Il palazzo dei Gerace di Crotone presso Santa Chiara

Crotone, palazzo Gerace.

La casata Hierace, Jerace, Gerace, è presente a Crotone già nel Cinquecento. Tra gli abitanti della città, che parteciparono ai lavori di fortificazione ai tempi del vicerè Don Pedro de Toledo, troviamo Augustino e Salvator de Hierachi.[i] Paulo de Gerace possedeva all’inizio del Seicento, una casa che prima era in parrocchia di Santa Domenica e poi andò a far parte di quella di Santa Vennera.[ii]

Localizzazione del palazzo Gerace di Crotone.

I De Jerace mercanti di grano

Il dottor fisico Gio. Pietro Gerace di Crotone sposò nel 1647 Hippolita Bruno, figlia di Hieronimo e di Joannella Spanò.[iii] Si distingue in città in quanto è tra le “persone negotianti di lungo tempo prattiche et esperte in materia di compra e conservatione di grani, mayorche et altri vettovagli, nec non viri probi et esperimentati in simili negotii et esercitii”.[iv]

In tale veste lo troviamo alla metà del Seicento a Crotone, che cura gli interessi del fratello Gio. Battista residente a Napoli.[v] Non passa molto tempo che, probabilmente per morte del fratello, ne prende il posto e va ad abitare nella capitale, dove prosegue nell’attività per conto proprio, come prestanome degli speculatori napoletani e come procuratore di alcuni mercanti crotonesi. Egli colloca sul mercato e vende ai trafficanti napoletani il grano, che viene prodotto nel Crotonese.

Speculando in questi anni di crisi e di carestia, favorito dalla difficoltà dei traffici a causa della rivolta di Messina,[vi] accumula una sostanziosa fortuna. Probabilmente come prestanome, o come partecipe di una società, risulta proprietario di vaste terre in territorio di Crotone presso “Li Piani di Nao”; gabelle che i suoi fratelli residenti a Crotone, affittano ai coloni ed ai mandriani.

Buona parte della sua proprietà proviene dall’acquisto concluso nel dicembre 1664 col nobile crotonese Francesco Antonio Barricellis. Da Napoli Gio. Pietro mantiene stretti contatti con Crotone, dove operano il fratello Giuseppe[vii] ed Onofrio, uno dei suoi figli. Spesso il grano che fornisce non è della qualità pattuita,[viii] anzi quasi sempre è vecchio, marcio e terroso, molte volte non vengono rispettati gli accordi stipulati a Napoli, sia per quanto riguarda i tempi di consegna della merce, sia per la qualità che non corrisponde alla mostra, suscitando le proteste dei patroni delle tartane, che arrivano al porto di Crotone per imbarcare.[ix] Inoltre, i Gerace praticano su larga scala, specie in momenti di carestia, il contrabbando.[x]

Oltre ad amministrare la proprietà, essi incettano, ammassano e conservano il grano che, al momento del raccolto, è svenduto o consegnato dai coloni che lo hanno prodotto, come pagamento per le terre affittate e per i prestiti ottenuti.[xi] Il cereale, che è riposto nei magazzini dei Gerace fuori mura, presso il convento dei Cappuccini, è venduto al momento opportuno da Gio. Pietro ai mercanti napoletani, che manderanno i patroni delle tartane ad imbarcarlo a Crotone,[xii] o è piazzato dallo stesso sul mercato della capitale.[xiii]

Sempre in questi anni i Gerace occupano alcune cariche ecclesiastiche cittadine con Gio. Francesco, che ottiene dapprima il canonicato della SS. Annunziata nella chiesa di Crotone (1640) e poi il cantorato (1662).[xiv] Morto nel gennaio del 1683, succede nel cantorato Gaetano Gerace, già canonico dei SS. Vincenzo e Anastasio,[xv] che terrà la terza dignità della chiesa crotonese fino alla sua morte avvenuta il 24 gennaio 1688.

