Gli abitati scomparsi di Paterno e Neto

Scandale corazzo

Resti di colonne d’età romana in località Corazzo di Scandale (KR).

Il Piccinato, illustrando il passaggio dalla città romana a quella medievale, attribuisce le trasformazioni avvenute alla “pressione delle invasioni barbariche”, quando “le città di fondazione romana in condizioni di essere difese subiscono una contrazione edilizia con restrizione della cinta muraria”, mentre quelle “indifese o indifendibili”, “vengono addirittura abbandonate per la fondazione di nuovi centri in posizioni più sicure, difese naturalmente”.[i]

Tali effetti sulla struttura urbana del territorio, probabilmente leggibili anche in prospettive diverse, rispetto a quella legata alle sole esigenze difensive, trovano riscontro nel Crotonese, dove diversi centri antichi furono abbandonati in età altomedievale per dare origine a nuovi abitati.

 

L’incastellamento

Al tempo della costituzione della metropolia di Reggio, “che esisteva nei primi del secolo IX”,[ii] sappiamo che tutte le sedi vescovili della Calabria, erano ancora rappresentate dai principali centri abitati dell’età classica.[iii] Nel corso dello stesso secolo, però, cominciamo ad assistere all’erezione di nuovi vescovati, in luogo di quelli antichi appartenuti ad abitati ormai abbandonati e scomparsi. Compaiono così Nicastro e Amantea al posto di Tempsa, e Rossano che ereditò, in parte, il ruolo di Thurii.

L’affermazione di nuovi centri in questa fase, emersi al posto di altri attivi in precedenza, appare particolarmente evidente nel Crotonese dove, al tempo di Leone VI il Filosofo (886-911), risulta documentata l’erezione del nuovo vescovato di “Santa Severina di Calabria” (Ἁγίᾳ Σευηρινῇ τῆς Kαλαβρίας), istituito come nuova metropolia in una vasta area ai confini della Sila, cui furono sottoposti i quattro nuovi vescovati di Umbriatico (ὁ Eὐρυάτων), Cerenzia (ὁ ’Aϰερεντίας), Belcastro (ὁ Kαλλιπόλεως) e Isola ([ὁ] τῶν ’Aησύλων).[iv]

Tra questi non compare più “Paternum” che, in precedenza, troviamo invece tra le sedi vescovili della regione. L’abitato risulta menzionato già in età romana, tra le stationes elencate dall’“Itinerarium Provinciarum Antonini Augusti” (sec. III-IV d.C.), lungo il tragitto tra Capua e Reggio (“ab Equo tutico per Roscianum Regio”), tra Rossano e Neto (“Meto”),[v] statio posta verosimilmente, in prossimità dell’omonimo fiume che, analogamente a Paterno, scomparve durante il periodo altomedievale.

 

Una via interna

L’importanza delle aree interne del Crotonese poste a ridosso della Sila ed estese verso il Rossanese, è messa in luce durante il periodo romano, dall’esistenza di una viabilità locale inserita nella maglia stradale principale che attraversava la penisola.

Troviamo infatti che, in epoca imperiale, accanto ad un percorso costiero che passava per Thurii, Petelia, Crotone, Lacinio, Annibali e Squillace, documentato dalla Tabula Peutingeriana, (la copia medievale di un originale romano databile al 300 d.C. ca.) ed dalle più tarde opere geografiche dell’Anonimo di Ravenna (sec. VII) e di Guidone (verso gli inizi del sec. XII), esisteva anche un importante percorso interno documentato dall’Itinerario Antonino che, proveniente da Capua, giungeva a Thurii e, transitando per Rossano, attraversava il territorio Crotonese, escludendo tutte le località costiere prima menzionate, fino a ritornare sulla costa a Tacina, proseguendo poi per Squillace, fino a Reggio.

Secondo quanto riporta questa fonte, da “Roscianum”, statio posta a XII miglia (17,8 Km) da “Turios”, dopo aver percorso XXVII miglia (40 Km), si giungeva a “Paternum”, distante XXXII miglia (47,4 Km) da “Meto”. Da quest’ultima bisognava percorrere XXIV miglia (35,5 Km) per raggiungere “Tacina” che, a sua volta, era distante XXII miglia (32,5 Km) da “Scylacio”.[vi] Come riporta la Tabula Peutingeriana, da “Scilacio” era possibile attraversare l’istmo di Catanzaro, percorrendo le XXX miglia (44,4 km) necessarie per raggiungere il Tirreno.

Queste distanze riferite dall’Itinerario Antonino trovano un preciso riscontro con quelle esistenti tra Thurii e Rossano e tra Tacina e Squillace. Attraverso una misurazione in linea d’aria, rileviamo infatti, che l’attuale città di Rossano dista circa 20 Km dall’area archeologica di Sibari/Thurii, mentre circa 32 Km separano l’area archeologica dove si conservano le rovine di Squillace, sita in località Roccelletta di Borgia (CZ), dalla località Timpone San Luca, attualmente in territorio di Cutro (KR) dove, in posizione dominante la foce del fiume, è stato individuato l’abitato di Tacina.[vii]

Rispetto all’identificazione di questi quattro centri, agevolata dalla loro persistenza in età medievale, dalla conservazione di vestigia e di una consistente tradizione tramandata dalle fonti antiche, più complesso risulta pervenire all’identificazione degli abitati di Paterno e Neto, che non raggiunsero l’età bassomedievale e che, in relazione alla loro struttura pre-urbana ed alle loro dimensioni ridotte, comuni alla gran parte degli abitati posti tra Crotone e Thurii durante l’epoca romana,[viii] non ci hanno lasciato tracce altrettanto evidenti.

 

Un’antica realtà

Rimane controverso stabilire se l’esistenza di “Paternum” risulti documentata precedentemente all’epoca romana. La fondazione di “Pathron”, assieme a quelle di Crotone e di Sibari (709-708 a.C.), è riferita nella versione armena del Cronicon di Eusebio, al tempo della diciottesima olimpiade, quando: “Croton condita, et Pathron, et Sybaris”,[ix] mentre, nella versione di Girolamo, troviamo invece: “Croton, et Parion et Sybaris conditae sunt”.[x] L’epitome di Dionisio Telmaharensis dello stesso Cronicon, riferisce: “Anno MCCCVII urbes Croton et Parion et Sybaris et Egbatana conditae sunt”.[xi]

In età medievale, il toponimo compare in relazione al potente monastero greco della “intemeratae Dei Matris et Novae Hodegetriae Patris”,[xii] fondato presso Rossano al tempo della dominazione normanna, quando risulta associato al nuovo titolo di questo monastero dedicato alla Vergine, testimoniando così, la sua origine precedente alla fase di formazione dei territorii in epoca feudale.

