle lettere (14). La chiesa matrice e parrocchiale è dedicata a S. Nicola Vescovo (15).

Dalla crisi alla ripresa
Frattanto i 29 anni previsti dal contratto locazione del casale scadevano ed il nuovo vescovo Agostino de Angelis (1667-1681) , nonostante che alla prima concessione non era previsto il rinnovo, fin dall’inizio del suo insediamento si era impegnato a rinnovarlo. Egli otteneva l’otto novembre 1670 l’assenso del papa Clemente X per altri 29 anni, con le condizioni e pensioni annue stabilite ed approvate da Urbano VIII (16) ed il 13 aprile 1671 stipulava a favore del marchese di Casabona Scipione Pisciotta. Vi erano allora nel casale due sacerdoti, cioè il curato o arciprete ed il suo coadiutore ed alcuni diaconi detti selvatici. Mancavano completamente i chierici (17). Lo stesso vescovo, poco dopo il suo insediamento, essendo la popolazione del casale aumentata, si impegnò nella ricostruzione della chiesa matrice dedicata a S. Nicola di Bari, rendendola più ampia e spaziosa, facendovi anche erigere un altare dedicato al SS.mo Rosario, dove solo nei giorni festivi, in quanto negli altri giorni gli abitanti sono occupati a coltivare i campi, venivano recitate le consuete preghiere, alternandosi il coro degli uomini a quello delle donne. Sempre in questi anni è costruita a spese ed elemosine di alcuni fedeli una nuova chiesa sul monte che sovrasta l’abitato. Il nuovo edificio sacro è intitolato a San Michele Arcangelo, al cui culto è dedicato tutto il monte, che infatti si chiama monte S. Angelo e dove anticamente sorgeva un monastero di monaci (18). Tra il 1675 ed il 1678 un’altra chiesa è fondata all’interno del paese. Essa è edificata a spese del devoto cittadino Domenico Simeone (19) ed è dedicata a S. Domenico Confessore (20).
Così in pochi anni le chiese presenti nel casale salirono a tre. Dopo l’alta mortalità, che all’inizio degli anni settanta aveva ridotto di un terzo la popolazione della diocesi di Umbriatico (21), le grandi epidemie erano finite e la popolazione, nonostante le difficoltà naturali e fiscali (22), aumentava. Tassato nel 1648 per 78 fuochi, dopo la peste il casale era sceso nel 1669 a 36 fuochi ma nel 1680 aveva circa 50 fuochi e nel 1684 quasi 800 abitanti (23), che all’inizio del Settecento diverranno circa 1000 (24). Nel 1732 il casale conterà 145 fuochi (25).
Così descrive il casale il vescovo Bartolomeo Oliverio (1696-1708): “Il primo tra i casali, o villaggi, è quello di S. Nicola dell’Alto i cui abitanti, di origine albanese, osservano il rito latino. Vi sono cinque sacerdoti e sette chierici. In tutto gli abitanti sono circa mille. E’ sotto il potere temporale del vescovo di Umbriatico, il quale, per far cessare le liti, mosse in passato dai marchesi di Casabona per il predetto casale, con il consenso apostolico diede in locazione per 29 anni dietro corresponsione di ducati 150. I quali ora finiti, ugualmente per sedare le liti fu rinnovata col consenso apostolico e con le stesse clausole per altri 29 anni dietro corresponsione di ducati 200 annui. Oltre alla chiesa parrocchiale dove è conservato il SS. Sacramento e vi sono la fonte battesimale ed il sacrario, ci sono altre due chiese, che appaiono decentemente ornate. I misteri del SS. Rosario sono recitati nella matrice tre volte alla settimana e nelle domeniche e nei giorni festivi (26). Il 14 aprile 1701 l’Oliverio rinnovava l’affitto per altri 29 anni a partire dal primo settembre 1699 al feudatario di Casabona Scipione Moccia (27). Questa nuova locazione non poteva non suscitare i malumori dei vescovi successivi. Il vescovo Francesco Maria Loyero (1720-1731) si lamentò in quanto i diritti, sia spirituali che temporali, della Chiesa sul casale erano evidenti perché concessi da privilegi di re, tra essi uno del 1307 ed uno del 1320, e la mensa vescovile deteneva questo antico possesso in allodio ed esente da alcun onere feudale. I vescovi di Umbriatico vi avevano sempre esercitato la giurisdizione civile , mista ed , eccetto i tre casi previsti dalle regie prammatiche, anche quella criminale. Nonostante tutto ciò il vescovo Oliverio aveva rilasciata la concessione, corroborata dall’assenso apostolico, dopo la relazione fatta dal vescovo isolano Francesco Marino, al quale era stata ordinata dalla Sacra Congregazione. Questa concessione in favore del marchese di Casabona apportava un notevole danno alla chiesa di Umbriatico, in quanto da questa terra essa poteva percepire circa ducati 500 mentre ne riceveva dal marchese di Casabona solo 200. Era evidente che il delegato incaricato dalla Sacra Congregazione, cioè il vescovo Marino, era stato tratto in inganno da testimoni corrotti! Al tempo del vescovo Loyero vi erano 1270 abitanti, di cui nove sacerdoti e due chierici. La chiesa arcipretale era dedicata a S. Nicola vescovo che era anche il patrono. Le rendite del parroco, arciprete, erano sufficienti. Oltre alla chiesa curata vi erano altre tre chiese, quella delle Anime del Purgatorio, di recente costruita con le elemosine dei fedeli, la chiesa di S. Domenico e la chiesa di S. Michele Arcangelo. Vi era una confraternita di laici e si progettava anche la fondazione di un convento di frati riformati (28).
Particolarmente attivo il questi anni è l’arciprete del casale Gio. Berardino Bisceglie, il quale in qualità di procuratore cura gli interessi del feudatario di Casabona e si interessa ad incettare, ammassare e commercializzare il grano (29).