Le terre nei “Piani di Nao” che, nella seconda metà del Seicento, costituiscono la proprietà fondiaria e la base della fortuna dei Gerace a Crotone, sono: Il Tenimento, La Casazza, La Gabelluccia, Li Chianchi e Zappaturo, Scifo Nuovo, La Rocchetta e Li Chianchi; affittate di solito tre anni a semina e tre anni a pascolo, si estendevano per 114 salmate.[xvi]

Crotone, palazzo Gerace.

Il palazzo dei Gerace

Poco dopo la metà del Seicento, i Gerace, nei contratti compare il chierico Giuseppe[xvii] che agisce per conto del fratello Gio. Pietro, ampliano la loro proprietà immobiliare, acquisendo dapprima presso la chiesa del monastero di Santa Chiara, “stricto mediante”, le case di Paulo Spina e il mulino di Omobono Leone.

In seguito, il 6 maggio 1669, Vittoria de Cicca seu Sacco vendeva una casa palaziata a Giuseppe Gerace, costruzione che, ampliata e trasformata in palazzo, sarà anni dopo donata dal Gerace al sacerdote Gio. Domenico Trimboli; essa consisteva “in più e diversi membri superiori ed inferiori ed era situata in parrocchia di Santa Margherita e confinava con la casa che fu del q.m Giuseppe Tiriolo e magazeno attaccati alla sagristia del monastero di S. Chiara”.[xviii]

Nel 1675 Giuseppe Gerace proseguiva nell’allargare la proprietà, comprando una casa palaziata “consistente in quattro membri superiori e quattro bassi, e pozzo dentro e casaletto dietro dette case”. La casa palaziata che era appartenuta a Lorenzo Siciliano, a causa dei debiti era stata messa all’asta per decreto della corte vescovile; essa confinava con le case dello stesso Gerace ed il monastero di Santa Chiara “stritto mediante nel loco d.to S. Giorgio”.[xix] Due anni dopo le clarisse per preservare la clausura, sono obbligate dal vescovo Geronimo Caraffa a comprare una casa posseduta da Giuseppe Gerace, e la quarta parte dei magazzini che confinano con detta casa, per farli demolire, “in quanto per esser anche superiore ricevono le monache grandissimo sospetto”. Il Gerace vende così alle clarisse la casa che sta unita alle sue, e propriamente “la cammara la più alta che sta vicino al monastero con li loro bassamenti e quarta parte di magazeni” per ducati 150.[xx]

Crotone, palazzo Gerace.

Vendita delle proprietà dei Gerace

All’inizio del Settecento le proprietà dei Gerace a Crotone vennero meno. Morto Gio Pietro Gerace subentrò il figlio Nicola. Residente a Napoli, il 14.2.1702 Nicola venne a convenzione con l’abbate Fabio Caracciolo, figlio terzogenito e prestanome del duca di Montesardo, Giuseppe Antonio Caracciolo, al quale cedette le terre situate a “Li Piani di Nao” senza patto di ricompra. Vendute le terre, dopo alcuni anni anche le case ne seguono la sorte.

Il 23 dicembre 1719 Francesco Cesare Berlingieri compra per ducati 850 da Silvestro Cirrelli, procuratore di Nicola Gerace di Napoli, un palazzo in parrocchia di Santa Veneranda; esso è composto da “più e diverse camere superiori, inferiori e bassamenti con cortile di cantoni, scala di cantoni, con l’archi di cantoni, loggetta di sopra con due altre casette, una con alto e basso con l’uscita avanti il monastero delle RR.e monache di S. Chiara e l’altra casetta consistente in due bassi e un superiore con l’uscita avanti la casa di Ciriaco Tesoriero con un pozzo attaccato a d.e due casette al vignano seu loggia grande scoperta del palazzo di Francesco Cesare Berlingieri. Isolato per tre strade attaccato al palazzo e vaglio scoperto del S. Cesare Berlingieri”.[xxi]

Poiché sul palazzo gravava un capitale di ducati 425 del beneficio di San Francesco di Paola e San Francesco d’Assisi, con obbligo di pagare annualmente ducati 34, il Berlingieri sborsò in contanti la metà del prezzo e, per l’altra metà, si impegnò a pagare il censo al rettore del beneficio, che era il chierico Tommaso Gerace di Napoli,[xxii] fratello del venditore Nicola Gerace.