Rispetto a questi pochi accenni, valutabili con difficoltà, le prime certezze circa l’esistenza di Paterno cominciano ad essere documentate solo attraverso l’Itinerario Antonino che, come abbiamo visto, ne localizza la presenza tra l’abitato di Rossano ed il fiume Neto. All’interno di quest’area, attualmente, il toponimo “Paterno” compare in territorio di Umbriatico a breve distanza dal centro urbano, sulle carte a diversa scala dell’Istituto Geografico Militare.[xiii] Un luogo o territorio chiamato “paterno”, posto in territorio della città di Umbriatico, risulta anche da un atto del 2 agosto 1564 scritto dal notaro Cesare Cadea di Cirò, quando Lucretia Pastore, moglie di Nardo Cosentino, cedette a Joannes Dom.co de Paula, il territorio di “paterni” posto “in territorio et p(er)tinentiis um.ci”, ovvero la possessione “positam in territorio civi.tis um.ci loco detto paterno”.[xiv]

Umbriatico

Paesaggio nelle vicinanze di Umbriatico (KR).

Sembrano confermare questi elementi che riconducono l’esistenza di Paterno alle vicinanze di Umbriatico, anche alcune considerazioni che possiamo esprimere circa i principali percorsi viari esistenti in quest’area in età medievale, che dimostrano di ricalcare in parte, quelli già in uso al tempo dei Romani.

Un importante itinerario interno passante per Umbriatico, infatti, si segnala ancora verso la metà del secolo XII, quando il geografo musulmano Edrisi descrive la viabilità principale di questa parte della Calabria. La sua descrizione consente di ricavare che, da Rossano (rûsyânû), seguendo un percorso litoraneo (“la marittima”), si poteva raggiungere Cirò (’.b.shrû), mentre, dirigendo per l’interno e passando per Pietrapaola (bât.r bawl), si raggiungeva Umbriatico (’.brîâtiqû).[xv] Considerando questo percorso interno per Pietrapaola passante per Castiglione di Paludi, luogo posto a “circa sessanta stadi” da Rossano secondo Procopio di Cesarea, in cui, ancora al tempo della guerra greco-gotica (535-553 d.C.), esisteva un “fortissimo castello” (φρούριον) costruito dagli “antichi Romani”,[xvi] possiamo rilevare che Umbriatico dista attualmente in linea d’aria, circa 36 Km da Rossano, che corrispondono all’incirca, alle XXVII miglia (40 Km) segnate nell’Itinerario Antonino tra Rossano e Paterno.

castiglione di paludi

Ruderi di fortificazioni d’epoca romana in località Castiglione di Paludi (da Wikipedia).

 

Il peso della tradizione

Rispetto a questi indizi che sembrano confermare l’origine di Umbriatico dalla più antica Paterno, cui dona sostegno il fatto che entrambe risultano essere state vescovati durante il periodo altomedievale, troviamo in seguito, invece, una tradizione tendente a riconoscere Cirò quale sede vescovile originaria di questa diocesi. Una tradizione basata su di una ricostruzione cinquecentesca, su cui però, pesava il fatto che, già dagli inizi del Trecento, Cirò era divenuta il luogo abituale di residenza del vescovo di Umbriatico, a causa della decadenza della città devastata assieme ai suoi casali, durante la guerra del Vespro ed impoverita dalle vicende che ne seguirono.

Favorirono questo tipo di ricostruzione le poche notizie esistenti circa il vescovo di Paterno, la cesura esistente durante la fase d’Incastellamento, e l’antico spopolamento di Alichia agli inizi della dominazione normanna,[xvii] abitato medievale che sorgeva presso l’attuale Punta Alice, le cui vicende furono spesso erroneamente associate a quelle dell’antica Crimisa (Κρίμισσα), la mitica fondazione di Filottete indicata da Strabone sul promontorio omonimo,[xviii] dove nel Cinquecento si riconosceva la “cremissam regionem dictam lo capo de lalice”.[xix]

L’esistenza del vescovato di Paterno è documentata, unicamente, in relazione alle vicende del suo vescovo Abundantio che, in occasione del sinodo romano dell’anno 680, fu designato tra i legati papali a partecipare al concilio costantinopolitano. Una testimonianza che, pur controversa, ci consente, comunque, di poter documentare la persistenza dell’abitato romano, durante questi primi secoli del periodo altomedievale. Egli, infatti, risulta menzionato come “Abundantium Paternensem” nel Liber Pontificalis[xx] e negli atti del concilio costantinopolitano, dove lo troviamo menzionato come “Abundantio episcopo civitatis Paternensis”[xxi], ovvero della “civitatis Paterni”[xxii] o “Paternae”[xxiii] mentre, negli atti del sinodo romano che si trovano inseriti in quelli del sesto concilio svoltosi a Costantinopoli nel 681, lo troviamo sottoscritto quale vescovo di Tempsa.[xxiv]

Diversi secoli dopo il suo abbandono, le vicende del vescovato di Paterno furono ricostruite di sana pianta da Gabriele Barrio che, alla metà del Cinquecento, elaborò una tradizione non suffragata da prove documentali, che legava le sue vicende a quelle del vescovato di Umbriatico, la cui esistenza comincia ad essere documentata verso la fine del secolo IX,[xxv] ponendole in relazione a quelle di Cirò e riconducendo ad essa, le notizie circa l’esistenza di mitiche città addirittura preesistenti alla venuta dei Greci, quali Crimissa e Brystacia.

