Vicende feudali della contea di Catanzaro, dalle origini al dominio di Giovanni Ruffo (sec. XI-XIV)

Catanzaro panorama

Panorama di Catanzaro (da nessunapretesa.com).

“Una delle più controvertirte fondazioni di città nella Calabria, io la stimo quella di Catanzaro, così varii, e per tempo, e per autori, e per circostanze ne sono i sentimenti. Perché non vi fu istorico antico, ed autorevole, che di questo argomento scritto avesse, …”.[i]

(N.b. Attraverso il presente lavoro, sono stati presi in esame solo alcuni aspetti che legano la contea di Catanzaro al Crotonese).

 

L’istmo di Catanzaro

Secondo l’interpretazione dell’Alessi condivisa dal Rohlfs, il toponimo Catanzaro significherebbe “sotto l’altura” e deriverebbe, quindi, dalla posizione occupata dalla città.[ii]

Sembrano confortare questa ipotesi le considerazioni che possiamo esprimere circa tale aspetto. Essa infatti, si ritrova allo sbocco del percorso che, da Cosenza, per Rogliano, attraversando i rilievi che caratterizzano la parte centrale della regione, giungeva al mare presso l’antica città di Squillace, nel luogo di passo dove tale percorso incrociava quello che, da Crotone per Maida, si dirigeva verso il promontorio vibonese e i suoi importanti e antichi scali portuali. Risalta quindi come l’erezione di Catanzaro ebbe la funzione strategica di porre sotto controllo il luogo in cui, il percorso che si diramava dalla principale direttrice di attraversamento nord-sud della regione, discendendo la valle del fiume Corace, incrociava quello che collegava i più importanti centri marittimi della Calabria centrale.

La particolare importanza per i collegamenti terrestri, dell’istmo esistente tra il golfo di Squillace sulla costa ionica e quello di Hipponio/Vibo Valentia su quella tirrenica, è sottolineata negli antichi itinerari, che evidenziano come questo costituisse il massimo restringimento della penisola italiana e il punto più favorevole per chi volesse transitare tra le due coste: “Verum Italiae longitudo, quae ab Augusta Praetoria per Urbem Capuamque porrigitur usque ad oppidum Regium, decies centena et viginti passuum colligit, latitudo, ubi plurimum, quadringenta decem, ubi minimum, centum triginta sex milia. artissima est ad portum quem Castra dicunt Hannibalis: neque enim excedit quadraginta milia.”.[iii]

Principali direttrici viarie incentrate sulla città di Catanzaro.

 

Una realtà medievale

L’ipotesi secondo cui, le vicende che determinarono lo sviluppo di Catanzaro, furono legate al presidio di una posizione vantaggiosa, più che ad una evoluzione come centro di accumulo delle risorse del suo comprensorio, risulta avvalorata dal rapido crescere della sua importanza durante la fase di arroccamento in età medievale. Un’importanza che, invece, non risulta documentata nelle epoche precedenti.

Durante il dominio bizantino, agli inizi del secolo IX, la diocesi di Catanzaro non risulta tra quelle appartenenti alla nuova metropolia di Reggio, alla quale furono sottoposte tutte quelle della Calabria,[iv] né compare in seguito nelle “Notitiae” pubblicate dal Parthey, dove troviamo elencate le metropoli e le diocesi calabresi soggette al patriarcato di Costantinopoli.[v]

La città risulta invece ben evidenziata al tempo di Ruggero II re di Sicilia (1130-1154), quando il geografo musulmano Edrisi qualifica qaṭanṣâr (Catanzaro) come una “rocca di bella costruzione”, posta in posizione baricentrica tra Stilo, Santa Eufemia e Simeri, ovvero a dodici miglia dalle prime due e a quindici miglia da quest’ultima.[vi]

Con riferimento alla seconda metà del sec. XII, il portolano intitolato “Liber de Existencia Riveriarum et Forma Maris Nostri Mediterranei”, identifica la “villa que dicitur Cathentana”, “In fundo” al golfo di Squillace (“sinus Squillacis”)[vii] mentre, alla fine di questo secolo, il vescovo “Catacensem” risulta tra quelli suffraganei della metropolia di Reggio, nel Provinciale vetus di Albino.[viii]

Accanto alla possibilità di circoscrivere il periodo in cui la città andò assumendo il ruolo che manterrà per un lungo periodo durante il Medioevo e oltre, le particolarità evidenziate ci consentono di registrare anche altri aspetti che, sempre in relazione al suo ruolo di controllo del territorio, ne mettono in risalto l’impronta in chiave marcatamente militare. Tale ruolo appare strettamente connesso a quello esercitato nell’area di confine con il Crotonese, dalle antiche città di Callipoli/Genicocastro, Santa Severina e Crotone, e da altre realtà vicine che, per quanto riguarda questo aspetto, risultano collegate e integrate a quella di Catanzaro, durante la fase conseguente alla conquista normanna e anche in quelle successive.

In relazione a ciò troviamo che, ancora agli inizi del periodo angioino, gli “homines Comitatus Catanczarii” erano tenuti a concorrere e a fornire prestazioni, riguardo i lavori di manutenzione e riparo del castello di Crotone,[ix] mentre possiamo rilevare che, con alterne vicende, i conti di Catanzaro ebbero in feudo diverse terre del Crotonese poste nella valle del Tacina che, pur continuando ad appartenere all’antica circoscrizione ecclesiastica dell’arcidiocesi di Santa Severina, furono soggette al loro dominio.

Tra queste, oltre a Genicocastro (poi Belcastro),[x] già durante la dominazione sveva appartennero alla contea di Catanzaro anche: Mesoraca,[xi] Policastro con il suo casale di Cotronei,[xii] e Roccabernarda,[xiii] terre poste in diocesi di Santa Severina, oltre a Le Castella e Tacina, terre poste in diocesi di Isola. Conferma di ciò ci perviene anche agli inizi del Trecento, quando i beni del conte Petro Ruffo juniore furono ereditati da suo figlio Giovanni,[xiv] come anche in seguito, in occasione del pagamento dell’adoha relativa all’anno 1378,[xv] e al tempo in cui papa Martino V confermò il possesso dei beni feudali a Nicola Ruffo, marchese di Crotone e conte di Catanzaro (1426).[xvi]

 

L’epopea dei guerrieri

Le vicende che determinarono la formazione della contea di Catanzaro, ci sono rappresentate dal racconto del monaco Goffredo Malaterra che, attraverso la sua nota cronaca, narrò le vicende che videro protagonisti i Normanni durante il loro insediamento nel territorio calabrese, attorno alla metà del sec. XI.

Vicende che pongono in risalto le loro gesta belliche, attraverso cui, cercando di assicurarsi il dominio della regione, essi stabilirono un presidio nei luoghi strategicamente più importanti. Vicende che videro protagonisti i nuovi signori in lotte accanite fra di loro, per giungere ad assicurarsi i frutti migliori di tale conquista.

Scena d’assedio nell’Arazzo di Bayeux (da www.studyblue.com).

Nel nostro caso, i fatti possono essere ricondotti all’azione del duca Roberto il Guiscardo e di suo fratello il conte Ruggero, in occasione dell’assedio e della presa di Santa Severina, a cui parteciparono Hugone Falloc che, in seguito, ebbe in feudo Catanzaro, e suo fratello Herberto.[xvii]

Di questo gruppo familiare abbiamo notizia già nel giugno del 1022, quando troviamo Hugo Falluca nel gruppo dei 24 normanni che l’imperatore Enrico II lasciò di rinforzo ai nipoti di Melo da Bari, investititi da lui della contea di Comino nell’alta valle del Liri presso Sora.[xviii] Più tardi, Guaimaro V, principe di Salerno, faceva incarcerare a Torremaggiore “Hugo, loquel avoit souprenom Fallacia”.[xix]

Ritroviamo Hugone in occasione delle vicende relative alla menzionata conquista di Santa Severina riferibili agli anni 1073/74, quando egli e suo fratello Herberto, parteciparono alla lotta contro Abagelardo, figlio del conte Humfredo, fratello del duca Roberto che, ribelle allo zio Roberto, si era arroccato “apud Sanctam Severinam, Calabriae urbem” dove, dalla Sicilia, si recò ad assediarlo il conte Ruggero chiamato dal duca suo fratello.

In questa occasione, l’assedio della città sarebbe stato compiuto attraverso l’erezione di “tria castella”: il primo affidato ad Hugone Falloc, il secondo a Rainaldo de Simula e il terzo a “Herberto, fratri Hugonis, et Custinobardo, fratri dicti Rainaldi”.[xx]

L’erezione di un castello nell’Arazzo di Bayeux (da home2.btconnect.com).

Le lotte che avevano trovato protagonisti i primi conquistatori, ripresero vigore dopo la morte del Guiscardo (1085) quando, in relazione alla sua successione, i Normanni si divisero in due fazioni contrapposte. Una facente capo al duca Ruggero, figlio del Guiscardo e di Sichelgaita, indicato dallo stesso Roberto quale suo successore, l’altra che parteggiò per Boemondo, nato dal primo matrimonio di Roberto con Alberada, poi ripudiata.

Fu così che nel 1087, Mihera “filius Hugonis Falloc”, che aveva ereditato dal padre “Catanzarium et Roccam” (Rocca Fallucca), s’impadronì di “Maia” (Maida) entrando in contrasto con il duca Ruggero e stringendo alleanza con Boemondo, ma quando quest’ultimo si riconciliò con il duca, si trovò a malpartito. Volendò dunque  rientrare nelle grazie del duca, Mihera gli restituì Maida, ma la sua mossa fu vana, perché il conte Ruggero e Roberto de Loritello, che il duca aveva chiamati in suo aiuto contro Boemondo, sfruttarono l’occasione e lo attaccarono per impadronirsi delle sue terre.

Di fronte a tale minaccia, rifiutando la lotta, Mihera si ritirò monaco a Benevento, lasciando suo erede il figlio Adam. Anche questi, comunque, fu costretto alla resa, e dovendo fronteggiare l’assedio postogli nel 1088 da Rodolfo de Loritello, fratello minore di Roberto, appiccò il fuoco ai propri beni e li distrusse. Il conte Ruggero e Rodolfo si spartirono le sue terre.[xxi]

La maniera in cui questa narrazione illustra i fatti che condussero i Loritello, alla conquista dei beni che erano appartenuti agli eredi di Hugone Falloc, consente di ricondurre questi fatti alla costituzione della contea di Catanzaro. Possiamo rilevare infatti, che i simbolismi contenuti negli atti che la cronaca del Malaterra attribuisce a Mihera e a suo figlio Adam, rendono conto della costituzione di una realtà del tutto nuova rispetto a quella preesistente. Come sottolinea in particolare, l’episodio che avrebbe visto Adam appiccare l’incendio ai propri beni, attraverso cui si pone in risalto che tale realtà, prodotto di una spartizione, fu rifondata, ossia fu privata della sua giurisdizione precedente.

La deportazione dei vinti e l’incendio della loro casa nell’Arazzo di Bayeux (da www.usna.edu)

 

I Loritello

A seguito di questi fatti, Rodolfo o Rhao de Loritello fu conte di Catanzaro (1088-1098) e dalla moglie Berta ebbe due figli: Goffredo e Raimondo.[xxii] Dopo la sua morte, avvenuta prima del 1111,[xxiii] suo figlio Goffredo che fu conte di Catanzaro e signore di Luzzi,[xxiv] è ricordato tra coloro che furono presenti alla incoronazione di Ruggero II, il giorno di Natale del 1130 in Palermo.[xxv]

Nell’ottobre 1131 (a.m. 6640), troviamo il “Comite Geofrido filio Comitis Rhai de Loritello”, confermare le donazioni fatte al monastero di S.to Stefano de Nemore da lui e da sua madre Berta,[xxvi] mentre risale al 22 giugno dell’anno seguente, il giuramento di alcuni patti in favore della città di Bari, prestato da “Alexander Cupersanensis comes, Tancredus Cupersani Gauferius Catenzarii comes et Robertus Gravini”, per ordine di re Ruggero, come si trova “nel 5° vol. del Codice Diplomatico Barese, p. 137 e sg.”.[xxvii]

Una testimonianza materiale relativa alla sua persona, è ritenuta l’avorio conservato presso il Germanischen Museum di Norimberga, su cui si legge: “… +.GO.FRE.D / [C]O.MES CA.TA.CEN.SIS / ME.SA.CRA.RE.FE.CIT.”.[xxviii]

Avorio conservato al Germanischen Museum di Norimberga che menziona Goffredo conte di Catanzaro (da www.gnm.de).