Il 23 maggio 1720 il palazzo “isolato da tre strade, e dall’altra parte che riguarda la porta della chiesa del monastero di S. Chiara attaccato al vaglio scoverto del cellaro” del palazzo dei Berlingieri, è rivenduto da Francesco Cesare Berlingieri per ducati 740 a Natale La Piccola, parroco di Santa Margarita e prestanome del cognato Domenico Mirielli, originario di Catanzaro.[xxiii]

Per pagare il palazzo il La Piccola utilizzò in parte, il denaro dato dal cognato ed in parte, si impegnò a corrispondere l’annuo censo al beneficio sotto il titolo di San Francesco di Paola e di San Francesco D’Assisi. Per tale motivo, al tempo della visita del vescovo Anselmo de la Pena, troviamo che il beneficio senza altare e cappella, sotto il titolo dei SS. Francesco d’Assisi e Francesco di Paola della famiglia Gerace, esigeva un annuo censo di ducati 34 per capitale di ducati 425, sopra una casa davanti al monastero di Santa Chiara, che prima era stata di Nicola Gerace ed ora apparteneva a Domenico Miriella.[xxiv]

Il prezzo della rivendita fu inferiore in quanto il Berlingieri si trattenne due camere e i bassi, che si affacciano alle case di Ciriaco Tesoriero, ed il basso sotto la cucina del palazzo che ha l’uscita davanti a Santa Chiara, ed usufruì della condizione di poter chiudere due finestre del quarto superiore, dirimpetto alle sue camere, e di poter fabbricare una loggia o solana scoperta: “Possa Francesco Cesare e i suoi heredi fabricare sopra la camera della cocina, che va annessa e connessa con detto palazzo, una loggia o vero solana scoperta a spese proprie di calce e legname tirandola da sopra il vaglio della cantina per tutta detta cucina, ma con l’uscita piana dalle camere di d.o S. onde possa abbassarla o alzarla secondo richiederà il bisogno, e l’uguaglianza di detta loggia a spese proprie di calce e legname, e seguendo la loggia sud.a il camino di detta cucina debba passarsi alla camera scoverta a spese di detto Rev. Natale con l’uso a d.o palazzo del pozzo che trovasi tra il vignano del quarto di basso di d.o palazzo venduto e le due camere riservatesi per esso D. Francesco Cesare”.[xxv]

Pochi anni dopo anche i figli di Giuseppe Gerace e Caterina Scigliano cederanno le loro proprietà. Il 24 gennaio 1725 i fratelli Gio. Battista, Onofrio e Raymondo Gerace, assieme alla sorella Francesca Gerace, quest’ultima col consenso del marito Gio. Pietro Juzzolino, vendono a Francesco Cirillo “una casa palaziata con alto e basso e scala di pietra di dentro”, situata in parrocchia di Santa Veneranda e confinante con le case del compratore. La casa era pervenuta ai Gerace come eredi del padre Giuseppe.[xxvi]

Crotone, palazzo Gerace.