Alla fine del Settecento
Nonostante i tentativi di rivendica vescovili alla metà del Settecento le rendite che la mensa vescovile di Umbriatico esigeva annualmente sul casale erano costituite dai ducati 200 del feudatario di Casabona, da circa ducati 8 provenienti dalla “decima di vitelli, porcelli e crapetti” e dai 24 tomoli di grano dell’arciprete a titolo di quarta parrocchiale (30).
Nella descrizione che ne fa il vescovo Zaccaria Coccopalmeri la terra di S. Nicola dell’Alto appare costruita di fronte alla terra di Casabona dalla parte di settentrione sulla sommità di un monte non molto alto. I suoi cittadini sono Albanesi. La giurisdizione temporale per molto tempo e fino a tempo recente fu dei vescovi di Umbriatico, in quanto l’abitato fu fondato nella gabella volgarmente detta dell’Arango, appartenente a quella cattedrale, in quanto padrona del fondo rustico in cui la gabella è situata. Questo terreno però appartenne anche al diritto territoriale di Casabona, in quanto si dice che sia suo casale. Così il marchese di Casabona Pietro Moccia mosse una lite presso il Regio Sacro Consiglio nel 1728 contro il mio predecessore, e durante il vescovato di Filippo de Amato (1731-1732) la giurisdizione temporale fu aggiudicata allo stesso marchese con l’onere di corrispondere annualmente duecento ducati alla mensa vescovile e con la riserva del titolo baronale al vescovo. Si accrebbe frattanto questo abitato fino a mille e cinquecento abitanti. Ha una chiesa parrocchiale dedicata a S. Nicola Vescovo con alcuni altari sacri di pertinenza dei laici; essi sono graziosamente disposti ed ornati con motivi artistici biancheggianti in gesso. Tuttavia la chiesa, eretta con le pie offerte dei cittadini, è incompleta nella volta e nel pavimento. Al suo completamento niente si è omesso con efficaci richiami e disposizioni nei decreti delle sante visite e nelle varie prediche e suppliche private e pubbliche. Nonostante l’impegno però c’è poca speranza che possa essere portata a compimento. La chiesa è retta nella cura delle anime da un arciprete ci sono cinque preti e nessun chierico; né c’è speranza di averne in futuro in quanto gli abitanti non possiedono terreni. Per le cose temporali è amministrata e si provvede da un procuratore laico eletto dall’università, che dovrebbe interessarsi all’arcipretale ed agli edifici sacri. Le decime frumentarie delle anime sono pagate al rettore da tutti i cittadini con unanime consenso (31). Alcuni anni dopo S. Nicola, terra in diocesi di Umbriatico, feudo di casa Capecelatro, d’aria buona, fa di popolazione 1700 (32). La sua chiesa parrocchiale è dedicata a S. Nicola da Bari ed il suo parroco (33) al posto delle decime riceve una congrua dagli amministratori dell’università (34).