Sulla base dell’assonanza di quest’ultimo nome con quello di Umbriatico, egli affermava così che la sede vescovile di Umbriatico, sorta sull’antica Brystacia, città degli Enotri menzionata da Stefano Bizantino,[xxvi] era stata traslata dalla città di Paterno che, a sua volta, anticamente, era stata detta Crimissa ed attualmente era divenuta Cirò.[xxvii]

Nei primi anni del Seicento, questa ricostruzione prodotta dal Barrio fu accolta acriticamente dal Marafioti: “E’ stata questa città Chrimissa, ch’oggi è chiamata Ziro sede Vescovale, ma sotto altro nome, perche dianzi, che si chiamasse Ziro, doppo ch’à lei fù mutato’l nome di Chrimissa, è stata chiamata Paterno, che già sotto questo nome si vede notata nell’itinerario d’Antonino Pio.”.[xxviii] Il Marafioti ricordava anche la figura di “Abbondantio” o “Abondantio Vescovo di Paterno”, accanto a quella di “Abbondantio Vescovo Tempsano”.[xxix]

Anche il Fiore, verso la fine del Seicento, descrivendo Umbriatico, affermava: “Ne’ secoli della Grazia divenne sede vescovale, trasportatavi dal vicino Cirò, altre volte Paterno, onde ne ricevè molto splendore, …”[xxx], convenendo sul fatto che Cirò: “Altre volte fu sede vescovale, con nome di Paterno, trasferita poi nel vicino Umbriatico; e questo ne’ secoli più primi della Grazia”.[xxxi]

A proposito della cattedrale di Umbriatico, dove attualmente permangono alcune colonne di spoglio provenienti da qualche edificio dell’età classica, egli argomentava: “la qui notata cattedrale è la medesima che la già fu nell’antico Paterno, oggidì Cirò o Zirò o Ipsicrò; onde suoi furono Abbondanzo, vescovo e legato al Concilio Costantinopolitano sotto papa Agatone”, “Ma quando fu fondata in Paterno, e quando trasferita in Umbriatico, non abbiamo in alcuno scrittore”, “e se le conghietture hanno qui luogo, io aggiongerei che rimasta ella rovinata fra l’universali saraceniche scorrerie del 900, risorta poscia sotto al regnante de’ Normanni, fu qui trasferita”.[xxxii]

Relativamente all’epoca del trasferimento della cattedrale da Paterno ad Umbriatico, in assenza di notizie certe, una relazione seicentesca attibuiva invece anacronisticamente questo atto all’opera del papa Sisto III (432-440), individuandolo al tempo dell’imperatore Valentiano III (425-455),[xxxiii] senza poter fornire comunque alcuna prova di ciò.

umbriatico cattedrale

Colonne di spoglio esistenti nella c.d. “Cripta” della cattedrale di Umbriatico (da ilcirotano.it).

 

Un vescovo fuori sede

Le vicende dell’antica Paterno, che non sono mai menzionate nelle relazioni dei vescovi della diocesi di Cerenzia-Cariati, trovarono invece posto nella relazione vescovile del 1684, prodotta dal presule di Umbriatico Giovanni Battista Ponzio (1682-1688).

Essendo fondato sulla base della ricostruzione operata dal Barrio, che legavano le antiche vicende ben distinte, di Crimissa e Paterno a quelle più recenti riguardanti Cirò ed Umbriatico, il racconto del vescovo Ponzio risulta però poco utile al fine di pervenire ad una ricostruzione storica credibile, anche se ci fornisce qualche elemento di comprensione sulle ragioni eminentemente pratiche che lo motivarono.

Tale racconto, infatti, tradisce la sua intenzione di sposare una tradizione capace di giustificare la sua residenza a Cirò che, invece, cotravveniva ai precetti stringenti del concilio tridentino, secondo cui tutti i vescovi dovevano risiedere inderogabilmente nella loro sede. Ricostruendo le vicende dell’oppido di Cirò sulla base di quanto aveva esposto il suo predecessore Agostino de Angelis (1667-1682),[xxxiv] il vescovo Ponzio affermava dunque che, ottocento anni prima, Cirò si trovava “in Promontorio Alicinio” ed era detta “Paternum”, il cui vescovo “Abundantius” era intervenuto al sesto sinodo costantinopolitano nel 680. A seguito però, delle continue incursioni dei Turchi, i suoi stessi abitanti avevano dato alle fiamme l’antica città e si erano ritirati sul monte “qui nomen habet Ipsigrò”. Da questo fatto la città aveva preso il nome di “Cremissa”. Per porre al sicuro le cose sacre, anche il suo vescovo si era ritirato nel luogo remoto di Umbriatico.[xxxv]

Sulla base di quanto era stato scritto sull’argomento fino a quel momento, agli inizi del Settecento anche l’Ughelli infine affermava: “Umbriaticum (olim Brystacia) mediterranea est civitas Calabriae citerioris, mille à mari passibus distans, condita ab Oenotriis, ut ait Stephanus, …”, sottolineando che: “Umbriaticensis Episcopatus mentionem facit Abbas Joachimus, licet mendose legatur Antiblacensis : fuit autem Episcopalis sedes huc translata ex Paterno urbe.”.[xxxvi]

 

Un toponimo antico

Rispetto al caso dell’abitato di Paterno, per il quale risulta incerto ricondurre il suo toponimo ad una realtà documentata in epoca precedente a quella romana, per quello di Neto, invece, esiste una tradizione più solida, che collega le vicende avvenute presso questo fiume, a fatti addirittura precedenti alla fondazione della città di Crotone.

Licofrone, poeta vissuto nel sec. III a.C., ma la cui composizione erudita contiene numerosi riferimenti remoti, ricorda il “Nieto” (Nαύαιϑος) relativamente al luogo dove sarebbe esisitita la tomba di Filottete,[xxxvii] l’eroe greco a cui Strabone (sec. I a.C. – I d.C.), citando Apollodoro, attribuiva la realizzazione di un insediamento sul promontorio di “Crimisa” (Κρίμισσα) e la fondazione della città di “Chone”, al tempo in cui era giunto nel territorio di Crotone.[xxxviii]

In relazione a tale antichità, ancora Strabone riferisce lo sbarco dei coloni Achei reduci dalla guerra di Troia alla foce del “Neeto” (Nέαιϑος) che, secondo il suo racconto, avrebbe così assunto questo nome che, in greco, starebbe a significare “luogo delle navi bruciate”, in relazione all’episodio dell’incendio delle navi dei coloni, da parte delle loro donne Troiane che li seguivano.[xxxix] Episodio ricordato ancora verso gl’inizi del sec. XII, nell’Etymologicum magnum.[xl]

Come fa notare Mario Napoli, questa interpretazione di Strabone lascia molti dubbi, perché appare linguisticamente forzata, evidenziando così lo scopo dell’autore di trovare a tutti i costi una origine greca al nome del fiume.[xli] Ciò fa ritenere che tale origine sia diversa, come è stato ipotizzato anche in altri casi,[xlii] potendo forse trovare una correlazione con Nethu-ns, da cui deriva il nome latino di Poseidone (Nettuno). Una interpretazione che ci consente di legare le caratteristiche di questa divinità, attraverso la quale i Greci usavano rappresentare la sacralità della vita marina, dei fiumi e dei promontori protesi sul mare, alla natura dell’area del nostro fiume, che fungeva da luogo di attracco e da via principale di penetrazione per l’interno.

scandale corazzo

Marmo di epoca romana esistente nella chiesa di S. Giuseppe a Corazzo di Scandale (KR).