Il conte Goffredo è ricordato quale fondatore del monastero della Sambucina[xxix] assieme a sua madre Berta, come evidenzia il Fiore: “Riconosce quest’abazia li suoi natali dall’altra di Casamari della Basilicata, da dove per fondar questa furono chiamati i monaci di quella dal conte Goffredo, e da Berta sua madre; come anche da Guglielmo lor figliuolo, e Goffredo Carbonara lor nipote …”.[xxx]

L’ultimo documento che attesta la sua esistenza in vita risale al 1144.[xxxi] L’anno successivo, “B(erta) Dei gr(ati)a Loritellensis comitissa pro salute anime comitis Goffridi fillii mei et suorum fratrum atque sororis sue C(……..) necnon et comitis Randulf[i et filiorum] eorum”, donava alcuni beni alla chiesa di Santa Maria Requisita. Il documento, sottoscritto dalla contessa di Loritello (“+ Hoc signum crucis manibus domine comitisse factum est”), risulta sottoscritto anche dai figli del conte Goffredo: “[+ Hoc signum cruci]s manibus domine Clementie factum est”, “+ [Hoc si]gnu[m] crucis manibus domini Guilielmi factum est, scilicet filii domini comitis G(offridi)”, “+ Hoc signum crucis manibus domini Thome filii domini comitis G(offridi) factum est”.[xxxii]

 

La contessa di Catanzaro

A seguito delle lotte tra il potere regio e quello baronale, al tempo del re di Sicilia Guglielmo I il Malo (1154-1166), la contea di Catanzaro passò ad essere detenuta dalla regia corte, permanendo in demanio regio fino all’avvento degli Svevi, quando tornò nuovamente ad essere infeudata.

I fatti presero l’avvio in occasione della “cospirazione ordita nell’anno 1160 contro l’Ammiraglio Maio” e poi della “rivolta dei baroni che ne fu conseguenza”,[xxxiii] quando la contea di Catanzaro fu teatro dello scontro tra il sovrano e i baroni ribelli, a cui si legò la contessa di Catanzaro.

Ruderi di fortificazioni medievali in località “Torrazzo” di Taverna (CZ).

Le cronache medievali riferiscono che, nel mese di marzo del 1162, il re di Sicilia diretto in Puglia per sedare la ribellione, assediò e prese Taverna dov’era arroccata la contessa.[xxxiv]

Circa tale episodio, altre cronache riferiscono che le vicende della contessa, identificata con la figura di Clementia, figlia del conte Goffredo, furono legate a quelle di Matteo Bonello, cui sarebbe stata promessa in moglie in cambio del suo impegno ad uccidere l’ammiraglio Maione: “Matheus autem Bonella, qui filiam ammirati in uxorem iuraverat se ducturum, cum quibusdam aliis baronibus Sicilie huic coniurationi, licet occulte, favebat. Promissum enim illi erat a comitibus, quod si ammiratum occideret, Clementiam comitissam Catanzarii illi darent in uxorem.”[xxxv]

Conquistata Taverna, però, il re avrebbe catturato il detto Matteo facendolo accecare: “Et audiens quod prephatus Matheus rebellaretur Taberne, congregato exercitu expugnavit Tabernam et incendit, atque eiusdem Mathei oculos erui precepit.”[xxxvi]

Le circostanze relative alla presa di Taverna, sono riportate in maniera ampia, nella cronaca anonima (Liber de Regno Siciliae) attribuita ad Ugo Falcando, dove i fatti che avrebbero trovato protagonisti Clementia, sua madre e altri suoi familiari, risultano più circostanziati. Li ripercorriamo attraverso il racconto del Palmeri, che si rifà in volgare a questa cronaca scritta in latino:

“Il conte di Lorotello, invaso la puglia, era penetrato sino ai confini della Calabria; tutti i baroni, che havean prese le armi per opporsi alla tirannia di Majone, a lui s’erano uniti, tranne Giliberto conte di Gravina, cui il re aveva perdonato a preghiera della regina, di cui era congionto, il quale anzi coll’esercito regio, che comandava, procurava di opporsi alla marcia dè sollevati, ai quali s’era accostata la contessa di Catanzaro, ed avea munito il suo castello di Taverna in Calabria, per ripararvi colla madre, ed i suoi. (…) Passato poi coll’esercito oltremare, corse ad assediare il castello di Taverna. Esso era posto presso la vetta d’una rupe, ertissima da tutti i lati, che gli stava a cavaliere. Vani tornarono i primi sforzi per espugnarlo; gli assalitori ne furono sempre respinti, senza alcun danno degli assediati, i quali mandavan giù botti, armate esternamente di lunghi chiodi di ferro, ed enormi macigni, che rotolando giù con gran fracasso, pestavano, ferivano, disordinavano le schiere nemiche. Ognuno teneva impossibile il sottomettere di viva forza quel castello, tutti consigliavano il re a lasciarselo indietro, per correre in Puglia ad imprese di maggior momento. Ma, se duro era l’intoppo, anche più duro era l’animo di Guglielmo ne’ suoi proponimenti. Gli assediati, tenendo affatto inaccessibile la sommità della rupe, contigua al castello, non curavano di custodirla; avvistosi di ciò il re, scelta una banda dè più spigliati ed audaci frà soldati suoi, ordinò di dar la scalata da quel lato; tanto fecero coloro, che inerpicandosi per quella rupe ne giunsero in vetta, e quindi senza ostacolo penetrarono nel castello, onde nessuno potè fuggire. La contessa colla madre, e gli zii Alferio e Tommaso, che governavano la milizia, caddero in mano del re. Alferio ebbe sul campo stesso l’estremo supplizio; Tommaso fu impiccato in Messina; de’ gregari, altri ebbero troncate le mani, ed altri cavati gli occhi; la contessa e la madre furono mandate nelle carceri di Palermo.”.[xxxvii]

Le incertezze alimentate da questo racconto circa l’identità della contessa di Catanzaro e non chiarite dalle scarne notizie forniteci dalle altre cronache, hanno pregiudicato non poco, in relazione alla possibilità di pervenire ad una ricostruzione della successione feudale della contea di Catanzaro. Né fanno maggiore chiarezza le notizie che ci provengono da alcuni documenti privi di autenticità.

Secondo quanto riporta il Fiore, “Siglegarda comes Catanzarii” e “Clementia comes Catanzarii”, comparrebbero in qualità di testi, in un atto del 28 agosto 1153, riguardante la concessione di alcuni beni da parte di “Tomaso Petra Abundante, conte di Catanzaro e gerente degl’affari di Taverna”, a Martino Marzio Rocca di Taverna.[xxxviii]

Entrambe poi, compaiono ancora in una “carta assai confusa” del 1167, riguardante la “dotazione della chiesa di S. Cristoforo”. In tale occasione, il vescovo Roberto di Catanzaro, avrebbe confermato la donazione fatta da “Segelgarda comitissa. Uxor comitis Raymundi” e la concessione della “comitissa clemencia” sua figlia.[xxxix]

Successivamente, un atto databile tra il 1179 e il 1181, indirizzato a “Berardo de Petra Abundanti”, evidenzia la richiesta della “N. M. C(lementiae), Comitissae Catacensis”, relativamente all’estensione della protezione apostolica della Santa Sede sull’ospedale detto “Bonum Albergum”.[xl]

Maggiore chiarezza fa un atto di poco posteriore ai fatti relativi alla presa di Taverna, dove s’evidenzia che, dopo il dominio feudale del conte Goffredo, anche quello di sua moglie, la contessa Sicelgaida, si era ormai concluso.

Il 10 agosto del 1165 (a.m. 6673), in relazione ad una controversia relativa all’accertamento dello status di alcuni uomini in Badolato rivendicati dagli eremiti “de Nemore”, “Michaele Camerlingo Badulati” interrogò detti uomini e l’esattore “qui a temporibus usque Comitis Geofridi et Comitissae id muneris exercebant”, ovvero il “notarium Genesium, qui erat exactor temporibus Sicelgaidae Comitissae”. Domandato loro se fossero a conoscenza del fatto che, ai tempi del conte e della contessa s’esigessero detti tributi, questi risposero unanimemente: “Neque Comitis, neque Comitissae temporibus ex ipsi quodquam fuisse tributum exactum recordamur, sed tantum eorum nomina inscripta vidimus in platea Comitis Rhai; et insimul testabatur cunctus fere populos eiusdem regionis nullo unquam tempore famulos Comitis vel Comitissae tributum ab ipsis hominibus exegisse.”.[xli]

Ruderi di fortificazioni medievali in località “Torrazzo” di Taverna (da www.shortmedstories.com).

 

Conti e contestabili

Successivamente a questi fatti, secondo alcuni, la contea di Catanzaro sarebbe giunta ad “Ugo Lupino” attraverso il matrimonio con Clementia.[xlii] In un atto del febbraio 1168, attraverso cui dovrebbe essere suffragata questa tesi, però, quest’ultimo non risulta in qualità di conte di Catanzaro, ma di “magistro iusticiario et comestabulo totius calabrie”.[xliii]

La confusione tra gli uffici detenuti dal conte Hugone di Catanzaro e la sua onomastica, che giustifica diverse incongruenze,[xliv] si rileva anche negli annali dell’Inveges, che menziona “Hugo Comes Cathanzarii”, tra coloro che intervennero nel 1177, in occasione delle nozze tra il re Guglielmo il Buono e la “Regina Giovanna Inglese”.[xlv]

L’ufficio di contestabile che deteneva poteri relativi alla guida e ai bisogni dell’esercito regio,[xlvi] risulta sufficientemente delineato attorno alla metà del sec. XII, almeno per quanto riguardava la sua giurisdizione territoriale, nel c.d. “Catalogo dei Baroni”: un elenco redatto allo scopo di fissare la contribuzione a fini militari nei riguardi del regno, spettante ai feudatari di quel tempo.

I feudi menzionati in questo elenco, tanto quelli concessi quanto quelli detenuti dalla “Curia”, a volte, si ritrovano raggruppati secondo la loro appartenenza ad una “Comestabulia” (Kονωσταβλήας),[xlvii] indicazione accompagnata dal nome del contestabile (“Comestabulus”) al quale erano sottoposti, oppure del comitato (“Comitatus”), della bagliva (“de baiulatione”) o, comunque, dell’ambito feudale loro pertinente.[xlviii]

Tale varietà, indica chiaramente come l’ufficio, pur godendo di prerogative precise riguardo alla sua amministrazione,[xlix] fosse articolato localmente in relazione a quelle che dovevano essere le diverse necessità strategico-militari legate ad una determinata area.

Il Capasso, occupandosi dei casi che aveva potuto riscontrare nel detto Catalogo, faceva notare come “I conti nelle provincie, cui erano preposti, e nelle contee di cui erano investiti avevano ordinariamente la giurisdizione civile e criminale loro delegata dal re, come giustizieri e talvolta anche il comando delle armi, come contestabili.”.[l]

 

I discendenti del conte Goffredo

L’interruzione nella successione feudale della contea di Catanzaro, appare ancora più evidente constatando quanto risulta documentato in merito ai discententi maschi del conte Goffredo.