Dai Mirielli ai Micilotto

Nel 1738 Domenico Mirielli vendeva per ducati 950, il palazzo che era stato di Nicola Gerace al canonico Tommaso Capocchiani. Esso risultava gravato dal capitale di ducati 425 con la sua annualità di ducati 34 che matura ogni 26 maggio, dovuti al beneficio di San Francesco di Paola e San Francesco d’Assisi, e di ducati 120 con la sua annualità di ducati 6, dovuti al marchese Berlingieri.[xxvii] Il palazzo passò prima del 1757 ai Micilotto; infatti, in quell’anno non risulta più tra le proprietà del Capocchiani.[xxviii]

Antonio Micilotto fu “mercante di panni ed altri generi di merci”, originario di Catanzaro si accasò a Crotone. Nel catasto onciario del 1743 egli risulta sposato con Lucrezia Pugliese, ed abitante in casa propria in parrocchia di Santa Margherita, assieme ai numerosi figli (Giuseppe, Dionisio, Susanna, Faustina, Catarina e Anna), alla suocera Rosa Sculco, ed alla serva Antonia Santagata.[xxix] Anni dopo il figlio Giuseppe risulta proprietario del palazzo che era appartenuto a Domenico Mirielli.

Da Giuseppe pervenne per eredità a Saverio Micilotto, il quale nel 1781, possiede un palazzo attaccato da una sola parte a quello che era stato del defunto marchese Carlo Berlingieri.[xxx] Nel 1793 il Micilotto aveva 31 anni e locava il suo palazzo vicino Santa Chiara, composto da due quarti con bassi, in uno dei quali vi era un mulino. Egli pagava ancora l’annuo censo per il capitale di ducati 425 al beneficio della famiglia Gerace, il cui importo era però sceso da ducati 34 a 21.[xxxi] In seguito secondo lo Sculco, il palazzo passò ai Minasi e poi ai Morghen, i quali ne erano in possesso verso la metà dell’Ottocento.

La foto nell’anteprima è del GAK Crotone.

Note

[i] Pesavento A., Abitanti di Crotone che hanno partecipato alla costruzione delle fortificazioni della città e del castello (1541–1550), in wwwarchiviostoricocrotone.it

[ii] “Tunc S.tae Dominicae nunc vero S.tae Vennere”. AVC, Notaio Gio. Francesco Rigitano, Fs. 1602.

[iii] I genitori di Ippolita Bruno promisero di dote ducati 200, obbligando i loro beni. ASCZ, Busta 229, anno 1651, f. 22.

[iv] ASCZ, Busta 229, anno 1657, f. 69.

[v] ASCZ, Busta 312, anno 1665, f. 45.

[vi] Durante la carestia, nella primavera del 1672, parte del grano inviato da Crotone a Napoli via terra da Gioseppe Gerace al fratello Gio. Pietro Gerace, è predato dagli abitanti di Nicastro (ASCZ, Busta 333, anno 1673, ff. 63-65). Nel maggio 1675 Gio. Pietro Gerace immetteva in Napoli da Crotone diecimila tomoli di grano (ASCZ, Busta 253, anno 1675, f. 50).

[vii] È del 17 marzo 1683 una protesta di Lelio Manfredi contro Giuseppe Gerace. Alcuni mesi prima il Gerace aveva avuto in prestito dal Manfredi del grano, che doveva far caricare su una tartana per Napoli, ma non lo aveva ancora restituito. ASCZ, Busta 335, anno 1683, ff. 16-19.

[viii] Gio. Pietro Gerace vende ad Ottavio Brancalli a Napoli del grano. Giunte a Crotone le tartane per imbarcalo, i patroni protestano perché il grano che devono imbarcare non è della qualità pattuita in quanto è umido e mescolato. ASCZ, Busta 312, anno 1666, ff. 146v-147.

[ix] Il patrone di una tartana ancorata al porto di Crotone, protesta perché mesi prima, aveva comprato a Napoli da Gio. Pietro Gerace 1000 tomoli di grano, ma gliene sono state consegnate solo la metà (ASCZ, Busta 253, anno 1671, ff. 46-47). Giuseppe Gerace deve consegnare 1000 tomoli di grano che il fratello Gio. Pietro ha venduto in Napoli ai fratelli Brancati. Giunta a Crotone la tartana inviata dai Brancati, egli ne fornisce solo la metà (ASCZ, Busta 334, anno 1679, f. 48).