Una statio fluviale

Anche se rimane incerta l’identificazione dell’abitato romano di Neto, attraverso l’attribuzione sicura di questo toponimo a ritrovamenti archeologici chiaramente riferibili ad una realtà urbana (pur non mancando i resti in diversi luoghi della media valle di questo fiume), i riferimenti contenuti nell’Itinerario Antonino che si legano alla sua natura di statio fluviale, ci permettono comunque, di circoscriverne l’esistenza ai principali luoghi di attraversamento del suo corso che, in epoca antica, assumeva le funzioni di confine naturale, costituendo il principale sbarramento tra la parte settentrionale e quella meridionale della regione lungo il versante ionico.

In questa direzione possiamo rilevare, in primo luogo, che la distanza di XXXII miglia (47,4 Km) segnata nell’Itinerario Antonino, si dimostra oltremodo eccessiva per individuare un qualsiasi punto di attraversamento del fiume Neto posto ad una tale distanza da Umbriatico/Paterno, cosa che potrebbe comunque trovare una giustificazione, nella probabile corruzione del passo in questione, considerato che alcuni codici, riportano tra Paterno e Neto una distanza inferiore (XXII miglia).[xliii]

Considerata poi l’ubicazione degli attraversamenti più importanti posti sul fiume Neto in età medievale, e l’articolazione della viabilità principale che li collegava a quelli sul fiume Tacina in questo periodo, possiamo risalire al percorso del tratto stradale che, in età romana, collegava la statio di Neto a quella di Tacina.

Quest’ultimo attraversava il fiume Neto presso la salina, vicino al luogo dove ancora oggi esiste il “p.te di Neto” e, passando per la località di “Mulerà Vecchio”, discendeva la valle del Tacina lungo la sponda sinistra del fiume fino alla sua foce, dove si trovava la statio omonima, percorrendo la strada che, agli inizi del Seicento, era detta “la Chiubica de Niffi” e passava “in piedi di d.a Valle, per la q.ale via si và in Cosenza, e per tutto il marchesato di Cotrone, et in altri luoghi”.[xliv]

Relativamente a questo percorso, che risulta di circa 27 km, rispetto alle XXIV miglia (35,5 Km) segnate nell’Itinerario Antonino, il passaggio di un’antica strada principale nel luogo dove corre attualmente il confine tra i comuni di Cotronei e Roccabernarda, è documentata dalla reintegra del feudo di Policastro fatta ad Andrea Carrafa nel 1520, in cui troviamo la località detta “Ponte veteri” al confine orientale del “Feudum Crotoneorum”.[xlv]

cartina calabria centrale

Ricostruzione del percorso viario tra Rossano e Squillace segnato nell’Itineario Antonino.

 

Il tenimento di Neto

Le fonti documentarie medievali in nostro possesso, non menzionano mai l’abitato di Neto.[xlvi] Di esso non parla il geografo musulmano Edrisi che, alla metà del sec. XII, descrive gli abitati esistenti lungo il percorso del fiume (nahr nîṭû), dalle pendici della Sila fino alla sua foce,[xlvii] dove riferisce l’esistenza di un porto “che è al sicuro dai tre venti”.[xlviii]

Tracce riferibili alla sua esistenza passata, si rinvengono invece in un atto dell’ottobre 1209, che documenta l’esistenza della chiesa di “S. Martini de Neto, quae in tenimenti Calabromariae confinio sita est”,[xlix] “obedientiam” del “monasterium quod dicitur de Abbate Marco”[l] mentre, la documentazione successiva, evidenzia che il tenimento detto “Neto”, posto in territorio di Roccabernarda, costituiva un antico possesso del monastero di Calabromaria, poi detto anche Santa Maria di Altilia, all’interno del quale si trovava la salina regia detta di “Neto”.

Ancora nel secolo XVI, il monastero di Calabromaria che, solo dalla seconda metà del sec. XV, comincia ad essere richiamato dai documenti in territorio di Santa Severina,[li] ma che, in precedenza, ebbe una propria autonomia territoriale, conservava “In primis uno tenimento chiamato Neto”, all’interno del quale era situata “la salina chiamata di Neto de la quale sua maestà e suoi ministri pagano annuatim a detta Abatia d(uca)ti cinquanta et tari due” e l’ “Ill.re S.r Abbate può in essa salina haver sale quanto ad esso parerà conforme a d(et)ti privilegii”.[lii]

La minore antichità rispetto a “Neto” del toponimo “Calabria”/“Calabro”, che possiamo ricondurre al tempo della costituzione della metropolia di Santa Severina “di Calabria”, consente di riferire a questo periodo le prime importanti trasformazioni del territorio strutturato dai Romani che, comunque, cominciano a poter essere apprezzate solo agli inizi del periodo Normanno, quando prese l’avvio il processo di formazione dei feudi, ed il territorio di Santa Severina, oggetto di una riorganizzazione in questa chiave nella seconda metà del sec. XI,[liii] si trovò a limitare per un lungo tratto, il tenimento di Neto posto in territorio di Roccabernarda, mediante un confine che attraversava le località “Caprari”, “Armirò”, “Castelluzzo”, “Caria”, “Bosco” e “Scalille di Altilia” per giungere al “fiume Neto”.[liv]

Accanto a queste considerazioni circa il tenimento di “Neto”, che rimangono in linea con l’antichità di questo toponimo ed il suo permanere in un’area posta alla destra idrografica del corso del fiume, altre ci permettono di poterne rilevare la presenza anche in altri luoghi posti da questa parte, come quelli vicini al guado da cui transitava “la via publica che se va a cotroni”[lv] dove, agli inizi del Seicento, troviamo il luogo detto “la Valle di S. Martino”, che confinava con i beni del priorato di San Pietro di Niffi (Latina, S. Elia) e, dalla parte orientale, con quelli della corte di Santa Severina (Scrivo).[lvi]

Scandale corazzo

Marmo d’età romana in località Corazzo di Scandale (KR).

Nelle vicinanze, il toponimo “Neto” permaneva anche alla sinistra del corso del fiume, dove troviamo la chiesa di Sant’Elena “de Neto”,[lvii] grancia del monastero di Santa Maria de Patirio, posta “iuxta flumen Neti subtus Roccam S. Petri de Cremasto”,[lviii] abitato preesistente a quello dell’attuale Rocca di Neto, identificato dalle carte moderne con il toponimo di “Rocca Vecchia”.[lix]

Qui, solo verso la fine del sec. XIV, comincia ad essere documentata l’esistenza della terra di Rocca di Neto, in luogo del casale di Rocca S. Pietro de Camastro (camastra = catena) che, per tutto il periodo svevo, risulta invece posto in territorio di Santa Severina ed in diocesi di questa città, cui ne fu distaccato agli inizi del periodo angioino, a seguito della ridefinizione del confini tra il giustizierato di Calabria e quello di Valle Crati e Terra Giordana lungo il corso del fiume Neto, continuando comunque a permanere in diocesi di Santa Severina.