Né suo figlio Tommaso, né suo figlio Guglielmo e neppure suo nipote Goffredo di Carbonara, ereditarono infatti la contea di Catanzaro che sarà ricordata in seguito, solo come il feudo appartenuto, rispettivamente, al loro genitore e avolo. In relazione ai loro diritti ereditari, essi invece, ne ricevettero gli altri possessi feudali.

Tommaso “filius Comitis Catacensis”, risulta menzionato nel Catalogo dei Baroni, per il possesso dei feudi di “Mortaclium” e di “Carbonariam” che, a quel tempo, deteneva in “Consia” (Conza).[li]

Di lui, successivamente, non si hanno altre notizie, e si ritiene, quindi, che possa corrispondere alla figura di “Tommaso”, zio di Clementia, che sarebbe finito impiccato a seguito della presa di Taverna.[lii]

Testimonianze successive, invece, ci provengono in merito a suo fratello “Guill(elmu)s filius comitis Gosfridi Cataz(ari)”, detto “de Lutio”,[liii] che compare nel novembre del 1170 in occasione di una concessione[liv] mentre, in un atto dell’ottobre 1199, è menzionata una terra vicina al monastero della Sambucina che, in precedenza, era stata donata dal “dominus Guill(elmu)s filius comitis Goffridi Catacensis Lucii dominus”.[lv]

Guglielmo ebbe un nipote detto Goffredo “de Carbonara” che, al tempo del re Guglielmo II (1166-1189), fu “dominus” di Roccabernarda e che risulta ricordato per le numerose donazioni in favore del monastero della Sambucina. Egli fu anche signore feudale di Luzzi. “Goffridus de Carbonara dominus Lucii”, era ancora in vita nel 1196, in occasione di una donazione alla Sambucina che era stata fondata dai suoi progenitori[lvi] mentre, in seguito, appare menzionato in alcuni atti degli inizi del sec. XIII.[lvii]

 

I benefattori

Anche in mancanza di notizie esplicite che ce ne diano una conferma diretta, l’interruzione della successione feudale nella contea di Catanzaro, attraverso la sua acquisizione al demanio regio, risulta avvalorata dalle informazioni che ci provengono dalla documentazione relativa alla seconda metà del sec. XII, riguardante il rilascio o il rinnovo di privilegi da parte del potere regio e di quello ecclesiastico, in ambiti che, precedentemente, avevano trovato protagonista Goffredo conte di Catanzaro. Occasioni nelle quali la presenza di nuovi feudatari suoi successori dovrebbe risultare.

In relazione a ciò possiamo riscontrare invece che, in queste occasioni, siano ricordate solo le sue antiche donazioni. Come risulta nel febbraio del 1173, in occasione della conferma da parte di re Guglielmo II, dei possessi appartenenti alle chiese di “S. Mariae de Eremo et S. Stephani de Bosco”, tra cui alcuni posti in territorio di Badolato, precedentemente restituiti e donati da “Goffredus de La Rotella (sic) Comes Catanzarii”,[lviii] o come risulta ancora, in un atto di conferma del 27 novembre 1178, quando sono ricordate le sue antiche donazioni in favore della cattedrale di Catanzaro: “Philippo, Cusentino archidiacono atque maiori archidiacono Catacensi ac canonicis ecclesiae Catacensis. Ad exemplar f.r Callixti II et Innocentii II, suscipit ecclesiam Catacensem sub B. Petri tutela, confirmat possessiones proprio expressas vocabulo, inter quas donationes comitis Goffredi et aliorum …”.[lix]

Ciò si riscontra anche negli ultimi anni del sec. XII, in occasione del rinnovo dei privilegi della Sambucina, quando sono ricordate solo le sue antiche donazioni, assieme a quelle di suo figlio Guglielmo e di suo nipote Goffredo de Carbonara.

Nel 1197 Costanza imperatrice e regina di Sicilia, aderendo alla richiesta di Luca abbate della Sambucina, prendeva sotto la sua protezione il monastero e ne confermava i possessi, le immunità e i diritti “… tam ex donatione Goffridi quondam comitis Catacensis, fundatoris monasteri vestri, quam ex oblatione Guill(el)mi de Lutio filii eius et Goffridi de Carbonara nepotis illius …”.[lx]

Due anni dopo, Federico II re di Sicilia, a istanza dello stesso abbate Luca, prendeva sotto la sua protezione il monastero con tutti i suoi possessi “… omnia que in comitatu Catacensi et in terra Lutii tenuit et tenet ecclesia vestra ex donatione Goffridi quondam comitis Catacensis fundatoris monasterii vestri et Guill(elm)i de Lutio filii eius et Goffridi de Ca[r]bonara nepotis illius et aliorum proborum hominum …”.[lxi]

Ancora al tempo dell’abbate Luca, il 4 agosto del 1198/1200, Innocenzo III, imitando i suoi predecessori, prendeva il monastero sotto la sua protezione e ne confermava i possessi, ricordando le donazioni del “comes Goffridus et comitissa mater eius et W(illelmus) filius eiusdem comitis necnon et Goffridus de Carbonara nepos ipsius W(illelm)i …”.[lxii]

 

Il conte Riccardo

Con l’avvento degli Svevi, Riccardo Falloc che, evidentemente, era stato utile alla loro causa durante le lotte che avevano portato Enrico VI di Svevia sul trono di Sicilia, divenne conte di Catanzaro. Egli fu anche signore di Genicocastro, Simeri e altre terre.

La presenza del “Domini Riccardi Falluc” comincia da essere documentata da un atto del 1198, relativo alla donazione al monastero di S.to Stefano, di alcune terre poste nel tenimento della chiesa di S. Theodoro, dove troviamo la sua sottoscrizione: “Ego Ricchardus Fallucca concedo, et confirmo”.[lxiii]

Successivamente, l’Ughelli lo ricorda con il titolo di conte, relativamente ad una concessione dell’anno 1200 in favore del vescovo di Catanzaro: “(…) BASSOVINUS, vel BUSIANUS an. 1200, hujus Ecclesiae erat Episcopus, quo anno Comes Richardus donavit Ecclesiae Catacensi Judaicam pro anima Agnetis Palmariae uxoris suae. (…)”,[lxiv] di cui però “Manca qualsiasi documento a proposito”.[lxv]

Il conte compare ancora nel gennaio del 1201 quando, aderendo all’istanza dell’abbate Luca, del priore Radulfo e di altri monaci della Sambucina, imitando i suoi predecessori che avevano fondato il monastero, gli donò “i(n) pertinentiis Tacine”, il “tenimentum mandre quod dicitur Umbre Pagani”. Questo documento, riporta le sottoscrizioni di “RicaRdus Falluc(a) comes CatançaRi”, di “W(illelmus) Faluca”, di “domini Mathei senescalci domini comitis”, e di “Loysii f(ilii) R(iccardi)”.[lxvi]

Nel febbraio dello stesso anno, Federico II re di Sicilia, dietro istanza dello stesso abbate Luca, gli confermava il possesso del “tenimentum mandre quod dicitur Umbre Pagani, in pertinentiis Tacine”, precedentemente concessogli da “Riccardo Fallucca comite Catanzar(ii) fideli nostro libere ac pacifice possidendum constat esse collatum, sicut ex scripto eiusdem comitis manifeste claret in curia nostre maiestatis ostenso.”.[lxvii]

Altre testimonianze evidenziano che il dominio del conte Riccardo fu conteso da quello di Malgerio di Altavilla, come evidenzia il Fiore:

“L’anno 1202 Malgerio d’Altavilla concede a Gualtiero Rocca, milite e suo fedel vassallo, alcune colture di terre nel territorio della Rocca Falluca e di Catanzaro in feudo «et Pheudi nomine pro se te suis heredibus» col servizio d’un solo soldato; lo riceve per suo domestico e l’essime da tutti pagamenti. L’anno 1205 d’aprile Riccardo Falluca, conte di Catanzaro, per servizii e spese fatte da Guglielmo Rocca barone nella guerra avuta con Malgerio d’Altavilla, gli concede di potersi fare un molino nel fiume di Simeri, che poi gli conferma nel mese di novembre 1218.”.[lxviii]

Alcune concessioni presso il Tacina fatte da Malgerio e da Riccardo sono ricordate anche nei privilegi dell’abbazia di Santa Maria di Corazzo.

Nel maggio 1210, Federico II confermava al monastero, sotto l’abbate Giovanni, diverse donazioni precedenti, tra cui le “terras laboratorias, quas Malgherius de Altavilla et Riccardus Fallucca Catanzarij comes in tenimento Buchisani per eorum instrumenta eidem monasterio concesserunt.”.[lxix]

Nel dicembre 1225, in occasione della riconferma di questi privilegi, troviamo: “… et … brachij cum omnibus, quae possident in dominio … Malgerius de Altavilla et Riccardus Fallucha ei dederunt in loco, qui dicitur [Buchisani] …”[lxx] mentre, in un nuovo privilegio concesso dall’imperatore al monastero nello stesso mese e anno, che riassumeva quelli precedenti presentatigli, aggiungendo una nuova concessione, si legge: “… et terras, quas Mal[gherius] de Altavilla et Ricco[ardus] Falluca per instrumenta concesserant et donaverant in tenimento Buchisani, …”.[lxxi]

La presenza del conte Riccardo si evidenzia ancora il 25 gennaio 1223, come riferisce una sentenza dei giustizieri imperiali. In quella occasione, il “viro nobili comite Riccardo Falluca” fu presente presso il monastero di S. Pietro di Tacina, sottoscrivendosi: “Riccardus Falluca comes testis sum”.[lxxii]

 

Il conte Anselmo

Contrastano con quest’ultima testimonianza altri documenti. Incongruenze che si giustificano con la presenza di falsi, fabbricati nel tempo per legittimare i possessi, e con alcune testimonianze che lascierebbero intravedere, per un certo periodo, destini differenti per la contea di Catanzaro rispetto agli altri possessi feudali di Riccardo Falloc. A cominciare dalle notizie che riguardano la contessa Theodora e da quelle che riferiscono del conte Anselmo de Iustingen che fu marescalco imperiale.