[x] Durante la grave carestia che imperversò nella primavera del 1668, Giuseppe Gerace fu carcerato per aver praticato il contrabbando di grano. Per ordine del conte De la Garde, preside della provincia di Calabria Ultra, egli fu rinchiuso per 10 giorni nel palazzo del vescovo, subendo molti “trapazzi”, e fu rilasciato solo dopo che sborsò “molta somma di denaro” (ASCZ, Busta 334, anno 1675, f. 15).

[xi] Onofrio Gerace, figlio di Gio. Pietro, affitta delle terre a semina a capo Nao al colono Tommaso Capocchiani, il quale dopo poco muore. Il Gerace per rivalersi si impadronì allora di tutte le vacche, i buoi e le terre seminate a grano del Capocchiani. Le vacche le mandò a Napoli affinché il padre le vendesse, al tempo della mietitura portò il grano nei suoi magazzini e dopo la raccolta vendette i buoi parte in contanti e parte a credito. ASCZ, Busta 659, anno 1715, f. 95.

[xii] Gio. Pietro Gerace, residente a Napoli, si impegna con il negoziante napoletano Geronimo di Domenico, per la fornitura di 20.000 tomoli di grano. Il grano sarà fornito dal fratello Gioseppe ai patroni delle tartane che il Di Domenico manderà al porto di Crotone, nella misura di tomoli 4000 ogni 15 del mese. Il grano era conservato “in horreis in loco ubi dicitur li Capuccini” di proprietà di Gio. Pietro Gerace. ASCZ, Busta 334, anno 1678, ff. 216-218.

[xiii] Ai primi di giugno del 1668 Gioseppe Gerace noleggia la tartana di Lorenzo Cafiero che si trova al porto di Crotone per imbarcare 2500 tomoli di grano da portare a Napoli. ASCZ, Busta 313, anno 1668, f. 108.

[xiv] Russo F., Regesto, VII, 33527 e IX, 44901.

[xv] Russo F., Regesto, IX, 45224.

[xvi] ASN, Prov. Caut. 362, f. 74 (1723-24).

[xvii] Giuseppe Gerace sposò Caterina Scigliano, dalla quale ebbe i figli Gio. Battista, Onofrio, Raymondo e Francesca, che sposò Gio. Pietro Juzzolino. Morto il padre, i figli ereditarono una casa palaziata, con alto e basso e scala di pietra, in parrocchia di Santa Veneranda, che vendettero a Francesco Cirillo. ASCZ, Busta 614, anno 1725, f. 9.

[xviii] ASCZ, Busta 497, anno 1706, ff. 16-17.

[xix] ASCZ, Busta 334, anno 1675, ff. 26-30.

[xx] Non avendo i soldi le clarisse si rivolgono ai Paolotti, ottenendo un prestito di ducati 150 all’8%. ASCZ, Busta 334, anno 1677, ff. 33v-37r.

[xxi] ASCZ, Busta 665, anno 1738, ff. 8-10.

[xxii] Il chierico Tommaso Gerace fu rettore del semplice beneficio di iuspatronato della famiglia Gerace senza altare e cappella, eretto in cattedrale a Crotone, intitolato ai santi Francesco di Assisi e Francesco di Paola. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 37. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 84.

[xxiii] ASCZ, Busta 660, anno 1720, ff. 174-175.

[xxiv] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 43.

[xxv] ASCZ, Busta 660, anno 1720, ff. 69-74.

[xxvi] ASCZ, Busta 614, anno 1725, f. 9.

[xxvii] ASCZ, Busta 665, anno 1738, f. 7.

[xxviii] ASCZ, Busta 857, anno 1757, ff. 4-9.

[xxix] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 8.

[xxx] ASCZ, Busta 1391, anno 1781, f. 160.

[xxxi] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793, ff. 123-124, 162v.


Creato il 5 Marzo 2015. Ultima modifica: 14 Novembre 2022.

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