Queste informazioni relative alla sopravvivenza dell’antico toponimo “Neto”, esteso in una vasta area che, durante l’epoca feudale, in parte era divenuta una pertinenza del territorio della città di Santa Severina, e parte di altre terre, pur non consentendoci di poter risalire ad una definizione precisa del territorio pertinente anticamente alla statio romana, ci permettono, comunque, di porre in risalto, grossomodo, i suoi limiti principali e di accertare il fatto che queste realtà medievali, furono formate in uno spazio che possedeva una propria struttura ed una precisa identità già precedentemente all’età feudale.

Un territorio anticamente posto al confine di quello appartenente alla Crotone romana, destinato alle coltivazioni (“ager”), e pertinente a quello dell’interno boschivo, dove esistevano gl’insediamenti del Brettii romanizzati dediti alla pastorizia (“saltus”), come c’indica la sopravvivenza del toponimo “salto” durante il periodo medievale, che risulta documentato in corrispondenza dell’importante attraversamento del fiume Neto in località “Timpa del salto”,[lx] dove consistenti e diffusi sono stati i ritrovamenti archeologici del periodo romano.

Balvedere Timpa del salto

Belvedere di Spinello (KR). La “Timpa del Salto”.

A questa realtà preesistente a quella altomedievale di Santa Severina, la cui diocesi non compare “nella primitiva costituzione della provincia di Reggio”, cosa che ci permette di escludere che sia esistita “in epoca anteriore al secolo IX”,[lxii] dovevano appartenere le colonne di spoglio esistenti nel c.d. “Battistero” della città, e forse anche anche altri resti ancora rintracciabili nelle vicinanze di Altilia, in particolare nella località “Serre di Altilia”, ma anche presso le sponde del fiume Neto, come si rinviene in localita Pietra del Thesauro di Strongoli (KR).

santa severina battistero

Colonne di spoglio esistenti nel c.d. “Battistero” di Santa Severina (da www.paesionline.it).

Agli inizi del Seicento il Marafioti menzionava l’esistenza di un antico “castello dal nome del fiume chiamato Neto”, posto presso il corso dell’omonimo fiume, dove si trovavano le antiche saline (“Rocche di sale in Neto”), affermando, in maniera del tutto anacronistica, che nel suo “territorio”, erano posti i casali di San Mauro, San Giovanni Monaco e Scandale[lxiii] che, al tempo, appartenevano invece, a quello della città di Santa Severina.

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In evidenza l’abitato di “Neeto” nelle vicinanze del fiume omonimo e della città di “S. Severina”, com’è raffigurato in un affresco cinquecentesco della Galleria delle carte geografiche ai Musei Vaticani.

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Santa Severina (KR) e la vallata del Neto viste dalla “Timpa del Salto”.

 

Note

[i] Piccinato L., Urbanistica Medievale, 1993, p. 10.

[ii] Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi C.A.M., Napoli 1957, p. 44. Basilii Notitia, in Gelzer H., Georgii Cypri Descriptio Orbis Romani, Lipsia 1890, p. 27.

[iii] “… la metropolia di Reggio, alla quale furono sottomesse tutte le diocesi della Calabria, e cioè Gerace (Locri o S. Ciriaca), Squillace, Crotone, Cosenza, Vibona, Tropea, Nicotera, Tauriano, Tempsa e Turio. Le ultime due esistevano solo nominalmente.” Russo F., cit., 1957, p. 44.

[iv] “MH. Tῇ Ἁγίᾳ Σευηρινῇ τῆς Kαλαβρίας. ὁ Eὐρυάτων, ὁ ’Aϰερεντίας, ὁ Kαλλιπόλεως, [ὁ] τῶν ’Aησύλων.”. Gelzer H., Georgii Cypri Descriptio Orbis Romani, Lipsia 1890, p. 82.

[v] Parthey G. e Pinder M., Itinerarium Antonini Augusti et Hierosolymitanum, 1848, pp. 52-53.

[vi] Parthey G. e Pinder M., cit., pp. 52-53. La distanza in km riportata tra le parentesi è stata ricavata considerando 1 miglio romano = 1000 passi = 1,480 Km.

[vii] Pesavento A., Da Tacina a Turris Tacinae a Steccato di Cutro, www.archiviostoricocrotone.it.

[viii] Strabone, Geografia VI, 1, 2.

[ix] P. Jo: Baptistae Aucher Ancyrani, Eusebii Pamphili Chronicon Bipartitum, Pars II, Venezia 1818, p. 181.

[x] Mai A., Zohrabian J., Eusebii Caesariensis et Samuelis Aniensis Chronica, Milano 1818, p. 323.

[xi] Siegfried C, Gelzer H., Eusebii Canonum Epitome ex Dionysii Telmaharensis Chronico Petita, Lipsia 1884.

[xii] Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum 1865 pp. 138-141 n. CVI.

[xiii] Carta d’Italia scala 1:50000 Foglio N° 561 – S. Giovanni in Fiore; Carta d’Italia 1:25000 Foglio 230 – II S.E. Umbriatico e sulla Sez. B dello stesso foglio alla scala 1:10000.

[xiv] ASCZ, Notaio Cadea C., busta 6, ff. 178-179.

[xv] “(…) Da Simeri pure ad ’.sṭ.r.nǵ.lî (Strongoli) ventun miglio. / E da Strongoli a Cotrone ventiquattro miglia. / Tra Strongoli e il mare sei miglia. / Inoltre da Strongoli ad ’.brîâtiqû (Umbriatico) undici miglia. / Da Umbriatico a bât.r bawl (Pietrapaola) ventisette miglia. / Da Pietrapaola a ’.b.shrû (Ipscrò, oggi Cirò) trentatre miglia. / Tra Cirò a rûsyânû (Rossano) la marittima quindici miglia. (…)”. Amari M. e Schiapparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero”compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p. 112.

[xvi] Procopio di Cesarea, De bello Gothico III, 28. Ed. Comparetti D., La Guerra Gotica di Procopio di Cesarea, voll. 3, Roma 1895, 1896, 1898, in Fonti per la Storia d’Italia pubblicate dall’Istituto Storico Italiano.