La “comitissa Theodora”, ormai vedova del conte di Crotone Rainero Marchisorto, compare nell’aprile del 1220, in occasione di una concessione “in tenimento Rocce Bernardi terre nostre” al monastero di San Giovanni in Fiore.[lxxiii]

Nel luglio dell’anno dopo, Anselmo de Iustingen marescalco imperiale e conte di Catanzaro, confermava tale donazione fatta da “Theodoram Comitissa Catanzarii”: “Confirmatio et nova concessio facta per Anselmum de Iustigen Comitem Catanzarii donationis alias factae per Theodoram Comitissa Catanzarii de tenimento quod dicitur Feruliti in tra (sic) Rocese (sic) Bernardae in anno 1221.”[lxxiv], ovvero del “tenimentum Ferulisi” posto “in tenimento Roccae Bernardae”, già concessogli dalla “nobilis mulier Theodora comitissa, uxor quondam comitis Raynerii Marchisort”, alle stesse condizioni che, in passato, avevano garantito Goffrido de Carbonara.[lxxv]

Lo stesso “Anselmus de Iusting(a) imperialis aule marscalcus et comes Catençarii”, fece alcune donazioni all’abbazia di S.to Angelo de Frigillo nel settembre 1222.[lxxvi]

Successivamente, troviamo Riccardo Falloc, privo del titolo comitale, assieme alla moglie Simona, in un atto scritto in greco da Theodoro presbitero e protopapa di Simeri nel 1228 (a.m. 6736). In quella occasione “Riccardus falloceo” e “Simeonae uxoris ipsius”, donarono al “templo sancti Theodori Eremitarum”, il “praedium” posto “in dicto loco sancti Theodori”.[lxxvii]

In seguito, egli è ricordato a posteriori con il titolo comitale in altri due documenti. In un atto del febbraio 1230 quando, su richiesta del “dominus Gotfredus Janperonus de Simero”, l’imperatore Federico II gli confermò, ratificandolo “… quodam feudum in capite situm et positum in territorio et pertinentiis terre Barbani in loco, qui dicitur sancti Nicolai de Leporina, cum toto tenimento ipsius feudi, nemoribus, pascuis, …”, precedentemente concessogli dal “comes Ricardus de Fallucca”,[lxxviii] e in un atto del maggio di quello stesso anno, scritto “in civitate Genic(ocastri)”, quando si menziona “in tenimento Genic(ocastri)” e “in loco qui dicitur Vallis de Sancto Angelo in fonte Filachi”, il “suberitum comitis Riccardi Fallucc(a)”.[lxxix]

Il 6 luglio 1235, evidentemente quando era già morto, sua moglie “Simona comitissa domina Genic(ocastri)” e “Alamannus Falluca”, sottoscrissero un atto riguardante una donazione in favore del monastero di S.to Angelo de Frigillo, di alcune terre “in loco qui dicitur Sancti Angeli de Pacti”, nella cui confinazione risultava: “… ab ocidente terra quam tenet ecclesia Sancti Angeli de Frigilo ex dono dominationis terre Genicocastri, …”.[lxxx]

Per quanto riguarda invece la contea di Catanzaro, le poche notizie di questo periodo, sembrano ricondurla ancora ad Anselmo de Justingen, anche se, pur ricorrendo spesso in documenti della prima metà del Duecento, non risulta però mai menzionato con il titolo di conte di Catanzaro.[lxxxi]

Circa le sue vicende, sappiamo che ebbe un figlio il quale portò il suo stesso nome, come risulta in un atto del 17 dicembre 1234 quando, “in palatio communis Mediolani”, troviamo il “dominus Anselmus de Justingen mareschalcus domini Henrici serenissimi regis Romanorum”, incontrare i rappresentanti dei comuni lombardi. Tra i testi presenti in quella occasione, figura: “Anselmus de Justingen filius suprascripti domini marescalchi”.[lxxxii]

A sostegno di una continuità nel possesso della contea, nel marzo del 1239, troviamo la menzione di “Anselmus Lombardus”, nell’elenco dei feudatari del giustizierato di Valle Crati e Terra Giordana, cui spettava la custodia di alcuni prigionieri lombardi. Attraverso ciò s’evidenzia che il marescalco, o suo figlio, detenevano feudi nell’ambito di questo giustizierato. Forse la contea di Catanzaro.[lxxxiii]

L’esistenza di Anselmo iuniore è ancora documentata da due atti del maggio 1242 dati a Capua, dove compare come teste.[lxxxiv]

In questo periodo poi, pur mancando notizie circa la contea, non risulta che la città di Catanzaro abbia goduto della condizione demaniale, come sembra testimoniare il fatto che essa non figura nell’elenco delle città demaniali del regno cui, il primo marzo 1240, si dava mandato di nominare due “nuntios” ciascuna, da inviare al parlamento generale presso Foggia.[lxxxv]

 

Petro Ruffo di Calabria

Gli anni a cavallo della metà del Duecento, videro la rapida ascesa di Petro Ruffo di Calabria nel Crotonese e nel Catanzararese, quando già possedeva feudi nell’ambito del giustizierato di “Calabria” e quando già aveva ottenuto importanti incarichi di corte.

Dagli “Annales Siculi”, risulta infatti che “Petrus de Calabria” fu fatto “justitiarius” di Sicilia nel giugno del 1238,[lxxxvi] come risulta anche in alcuni documenti successivi,[lxxxvii] quando lo troviamo ricoprire anche l’incarico di marescallo, ovvero di “magister” della marescallia imperiale.

Il 30 aprile 1240, si ordinava a “Petro de Calabria” di mandare alla corte, attraverso Mattheo de Cocciata: “omnes pullos equinos, engastos et mulos qui sunt sub custodia tua et projecerunt octo dentes vel projecerint hac estate”.[lxxxviii]

Incarico che mantenne nel corso di tutto il decennio seguente, quando compare spesso come teste in numerosi atti stipulati in diversi luoghi del paese, dove lo troviamo al seguito delle curia imperiale.[lxxxix]

In questo periodo Petro Ruffo di Calabria cominciò ad estendere il suo potere nel Crotonese e nel Catanzarese dove, per un lungo periodo, si radicheranno possessi duraturi e importanti per la sua casata. Nel citato elenco del marzo 1239, relativo all’affidamento dei prigionieri lombardi, “Petrus de Calabria” risulta menzionato tra i feudatari “In justitiariatu Calabrie”, mentre di lui non si fa alcuna menzione “In justitiariatu vallis Gratis et terre Jordane”.[xc]

Nell’ottobre del 1239, però, Federico II affidava a “Petro Rufo”, la custodia del “castro Cotroni et domibus”,[xci] mentre un documento che si data anteriormente al 6 maggio 1241, mette in risalto la sua presenza anche nella valle del Tacina. In quella occasione, infatti, Angelo da Viterbo intentò un giudizio contro il monaco Pietro, procuratore dell’abbate e del convento di S.to Angelo de Frigillo, chiedendo la restituzione di una “terra” sita “apud Sanctum Costantinum iuxta flumen Tachine”, occupata dal monastero, motivando la sua azione con il fatto che il possedimento conteso, era stato precedentemente concesso da “domino Petro Ruffo de Calabr(ia)” a “Nicolaus Pissara homo feodi sui” e che questi era morto senza lasciare eredi.[xcii]

Il suo potere nel Crotonese andò comunque espandendosi maggiormente, dopo la morte dell’imperatore Federico II e dopo aver ottenuto la contea di Catanzaro, quando risulta che il suo dominio s’estendeva anche a Policastro, come documentano gli atti riguardanti una lunga lite riguardante il tenimento di “Ampulinus”.[xciii]

Petro Ruffo ricevette l’investitura della contea di Catanzaro da parte di Corrado, nel parlamento generale di Melfi convocato nel febbraio del 1252[xciv], come riscontriamo in un atto del 14 maggio di quell’anno, dove troviamo: “Petro de Calabr(i)a comite Catanzarii regni Siciliae marescalco”, ovvero “Petrus Ruffus de Calabria Dei et regia gratia comes Catanzarii, et regni Siciliae marescalcus”.[xcv]

Tale investitura trovò il pieno appoggio da parte della Chiesa, come evidenzia la bolla del 7 ottobre 1254, con la quale papa Innocenzo IV prendeva sotto la propria protezione, il conte, la sua famiglia e i suoi beni.

Facendone risalire la primitiva concessione già all’imperatore Federico II, in questo documento si evidenziava che, detti beni, erano costituiti “tam de comitatu Catanzarii quam de castro Mesuratae et de feudo Rendae a quondam Friderico et Conrado eius nato eidem Petro Ruffo factas”, che si riconcedevano al detto Petro in questa occasione, nella stessa misura in cui, in suo nome, il papa ne aveva precedentemente investito suo nipote Fulcune.[xcvi]

In breve però i fatti precipitarono. Quando in relazione alla successione di Federico II, i contrasti tra Corrado e Manfredi si acuirono, Petro Ruffo si schierò dalla parte di Corrado e dovette subire la ritorsione di Manfredi che, nella curia generale di Bari (2 febbraio 1256), lo privò dei suoi feudi e nel 1257 lo fece uccidere[xcvii].

A seguito di ciò, il 28 aprile 1257, papa Alessandro IV prendeva sotto la protezione ecclesiastica sua moglie Guida, ormai vedova ed in esilio (“in huiusmodi exilio constitutam”) assieme ai propri beni,[xcviii] mentre sembra aver riconosciuto conte di Catanzaro Otto marchese de Hohenburg: “… Oddo Marchio de Honebruch, cui Comitatus Catanzarii per Papam concessus erat, …”[xcix] anche se, di fatto, la contea rimaneva in potere di Manfredi attraverso i propri fautori.

Di un “domini Nicolosi comitis Catanzarii” si fa menzione in un atto del 1259, riguardante la lite che l’oppose al monastero di San Giovanni in Fiore, in merito al tenimento di “Ampulinus”. Questione che già in precedenza, aveva trovato impegnato Petro Ruffo.[c]

La presenza in questo periodo di un “Nicolò” conte di Catanzaro, si rinviene anche nella cronaca seicentesca del D’Amato che lo identifica, erroneamente, con “Nicolò Loritello” e registra la sua successione all’epoca della venuta in Catanzaro dei Frati Minori, riconducendo la sua figura all’antica casata cui risalivano le origini della contea di Catanzaro: “Nell’anno 1254 vennero in Catanzaro i Padri di S. Francesco d’Assisi, e si fermarono nella Chiesa della Trinità, datali dà Cittadini 28 anni doppo il felice transito in Cielo del Serafico lor Fondatore; à tempo, che con variata successione era la Contea di Catanzaro pervenuta à Nicolò Loritello, molto pio, e di religiosi costumi.”.[ci]

Un atto dell’aprile 1264 c’informa invece, che “Raynaldum de Oddone procuratorem egregii viri domini Raulli comitis Catanzarii”, chiamato in causa dal procuratore del monastero Florense in merito alla menzionata controversia riguardante il tenimento di “Ampulinus”, evitò di presentarsi innanzi ai giudici. Precedentemente, invece, in occasione di un arbitrato riguardante questa contesa, nel luglio 1253 era già stata pronunciata una sentenza in favore di “domino Riccardum Gactum procuratorem comitatus Catanzarii per dominum Petrum Ruffum, tunc comitem Catanzarii”.[cii]

L’assegnazione della contea di Catanzaro a Raul e le circostanze della mancata consacrazione della sua investitura, si evidenziano nella cronaca di Saba Malaspina che a proposito di Raulo “della casa de’ Sordi”, nobile romano, riferisce della concessione fattagli da Manfredi: “A cui quel re, in rimunerazione di ciò che per obbedire a lui arditamente aveva fatto, dette il contado di Catanzaro. Ma nè questo nè altri, da lui innalzati al grado di conti, potè per vessillo, secondo è l’usanza, investir delle contee, non essendo ancora unto né avendo ricevuta la corona di re.”. Ricordando ancora: “… e i Sordi tutti ancora, de’ quali Raulo era stato da Manfredi un tempo fatto conte de’ Catanesi (sic) …”.[ciii]

Arme della famiglia Ruffo di Calabria.