Note

1. Reg. Ang. XIV (1275-1277), p. 254.
2. Ughelli F., Italia Sacra, t. IX, 527.
3. “Da parti levante confina la via che viene dalla terra di Melisa alla ecclesia di Santo Nicola dell’Alto che va per capo della Serra..”, Maone P., Casabona feudale, Historica n. 5/6, 1964, p. 206.
4. Rel. Lim. Umbriaticen., 1684.
5. Rel. Lim. Umbriaticen., 1783.
6. Pedio T., Un foculario del Regno di Napoli del 1521 cit., p. 263.
7. Maone P., Casabona cit., p. 206.
8. Rel. Lim. Umbriaticen., 1600.
9. Rel. Lim. Umbriaticen., 1630.
10. Rel. Lim. Umbriaticen., 1634.
11. Rel. Lim. Umbriaticen., 1638.
12. Il 31 gennaio 1642 il vescovo Crisconio otteneva dal papa anche la licenza di locare al feudatario per 29 anni dietro il pagamento di 25 ducati annui anche le decime, erbaggi ecc. di Bufalarizzo, Militino e Serangelo, Russo F., Regesto, VII, (33977), (33990); Rel. Lim. Umbriaticen., 1669.
13. Maone P., Casabona cit., pp. 206 sgg.
14. Rel. Lim. Umbriaticen., 1662.
15. Rel. Lim. Umbriaticen., 1666.
16. Rel. Lim. Umbriaticen., 1669; Russo F., Regesto, VIII, (42123).
17. Rel. Lim. Umbriaticen., 1669, 1672.
18. Rel. Lim. Umbriaticen., 1675.
19. Ancora oggi è visibile l’epigrafe: “HOC SIBI DOMI/ NICUS SIMEONE/ STRUERE FECIT/ MONUMENTUM/ HABENS HAERE/ DIBUSQUE SUIS/ 1677”.
20. Rel. Lim. Umbriaticen., 1678.
21. Per il vescovo Agostino de Angelis la popolazione della diocesi dai 12000 abitanti del 1668 era scesa ad appena 8000 nel 1675, Rel. Lim. Umbriaticen., 1675.
22. “L’università di Santo Nicola dell’Alto casale della terra di Casabona in Provincia di Calabria Citra sup.do dice a V. E. come non havendo la supp.te territorii proprii per poter seminare e raccogliere le vettovaglie necessarie per il loro vitto hanno soluto i suoi cittadini seminare nelli territorii di Strongoli e Melissa, che confinano e sono più vicini all’università supp.te e come che nel presente anno per causa della siccità, e de bruchi hanno molto poco raccolta, non sufficiente al vitto di essi cittadini e per la loro povertà non hanno altro modo da procurarsene in altri luoghi e standono li poveri cittadini per causa oradetta afflitti et travagliati l’è sopragionto ordine fattoli dal Governatore di Strongoli e Melissa precedente provisione di Coll. nella quale perche sia commessa l’osservanza alla Reg. Aud.a con tutto ciò l’ordine è stato fatto a cittadini senza saperi il come, che non debbiano ammovere il grano et altre vettovaglie se prima la terra di Strongoli e Melissa non sarà provista per tutta l’intiera annata supplicandosi la d.a provisione che cio s’intende tanto per li cittadini quanto per li forestieri che hanno seminato in detti territorii di Strongoli e Melissa quando che le d.te università per l’ampiezza de loro territorii e del seminar di cittadini hanno il loro bastante e quando li mancasse hanno altro modo di potersene provedere che per lo contrario la povera supplican e suoi cittadini con esserno privati de loro grani e vettovagli sementati e di quello che con le loro continue fatighe e sudori hanno raccolto non li resta affatto altro modo come vivere…. che havendo li cittadini della supp.te posta la semente e fatto tutte le fatighe necessarie e pagando il debito terragio com’è solito se l’impedisce poter condurre nelle loro proprie case quello che si riceve per il sustentamento e vitto loro necessario quando che essendo la supplente di fuochi 50 in circa” ,Prov. Caut, Vol. 243, f. 167 (1680), ASN.
23. Rel. Lim. Umbriaticen., 1684.
24. Rel. Lim. Umbriaticen., 1700.
25. Barbagallo de Divitiis M. R., Una fonte per lo studio cit., p. 53.
26. Rel. Lim. Umbriaticen., 1700.
27. Maone P., Casabona cit. pp. 204 -205.
28. Rel. Lim. Umbriaticen., 1724.
29. Nell’agosto 1719 il mulattiere crotonese Lorenzo Bruno è mandato dal mercante Domenico De Laurentis in territorio di Strongoli a caricare del grano per le truppe regie. Passato il Neto con undici “cavalcature somarine” è catturato dal nipote e da un soldato dell’arciprete di S. Nicola dell’Alto. Condotto legato assieme agli animali in S. Nicola, l’arciprete Bisceglie, affermando che vanta nei suoi confronti un credito, gli sequestra gli animali e lo lascia andare, ANC. 1719, 83-84.
30. Catasto Onciario Melissa, 1742, f. 406v.
31. Rel. Lim. Umbriaticen., 1783.
32. Alfano G.M. Istorica descrizione cit., p.89.
33. Tra i parroci/arcipreti sono ricordati: Francesco Italiano (1658 – ?), Orazio Camiscera ( ?- 1694), Domenico Macri (1694 – ?), Gio. Berardino Bisceglia (1719), Russo F., Regesto, (38482), (46981), ANC. 660, 1719, 180.
34. Rel. Lim. Umbriaticen., 1796.


Creato il 23 Febbraio 2015. Ultima modifica: 27 Aprile 2015.

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