[xvii] Delaville Le Roulx J., Cartulaire Général de l’Ordre des Hospitaliers de S. Jean de Jérusalem (1110-1310), Parigi 1897, tome second (1201-1260), pp. 900-901.

[xviii] VI, 1, 2-3.

[xix] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 503v.

[xx] Duchesne L., Le Liber Pontificalis, tome premier, Paris 1886, p. 350.

[xxi] Mansi J. D., Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio …, 1759-1798, XI, coll. 210, 218, 230, 323, 327, 334, 379, 458, 519, 583, 603, 612-14, 622, 626.

[xxii] Ibidem, coll. 387, 742.

[xxiii] Ibidem, coll. 551, 739.

[xxiv] “Abundantius humilis episcopus Tempsanae ecclesiae provinciae Brutiorum …”, Ibidem, col. 302. “Abundantius humulis episcopus sanctae ecclesiae civitatis Tempsanae, legatus totius concilii sanctae sedis apostolicae urbis Romae definiens subscripsi.”, Ibidem, col. 642. “Abundantius humulis episc. sanctae ecclesiae civitatis Tempsanae, legatus totius concilii sanctae sedis apostolicae urbis Romae similiter subscr.”, Ibidem, col. 670. “Abundantius minimus episc. S. ecclesiae Tempsanae, Brutiorum provinc. etc.”, Ibidem, col. 773. “Abundantius episcopus Tempsanae, et apocrifiarius totius synodi sanctae et apostolicae sedis urbis Romae, subscripsi et definii.”, Ibidem, col. 900.

[xxv] Gelzer H., Georgii Cypri Descriptio Orbis Romani, Lipsia 1890, p. 82. L’antichità del vescovato di Umbriatico risalta in un atto del 9 giugno 1434 (AASS, 040A, ff. 37-37v).

[xxvi] Ethinicorum quae supersunt, ed. Meneike (Berolini, 1849) p. 188.

[xxvii] “Inde est Brystacia, nunc Briaticum civitas sedes episcopalis, ex Paterno urbe, de qua mox, huc translata, cuius meminit Ioannes ioachinus abas, et si, antiblacensis depravate legatur. Situm est oppidum in vertice montis saxei, ab Oenotriis conditum, ut ait Stephanus, …”. Egli poi riferiva: “Inde urbs haec Crimissa dicta fuit Paternum, cuius meminit Antoninus Pius in itinerario, qua a Rossano m. p. duodetriginta distare dicit. Nunc, ut dixit, Cirum dicitur. Fuit sedes episcopalis, quae post vastationem regionis a poenis, cretensibus, et mauris in Briaticum transalata est. Abundantius episcopus Paternensis interfuit Synodo Constantinopolitanae sextae sub Agathone papa …”. Barrio G., cit., p. 377.

[xxviii] Marafioti G., Croniche et Antichità di Calabria, Padova 1601, libro III, p. 202.

[xxix] Marafioti G., cit., libro I, pp. 56-57, libro III, p. 203 e libro V, p. 308.

[xxx] Fiore G., Della Calabria Illustrata, tomo I, p. 477.

[xxxi] Fiore G., cit., p. 478.

[xxxii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, tomo II p. 547.

[xxxiii] “Non si sa di questa Città altro dell’esser suo ne de suoi principii se non che nell’Imperio di Valentiniano fu riformata da Sisto 3o, l’ordinazione del Vescovo, la di cui sede venne dalla città di Paterno trasferita nella sua Cattedrale col titolo di S. Donato, servita solo da quattro Sacerdoti. Si venerano le Reliquie del Santo Gregorio Papa, Lorenzo, Donato, Stefano, Gregorio e Geremilla con piccole porzioni delle vesti de Signore e della SS. Madre, risalendo nel centro di essa sul dorso di ruvidissime pietre non tagliate, con Torre alta con in tre Ali il suo corpo partito. Ella è situata sopra di una rupe di malagevole accesso, e poco grata tra sentieri di precipizio e spavento poco più di un miglio distante dal Mare. Chi ve la piantò non hebbe forsi alcun impulso che di fabricarvi un ricovero per fuggitivi, o malcontenti, potendosi pensare a capriccio quello che può più piacere al genio, mentre non si rinviene chi ne dia maggior lume. Sono però le sue campagne non scarse del necessario e del dilettevole, producendovi in abbondanza de Capperi con Copia di animali di pelo ne suoi Boschi, e di penne nelle sue campagne, oltre la Manna il Terebinto, il Gesso e l’Alabastro ed altre molte specie di herbe per salute e delizia. Con quattro Parrocchie, Seminario, Spedale, Monte per poveri, due Conventi di Regolari, ed uno di Suore, terminando con quattro Terre la sua Diocesi, in una de quali per mezzo di un Prete Albanese accasato si pratica il Rito de Greci. Numera non più di 42 fuochi; e della Casa Rovegna è Marchesato”. Arch. Gen. Agostiniano, Carte Rocca, Testi, 93; in Amirante G., Passolano M. R., Immagini di Napoli e del Regno, ESI Napoli 2005, p. 101.

[xxxiv] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1678.

[xxxv] “P.us ex oppidi est Cirò; Oppidum istud 800 ab hinc annis situm erat in Promontorio Alicinio p(er) Orientis Equora navigantibus celeberrimo; Dicebatur tunc Paternum, eiusque Urbis Paternenses Ep(iscop)i dicebantur, quorum unus morum Sanctiate, doctrinaque insignis, ut in Urbis Antiquariis habetur, Abundantius ille Sextae Constantinopolitanae Synodi intervenit anno Xpi 680; At quia Turcarum incursionibus saepissime vexabatur, postremo pene diuturna obsidione circumdatum ispimet oppidani illud incendio devastarunt, unde fuit ei nomen Cremissa, idest se ipso crematum et asportabiliora vehentes, in montem secesserunt, qui nomen habet Ipsigrò; idest mons altior namque inter duos alios laterales ibi notabiliter eminet; Ep(iscop)us …, ut cautius reliquiarum caelestes conservaret divitias superiorem, magisque remotum se recepit in locum Umbriaticen … .”. AVC, Rel. Lim. Umbriaticen., 1684.

[xxxvi] Ughelli F., Italia Sacra, tomus octavus, Venezia 1721, 525.