 

Da Petro seniore a Petro iuniore

Dopo la disfatta e la morte di Manfredi (26 febbraio 1266) cui seguì quella di Corradino (29 ottobre 1268), i Ruffo rientrarono in possesso dei loro beni nel regno conquistato dagli Angioini. Petro Ruffo però era morto senza lasciare figli. I suoi feudi andarono così al nipote Petro iuniore, figlio di suo fratello Giordano, anch’egli morto in seguito alla persecuzione patita ad opera di Manfredi,[civ] che dopo essere fuggito dal regno per timore del principe di Taranto,[cv] già nell’aprile del 1269 risulta in qualità di conte di Catanzaro.[cvi]

Permaneva comunque una situazione di profonda incertezza e instabilità in tutto il regno, particolarmente tesa nell’ambito dei possedimenti di Petro Ruffo nella Calabria ionica, dove il fragile dominio angioino doveva fare i conti con il forte partito dei suoi oppositori che, al tempo della discesa in Italia di Corradino, fatte poche eccezioni, aveva visto schierarsi dalla parte sveva la gran parte delle terre.[cvii]

Questo stato è sottolineato da un provvedimento della rega corte del 10 gennaio 1270 che, a seguito della morte dei “militi Simone de Monfort consanguineo di re Carlo e Fulco Ruffo di Calabria” che, a causa delle loro discordie, si erano battuti e si erano feriti mortalmente a vicenda, comandava al giustiziere di Valle Crati e Terra Giordana e a quello di Calabria, di portarsi sul luogo dei fatti per ricercare i responsabili e mantenere tranquille quelle provincie, minacciando gran pene nei confronti, tra le altre, delle università di Taverna, Santa Severina, Crotone e San Mauro, nel caso avessero preso parte “a turbamenti” per nuove discordie o dato seguito a quelle che avevano condotto ai due omicidi.[cviii]

È del 1271, un mandato in favore di “Petro Ruffo Comite Catanzarii” contro Drivonem de Regibaio che custodiva il castello di Crotone[cix] mentre, l’anno successivo, si dava mandato a “Petrus Ruffus de Calabria Comes Catanzarii”, di destituire i figli del “q.d iud. Alexandri de Sarlo” (sic), dal possesso di un feudo “in tenimento Misurace”.[cx]

Considerati i burrascosi trascorsi e le usurpazioni che, evidentemente, erano state commesse durante questo periodo così turbolento, nel settembre del 1272, attraverso un’ordinanza indirizzata ai secreti di Calabria, Carlo I d’Angiò decideva d’intervenire in favore del conte di Catanzaro, disponendo “che venisse svolta un’inchiesta per conoscere la reale consistenza della contea di Catanzaro in età sveva e quindi di restituire a Pietro le terre che ancora fossero risultate mancanti”.[cxi]

Nel dicembre 1274, “Petrus Ruffus de Calabria Comes Catanzarii”, risultava dominus di “Castri Maynardi, Badulati, Rocce Bernarde, Policastri, Cutroni, (sic, ma Cutronei) Mesurace, Castella ad mare et aliorum castrorum”.[cxii]

In questo frangente, cominciarono ad essere appianate anche le divergenze tra il conte di Catanzaro e i Florensi di San Giovanni in Fiore.

Il 3 maggio 1273, in Trani, “Drivo de Regibayo miles, in regno Siciliae magistri iustitiarii vicemgerens, Adimarius de Trano, Guillelmus Scillatus de Salerno, et Bartholomeus Bonellus de Barulo magnae regiae Curiae iudices”, pronunciavano una sentenza relativa al tenimento di Ampollino, in favore del monastero florense contro Petro conte di Catanzaro, il cui procuratore aveva evitato di comparire dopo il termine dato alle parti[cxiii] mentre, nello stesso anno, “Petrus Ruffus comes Catanzarii”, riceveva in affitto dallo stesso monastero, il loco silano detto “de Petra alba” per 18 anni.[cxiv]

A conclusione di questa controversia, il 2 Marzo 1278, in Crotone, “Petrus Ruffus de Calabria Dei et regia gratia comes Catanzarii”, riconosceva i diritti del monastero di San Giovanni in Fiore riguardo il tenimento di Ampollino, in località “Campi de Manna”,[cxv] rinunciando ad ogni “questione” presente e futura.[cxvi]

L’otto giugno dello stesso anno, in Catanzaro, “Petrus Rufus de Calabria, Dei et regia gratia comes Catanzarii”, concedeva a “Thomas de Monte Scalioso, venerabilis abbas monasterii Sancti Angeli de Frigilo” e al convento del predetto monastero, il tenimento “seu cursus quod dicitur de Terratis, quod est in territorio terre nostre Roccebernarde infra tenimentum nostrum quod dicitur de Feruluso et tenimentum monasterii Floris quod dicitur Umbri de mani”.[cxvii]

Petro Ruffo di Calabria conte di Catanzaro (da Vaccaro A., Kroton vol. I, 1966).

 

La riorganizzazione dei giustizierati

Risalgono a questo periodo, alcuni provvedimenti da parte della regia corte, finalizzati a rafforzare il controllo dei nuovi padroni nella parte centrale della regione, tra cui quello che modificò la giurisdizione del giustizierato di Valle Crati e Terra Giordana, ridimensionata a favore di quello di Calabria.

Il 13 febbraio 1280, re Carlo d’Angiò, notificava a Goffrido de Sumesot, giustiziere di Valle Crati e Terra Giordana, l’aggregazione al giustizierato di Calabria, delle seguenti terre precedentemente appartenute alla sua giurisdizione: “Catensarium, Taberna, Scilla (sic, ma Sellia), Symerus, Barbarum, Genico castrum, Mausurica cum casalibus ipsarum terrarum, Policastrum, Tracina, Castella, Rocca Bernarda, Sancta Severina cum casalibus suis, Sanctus Iohannes de Monacho, Cotronum cum casalibus suis.”.[cxviii]

Se ne fa menzione anche il 17 aprile di quell’anno, quando re Carlo rimosse dall’ufficio di giustiziere di Calabria Roberto di Richeville, nominando in sua vece Geberto de Herville, e “aggiungendo all’antico Giustizierato tutto quel tratto di paese che sta dal fiume Neto al fiume Gattino”.[cxix]

Seppure tale provvedimento appare presentato come finalizzato solo ad una più comoda amministrazione: “… ut in utroque Iustitiaratu possint melius et commodius servitia nostra per Iustitiarios singulos regionis cuiuslibet exerceri …”[cxx], lascia comunque intuire lo scopo da parte del sovrano, di ridisegnare gli equilibri di quest’area, riorganizzandola in chiave difensiva ed affidandola alle mani dei suoi uomini ritenuti più fedeli, in una fase che sarebbe presto sfociata nella terribile guerra del Vespro.

L’apertura del conflitto con gli Aragonesi, ne mette infatti in evidenza la fondamentale importanza. Qui fu diretta la principale azione militare dei nemici, tendente a disarticolare le difese angioine, in quella parte della regione che, come già testimoniavano le antiche campagne dei tiranni siracusani condotte contro le polis italiote, era stata da sempre quella stategicamente più importante per il suo controllo.

Cercando di premunirsi in tale direzione, il 6 novembre 1282, da Reggio, re Carlo comandava ai “Dominis” e a tutti gli “hominibus” delle seguenti terre: “partium Tirioli nec non Catanzarii, Sellie, Symeri, Barbari, Taberne, Genicocastri, Mensurati, Sillani, Policastri, Gerencie, Marturani et Sancte Severine”, di porre in essere tutte le difese necessarie affinchè fossero mantenute contro i nemici, elegendo capitano il milite Bertrando Artus “ad custodiam et defensionem terrarum ipsarum”.[cxxi]

Due giorni dopo, scrivendo a tutti i “pheodathariis et hominibus terrarum Catanzarii, Taberne, Scillie, Barbari, Genicocastri, Mensurate, Policastri, Sancte Severine, Gerencie, Caccuri, Ipsigro, Tigani et casalium suorum”, ordinava loro di perseguire i nemici che erano penetrati attraverso il passo di San Matteo posto “inter Martoranum et Neocastrum”, affidando le difese “ex parte Montane Sile” a “Petrum Ruffum de Calabria, comitem Catanzarii”.[cxxii]

Se tali erano gli apprestamenti messi in campo dalla parte angioina, analoghi provvedimenti si prendevano da quella aragonese. Nel quadro dello stato di conflitto e dei suoi sviluppi che, di volta in volta, vedevano pendere le fortune in favore dell’uno o dell’altro contendente, nel 1283 Guglielmo Galcerando risultava già formalmente investito della contea di Catanzaro da parte di Pietro III d’Aragona. Egli però, ne entrerà in possesso, per un breve periodo, solo dopo la battaglia di Catanzaro (settembre 1297),[cxxiii] mentre la circostanza della sua investitura di cavaliere è ricordata dal cronista Bartolomeo di Neocastro: “A’ ventidue dello stesso mese, il dì del venerdì santo, la reina in sul far della sera, giunse a Messina con l’inclita prole, e il Re dopo aver celebrato la festa della Pasqua di Resurrezione, armò cavaliere il nobile Guglielmo Calcerando da Carceliano, …”.[cxxiv]

Pur in questo stato incerto, i possessi feudali precedentemente concessigli, furono riconfermati a Petro Ruffo nel 1290[cxxv] quando, “oltre la città di Catanzaro e la castellania di Crotone, «si trovava possedere Misuraca, Roccabernarda, Policastro, Castell’a mare, Castelmenardo, Badulato, S. Giorgio, S. Senatore, Gamaiore, Pantona, Buda, Cotronei e la Catona»”.[cxxvi]

Possessi sicuramente ancora instabili a causa del conflitto in essere, come emerge, ad esempio, attraverso un atto del 21 maggio 1292, indirizzato al “nobili viro Petro Rufo de Calabria, comiti Catanzarii”, i cui beni, a causa della guerra, “diminuciones non modicas proptera pertulisse”.

In questa occasione, infatti, da parte del sovrano si argomentava che, durante i fatti bellici, il “castrum Mesurace, tuo comitatui pertinens”, era passato dalla parte nemica ma che, in seguito, i suoi “hominibus” erano stati ricondotti a migliore consiglio e riportati alla fedeltà angioina, dall’allora capitano di Calabria “Hugone dicto Russo de Sulyaco” che, in cambio di ciò, aveva promesso loro di mantenerli in perpetuo nel regio demanio. Si chiedeva quindi al conte, di giungere con la corte ad uno scambio tra il “castrum Mesurace” e un altro possesso feudale nell’ambito del regno, in maniera da permettere al re di mantenere il proprio impegno.[cxxvii]

I fatti non sembrano aver preso questa piega e troviamo, successivimente, che il feudo di Mesoraca continuò a permanere nel dominio del conte di Catanzaro, mentre sono documentate le pesanti conseguenze del conflitto riguardanti i suoi possedimenti di questa parte della regione e l’atteggiamento ostile dei vassalli nei suoi confronti.

A seguito di queste pesanti ripercussioni, il 19 agosto 1302, giunto ormai ad accordarsi con Federico III d’Aragona, Carlo II d’Angiò concedeva a Petro Ruffo di ripopolare Catanzaro e altre sue terre, con gente proveniente da altre province,[cxxviii] mentre risale al 29 maggio 1309, una risposta della regia corte al conte di Catanzaro che lamentava “di essere stato abbandonato da numerosi vassalli”.[cxxix]

Frammento lapideo con l’arme della famiglia Ruffo conservato nel Museo Civico di Crotone.

 

Il conte Giovanni

Petro Ruffo iuniore sposò Giovanna d’Aquino, figlia di Tommaso,[cxxx] costituendogli il dotario sopra il “castello di Mesoraca”,[cxxxi] e dopo la sua morte (risultava ancora in vita il primo agosto 1310),[cxxxii] il suo primogenito Giovanni che precedentemente, aveva sposato Margarita Sanseverino, figlia di Tommaso conte di Marsico,[cxxxiii] subentrò nel possesso dei beni paterni.

In relazione all’eredità di tali beni, troviamo menzione di un atto stipulato nel 1309, attraverso cui Petro Ruffo otteneva la possibilità di disporre e fare legato in favore dei figli cadetti Nicola e Corrado, di alcune terre: “Mesoraca, Policastro, Rocca Bernarda, Rosarno, il luogo detto Li Castelli e Tacina” che, comunque, passarono tutte al primogenito Giovanni.[cxxxiv]

Questo suo dominio fu avversato duramente dai suoi vassalli. Il Sisca, riportando le notizie riferite al proprio paese, contenute nei regesti conservati all’Archivio di Stato di Napoli e compilati sulla base dei registri della cancelleria angioina, c’informa come “Giovanni Ruffo nel 1327 ebbe a querelarsi contro i vassalli di Policastro i quali gli avevano bruciato il palazzo e cacciati via a viva forza i suoi ufficiali”,[cxxxv] e dell’episodio che avvenne “nel luglio del 1330 quando tre milites con un esercito di 500 uomini occuparono Policastro, ne scacciarono i funzionari del Ruffo e di la mossero alla conquista di Roccabernarda e Misuraca.”.[cxxxvi]

Concessioni feudali da parte del conte Giovanni Ruffo, nell’ambito del territorio di Policastro, sono ricordate nel corso dell’anno successivo.[cxxxvii]

In questo frangente, le turbolenze che registriamo in quest’area, conseguenti all’avvento delle nuove casate che avevano spodestato quelle di più antico dominio, trovarono una qualche stabilizzazione. In particolar modo, fissando nuovamente i limiti della contea di Catanzaro.