[xxxvii] “Egli cadrà in battaglia, e il Crati ne scorgerà la tomba verso il luogo in cui sorge il tempio del nume Aleo di Patara, dove il Nieto scarica le sue acque in mare” (Licofrone, Alessandra, vv. 918-921). Il fiume è ricordato anche da Plinio il Vecchio: “A Lacinio promontorio secundus Europae sinus incipit, magno ambitu flexus, et Acroceraunio Epiri finitus promontorio, a quo abest LXXV M pass.. Oppidum Croto, amnis Neaethus. Oppidum Thurii inter duos amnes Crathin et Sybarin, ubi fuit urbs eodem nomine” (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 97. Ed. Domenichi M.L., 1844, p. 369).

[xxxviii] “E’ fondazione di Filottete anche l’antica Crimisa (Κρίμισσα), che si trova press’a poco in questi stessi luoghi. Apollodoro, nel suo Catalogo delle Navi, parlando di Filottete, racconta che secondo alcuni egli, giunto nel territorio di Crotone, stabilì un insediamento sul promontorio di Crimisa e, un po’ all’interno rispetto ad esso, fondò la città di Chone, dalla quale, quelli che abitano li, presero il nome di Conî; alcuni, poi, sarebbero stati inviati da lui in Sicilia nella zona di Erice con il troiano Egesto ed avrebbero fortificato Egesta.” Strabone, VI, 1, 3.

[xxxix] “La prima di queste città è Crotone, a 150 stadî dal promontorio Lacinio; c’è poi il fiume Esaro con il porto e poi un altro fiume chiamato Neeto (Nέαιϑος), che dicono abbia avuto questa denominazione da un fatto avvenuto là. Raccontano infatti che alcuni Achei, al ritorno della spedizione di Troia, errando qua e là furono spinti in questi luoghi e vi approdarono per esplorarli. Le donne troiane che navigavano con loro, quando si accorsero che le navi erano vuote di uomini, le incendiarono, perché erano stanche di navigare. Così quelli furono costretti a rimanere qui tanto più che avevano anche potuto constatare la fertilità della terra. Presto vi giunsero anche parecchi altri della stessa stirpe, che seguirono il loro esempio e fondarono molte colonie a cui posero per lo più nomi uguali a quelli di fiumi; [il fiume Neeto (Nέαιϑος) derivò il suo nome dall’incendio]. Strabone VI, 1, 12.

“Il Neto è un fiume dell’Italia. Secondo Apollodoro ed altri autori, fu così chiamato per questo motivo: dopo la distruzione di Troia, le figlie di Laomedonte, sorelle di Priamo, Etilla, Astioche e Medesicasta giunsero con le altre prigioniere in questo posto d’Italia e, per non essere costrette a subire la schiavitù in Grecia, diedero fuoco alle navi. Per questa ragione il fiume fu detto Neto e le donne Nauprestidi. Perdute le navi, i Greci che erano con loro si stabilirono là.” Apollodoro, La Biblioteca, in Attianese P., Kroton: le monete di bronzo, p. 41.

[xl] Neto: fiume dell’Italia. Alcuni Elleni, navigando da Troia, si fermarono presso questo fiume, dove le loro prigioniere, temendo una volta giunte in Grecia, la schiavitù e la futura gelosia delle loro donne, bruciarono le navi ed il fiume fu chiamato Neto (Nαύαιθος) da questo incendio, mentre le donne Nauprestidi e le navi Prestidi. Etymologicum magnum, 598, 36, Ed. Gaisford T., 1848. Nel Lexicon Suda o Suida (circa sec. X), Naeethus (Nαίεϑος) risulta il nome di un fiume. Suidae lexicon graece et latine, Cantabrigiae, Typis academicis, Tomus II 1705, p. 602.

[xli] Napoli M.,, op. cit. p. 218.

[xlii] A questo riguardo P.G. Guzzo, partendo dall’indicazione in Strabone (VI, 1, 10) a proposito del nome “femminile” del fiume Sagra, ipotizza un anallenismo sia per quest’ultimo che per il fiume Medma. P. G. Guzzo, L’archeologia delle colonie arcaiche, p. 224, in Storia della Calabria Antica, Cangemi editore, 1987.

[xliii] Parthey G. e Pinder M., Itinerarium Antonini Augusti et Hierosolymitanum, 1848, p. 52. Romanelli D., Antica Topografia Istorica del Regno di Napoli, parte prima, Napoli 1815, p. 303.

[xliv] AASS, 041A, f. 65v foto 075.

[xlv] “Incipiendo a p.e Orientis à loco ditto Ponte veteri, et vadit ad flumen Neheeti et cursus finendo ponit ad [flumen A]mpolini à p.e Boreae et ferit ad Collem lariae ab occidente, et viam publicam, et … vadit et ferit ad terram de Sprolverio, et ca[la]ndo dà Rivioti a p.e meridei et vadit ad vallonum turbidum et ferit ad collem Grotti et concludit ad dictum locum de Ponte veteri”. Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xlvi] Circa l’esistenza dell’abitato di Neto durante il Medioevo, una traccia potrebbe forse celarsi in un atto del novembre 1118 edito dal Pratesi, nel quale, in occasione di una sentenza pronunciata da “Girardo baiulo Sancte Severine et Cutroni”, si menziona la presenza di alcuni testi giunti “a Filetu” (sic). Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1958, pp. 27-30.

[xlvii] “Il nahr nîṭû (fiume Neto) scende da ’aṣṣîlâ (la Sila) a destra di ǵ.runtîah (Cerenzia) e si dirige verso levante. A sinistra di questa città esce un altro fiume (fiume Lese) che si unisce col precedente nel luogo chiamato ’al mallâḥah (“la Salina” in oggi Salina di Altilia), distante da ǵ.runtîah, che dicesi pur ǵ.ransîah (Cerenzia), nove miglia. Il Neto quindi continua il suo corso fino a che passa sotto śant samîrî (Santa Severina) lontano un miglio e mezzo, e proseguendo tra quṭrûnî (Cotrone) e ’.str.nǵ.lî (Strongoli) mette in mare.” Amari M. e Schiapparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero”compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p. 128.

[xlviii] “Da Cotrone al porto [che è all’imboccatura] del wâdî ś.bîrìnah («fiume di [Santa] Severina», fiume Neto), porto che è al sicuro dai tre venti, dodici miglia. Da questo al râs ’alîǵah («capo Alice», oggi Punta dell’Alice) ventiquattro miglia.” (Amari M. e Schiapparelli C., cit., p. 73). “Dalla città di Cotrone al wâdî s.t.rînah (leg. sabirînah «fiume di [Santa] Severina», fiume Neto), fiume piccolo, dodici miglia. Da questo ad ’aln.ǵah (leg. [râs]’alîǵah, «capo Alice», oggi Punta dell’Alice) ventiquattro miglia.” (Amari M. e Schiapparelli C., cit., p. 133).

[xlix] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 35-38.

[l] De Leo P. (a cura di), cit., pp. 73-76 e pp. 239-241.

[li] Il 25 febbraio 1466, Ferdinando d’Aragona approvava le richieste fatte dall’università di Santa Severina, tra le quali che “lo monastero de Calabromaria, e de Santo Petro de Niffi, quali sono fundati intro lo tenimento de la d.a Citta …” (AASS, 023A).

[lii] Così è descritto il tenimento di Neto “nel territorio della Rocca Bernarda”: “Incominciando dal fiume di Neto dallo luoco proprio chiamato Lo Cafaro, la cabella di S.ta Maria di Mulerà vecchio et ascende per le criste criste delli sterei ed ascende alli terreni delli Giuliani per le timpe timpe, et esce e confina alla cabella della Feretta, li frunti frunti de d.a cabella, et esce alli vignali di S.ta Maria de la Magna della Rocca Bernarda, li frunti frunti di d.i vignali, esce alli vignali di S.to Nicola della Rocca pre.tta, li frunti frunti, et esce alla cabella de Cuvalari nominata dell’her.i del q.m Alfonso Masso li frunti frunti et esce alla serra di S.to Andrea de la suprad.a cabella di d.i her.i e li frunti frunti esce alla cabella de Berardino di Bona e frati nominata la cabella dello Suvero, et esce allo timpone de Castelluzzo, et discende lo timpone a bascio termino med.te et esce allo canale de Caria, et ascende lo vallone ad irto de Caria confinando con lo Castelluzzo e confina alla serra de Crapari, e de volta volta esce alla cabella chiamata Armerò, e le colle colle esce alle Scalille, e de volta volta confinando ad Armerò verso levante, et esce allo timpone d’Armerò, dallo quale timpone a bascio ferisce alle terre, e sararmaco di Francesco delle Serre, et lo sararmaco sararmaco esce allo vignale di S.to Nicola con lo quale confina termino med.te, con lo quale confinando sempre da man destra caminando verso Ardavuri finisce alla medesima cabella di Ardavuri, e segue la serra a pennino cristone cristone, et esce alle terre di Francesco delle Serre, e di Battista delle Pira, e lo termine termine esce allo cristone di S.ta Anastasia, e da esso cristone cala a bascio confinando da man destra con li Ficuti, e da man manca con la cabella d’Ardavuri, e fere allo termine di S.ta Anastasia, et termino mediante lasciando d.o termine da man destra termino termino ferisce ad un pezzo di terre, e molino d’Alessandro Infosino acquaro mediante confinando con d.e terre ferisce allo (giardino) delle molina dell’Ill.e S.r Gio. Baracco, e seguendo la sepala sepala di d.o giardino ferisce allo galice prima dello prato di d.e molina venendo dalla città di S.ta Severina et ascendendo lo galica ad irto, et esce allo timpone dell’aira, e da d.a aira descende all’altro galice dello Scinetto della cabella d’Ardavuri, confinando da man destra de d.o prato, et delle molina di d.o Ill.e S.r Giovanni, e da d.o Scinetto scende mezze coste mezze coste, et esce allo timponello delli Scini delle mezze coste, et esce all’altro timponello di più sopra sempre confinando da man manca quando se va alla salina de Neto, e si viene dalla città di S.ta Severina confinando de d.e terre di d.o Ill.e S.r Giovanni, e ferisce alle timpe, e delle timpe timpe ferisce allo Galice dove e l’Aquicella de Femina Morta, e de detta acqua ferisce al fiume di Neto e de Neto ad irto conclude allo primo sciere (?) sopra la Menta”. ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de vassalli di d.a scritta a foliate numero 29, in Miscellanea. Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782).

[liii] Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Comitis, in Muratori L. A., Rerum Italicarum Scriptores, Zanichelli N. Bologna s.d., tomo V, parte I, pp. 59-60.

[liv] Pesavento A, Antichi casali della vallata del Neto: Calabrò, Caria ed Altilia, in www.archiviostoricocrotone.it

[lv] AASS, 002A.

[lvi] AASS, 41A.

[lvii] “eccl.am Sanctae Helenae de Neto cum omnibus pertinentiis suis”. ASV. Arm. XXIX, f. 237.

[lviii] Ughelli F., Italia Sacra, IX, 517-520.

[lix] Pesavento A., San Pietro di Camastro, Rocca di Neto e la grancia di S. Maria della Terrata, www.archiviostoricocrotone.it

[lx] Il toponimo “timpa dello salto” compare già nel 1507 (AASS, 109 A).

[lxi] L’esistenza della terra di “Rocca de Saltu” o “de Vivo” (sic), precedentemente appartenuta al dominio feudale di Iohannes de Manerio ma, successivamente, devoluta alla regia corte per il suo tradimento, c’è riferita dal Minieri Riccio, che menziona atti della cancelleria angioina ormai perduti: “In Rocca Berardi et in Rocca de Saltu Dictae Terrae sunt in mainibus domini nostri Regis devolutae ex proditione domini Ioannis de Manerio, et capta ibi informatione de numero Iudicum, qui creari solent in Rocca Berardi, constat esse unum – Alla p. 514 dove si cita il fol. 104 del Fasc. 23. Nell’anno della sesta e settima indizione sotto Carlo 1° di Angiò Ruggierio Manerio aveva feudi in Calabria. – Alla p. 578, dove si cita il fol. 101 del Fasc. 28 il 1°.” Minieri Riccio C., Studi Storici su Fascicoli Angioini dell’Archivio della Regia Zecca di Napoli, 1863, pp. 19-20. “In Rocca de Vivo dominus Iohannes de Manerio erat dominus dictae terrae sed devolvit ad Curiam per eius proditionem – Alla p. 94 dove si cita il fol. 14 del Fasc. 5.”. Ibidem, p. 12.

[lxii] Russo F., La Metropolia di S. Severina, cit., pp. 44-45.

[lxiii] “(…) tra Cutro, e’l fiume Neto occorre un castello dal nome del fiume chiamato Neto : dove si veggono le rocche, dalle quali hoggidì si cava’l sale bianchissimo (…)”; a margine: “Rocche di sale in Neto”. “(…) e nel suo territorio sono questi Casali, S. Mauro, S. Giovanni, e Scaualio. (…)”; a margine: “Casali di Neto”. Marafioti G., Croniche et Antichità di Calabria, Padova 1601, libro III, p. 211v.


Creato il 14 Giugno 2017. Ultima modifica: 31 Dicembre 2021.

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