Anche se non possediamo documenti che riportino i suoi antichi confini, e pur in presenza delle usurpazioni e trasformazioni che avvennero in quest’area durante il passaggio del regno dagli Svevi agli Angioini,[cxxxviii] attraverso le informazioni che ci pervengono dalle fonti menzionate, possiamo evidenziare che, nella porzione in cui la contea di Catanzaro limitava con quella di Crotone dalla parte del fiume Tacina, questo limite doveva risultare anticamente stabilito lungo il confine tra i territori di Genicocastro e Mesoraca.[cxxxix]

In relazione a ciò, un segno relativo a questa antica partizione, potrebbe essere evidenziato dal permanere del toponimo “Termine Grosso” che, già in epoca sveva,[cxl] rinveniamo in questi luoghi dove passava la via che collegava Crotone a Genicocastro,[cxli] e che, in qualità di termine confinario importante, sembra riferirsi, allo stesso tempo, a quello che divideva le due contee e a quello che distingueva la diocesi di Santa Severina da quella di Isola.[cxlii]

Comunque fosse, ad interventi di questo periodo, relativi a controversie sui confini riguardanti questi territori, sono riferibili una “Platea” che riporta i confini del feudo di Mesoraca, fatta redigere dal conte di Catanzaro e riferibile al tempo in cui la città di Genicocastro mutò il suo nome in Belcastro assumendo il nuovo titolo di contea,[cxliii] e un provvedimento di re Roberto del 1332, quando il sovrano prescrisse a Tommaso de Aquino conte di Belcastro, “che distinguesse bene i confini di essa città da quelli delle terre di Tacina e di Mesuraca, le quali si appartenevano a Giovanni Ruffo di Calabria, conte di Catanzaro.[cxliv]

Sigillo di Nicola Ruffo di Calabria, marchese di Crotone e conte di Catanzaro (da Vaccaro A., Kroton vol. I, 1966, p. 318).

 

Note

[i] Fiore G., Della Calabria Illustrata I, 1691, Ed. Rubettino, p. 412.

[ii] Rohlfs G., Studi e Ricerche su Lingua e dialetti d’Italia, Ed. Sansoni 1972, p. 270.

[iii] Pinder M. et Parthey G., Ravvennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis Geographica, 1860, pp. 455-456.

[iv] Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi, C.A.M., Napoli 1957, p. 44.

[v] Parthey G., Hieroclis Synecdemus et Notitiae Graecae Episcopatuum, 1866.

[vi] “… Da Stilo a qaṭanṣâr (Catanzaro), rocca di bella costruzione, dodici miglia. Da questa, per ponente, a śant fîmîah (Sant’Eufemia), città sul mare della quale già abbiamo prima d’ora tenuto parola, dodici miglia. Tutte queste città appartengono al territorio di Calabria. … Da Simeri poi a qaṭanṣâr (Catanzaro) quindici miglia. …”. Amari M. e Schiapparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero”compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, pp. 111-112.

[vii] “… Inde ad Tacina .lv., habens in aquilone insulam, et ab africo volvitur sinus Squillacis habens a capite Tacine ad aliud caput ubi est Squillace Scylaceum ab Athenensibus dictum, ml. .xlv. In fundo vero sinus est villa que dicitur Cathentana. …”. Gautier Dalchè P., Carte Marine et Portulan au XII ͤ Siècle, Collection de l’École Franҫaise de Rome n. 203, 1995, pp. 157-159.

[viii] Fabre M. P., Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine, V, Parigi 1889, p. 104.

[ix] Reg. Ang. VI, 1270-1271, p. 110.

[x] Un atto del settembre 1224, menziona l’esistenza del “tenimentum Sancte Eugenie in territorio Policastri (sic) comitatus Catanzarii”. Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1958, pp. 331-333.

[xi] In un atto della cancelleria angioina del 21 maggio 1292, indirizzato al conte di Catanzaro Petro Ruffo de Calabria juniore, ci viene riferito che, nel corso della guerra in atto tra Angioini e Aragonesi, il “castrum Mesurace, tuo comitatui pertinens”, era passato al nemico ma, in seguito, grazie all’intervento dell’allora capitano di Calabria, il nobile Hugone detto Russo “de Sulyaco”, i suoi uomini erano stati ricondotti a patti alla fedeltà angioina. Reg. Ang. XXXVIII, p. 182.

[xii] In occasione di un arbitrato risalenete al luglio 1253, il conte di Catanzaro Petro Ruffo di Calabria seniore affermava che, il tenimento di “Ampulinus”, “ratione dicti comitato pertinere”, mentre il suo procuratore Riccardo Gacto specificava che, “praedictum tenimentum esse de comitatu Catanzarii, quia de districtu et territorio Policastri tamquam de re feudali”. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 152-154.

[xiii] Nell’aprile 1220, La “comitissa Theodora, consors quondam felicis memorie egregii comitis Rainerii Marchisorti”, concede al monastero florense “pascua unius mandre proprie eiusdem ecclesie in tenimento Rocce Bernardi terre nostre”. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 84-85.

[xiv] Ventura P., Maone P., Isola Capo Rizzuto nella scia della grande Crotone, 1981, pp. 257-258; che cita ASN, C. De Lellis (MS), Notamenta, ecc. cit., Pars I, Vol. II, f. 1308.

[xv] “Comes Catanzarii. Pro Comitatu Catanzarii, consistente in ipsa Civitate Catanzarii, Castris Pollicastris Mersurace, Castro Maris, Castellorum Tagine, Badulati et Turri Bruczani milites octo uncias octuagintaquatuor.” Biblioteca comunale di Bitonto, Fondo Rogadeo, Ms. A 23, p. 103 (ASNA, ex Reg. ang. 373, f. 84v).

[xvi] 11 luglio 1426. Papa Martino V conferma al nobile Nicola Ruffo, marchese di Crotone e conte di Catanzaro, i seguenti possessi: “… Cotroni cum marchionatus ac Catanzarii civitatis, cum comitatus dignitate / titulo et honore huiusmodi quae marchionatus et comitatus dignitatis titulos et honores, necnon Cotroni marchionatum et catanzarii comitatum / intregros ipsiusque et cotroni Civitatem predictarum Casalia districtus jura / jurisditiones et pertinentias universa ac ypsigro cum pertinentiis Aligii melixe / feudi s(an)cti stephani et policastri Rochebernardi mesurace castellorum / maris Tacine et s(an)cti mauri de Caraba Roche s(an)cti Juliani Gimiliani / Tirioli et Rosauni terras (cum Cutri s(an)cti Johannis de monacho papanichifori Cromiti Apriliani mabrocoli misicelli lachani Crepa / coris massanove et turisinsula Casalibus) necnon castri maynardi / Barbari cum Cropano ac sancti niceti Baronias cum pertinentiis / et fortellitiis earumdem. Item quoque Castrivetus cum membro / tenimento placanice Et cultura s(an)cti fili ac favato et pellacano Ad / terram roccelle s(an)cti victoris di provincia calabria citra et ultra nec / non Cabellam sete predicte civitatis Catanzarii et aliorum locorum / eidem marchioni iam dudum per Carolum iij Bonamemorie concessas et / Concessa Ac ladizlaum eiusdem regine germanum sucessive Jherusalem et / sicilie dive memorie reges confirmatas et confirmata, … necnon / eadem marchioni terram que dicitur taberna Catacen(sis) dioc(esis) …”. ASV, Reg. Vat. Vol. 355, ff. 287-288.

[xvii] Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Comitis, in Muratori L.A., Rerum Italicarum Scriptores, Zanichelli N. Bologna s.d., tomo V, pp. 59-60.

[xviii] Ménager L. R., Inventaire des Familles Normandes et Franques Emigrées en Italie Méridionale et en Sicilie XI – XII siecles, in “Roberto il Guiscardo e il suo Tempo, Relazioni e Comunicazioni nelle Prime Giornate normanno-sveve”, Bari maggio 1973, pubblicato a cura del Centro di Studi Normanno-Svevi Università degli Studi di Bari in Fonti e Studi del Corpus mambranarum italicarum XI, Roma 1975, p. 273; Leo Ost., II 41, ed. Migne, col. 632.

[xix] Ibidem; Storia de’ Normanni di Amato di Montecassino volgarizzata in antico francese, FSI 76 ed. V. De Bartholomaeis 1935, II, XXXIV, p. 99.

[xx][xx] Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Comitis, in Muratori L. A., Rerum Italicarum Scriptores, Zanichelli N. Bologna s.d., tomo V, parte I, pp. 59-60.

[xxi] Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Comitis, in Muratori L.A., Rerum Italicarum Scriptores, Zanichelli N. Bologna s.d., tomo V, pp. 90-92. Roberto il Guiscardo e il suo tempo, Relazioni e comunicazioni nelle prime Giornate normanno-sveve (Bari, maggio 1973), Roma 1975, p. 273.

[xxii] Jamison E., Note e documenti per la storia dei conti normanni di Catanzaro, in ASCL a. I, 4, Roma 1931, pp. 453-455.

[xxiii] Jamison E., cit., pp. 455-456.

[xxiv] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1958, p. 134.

[xxv] “… Goffridus Loritellus Comes Catanzarii, …”. Pirro R., Sicilia Sacra, tomo I, 1733, pp. XIV-XV.

[xxvi] Trinchera F., Syllabus Graecarum Membranarum, 1865, CXI, pp. 146-148.

[xxvii] Romualdi Salernitani Chronicon, in Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t. VII parte I, pp. 219 nota n. 3. Garufi C. A., Gli Aleramici ei Normanni in Sicilia e nelle Puglie p. 56, in Centenario della nascita di Michele Amari, vol. 1, 1910.

[xxviii] Pontieri E., Tra i Normanni nell’Italia Meridionale, 1948 rist. 1964, pp. 171-172, nota 233, dove si cita A. Lipinsky, L’altarolo portatile di Goffredo conte di Catanzaro, in Arch. Storico per la Calabria e la Lucania, XI (1941), pp. 201 e sgg.

[xxix] Pratesi A., cit., p. 134.

[xxx] Fiore G., Della Calabria Illustrata II, 1743, Ed. Rubettino, p. 596.

[xxxi] Jamison E., cit. pp. 456-457.

[xxxii] Pratesi A., cit., pp. 41-42.

[xxxiii] Jamison E., cit., p. 451.

[xxxiv] “Rex Siciliae veniens in Apuliam destruxit Tabernam” (Anonymi Monachi Cassinensis Breve Chronicon, in Del Re G., Cronisti e Scrittori Sincroni Napoletani editi ed inediti 1845, vol. I, p. 469). “Et mense Martio venit Rex Guilielmus Siciliae, et vicit Comitissam, Lathementium (sic), et cepit Tabernam.” (Chronicon Fossae Novae Auctore Anonimo, in Del Re G., Cronisti e Scrittori Sincroni Napoletani editi ed inediti 1845, vol. I, p. 512). “In mense Martio venit rex Guillelmus Siciliae, et vicit comitissam Cathenientium, (sic) et cepit Tabernam et multi comites ammissis terris fugerunt.” (Annales Ceccanenses, Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, 19, Hannover 1866, p. 285).

[xxxv] Romualdi Salernitani Chronicon, in Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t. VII parte I, p. 245.

[xxxvi] Ignoti Monachi Cistercensis S. Mariae de Ferraria Chronica, ed. Gaudenzi A. 1888, p. 30.

[xxxvii] Palmeri N., Somma della Storia di Sicilia 1834-48, pp. 227-229.

[xxxviii] Fiore G., Della Calabria Illustrata III, Ed. Rubettino, p. 368.

[xxxix] Jamison E., cit., pp. 458-460. Garufi C.A., I Documenti Inediti dell’Epoca Normanna in Sicilia, parte prima, Palermo 1899, pp. 97-99.

[xl] Russo F., Regesto I, 382.

[xli] Trinchera F., cit., CLXVII, pp. 219-221.

[xlii] Jamison E., cit., p. 463.

[xliii] “comite Hugone catanzarii; magistro iusticiario et comestabulo totius calabrie”. Jamison E., cit., pp. 465-470.

[xliv] Jamison E., cit., p. 463 nota n. 4. Pellicano Castagna M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, II, p. 72.

[xlv] Inveges A., Palermo Nobile parte terza degli Annali di D. Agostino Inveges, 1651, p. 431.

[xlvi] “Comestabulus habeat officium comestabulie ad modum Regni Francie illudque ad dictum modum fideliter exercebit.” (Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, p. 165). Relativamente all’ “Officium Comestabuli”, troviamo: “In primis habet ipse providere de exercitu et eius custodia sive excubiis et de loco ubi exercitus debeat stabiliri sive castra metari et de loco ubi de temptoria dom. Regis officialium et magna tum eercitus figi debeant et imponi.” (Ibidem, pp. 194-195.).

[xlvii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 54-56.

[xlviii] Catalogus Baronum, in Del Re G., Cronisti e Scrittori Sincroni Napoletani editi ed inediti, vol. I, 1845, pp. 571 e sgg. “Nel Catalogo le regioni sono divise secondo le principali tenute feudali, o contee (comitatus), che rappresentavano l’alta giurisdizione territoriale, … o finalmente secondo i comandi militari (comestabuliae), dai quali dipendevano i feudatari e i militi di una data regione.” (Capasso B., Sul Catalogo dei Feudi e dei Feudatari delle Provincie Napoletane sotto la Dominazione Normanna, Napoli 1868, p. 359).

[xlix] Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, pp. 194-195.

[l] Capasso B., Sul Catalogo dei Feudi e dei Feudatari delle Provincie Napoletane sotto la Dominazione Normanna, Napoli 1868, p. 344.

[li] “De Comestabulia Gilberti de Balbano. Consia. Isti sunt barones eius. (…) Thomasius filius Comitis Catacensis dixit, quod tenet Mortaclium, quod, sicut dixit, est feudum III. militum, et Carbonariam, quod, sicut dixit, feudum III. militum et cum augmento obtulit mil. XII.” (Catalogus Baronum, in Del Re G., Cronisti e Scrittori Sincroni Napoletani editi ed inediti, vol. I, 1845, p. 589). Borrelli C., Vindex Neapolitanae Nobilitatis, 1653, p. 66. Evelyn Jamison riferisce che anche sua madre Segelgarda “possedeva delle terre – forse il suo dotario feudale – a S. Efrem presso Deliceto nell’anno 1158”, evidenziando che “la terra di Deliceto per quanto assai distante dal nucleo dei feudi, è compreso nella Contea di Conza.” (Jamison E., cit., p. 458 e 461).

[lii] Palmeri N., Somma della Storia di Sicilia 1834-48, pp. 227-229.

[liii] Pratesi A., cit., pp. 122-125 e 132-135.

[liv] Pratesi A., cit., pp. 67-69.

[lv] Pratesi A., cit., pp. 137-139.

[lvi] Pratesi A., cit., pp. 112-116.

[lvii] “Goffredus de Carbonara olim dominus Rocce nostre Bernar(de)” (Pratesi A., cit., pp. 309-312). “Goffridus de Carbonara” (De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi Abbazia di San Giovanni in Fiore, 2001, pp. 94-95). “Goffredus de Carbonara” (De Leo P. (a cura di), cit., pp. 99-101).

[lviii] Nel Febbraio 1173, in Palermo, Guglielmo re di Sicilia, accogliendo la richiesta di “Benedictus Venerabilis Magister Monasterii S. Stephani de Bosco” e dei suoi “fratribus”, confermava loro il possesso delle “Eclesiis S. Mariae de Eremo et S. Stephani de Bosco” donate dal conte Rogerio, confermando anche tutte le concessioni contenute nei privilegi e nelle donazioni precedenti, tra cui: “quamdam donationem, qua Goffredus de La Rotella Comes Catanzarii restituit ed dedit eidem Monasterio Ecclesias omnium Sanctorum et S. Martini cum earum divisis, villanis recommendatis, et vassallis, et immunitatibus eorumdem.”. Martire D. Calabria Sacra e Profana Vol. I, Cosenza 1876, pp. 357-362.

[lix] Russo F., Regesto I, 377.

[lx] Pratesi A., cit., pp. 122-125.

[lxi] Pratesi A., cit., pp. 132-135.

[lxii] Pratesi A., cit., pp. 146-158.

[lxiii] Tromby B., Storia Critico Cronologica Diplomatica del Patriarca S. Brunone e del suo Ordine Cartusiano, Tomo V, Napoli 1775, Indice p. 289 e Appendice I, XI. p. 338.

[lxiv] Ughelli F., Italia Sacra IX, 1721, col. 368.

[lxv] Dito O., La Storia Calabrese e la Dimora degli Ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI, 1916 p. 74.

[lxvi] Pratesi A., cit., pp. 160-162.

[lxvii] Pratesi A., cit., pp. 162-164.

[lxviii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, III, Ed. 2001, p. 367.

[lxix] Pometti F., Carte delle Abbazie di S. Maria di Corazzo e di S. Giuliano di Rocca Fallucca in Calabria, in Studi e Documenti di Storia e Diritto anno XXII, 1901, pp. 289-290 n. XI.

[lxx] Pometti F., cit. pp. 296-299 n. XV.

[lxxi] Pometti F., cit., pp. 300-306 n. XVI.

[lxxii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi Abbazia di San Giovanni in Fiore, 2001, pp. 109-112.

[lxxiii] De Leo P., Reliquiae florensi, p. 398. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi cit., pp. 84-85.

[lxxiv] Siberene, L’inventario del Monastero Florense, p. 249.

[lxxv] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi cit., pp. 94-95.

[lxxvi] Pratesi A., cit., pp. 309-312.

[lxxvii] Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum, 1865, CCLXXX, p. 386.

[lxxviii] Winkelman E., Acta Imperii Inedita I, Innsbruck 1880, p. 276 n. 307. Böhmer J. F., Regesta Imperii V, 1.1 ed. Ficker 1881, p. 359 n. 1775.

[lxxix] Pratesi A., cit., pp. 364-366.

[lxxx] Pratesi A., cit., pp. 380-382.

[lxxxi] Winkelman E., Acta Imperii Inedita Seculi XIII, Innsbruck 1880, pp. 103, 109, 113, 116, 118, 121, 123, 124, 133, 137, 141-145, 148, 152, 155, 165, 168, 169, 172, 180, 182, 185, 186, 191, 200, 202, 397, 484, 517. Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Tomo I pars I, Parigi 1852, pp. 200, 233, 251, 276, 287, 321, 324, 327, 329, 333, 339. Huillard-Bréholles J.L.A., cit., Tomo II pars I, Parigi 1852, pp. 13, 17, 19, 24, 32, 36, 39, 41, 52, 64, 66, 70, 72, 73, 99, 139, 146, 149, 160, 162, 180, 188, 263. Huillard-Bréholles J.L.A., cit., Tomo II pars II, Parigi 1852, pp. 778, 780, 798, 802, 816, 914. Huillard-Bréholles J.L.A., cit., Tomo III, Parigi 1852, pp. 40-41, 70, 115, 367, 417-420, 434. Huillard-Bréholles J.L.A., cit., Tomo IV pars II, Parigi 1855, p. 586, 587, 694-695, 704-708, 708-712, 722, 732-733, 818.

[lxxxii] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Tomo IV pars II, Parigi 1855, pp. 704-708.

[lxxxiii] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Tomo V pars I, Parigi 1857, pp. 610-623.

[lxxxiv] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Tomo VI pars I, Parigi 1860, pp. 45-49.

[lxxxv] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Tomo V pars II, Parigi 1859, pp. 796-798.

[lxxxvi] “Et in mense junii dictae indictionis, fuit secretus Siciliae Obertus Fallamonaca, et justitiarius Petrus de Calabria …”. Annales Siculi, in Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t. V parte I, p. 118.

[lxxxvii] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1859, Tomo V pars II, pp. 858-860, 946-947, 953, 976, 1030-1031. Winkelman E., Acta Imperii Inedita Seculi XIII, Innsbruck 1880, pp. 665-666.

[lxxxviii] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1859, Tomo V pars II, pp. 939-940.

[lxxxix] 17.04.1243, Capua, “Petrus de Calabria” (Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1860, Tomo VI pars I, p. 85). 08.10.1243, “In castris ante Viterbium”, “Petrus de Calabria” (Ibidem, p. 134). Ottobre 1243, “in castris ante Viterbium”, “Petrus de Calabria” (Winkelman E., Acta Imperii Inedita Seculi XIII, Innsbruck 1880, p. 330). Febbraio 1244, Grosseto, “Petrus de Calabria marestalle nostre magister” (Huillard-Bréholles J.L.A., cit., p. 163). Marzo 1244, “Apud Aquampendentem”, “Petrus de Calabria marestallie nostre magister” (Ibidem, p. 166). Marzo 1244, “apud Aquam Pendentem”, “Petrus de Calabria marestalle nostre magister” (Winkelman E., cit. p. 334). Aprile 1244, “Apud Aquampendentem”, “Petrus de Calabria marestalle nostre magister” (Huillard-Bréholles J.L.A., cit., p. 181). Giugno 1244, “…”, “P. de Calabria marestalle nostre magister” (Ibidem, p. 197). Dicembre 1245, Grosseto, “Petrus de Calabria” (Ibidem, p. 384). Dicembre 1245, Grosseto, “Petrus de Calabria” (Winkelman E., cit., p. 338). Aprile 1247, Cremona, “Petrus de Calabria marescalle nostre magister” (Huillard-Bréholles J.L.A., p. 524). Agosto 1247, “In castris in obsidione Parmae”, “Petrus de Calabria mariscallie nostre magister” (Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1861, Tomo VI pars II, p. 567). Gennaio 1248, “Apud Victoriam in obsidione Parmae”, “Petrus de Calabria marestalle nostre magister” (Ibidem, p. 583). Novembre 1248, Vercelli, “Petrus de Calabria marescalie nostre magister” (Ibidem, p. 660). Novembre 1248, Vercelli, “Petrus de Calabria marescalie nostre magister” (Ibidem, p. 661). Novembre 1248, “Vercellis”, “Petrus de Calabria marestalle nostre magister” (Winkelman E., cit., p. 352). Novembre 1248, “Vercellis”, “Petrus de Calabria marestalle nostre magister” (Ibidem, p. 353). Novembre 1248, “Vercellis”, “Petrus de Calabria marestalle nostre magister” (Ibidem, p. 354). Dicembre 1248, Vercelli, “P. de Calabria marescalle nostre magister” (Huillard-Bréholles J.L.A., p. 670). Dicembre 1248, Vercelli, “Petrus de Calabria mariscalcus noster” (Ibidem, p. 672). Dicembre 1248, “Vercellis”, “Petrus de Calabria marestalle nostre magister” (Winkelman E., cit., p. 357). Febbraio 1250, “Fogie”, “Petrus de Calabria marestalle nostre magister” (Ibidem, p. 364). 10.12.1250, “Apud Florentinum in Capitanata”, “Petri Ruffi de Calabria maristalle nostre magistri”, si sottoscrive: “Ego [Petrus] Ruffus de Calabria” (Huillard-Bréholles J.L.A., cit., pp. 808-809).

[xc] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Tomo V pars I, Parigi 1857, pp. 610-623.

[xci] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1857, Tomo V pars I pp. 409-411.

[xcii] Pratesi A., cit., pp. 406-407.

[xciii] De Leo P. (a cura di), cit., pp. XX, XXIV, XXXIII, 146-147, 152-154, 155-157, 158-160.

[xciv] Pellicano Castagna M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, II p. 72.

[xcv] De Leo P., (a cura di), Documenti Florensi cit., pp. 143-145.

[xcvi] “Petro Ruffo de Calabria, comiti Catanzarii. Quum ipse se ecclesiae brachiis totaliter commiserit, personam eius cum uxore, scil. comitissa Catanzari, nepotibus et consanguineis et affinibus, et bona eorum sub sua et Sedis Apostolicae tutela suscipit; concessiones insuper et donationes tam de comitatu Catanzarii quam de castro Mesuratae et de feudo Rendae a quondam Friderico et Conrado eius nato eidem Petro Ruffo factas, ratas habet. Ea illi de novo concedit, ita quod eidem, de quibus Fulcunem, eius nepotem, Papa ipsius nomine investivit, ab Ecclesia immediate dependant. «Dat. Anagnie, nonis octobris Indict. XIII, incarnationis dominice anno MCCLIIII, Pontif. n.ri an. XII».”. Russo F., Regesto I, 873. Böhmer J. F., Regesta Imperii V, 2.3 ed. Ficker 1892, p. 1402 n. 8824, in Regesta Imperii online, consultato il 2016/02/15.

[xcvii] Pellicano Castagna M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, II, p. 72; Caridi G., La spada, la seta, la croce, 1995, p. 5.

[xcviii] “Nobili mulieri Guide relicte quondam Petri de Calabria Comitis Catanzarii”. Archivio di Stato di Palermo, Tabulario del monastero di Santa Maria di Malfinò poi Santa Barbara, consultato attraverso www.archivi-sias.it TSMM 047.

[xcix] Jamsilla N., in Del Re G., Cronisti e Scrittori Sincroni Napoletani editi ed inediti 1868, vol II, p. 181.

[c] De Leo P., a cura di, Documenti Florensi cit., pp. 146-147.

[ci] D’Amato V., Memorie Historiche di Catanzaro, 1670, pp. 40-41.

[cii] De Leo P., (a cura di), Documenti Florensi cit., pp. 152-154.

[ciii] Istoria delle Cose di Sicilia di Saba Malaspina, in Del Re G., Cronisti e Scrittori Sincroni Napoletani editi ed inediti 1868, vol II, pp. 219-220 e p. 274.

[civ] Caridi G., cit., pp. 5-6.

[cv] “dictus dominus Thomasius fugiens de regno sequendo dominum comitem Perrum de Calabria, qui de regno exivit timore principis Tarentini” (Sthamer E., Bruchstücke Mittelalterlicher Enqueten Aus Unteritalien, in Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften, Phil-Hist. Klasse NR. 2, Berlin 1933, p. 59).

[cvi] “dominus comitatus Catanzarii” (Pellicano Castagna M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, II p. 73). “nobilis Petri de Calabria Comitis Catanzarii” (Minieri Riccio C., Brevi Notizie intorno all’Archivio Angioino di Napoli 1862, p. 76).

[cvii] Reg. Ang. I, 1265-1269, p. 305.

[cviii] “I militi Simone de Monfort consanguineo di re Carlo e Fulco Ruffo di Calabria per discordie tra loro sorte vengono ad armi e sì malamente si feriscono a vicenda, che in breve muoiono entrambi. Di che informato re Carlo, in questo dì subito scrive a’ giustizieri di Valle del Crati e Terra Giordana, e di Calabria, ordinando loro di portarsi personalmente al luogo dell’avvenimento e ricercare i complici se vi saranno; e di tenere in tranquillità quelle provincie. E nello stesso tempo scrive a (… omissis …) a Margarita madre dell’ucciso Fulco Ruffo, al Conte Pietro Ruffo di Calabria, ad Errico Ruffo fratello dell’ucciso Fulco, (… omissis …) ed alle Università (… omissis …) di Taverna, (… omissis …) di Santaseverina, di Cotrone, di S. Mauro (… omissis …) minacciando loro gran pene se prenderanno parte o daranno causa a turbamenti per novelle discordie o a proseguimento di quelle, per le quali avvennero que’ due omicidi.”. Minieri Riccio C., Alcuni fatti riguardanti Carlo I di Angiò tratti dall’Archivio Angioino di Napoli, 1874 pp. 92-93.

[cix] Reg. Ang. VII, 1269-1272, p. 157.

[cx] Reg. Ang. IX, 1272-1273, p. 272.

[cxi] Caridi G., cit., p. 8.

[cxii] Reg. Ang. XII, p. 143. Maone P., Notizie Storiche su Cotronei, in Historica n. 4/1971, p. 219 nota 14.

[cxiii] De Leo P., a cura di, Documenti Florensi cit., pp. 155-157.

[cxiv] “Instrumentum quo Petrus Ruffus comes Catanzarii attestatur recepisse a monasterio Florensi in affictu ad 18 annos territorium, quod dicitur ‹‹de Petra alba», in tenimento Silae, anno 1273.” (De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi cit., XXX.). “Transumptum instrumenti locationis factae Petro Ruffo comiti Catanzarii de loco, qui dicitur ‹‹Petra alba» pro annis 18, anno 1273.” (De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi cit., XL).

[cxv] “Instrumentum cessionis litis per Petrum Ruffum comitem Catanzarii factae in beneficium monasterii Florensis de tenimento Campi de Manna, anno 1278.” (De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi cit., XXIV).

[cxvi] De Leo P., (a cura di) Documenti Florensi cit., pp. 158-160.

[cxvii] Caridi G., Ricerche sul Monastero di S. Angelo de Frigillo e il suo Territorio, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, LXXVII (1981), pp. 345-383. Caridi G., Agricoltura e Pastorizia in Calabria, Laruffa Ed. 1989, p. 59-61.

[cxviii] Reg. Ang. XXXVI, 1290-1292, p. 081. Reg. Ang. XXII, p. 089.

[cxix] Reg. Ang. XXII, pp. 269-270.

[cxx] Reg. Ang. XXXVI, p. 081.

[cxxi] Reg. Ang. XXVI, pp. 53-54.

[cxxii] Reg. Ang. XXVI, p. 54.

[cxxiii] Pellicano Castagna M., cit., II, p. 73.

[cxxiv] Istoria Siciliana di Bartolomeo di Neocastro, in Del Re G., Cronisti e Scrittori Sincroni Napoletani editi ed inediti 1868, vol II, p. 483.

[cxxv] “Crebbe Pietro di stato, perché, oltre Catanzaro, ebbe Cotrone, che fu nelli 1284, Mont’alto e Mesiano e poi, ne’ 1290, Mesuraca, Rocca Bernarda, Castelmonardo, Policastro e tant’altre città e terre per tutta la Calabria che potè darsi titolo di comes Calabriae.” (Fiore G., Della Calabria Illustrata III, ed. Rubettino 2001, p. 95). “E già che siamo nel filo de’ suoi dominanti, l’anno 1290 vi ritrovo signore Pietro Ruffo Conte di Catanzaro;” (Fiore G., Della Calabria Illustrata I, ed. Rubettino 1999, p. 452).

[cxxvi] Maone P., Notizie Storiche su Cotronei, in Historica n. 4/1971, p. 219, che cita Ferrante della Marra duca della Guardia.

[cxxvii] Reg. Ang. XXXVIII, p. 182.

[cxxviii] Vaccaro A., Kroton, I, ed. Mit 1965, p. 309.

[cxxix] Caggese R., Roberto d’Angiò e i suoi tempi Volume I, 1922, p. 293; che cita Reg. Ang. n. 191 c. 174, 29 maggio 1309.

[cxxx] Pellicano Castagna M., cit, II, p. 73.

[cxxxi] “Pietro Ruffo, marito di Giovanna d’Acquino, nel 1309 le costituisce la dote sul castello di Mesoraca”. Sisca D., Petilia Policastro, rist. 1996, p. 95 che cita: Sicola Sigismondi Repertorium 3° Regis Caroli II – pag. 866 fol. 53 t.

[cxxxii] ACA, Cancillería, Reg. 2907, ff. 24r-25v.

[cxxxiii] “Il 1° maggio 1300, Giovanni «primogenitus viri nobilis Petri Rufi de Calabria comitis Catanzarii» ottenne l’assenzo regio sulla cautela a lui data, per la dote di sua moglie Margarita, dalla suocera, di nome pure Margherita, contessa di Marsico, e dal marito di lei, Tommaso Sanseverino, conte di Marsico; (…) (Reg. Ang. 101, fol. 21)” (Scandone F., La vita, la famiglia e la patria di S. Tommaso de Aquino, 1924, p. 60).

[cxxxiv] Ventura P., Maone P., Isola Capo Rizzuto nella scia della grande Crotone, 1981, pp. 257-258; che cita ASN, C. De Lellis (MS), Notamenta, ecc. cit., Pars I, Vol. II, f. 1308.

[cxxxv] Sisca D., Petilia Policastro, rist. 1996, p. 95 che cita: Reg. Ang. 1327 A fol. 44 t.

[cxxxvi] Sisca D., Petilia Policastro, rist. 1996, p. 96 che cita: Reg. Ang. 283 e 53 – 11 luglio 1330.

[cxxxvii] “Un anno dopo il conte Giovanni Ruffo dona al cavaliere Ruggiero di Stella i feudi di Policastro.”. Sisca D., Petilia Policastro, rist. 1996, p. 96 che cita: Reg. Ang. 1331-1332 A fol. 31.

[cxxxviii] Rende P., Gli Ospitalieri, i Templari ed i casali di S. Martino e di S. Giovanni in territorio di Genicocastro, poi Belcastro. www.archiviostoricocrotone.it

[cxxxix] Rende P., Vicende feudali di Genicocastro, poi Belcastro, dai Falloch ai Sanseverino. www.archiviostoricocrotone.it

[cxl] “terminum grossum” (1225). Pratesi A., cit., pp. 335-339.

[cxli]   “Da Cotrone poi a ǵ.n.qû qasṭ.rû (Geneocastrum, in oggi Belcastro) tre miglia franche.” Amari M. e Schiapparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero”compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p.111.

[cxlii] Nel novembre del 1145 (6653), il re Ruggero confermò ed ampliò a Luca vescovo di Isola, i privilegi già concessi dal duca Ruggero nel maggio del 6600. Nel documento, tradotto dal greco in latino nella prima metà del Trecento, troviamo: “… ecclesiam Santae Mariae Magdalenae de Castro prebetrum, quod quidem est prope finem fluminis tachine de diocesi preditti episcopatus …”. AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della città dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, s.c., ff. 417 e sgg..

[cxliii] ASCZ, notaio Biondi G. F., busta 158, 1634, f. 71.

[cxliv] Camera M., Annali delle Due Sicilie, volume II, Napoli 1860, p. 363 e note 4 e 5, che cita: “Ex. reg. Reg. Rob. an. 1333-1334 lit. B. fol. 242 v.°”.


Creato il 27 Febbraio 2016. Ultima modifica: 22 Settembre 2020.

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